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Autore: Schully    17/12/2014    1 recensioni
Capitoli in revisione.
Mi sono messa a pasticciare dopo un finale di metà stagione mooolto deludente... se vi piace sognare forse questa storia fa per voi... premetto che l'ho scritta e pubblicata... non le ho dato il tempo di riposare sono troppo arrabbiata se c'è qualcosa da aggiustare dite son tutta orecchi.
Genere: Angst, Drammatico, Erotico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Beth Greene, Carol Peletier, Daryl Dixon, Rick Grimes, Un po' tutti
Note: Lemon, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Sorelle…
 


Sono una sorella di merda: in tutto questo tempo in cui è scoppiato questo gran casino, ho pensato molto di più a me stessa che a Beth. Bella stronza egoista del cazzo… non credevo di essere così, invece…  devo ammetterlo; papà sarebbe molto più fiero di lei che non di me, forse è questo che mi ha dato sempre fastidio, il fatto che loro si capissero solo con uno sguardo, mentre io… io ero quella che per ottenere un po’ d’attenzione doveva fare qualcosa sopra le righe.
Perlomeno dovevo farlo da quando era nata Beth, mi aveva soffiato il mio ruolo preferito, quello della “piccola” di casa, ed io non l’avevo mai accettato.
Come quella volta che avevo rubato uno dei trattori della fattoria, e con i miei amici, del terzo anno, avevamo deciso di fare le corse lungo il fiume. Grande idea! Certo, finché non perdemmo il controllo del mezzo finendo ribaltati in una marea di fango. Fortunatamente a parte un paio di ammaccature, il danno più grosso l’aveva subito il trattore. Noi ne eravamo usciti illesi. Se ci penso ora, devo ammettere che mi scappa ancora da ridere; l’emozione dell’avventura… il fascino del proibito, prima di quella curva maledetta ci stavamo divertendo, una risata risale dal mio stomaco ma è una risata amara, solo l’eco di quello che provai. È come il ricordo di un amico morto, dolce e amaro allo stesso tempo.
La voglia di trasgredire, essere sopra le regole era il mio motore e il mio tallone d’Achille. Ciò che mi rende affascinante a detta di mio marito. Lui dice che sono coraggiosa e impavida, io credo di essere solo una stupida, ho abbandonato la speranza, ho abbandonato Beth.
La rabbia di papà era stata immensa, ora capisco che era preoccupato da quello che sarebbe potuto succedermi. Oltre a trafiggermi con un’occhiataccia di quelle che ti stendono, mi aveva inflitto una bella punizione: confinata] in casa, a spalare merda di cavallo per due mesi interi; non mi aveva rivolto la parola per un tempo infinito.
Quella era stata la punizione più dura da sopportare, all’inizio era stata una benedizione, non avere il suo sguardo perennemente addosso ma poi con il tempo, cogliere la delusione nei suoi occhi, era stato un dolore devastante.  Era stata la piccola Beth, poco più che decenne all’epoca, a intercedere per me. E non era stata né la prima né l’ultima volta. Beth e la sua dolcezza, i suoi modi affabili, i suoi grandi occhi azzurri mi avevano salvato il culo innumerevoli volte.
Una volta poi che ero partita per il college, i rapporti tra me e mio padre si erano raffreddati, io e papà ci stavamo allontanando sempre di più. Forse eravamo troppo simili per andare d’accordo.
Dopo che il mondo era finito però, tutto questo era cambiato: papà mi riteneva all’altezza, si fidava di me, collaboravamo in perfetta sintonia. “Wow” e chi l’avrebbe mai pensato?”
Era una soddisfazione immensa, l’apocalisse zombie in qualche modo mi aveva riavvicinato a lui. Mi aveva dato uno scopo. L’aver relegato Beth in un angolino, non aver più bisogno di lei per farmi capire da mio padre, quale soddisfazione maggiore per me? Hershel finalmente mi comprendeva, mi accettava, con i miei pregi e i miei difetti ed io mi sentivo completa. Ero la sorella maggiore, quella da cui prendere esempio, quella importante. Quella necessaria.
Mio padre si crogiolava nelle sue illusioni ed io gli davo man forte credendo che la cosa si sarebbe comunque risolta in fretta. Credevo che qualcuno avrebbe trovato una cura e che le cose sarebbero tornate alla normalità. Mia madre e mio fratello sarebbero tornati da noi… in fondo erano solo malati.
Non vedevo la disperazione negli occhi di Beth, non vedevo che lei era arrivata alla verità molto prima di me, di tutti noi.  
Poi era arrivato il gruppo di Rick e inconsapevolmente ci aveva svegliato dal nostro torpore, Glenn per me era stato più che una sveglia. Era stato una scossa. Mi ero innamorata di lui al primo sguardo, devo ammetterlo.
Beth aveva cercato di uccidersi ed io l’avevo aggredita e insultata. Andrea l’aveva capita meglio di me, ora lo so. Vorrei poter dire che è stato il bambino che mi cresce dentro ad insegnarmelo ma mentirei, in realtà lo sapevo anche prima. E non volevo rendermene conto.
Rifiutavo la realtà, sono una donna di merda, ho lasciato che le mie paturnie mi condizionassero, non permettendomi di essere obiettiva. Non posso tornare indietro, purtroppo non posso cancellare i miei errori, però posso far sì di non commetterne di nuovi. Sorellina, ti renderò fiera di me.
 
∞∞∞∞∞∞∞∞∞∞∞∞
 
Il portone si apre di fronte a me e una luce calda mi accoglie, sono nel salone di casa mia, il che è strano, comincio a pensare che tutto questo non sia reale. Come può esserlo, si domanda il mio cervello, visto che fino a poco tempo fa ero in una struttura ospedaliera fatiscente nel centro di Atlanta? Come posso essere qui ora? Tutto questo non ha senso, ma la sensazione di calore è così immensa che non mi rendo nemmeno conto che quest’illusione ai miei occhi sta diventando sempre più reale. La luce calda proviene dal camino che si trova alla mia destra, espande il suo tepore, per tutta la stanza, scaldando il mio cuore spaventato.
Sono a casa.
Non mi sembra vero, sprofondo nel divano di fronte a me e afferro la coperta ai miei piedi, mi ci arrotolo, trovando conforto nell’odore famigliare che mi avvolge. Il camino scoppietta allegramente, sorrido soddisfatta, e mi viene in mente la frase di Dorothy nel Mago di Oz:
“Nessun posto è come casa!”
A poco a poco però, una strana ansia s’impossessa di me. Qualcosa non torna, non so cosa, ma qualcosa non va.
Mi sento frastornata, mi mancano dei pezzi, perché sono qui? Sento che non dovrei esserci, che questo non è reale. In lontananza colgo dei rumori, vengono dalla cucina; angosciata, mi avvio in quella direzione.
Mia madre è di spalle al lavandino, però l’immagine che vedo non è naturale, sembra distorta, tremolante, si gira e mi osserva. Per un istante, mi sembra che a fissarmi sia un cadavere in decomposizione; dura solo un attimo, subito dopo torna quella che era. Allarga le braccia:
«Beth… la mia piccola Beth, sei a casa, sei al sicuro ora! Vieni, vieni da me», ma nel suo sguardo c’è qualcosa che non mi piace… sembra famelico, non capisco.
“No, credo che non lo farò” dice la mia mente, tutto questo è sbagliato. Mia madre è morta, non può essere qui.
Il suo sorriso si allarga sempre più in un ghigno sdentato, la pelle sempre più tirata e bluastra, le scivola dal viso come fosse cera sciolta. L’eco della sua voce che continua a ripetere: «vieni… eni… eni...» mi ghiaccia il sangue nelle vene. Un urlo esce dalla mia bocca, la cosa che una volta era mia madre si avvicina lentamente ed io sono bloccata dalla paura. So che non dovrei sentirmi così, so che il mio corpo in qualche modo è abituato a tutto questo, so che dovrei reagire.
Semplicemente non ci riesco, è più forte di me; poi però qualcosa cambia, sento una rabbia indescrivibile montarmi dentro e una forza che credevo di non possedere m’invade, è come se accanto a me ci fosse qualcuno di così coraggioso da essere in grado di contagiarmi, guardandomi intorno mi accorgo che ho in mano un lungo coltello:
“Dove cazzo l’ho preso?” Il mio corpo agisce prima che la mia mente rifletta e con un colpo fluido e sicuro penetro il cranio della creatura di fronte a me, causandone la morte.
Il pianto che mi ha attirata qui si fa risentire più forte di prima, il mondo intorno a me si fa buio, sempre più buio, solo l’eco di quel pianto rimane a guidarmi. Proseguo a tentoni, finché una luce prepotente mi abbaglia. Mi schermo il viso alzando una mano, per mettere finalmente a fuoco ciò che mi circonda mi ci vogliono un paio di minuti. Mi ritrovo nell’ospedale dal quale sono partita:
 «Ma che diavolo?...”- e della voce di chi mi ha condotto qui non c’è nemmeno l’ombra. Questa situazione è sempre più frustrante. Se è un sogno, voglio svegliarmi, all’istante; mi tiro dei pizzichi sperando che servano a qualcosa ma le mie aspettative vengono disattese. Quello che mi circonda continua a essere la mia realtà.
«Ok, Beth, ragiona, quello che vedi non può essere vero». Perfetto! Ora parlo pure da sola, non c’è limite al peggio. Risento i pianti:
«Mi prendi per il culo??» Urlo alla stanza vuota. Devo calmarmi, prendo un grosso respiro e cerco di concentrarmi sul suono, sulla sua provenienza; viene dalla mia destra. Con passo sicuro procedo, non ho nulla da perdere oramai, mi trovo in una sala d’attesa semi-distrutta, la visibilità è molto ridotta rispetto a prima. Il pianto è cessato, sento solo dei singhiozzi sommessi.
«Non aver paura, non voglio farti del male» dico a chiunque sia presente, piano piano i miei occhi si abituano e nell’angolo in fondo vedo due bambini, o meglio una bambina di circa sei anni e un maschietto di due. Guardinga mi avvicino e guardando la bambina dico:
«Ciao, io mi chiamo Beth, tu, piccola, come ti chiami?»
«Sono Judith, Judith Grimes, e lui è il piccolo Glenn»
 
 
Continua…
 
   
 
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