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Autore: Kanako91    17/12/2014    7 recensioni
Ma in cuore a Thranduil era un’ombra ancor più fitta. Aveva visto l’orrore di Mordor e non riusciva a dimenticarlo; e, se mai volgeva lo sguardo a sud, nel suo ricordo la luce del sole si oscurava e, sebbene lo sapesse ormai distrutto e deserto, posto sotto la vigilanza di Re di Uomini, la paura che aveva in cuore gli diceva che quell’orrore non era stato vinto per sempre, ma che sarebbe risorto.
– J.R.R. Tolkien, Racconti incompiuti: Parte seconda, IV. Appendice B, I sovrani Sindarin degli Elfi Silvani
[Raccolta di one-shot su momenti importanti della vita di Thranduil, dall’Ultima Alleanza al ritorno di Sauron]
Genere: Drammatico, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Thranduil, Un po' tutti
Note: Missing Moments, Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Frammenti di una Vigorosa Primavera'
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I faggi fumavano ancora e pezzi di legno bruciato giacevano a terra, caduti dalle case costruite tra i rami. Thranduil posò la mano su una corteccia e il dolore della foresta lo percorse, come una scossa.

La pace non dura mai abbastanza, amore mio.

Il fumo gli stordiva l’olfatto, ma la vista non smise un attimo di mostrargli l’orrore di quell’attacco. Nessun sopravvissuto. E se qualcuno fosse stato in vita, di sicuro era stato portato via dagli orchi. Un fato peggiore della morte, un fato a cui nessuno doveva essere sottoposto, non in tempi di pace.

Non ci dovrebbero essere orchi da queste parti. Con l’ultima spedizione, Thranduil aveva avuto la conferma che il monte Gundabad era ormai disabitato. Gli orchi avevano lasciato l’Ovest dopo la morte di Isildur; non avevano ragione di vivere in terre dove erano cacciati e uccisi a vista, non quando avevano avuto la dimostrazione che il loro padrone era stato sconfitto.

Allora come spiegare quell’attacco?

Thranduil rivolse lo sguardo verso Sud e premette le dita contro la corteccia con più forza. Non poteva essere già tornato, non dopo appena un secolo. Dopo tutto il dolore e le perdite che avevano subito, si erano davvero meritati una pace così breve? I suoi Elfi Silvani erano ben lontani dal tornare ai numeri della Seconda Era, non potevano combattere ora.

«Sire».

Thranduil si girò a guardare la guardia, la cui mano era posata sulla spalla di una bambina. Era Silvana, aveva circa la stessa età del suo Legolas, capelli rossi e disordinati, lo sguardo duro e la pelle sporca. Una guancia era segnata da un taglio.

«Questa bambina è l’unica sopravvissuta che abbiamo trovato, sire».

«Dov’era?»

«Nascosta in cima a un albero. Ha cercato di attaccarci, prima di accorgersi che non eravamo orchi».

Thranduil rivolse lo sguardo alla bambina. «I tuoi genitori ti hanno dato un nome?»

La bambina scosse la testa, senza distogliere lo sguardo dal suo.

Thranduil inarcò un sopracciglio. «No?»

«Sire, abbiamo provato a farla parlare, ma come vedete, non abbiamo avuto alcun risultato».

La bambina continuò a fissare Thranduil negli occhi, le sopracciglia corrugate e sul viso un’espressione minacciosa.

«Però mi capisci?» le disse.

La bambina annuì, piano.

«Vuoi imparare a combattere gli orchi? A far loro quel che hanno fatto alla tua famiglia e ai tuoi amici?»

Solo allora la bambina dimostrò di essere tale: una nuova luce brillò negli occhi verdi e lei annuì di nuovo, con forza, le ciocche rosse che saltellavano sulle spalle.

Thranduil le porse la mano. «Vieni con me, ti porto in un posto pieno di guerrieri che potranno insegnarti a farlo».

La bambina abbassò lo sguardo e si tormentò le mani. Thranduil si sarebbe aspettato che lei accettasse subito la proposta, magari con qualche urletto di gioia e saltello intorno a lui. Chissà se lo aveva riconosciuto, chissà se quell’improvvisa reticenza fosse dovuta alla corona che lui portava in testa. Di sicuro, non era dovuta all’attacco a cui aveva assistito. Il modo in cui lo aveva guardato fino a un attimo prima ne era la prova.

«Ho un figlio, della tua età. Si chiama Legolas e anche lui sta imparando a combattere: vuoi venire a fargli compagnia? È tutto solo, gli piacerebbe avere un’amica».

La bambina lo guardò, la curiosità che brillava nello sguardo.

Thranduil inarcò le sopracciglia. «Posso chiamarti Tauriel?»

«Tauriel» ripeté la bambina, la voce roca e bassa, come se avesse la gola graffiata per il troppo urlare.

«Ti piace?»

Con un sorriso appena accennato, Tauriel gli afferrò la mano.



Arodel gli rivolse lo stesso sguardo che gli aveva rivolto alla partenza, lo stesso sguardo di quando una guardia gli aveva comunicato la notizia dell’attacco. Disperazione e paura inquinavano il colore cristallino dei suoi occhi e lui non riuscì a guardarla a lungo.

Thranduil invitò Tauriel a farsi avanti, spingendola appena con una mano tra le scapole.

Immobile e dritto al fianco della madre, Legolas la guardò con gli occhi spalancati.

«Legolas, questa è Tauriel. Non ha più una famiglia e nessuno con cui giocare, perciò pensi di poterle far compagnia?»

Legolas sbatté le palpebre e rivolse un gran sorriso a Tauriel. Poi recuperò il contegno, si impettì e annuì, con un lieve cenno del capo. «Certo, padre. Sarà una gioia essere d’aiuto a dama Tauriel».

Tauriel ridacchiò, incassando la testa tra le spalle, le mani davanti alla bocca.

«Tauriel non è una dama, Legolas». Thranduil tirò un angolo della bocca all’insù, in un mezzo sorriso. «Tauriel è una guerriera».

Al che, Tauriel raddrizzò la schiena e sollevò il mento. Durante il viaggio di ritorno, gli aveva dimostrato un bel caratterino, nonostante non avesse spiccicato parola per tutto il tempo. Thranduil non dubitava che, appena la bambina si fosse ambientata, avrebbe confermato la forza di carattere anche con le parole.

«Legolas, tesoro, porta Tauriel a visitare il palazzo» disse Arodel.

Legolas si avvicinò a Tauriel, con un sorriso, e le fece segno con la mano di seguirlo. «Ti faccio vedere l’armeria» disse e partì di corsa, senza aspettare che lei gli fosse dietro.

Non che avrebbe dovuto aspettare a lungo: Tauriel lo seguì con un urletto.

Thranduil seguì i bambini correre via lungo i camminamenti del palazzo, con un sorriso sulle labbra. Era bello vedere Legolas con una compagna di giochi, e – per quanto gli sembrasse strano – fu felice anche di vedere Tauriel rianimata dalla presenza di suo figlio.

Arodel prese una mano di Thranduil tra le sue e lui chinò il capo per guardare le loro mani giunte nello spazio tra i loro corpi.

«Era un gruppo isolato. Ho dato ordine di inseguirli ed eliminarli» le disse e sollevò lo sguardo, per guardarla negli occhi, anche solo per un attimo.

Arodel chiuse gli occhi, le lunghe ciglia scure contro la pelle bianca, e scosse il capo. Da quando era diventata così pallida? Non ricordava di averla lasciata così, quando era partito per il villaggio.

«Lo sai che non si è trattato di un gruppo isolato. Non oserebbero mai attaccare un villaggio, se non avessero alcun appoggio. La prossima volta, se per grazia di Elbereth non toccasse a un altro dei nostri, toccherebbe a un villaggio di Uomini». Arodel spalancò gli occhi e Thranduil non riuscì a distogliere lo sguardo da quello di lei. «Dobbiamo fare qualcosa».

Thranduil liberò la mano dalla stretta di lei e indietreggiò di un passo. «Non c’è nient’altro da fare, Arodel. Siamo in pace da poco, questi non sono altro che i vestigi della sconfitta del Nemico».

Arodel sospirò piano. «Forse hai ragione tu, amore mio. Forse mi son lasciata cadere preda della paura».

Con quelle parole, Arodel si voltò e si allontanò lungo uno dei sentieri.

L’oro dei capelli e l’argento delle vesti di lei sbiadirono a ogni passo lontano da lui.



Thranduil si sollevò a sedere e afferrò una mano di Arodel da sotto le coperte. Era gelida.

«Arodel» la chiamò.

Lei schiuse appena gli occhi e lo guardò. «Ho sognato–». Si umettò le labbra con la punta della lingua ed emise un sospiro tremulo. «Legolas re. Aveva la tua corona. E un’altra corona, sul petto, di frecce nere». Arodel deglutì e la mano le tremò tra le sue. «E gli alberi in fiamme, e un grande occhio–».

«Shhhh». Thranduil le scostò i capelli dalla fronte e le strinse la mano con più forza, come se potesse trasmetterle la calma e la pace che lui voleva mantenere. «Legolas è qui, oggi ha studiato la storia del Doriath. Poi si è addormentato nella sala dei giochi, con Tauriel, e li ho portati entrambi nei loro letti».

Arodel aprì gli occhi, le pupille ridotte a una fessura. «Acqua».

Thranduil balzò giù dal letto e dalle scale, e spalancò la porta esterna delle sue stanze. «Qualcuno porti dell’acqua alla regina!»

Presto un servitore portò un bicchiere d’acqua al letto e, con un braccio intorno alle spalle di lei, Thranduil aiutò Arodel a bere. Lei bevve qualche sorso e lasciò andare la testa contro il cuscino, come se avesse appena compiuto lo sforzo più grande di sempre.

«Non voglio che nostro figlio viva guerre come quelle che abbiamo vissuto noi, amore mio. Non voglio che viva le stesse cose che hai vissuto tu».

«Non seguirò la strada di mio padre, Arodel. Non me lo perdonerei mai».

Arodel abbozzò un sorriso, ma aveva le labbra secche e un taglietto si aprì sul labbro inferiore. «Lo so che non lo farai. Ma non hai il controllo di quello che succede nella Terra di Mezzo».

«Mi impegnerò ad avere una parte in quello che succederà».

Arodel abbassò le palpebre, le ciglia scure sulla pelle bianca delle guance, e il suo sorriso divenne amaro.

Thranduil non poteva sopportare di vederle quell’espressione sul volto, quella rassegnazione, quella totale assenza di speranza. Le posò la testa in grembo, una mano di lei chiusa tra le sue. Il battito del suo cuore era così lento, il suo corpo si era spogliato della carne e si era ridotto a pelle e ossa. Come era successo? Quando, in quell’anno dall’arrivo di Tauriel, Arodel aveva smesso di vivere?

«Proteggerò Legolas dalla guerra, manterrò la pace nelle nostre terre e tra i nostri vicini. Insegnerai a Legolas a essere gentile e magnanimo, come io non sono». Thranduil sorrise e accarezzò le nocche della mano di Arodel. «Non voglio più vedere Fratricidi, né guerre per le ragioni sbagliate, e non voglio che ne veda nostro figlio. Sarà il principe più splendido e felice della Terra di Mezzo e delle Terre Imperiture».

Thranduil si sollevò su un gomito, per incontrare lo sguardo di Arodel, per mostrarle che era serio nei suoi propositi.

«Ma ho bisogno–».

Nell’aria fredda della camera, le parole gli svanirono dalla punta della lingua, così come ogni pensiero si dissolse nella sua mente.

Ogni apparenza di vita era sparita dal viso di Arodel. Il corpo di lei era un guscio vuoto di fianco al suo, le orecchie sorde alle sue parole, gli occhi ciechi a qualsiasi possibilità di un futuro luminoso per Legolas.

Un vuoto gli si era scavato nel petto e nella mente. Thranduil lasciò il letto e chiamò la servitù dalla porta.

Ora era solo.






Nota dell'autrice


...mi dispiace.

Davvero, non provo una gioia perversa nello scrivere di situazioni così tristi, né mi piace che muoiano personaggi femminili per mandare avanti la trama di quelli maschili. Non so se si può dire che la morte di Arodel serva a questo, o se più che far "crescere" Thranduil lo blocchi – se non, addirittura, lo porti a regredire. Ma comunque, perdonami, Arodel.

Ora, il prossimo mercoledì dovrei essere in viaggio verso il parentame, a meno che il capo non decida di darmi giorni di ferie in più (o in meno, non si sa mai con questa gente). Non avrò connessione finché non torno a casina, ma potrò scroccarla dalla zia, perciò eventuali ritardi saranno dovuti a quanti cuginetti mi son dovuta scrollare di dosso per arrivare al wi-fi.

Grazie a tutti, buona visione de La Battaglia delle Cinque Armate (per chi andrà a vederlo) e ci vediamo la prossima settimana,

Kan


   
 
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