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Autore: Rallienbow_    15/12/2014    3 recensioni
{ Storia partecipante al contest "Sangue di drago" di ManuFury sul forum di efp. Sesta classificata. }
– Sai, Victoire, tu sei una Drekimannvera. Detto così può suonare strano, ma è la cosa più semplice del mondo. In islandese, mannvera è l’essere vivente, l’umano. Dreki è drago. Quindi un drago che è un umano. Qualcuno come te. –
{ Capitolo 1. }
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai, Shoujo-ai
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Aveva sentito provenire da fuori lo scrosciare dell’acqua che stava venendo giù dal cielo subito, quando aveva iniziato con un semplice plic plic. La finestrella era bloccata solo da aste di ferro, sapeva che quell’acqua sarebbe entrata nella sua cella, era solo questione di tempo. Vic odiava l’acqua. Quand’era più piccola, ad una gita alle elementari, una bambina l’aveva spinta in mare; lei ancora non sapeva nuotare, se la maestra non si fosse tuffata, probabilmente sarebbe morta. Da quel giorno ebbe sempre una grande paura del mare, dell’oceano, delle grandi quantità d’acqua in generale. Fissava la finestra con gli occhi sbarrati dalla paura, il suo corpo era scosso dai tremiti del freddo. Stava congelando, lì dentro. Dal giorno prima, le faceva ancora male praticamente tutto quanto, non c’era stata una singola parte del suo corpo che non fosse stata toccata (a parte le mani e il viso, forse). Aveva graffi e bruciature un po’ ovunque, e probabilmente aveva anche qualche osso rotto qua e là. Provava così tanto dolore che, oramai, il suo cervello aveva smesso di registrarlo e ci si era semplicemente abituata. Leo aveva accennato qualcosa riguardo al fatto che, se si fosse trasformata in drago, la sua guarigione sarebbe stata decisamente più veloce; una volta, la settimana prima, erano caduti sull’argomento “I draghi e le ferite”, ed era rimasta piacevolmente colpita dall’apparente infinita quantità di informazioni che Leo aveva sui draghi.
Xavier non era nella cella affianco alla sua. O meglio, lo buttavano ancora lì dentro quando avevano finito di torturarlo, ma poi prendevano lei; dunque non avevano ancora avuto possibilità di parlarsi, dopo essere venuti a conoscenza della grande rivelazione: la semi-parentela che li univa l’un l’altro. Già dal primo impatto Xavier le aveva fatto una buona impressione, più ci pensava più era sicura che sarebbe potuto essere un ottimo fratello. Se fossero mai usciti vivi da lì, e se fosse stata in grado di racimolare un po’ del suo coraggio, forse gli avrebbe chiesto se volesse vivere con loro.
Poi qualcosa di incredibilmente freddo venne a contatto con il suo piede: acqua. A Victoire prese un colpo. Si stava lentamente riempiendo tutta la cella.
Okay, calma, mantieni la calma. Ci vorranno come minimo cinque ore prima che si riempi anche solo fino al ginocchio. Da sotto, quella porta perde. Calma. Non farti prendere dal panico.
Decise quindi di rimanere lì dov’era, rannicchiata in un angolino buio, con gli occhi serrati. Non voleva urlare, aveva già urlato troppo il giorno prima, per i suoi gusti. Prese un paio di grandi respiri, cercando di concentrarsi su qualcosa di bello, qualcosa che potesse far riaffiorare momenti felici.
Candie.
Nonostante tutto, anche in quella situazione Vic riusciva a pensare solo a lei.
Victoire!
Le sembrava addirittura di sentire la sua voce chiamarla. Forse le avevano iniettato un veleno mentre era semicosciente. O forse era soltanto l’effetto della prigionia: la stava facendo diventare pazza. Candice non poteva essere lì, nemmeno sapeva che lei era caduta in un altro mondo, in un’altra dimensione.
– Victoire! Dove diavolo sei? –
Questa volta la sentì in modo più nitido. Stava davvero diventando pazza! No, assolutamente no, non poteva esserci davvero.
– Victoire, ti prego... Non possono averti già uccisa, no. –
Victoire non credeva a quello che sentiva. La sua mente, il suo cervello, la logica, si rifiutavano di crede che lei potesse essere lì, e che fosse venuta a salvarla. Ma il suo cuore la spingeva a crederci, a crederci con tutta se stessa. Senza che lei realizzasse quello che stava facendo, le sue gambe si erano già raddrizzate, facendola alzare, e i suoi piedi si erano mossi verso la porta della cella. Poggiò le mani sul ferro, scuotendo le sbarre.
– Candie, sei tu? Sono qui! –
Una chioma bionda e riccia spuntò fuori dal corridoio buio, e insieme ad essa c’erano anche un paio di occhi blu mare. Il cuore di Vic perse un battito, o forse due; era così bella che sarebbe rimasta a guardarla per ore intere senza dire una parola. Così, solo a guardarla e accarezzarla.
– Vic, cosa ti hanno fatto... –
Quegli stessi occhi diventarono adesso più lucidi, sempre più lucidi, fino a far cadere sulle sue guance puntellate dalle lentiggini calde, salate lacrime. Victoire non aveva la più pallida idea di quale fosse il suo stato fisico al momento, ma dalla reazione di Candie doveva avere proprio un aspetto tremendo.
–  Ah, adesso sei preoccupata, eh. Dovevo ridurmi in fin di vita per attirare la tua attenzione. –  certo che era arrabbiata. Era contenta di vederla lì, ma tutti i mesi passati insieme a litigare e a farsi del male a vicenda non erano magicamente svaniti.
­– Vic, ti prego, non adesso. Voglio solo portarti via. –
– Sai cosa? Invece no. Adesso tu mi dici cosa ci fai qui. E come faccio ad essere sicura che sia tu? –
– Hai perso la verginità in quinta superiore, quando ancora ti ostinavi a non voler ammettere che ti piacessero le ragazze, e sei stata con Guglielmo. Guglielmo, sì, in aula insegnanti, e non vi hanno beccati per tanto così! Ah, sai, cercavo un posto per una tranquilla scampagnata! Sono venuta a salvare la vita alla ragazza che amo, cosa pensi che sia venuta a fare?! –
Victoire la stava fissando con un’espressione incredula in faccia.
– Beh? Che c’è? –
– Dillo di nuovo. –
– Sono venuta a salvarti... –
– No, quella prima. –
– La ragazza che amo. –
Victoire fece passare una mano attraverso le sbarre e catturò le lacrime della ragazza con un gesto dolce, pieno d’amore; da sotto gli occhi passò fino all’orecchio, dietro cui spostò un riccio ribelle, e poi finì per spostare le dita sulle sue labbra rosee, così morbide, leggermente carnose. Candie tirò fuori dalla giacca un enorme mazzo di chiavi, e dopo qualche tentativo andato a male trovò la chiave che sbloccò la porta della cella di Vic. Una volta fuori, a Vic prese una fitta tremenda al fianco e cadde a peso morto sopra Candie, che prontamente la prese fra le braccia e la cullò un poco. – È tutto okay, Vic, ci sono io qui con te. Leo sta cercando Xavier. Abbiamo trovato un altro modo per sconfiggere queste cose. –
– Per la cronaca, stavo per uscire da sola da questa situazione. –
– Per la cronaca, ti ho appena fatto una dichiarazione d’amore. –
– Ti amo anche io, Candie, sì. –
                                                                                              ***
Leo stava girando per quell’enorme castello alla ricerca di Xavier, quando udì delle urla maschili. Con passo felpato, si diresse nella loro direzione, tentando di capire da dove provenissero. Aveva una strana, pessima sensazione. E quelle di solito si rivelavano sempre vere.
Quando entrò, di soppiatto, in un grande salone, che forse una volta veniva adibito a cerimonie e banchetti, gli si accapponò il pelo su tutto il corpo di gatto. Un uomo e una donna rinchiusero il torturato all’interno di una delle tante, troppe, gabbie che ornavano lo stanzone; dopodiché se ne andarono. Leo si avvicinò ad essa, e quando vide chi c’era al suo interno perse, probabilmente, una delle famose vite dei gatti. Subito riprese la sua forma umanoide, per poter parlare.
– Xavier, Xavier guardami! –
Quando quello si voltò, a Leo pianse il cuore. Era ridotto veramente male. Perdeva sangue dalle labbra, ma non qualche goccia, in abbondanza; aveva (come Victoire) bruciature di ogni genere sull’intera superficie del corpo; osservando le mani, si notava che non aveva più le unghie; gli avevano rasato una parte di capelli per applicarci sopra delle bende dall’odore disgustoso, probabilmente bagnate in qualche unguento strano che mantenesse Xavier sveglio durante il tempo della tortura. Non volevano mica che svenisse.
– Ora che mi hai visto, puoi anche abbandonarci di nuovo. –
Xavier aveva pronunciato quella frase con estrema piattezza, non aveva espresso nemmeno un’emozione. Che i suoi carcerieri gli avessero strappato anche quelle? No, Leo conosceva Xavier: probabilmente se l’era immaginato tutto lui di sana pianta, stavolta le torture non c’entravano.
– Sono andato a cercare un’altra soluzione, e l’ho trovata Xavier, l’ho trovata! –
– Balle. Avevi paura e sei scappato. Codardo. –
– No, Xavier, te lo giuro. –
– Come potrei crederti? – questa volta il tono di Xavier era diverso; sembrava quasi implorare Leo di dargli un motivo per cui credere, lo stava supplicando per dimostrargli fiducia. Allora gli avrebbe spiegato la verità, forse era la cosa più semplice e sensata da fare.
– Ho trovato un’amica di Victoire che, beh, è una Testimone, e aveva il libro. Abbiamo trovato il metodo per sconfiggere queste creature maledette. Ce la possiamo fare, perché io credo in te, in noi. – Leo fece una pausa, passando le braccia attraverso quella gabbia, e prese il viso di Xavier fra le mani, delicatamente. Non voleva fargli ancora altro male. – E perché ti amo. –
In quell’istante, la porta si aprì. Candice entrò nella stanza, con una Victoire non molto in grado di camminare.
– Che quadretto sdolcinato. –
Dall’altra parte della stanza la figura di Kristjian apparve, accompagnando il suono mellifluo della sua voce, arrivata per prima ai ragazzi. Bastò quell’attimo di distrazione per permettere a Illith di prendere Xavier e portarlo via dalle mani di Leo.
– Tu! – ormai Illith era già vicina a suo padre, e Xavier era in ginocchio, il viso rivolto a Leo, che fremeva dalla rabbia. – Kristjian... Sei un traditore dei draghi. Cosa stai facendo?! Hai mandato tu le creature del caos qui?! –
– Sono uno Stregone, non sono mai stato un Drago. Era tutto parte del piano. Non avete davvero delle armi per combattere me e le creature che mi servono, e sì, le ho portate io qui. Mi serviva un modo veloce per regnare. Adesso lui pagherà per la tua insolenza. – Kristjian prese un pentolino con un liquido verdastro, poco rassicurante. – Sai, Leo, pensavo che dopo quella stronzata di battaglia vi foste arresi. Così testardo... Ah, dimenticavo di dirti: questo qua è acido. Guarda un po’ dove va a finire! – Illith tirò Xavier per i capelli, alzandogli il viso. Kristjian versò senza pietà l’acido dentro gli occhi di Xavier. L’ultima cosa che vide fu Leo che cercava di arrivare a lui, di salvarlo, inutilmente. Dalla gola gli uscì un urlo tremendo, che Leo ancora oggi sogna nei suoi incubi peggiori. Era un urlo pieno di dolore, di sofferenza. Quando Kristjian e Illith lo lasciarono andare, gli occhi di Xavier erano ormai solo una cavità vuota, non c’era più niente.
– Adesso basta. –
Victoire aveva assistito alla scena, appoggiata al corpo di Candice. Ma una nuova forza adesso le scorreva dentro. Durante il percorso cella–salone, Candie le aveva spiegato cosa doveva fare per sconfiggere Kristjian. Ma un qualcosa di forte e inarrestabile stava prendendo piede all’interno dell’organismo della ragazza. A un certo punto, la pelle aveva cominciato a mutare in squame. Il viso si era allungato, diventando un muso. Dalle mani e dai piedi le stavano crescendo dei lunghi artigli. E dietro la schiena comparvero due immense ali verdi.  Candice aprì il libro sul racconto che Leo le aveva detto, e lo puntò verso Illith, non verso Kristjian. – Fidati di me. – Victoire si era completamente trasformata in una draghessa: era possente, grande, bellissima. Il verde delle ali era brillante, mentre la coda e il muso portavano delle sfumature più scure, fino ad arrivare alla pancia, che era su un colorito più “panna”. Il colore degli occhi, però, era rimasto lo stesso: un azzurro chiaro, che, a differenza del solito, era contaminato da una tremenda ira, da un odio profondo, dal quale non si poteva scappare. Aprì le fauci e sprigionò un fuoco di tutti i colori dell’arcobaleno: quando il getto colpì il libro, si incanalò come se fosse in un tubo, e uscì sottoforma di fascio infuocato, che prese in pieno Illith e la ridusse in mille, minuscoli pezzettini di cenere. Sia Leo che Candie rimasero senza fiato. Non si era mai vista una fiamma del genere, negli anni passati.
– Victoire, mi senti? – le narici le si allargarono, facendo fuoriuscire due piccoli fumetti bianchi: Leo le stava parlando nella mente. Non credeva che potesse fare una cosa del genere.
Forte e chiaro.
Ascoltami: quella fiamma non è normale. Come ci sei riuscita?
Non lo so, Leo, non ne ho idea. Ho solo... Sputato fuoco. Perché non è normale?
Quella è una fiamma speciale, che si ottiene solo con anni di pratica e alcuni incantesimi. Racchiude la potenza dei quattro elementi. È allo stesso tempo stupefacente e preoccupante che tu la possa usare così, senza allenamento. Beh, almeno si abbina ai tuoi capelli tinti!
Ehi! I miei capelli non sono tinti!
Leo si girò verso di lei, confuso. –Non sono tinti?
No! Nonna mi aveva spiegato che dipendesse dai venti. In base a quale vento soffia, i miei capelli cambiano colore. Ma a questo punto, non potrebbe essere un corrispondente della fiamma?
È assolutamente possibile che lo sia.
Kristjian rimase impotente davanti alla scena: era successo tutto troppo in fretta perché potesse fare un qualcosa di concreto per salvare, a quanto pareva, l’unica figlia che davvero amasse. Victoire non era mai stata una ragazza cattiva, di quelle che si divertivano nel vedere la sofferenza altrui; ma aveva tutte le intenzioni di far passare le pene dell’inferno al padre. In primis, per quello che aveva fatto a lei stessa: non si era mai curato di lei, anche se era a conoscenza della sua esistenza, l’aveva torturata, e l’aveva costretta a guardare mentre il suo fratellastro perdeva la vista, l’aveva separata da Xavier e, chi può dirlo, magari Illith sarebbe anche stata una brava sorella se avesse vissuto una vita normale; in secondo luogo, per l’infedeltà a sua madre: per quanto lei ed Eneka avessero spesso delle discussioni, era comunque stata una madre presente e, a modo suo, affettuosa. Non accettava che l’avesse presa in giro in quel modo; terzo, ma non per importanza, aveva praticamente distrutto quel mondo, gli equilibri che lo governavano, e costretto un’altra popolazione ad avere paura e rinchiudersi sottoterra, volontariamente. Non gli avrebbe mai e poi mai perdonato niente di tutto ciò.
– Credi che sia così facile potermi battere? – un ghigno sinistro si disegnò sul volto dell’uomo; un uomo che, ora che Vic lo guardava con gli occhi da drago, probabilmente non aveva più di cinquant’anni. Non ne sapeva niente sugli Stregoni, ma forse anche loro avevano una soglia della vita non esageratamente prolungata.
So cosa sta per fare. Sta per richiamare le creature. Devi fare attenzione. Trasformano il fuoco in ghiaccio. È qualcosa che ho già visto. Con l’aiuto di Candice, dovreste trovare un racconto sulla distruzione di uno Stregone dei Draghi. Puoi combattere quante creature del caos vuoi, ma finché lui sarà in vita ne potrà evocare ancora, e ancora, e ancora. – Lo sguardo di Leo era fisso su Victoire.
Ma io non lo voglio uccidere. Voglio togliergli i poteri. Posso parlare mentalmente con Candice?
Sì, ma fai in fretta. Le sta già evocando.
E in effetti era vero: Kristjian aveva gli occhi chiusi, le mani congiunte, come se pregasse. Quello era l’inizio del rituale di evocazione. Dovevano muoversi.
Candice, Candice, mi senti? Devi cercare nel libro un modo per togliere i poteri a uno Stregone dei Draghi. – Candice sussultò, non si aspettava di ritrovarsi la voce di Vic in testa, ma si mise immediatamente alla ricerca di un racconto. L’aveva visto, sua nonna glielo aveva raccontato subito dopo il suo primo incidente con il mondo magico, doveva essere per forza lì da qualche parte, anche se cercava di ricordare le parole da sola.
Intanto, delle ombre nere cominciavano a venire fuori dal pavimento. Strisciavano su di esso come serpi, ma la consistenza era più molle, ed emettevano dei suoni agghiaccianti. Vic aveva letto che se ti toccavano, potevano avere due effetti: o ti provocavano un dolore fisico attraverso la mente, oppure rimanevi del tutto bloccato, senza la possibilità di muovere nemmeno un muscolo, e ti impiantavano nella mente immagini non vere, strazianti, che facevano leva sulle tue paure peggiori e sui tuoi affetti più cari.
“Non è così facile spaventarmi.” Aveva sempre pensato, ma in quel preciso momento cominciava ad avere paura. Candice stava ancora sfogliando freneticamente le pagine del libro, sapeva che ci stava mettendo tutta se stessa, ma doveva sbrigarsi: il tempo a loro disposizione sembrava essere terminato. Una delle ombre si alzò dal terreno e prese una forma tonda, con punte affilate un po’ ovunque. Se non fosse stata in pericolo di vita, Vic avrebbe pensato a un riccio. Queste creature emanavano un’aurea oscura, violacea; non era sicura che gli altri la potessero vedere.
Trovata! – Victoire si girò verso Candie, pronta ad ascoltarla, ma era circondata da quelle creature, così come lo era Leo; solo lei sembrava avere possibilità di movimento, le stavano alla larga.
Vic… Per togliere i poteri a uno Stregone dei Draghi devi inglobare i poteri di quelle creature. Gli Stregoni hanno naturalmente poteri buoni: Kristjian, usando i suoi poteri per scopi malvagi, li ha corrotti. Mentre i poteri di quelle creature sono cattivi di natura. Se tu li inglobi, i poteri di Kristjian saranno alla pari con i tuoi, e quando userai la fiamma verranno annullati.
Victoire sorrise, beffarda. – Adesso devo solo assorbire queste creaturine.
Kristjian era là dietro, protetto. Si godeva lo spettacolo, la tranquillità: non aveva ancora dato l’ordine di attaccare, voleva vedere la paura negli occhi dei ragazzi. Ma Victoire non gli diede il tempo di fargli dare quell’ordine: sputò fuoco contro le creature che, come aveva pensato, stavano resistendo. Quando il suo getto cessò, la loro aurea si frantumò, e andò ad impossessarsi del corpo di drago che Vic stava usando. Non era affatto facile dominare tutto quel potere, richiedeva un grande sforzo sia fisico che mentale; però i corpi, quei ricci, si accasciarono tutti per terra, incapaci di muoversi senza i loro poteri.
– No... Cos’avete fatto?! No, no! Rialzatevi! Ne evocherò degli altri...! –
– Non così in fretta. –
La voce di Victoire sotto forma di drago era abbastanza inquietante, ma cercò di non farci troppo caso (non voleva fare la stessa fine di Yzma...). Si concentrò per raccogliere tutto il potere che aveva immagazzinato, e nel contempo far crescere quella fiamma dentro di sé.
Uno, due, tre.
Aprì per la seconda volta le enormi fauci che si ritrovava e fece esplodere il fuoco che aveva dentro: il risultato fu una fiamma arcobaleno sfumata dal viola dei poteri del caos; la fiammata prese in pieno Kristjian, che si ritrovò senza fiato, in balia del turbine colorato. Le sue urla riempirono tutta la stanza e gli echi si persero per tutto il castello, lentamente. Victoire dovette mollare, non ce la faceva più: cadde a terra, con la sua forma umana, stremata. Aveva il respiro affannato e la vista appena sfuocata, ma riuscì a mettere a fuoco la scena che le si presentava davanti: il corpo di Kristjian era ora magro, scarno addirittura. Insieme ai suoi poteri erano scomparsi anche i suoi attributi fisici.
Victoire si alzò, con fatica, e gli si avvicinò. – Questa è la tua punizione per ciò che hai fatto. Vivrai una vita da mortale, rinnegato dalla tua gente, esiliato da questo luogo magico, senza mai più la capacità di compiere la più minuscola delle magie. E non sono affatto dispiaciuta. –
                                                                                              ***
Erano passati quattro mesi (terrestri) da quando Victoire era tornata sulla Terra insieme a Candice, Leo e Xavier. Quest’ultimo purtroppo, anche con l’intervento di nonna Iris, non aveva potuto recuperare la vista in alcuna maniera. Aveva dunque deciso di abbandonare la sua gente, che riteneva spregevole per avergli voltato le spalle, e aveva deciso di stare a vivere con Leo.
– L’obiettivo principale di questa missione era permetterci di tornare nel nostro mondo, ma alla fine siamo stati noi a non voler andarci. – Victoire si girò verso nonna Iris. – Tranne mia madre, ovviamente. Lei ci è tornata appena l’incantesimo è stato revocato. – sospirò: un po’ le dispiaceva non averla più con sé, ma aveva rispettato la sua scelta. Sapeva di poter vederla quando voleva, non sarebbe stato quello il problema. Nonna Iris ormai si era così abituata a stare sulla Terra, che non sentiva più il bisogno di tornare indietro.
– Ma alla fine, hai scoperto cosa sei? –
– Sì, sono davvero una Drekimannvera. Non ho ereditato un potere che sia uno da mio padre. Per fortuna, aggiungerei! –
La mano di Candie si posò sulla guancia di Victoire: avevano fatto delle scelte, forse non erano quelle giuste, ma per il momento andavano bene così. Sarebbero state insieme solamente quando Candie si sarebbe sentita pronta a dire la verità ai suoi, e quel momento non era ancora arrivato. Per ora si vivevano così, un po’ amiche e un po’ amanti.  
Xavier e Leo avevano trovato il loro equilibrio, Xavier si stava abituando a vivere senza l’uso della vista, e stava pian piano sviluppando gli altri sensi: di sicuro quando Leo posava le labbra sulle sue poteva chiaramente vedere quanto l’amasse.
– Ma lo sai che oggi è il quattordici? Non è il compleanno di qualcuno? –
Leo sorrise a quella frase: se n’era un po’ dimenticato, in effetti, con tutto quello che stava succedendo nella sua vita. Candie entrò in salotto con una gigantesca torta di compleanno e un sacco di candeline da spegnere: Vic non aveva il coraggio di contarle, aveva paura di sapere quanti anni avesse effettivamente Leo!
– Avanti, esprimi un desiderio! –
Leo soffiò sulle candeline dopo un attimo di esitazione, poi le fiammelle si spensero.
Non rivelò mai a nessuno cosa desiderò quella sera, perché la verità è che desiderò qualcosa che già aveva: una famiglia con cui rimanere per sempre.
  
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