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Autore: SakiJune    19/12/2014    0 recensioni
"Gallifrey si era risvegliata con un ruggito di dolore, non con uno sfarfallio di ciglia. La pace futura doveva fondarsi su un ultimo, necessario atto di violenza. Ma il Dottore non ne fu testimone né causa. Non sentì le voci stridule risuonare nelle strade, le voci gravi sillabare con prudenza all’interno di stanze sigillate, né le voci amiche chiamare il suo nome, i suoi tanti nomi, in un tono che non attende risposta ma ne ha bisogno, ne ha sete. Non sentì giungere chi, fuggito o intrappolato all’inizio della Guerra del Tempo, si era rifugiato in differenti linee temporali e ora aveva sentito il richiamo, sempre più forte, giungere da casa. Erano tornati - gli spauriti e i vili, i saggi e gli idealisti..."
Sequel di "A Taste of Honey".
Genere: Angst, Drammatico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Altri, Doctor - 12, Jenny, Nuovo personaggio, Sorpresa
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'From Lungbarrow to Trafalgar Square'
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E anche questa parte della saga è conclusa.
Grazie a tutti coloro che l’hanno letta… ops. Grazie all’unico essere vivente nell’universo che l’ha letta, cioè la mia carissima Charlotte. Sei la mia twin, ti voglio bene!!
Restate sintonizzati su questo verse perché arriverà un seguito, prima o poi…
*inchino*
E scusate per l’angst. Note:
- Il Dottore che se ne sta “sotto le coperte a piangere” è una citazione della puntata “Listen” nell’ottava stagione. Come è già accaduto, nonostante la trama principale della stagione non sia contemplata in questo verse, alcuni spunti mi sono piaciuti e li ho usati.
- La frase “come se fosse di nuovo dall’altra parte di un vetro” è riferita alla nascita di Jack, nel capitolo 9.
- Ci sono accenni a The Waters of Mars e The End of Time.
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La TARDIS atterrò silenziosamente in giardino. Era buio. Nuvole violacee coprivano entrambe le lune; non una finestra era illuminata, almeno sulla facciata dell’edificio.

I suoi passi non facevano rumore, nemmeno gli sembrava di camminare - non era nemmeno sicuro di essere vivo, di essere tornato sul pianeta, di esserci.

Ma la Casa doveva averlo percepito come appartenente al mondo reale perché la porta si aprì prima ancora che avvicinasse la mano al sensore. Questo lo rassicurò, in qualche modo infinitesimale, come le gocce che cadono dal fondo di un bicchiere su di un terreno arido.

La penombra all’interno lo accolse come una coperta tiepida, permettendogli appena di distinguere i contorni delle cose e colmandolo di stupore alla constatazione che no, non era cambiato nulla.

Com’era possibile?

Tutto doveva essere cambiato. Tutto era sicuramente andato in frantumi. Il mondo doveva assomigliare a quella desolazione che si portava dentro. Dov’era la giustizia, altrimenti?

Oh, già.

La giustizia un tempo aveva un suo Guardiano, si raccontava, o forse un giorno l’avrebbe avuto… ma il trapassato remoto e il futuro al di là del suo immediato sguardo avevano smesso per sempre di avere una qualche importanza, ormai.

Una luce fioca filtrava da sotto la porta della cucina. Ora che l’aveva notato, sì, in effetti sentiva anche dei rumori. Anche questo aveva poca importanza.

Ma quando una figura ne uscì e lo vide, non lo riconobbe subito e per lo spavento lasciò cadere la teglia che reggeva a fatica tra le mani.

- Ah! - aveva gridato, ma si sentì molto stupida quando ebbe acceso la luce e si fu accorta di chi fosse. - Dottore… sei qui.

- Perdonami, Ryndane, non volevo spaventarti.

I muffin si erano sparpagliati sul pavimento, rotolando un po’ dappertutto. I gatti si precipitarono a mordicchiarli. Li raccolsero in silenzio, anche quelli un po’ ammaccati e impolverati. C’era polvere, sì. Non disordine, ma trascuratezza. Non era da Innocet lasciare la Casa in quello stato…

- Quanto tempo è passato? In che mese siamo?

- Oh, Dottore, non lo sai?

“Se te lo sto chiedendo, vuol dire che mi sono accorto di aver inciuccato le quote”, stava per rispondere, ma si frenò e si limitò a scrollare le spalle.

- È successo più di due mesi fa. Sono scappata. Non voglio più tornare all’Accademia, voglio restare a casa per sempre! Non voglio che Innocet e Dorium restino da soli, c’è troppo silenzio...

- Sssssh. Vieni qui. - Rimase accoccolato contro il muro, un muffin in ciascuna mano. Provò a morderne uno, ma sentì subito quell’odore. Anche Ryndane se ne accorse.

- C’è puzza di qualcosa di brutto. Dove sei stato?

- Non vuoi davvero saperlo. Oh, piccola, credevo di essermi lavato via quella roba. Lo credevo proprio. Ad un certo punto avevo cominciato a sanguinare, sai? Mi ero… spellato parecchio.

- Dimmi che cos’è. Sembrano mele caramellate, ma c’è qualcos’altro. Qualcosa di terribile.

- Hai intuito. È un peccato che tu voglia lasciare la scuola. Si chiama erba mela, e non la puoi trovare su Gallifrey. Né in qualsiasi altro pianeta, per i prossimi tre-quattro miliardi di anni. L’odore che senti è di erba mela bruciata, e non ne esiste uno peggiore, credo. - Non le spiegò il perché, naturalmente; non disse nulla che potesse turbarla. - Ti capisco, sai. Anch’io un tempo avrei voluto restarmene sotto le coperte a piangere. Dicevano che non sarei arrivato da nessuna parte. Riesci a crederci?

Ryndane fece cenno di no. Cercò di distrarre il proprio naso immergendolo in un muffin. Sapeva di vaniglia e anche un po’ di polvere, ma era meglio di quello. - Vuoi? - Nessuno mangiava più i suoi dolci. Innocet non mangiava affatto, si era chiusa nella stanza dei ritratti e non lasciava entrare che qualche occasionale visitatore dalla Cittadella. Lei non era mai riuscita a sentire cosa si dicessero.

Il Dottore accettò e si lasciò imboccare. Era buono. Lo percepiva a stento, ma sapeva che lo era. Improvvisamente si accorse di aver fame. Continuò a mangiare dalle sue mani, come un bambino piccolo o un animale, deglutendo così velocemente da rischiare di strozzarsi.

- Il punto… non è… cosa vuoi fare. È per quanto tempo vuoi farlo. Tieni duro ancora fino al diploma, e poi puoi anche decidere di non mettere piede fuori di casa per tutta la vita, se lo vorrai ancora. Ma sarebbe la vita di una Signora del Tempo, a quel punto. E vorrei davvero… che non la gettassi via troppo presto.

Era strano da dire, dopo aver assistito alla morte di una creatura vissuta miliardi di anni. La verità è che più che mai desiderava proteggere ciò che rimaneva della sua famiglia, ma era di nuovo impotente. Come se fosse di nuovo dall’altra parte di un vetro. Sarebbe stato ugualmente terribile vederli bruciare prima del tempo oppure restare troppo a lungo in una solitudine senza via d’uscita. Molte volte aveva invidiato le altre razze, perché quelle persone riuscivano ad essere meravigliose e incredibili nell’arco della loro breve esistenza, e ricordava di aver detto…

“Per me siete dei giganti”.

Era così.

Ma allo stesso tempo aveva fame di vita, ed era arrivato a credere di potersi rigenerare all’infinito, che le leggi di Gallifrey non avessero ormai più valore, di essere il vincitore della guerra e non l’ultima vittima che agonizza ai bordi del campo di battaglia.

Si era ripromesso di non cadere mai più così in basso.

Eppure ci era ricascato. Non desiderava più l’eternità per se stesso, ma per coloro che amava. Era sbagliato?

Cercò il proprio riflesso nello specchio del soggiorno, impolverato e opaco, e sperò che Innocet lo stesse guardando.

- Mi dispiace. Mi dispiace. Non sono riuscito a riportarlo indietro. Ci ho provato, oh se ci ho provato… - Non sarebbe comunque uscita, comprese. Scattò in piedi e corse a bussare alla porta della stanza.

La pesante tenda amaranto che di notte oscurava la finestra era scomparsa. Guardandosi intorno, si rese conto che era stata ritagliata e usata per nascondere alcuni dei ritratti alle pareti. Sfiorò la cornice di uno di essi, ma non lo scoprì.

- Ada non è tornata con te - esordì Innocet. Non era una domanda.

Il Dottore sembrò incassare il colpo, ma diede un pugno al muro e la fissò con uno sguardo così feroce da spaventarla. - Non sei davvero arrabbiata con me. Di questo ho le prove.

- Davvero? - Lei faticava a trattenere le lacrime.

- La Casa non mi avrebbe lasciato entrare, altrimenti.

Ora fu lei a sentirsi trafiggere lo stomaco. Con gli occhi ormai umidi, allungò la mano a ripulirgli le briciole dal viso.

- Ho cercato di convincermi di esserlo, ormai è accaduto così tante volte che mi viene automatico. No, non sono arrabbiata.

- Ma lei sì. Non credo che riuscirà a perdonarmi. Non questo me. Ho esagerato, con Damon. Non sono riuscito a controllarmi, non aveva nessuna colpa. Devo chiarire, devo… andrò alla Rete, domani.

- È troppo tardi, Dottore. È un miracolo che non sia stato condannato anche tu. Vuoi mettere a rischio anche la posizione di chi ha fatto di tutto per limitare i danni? È già tutto deciso. Kedred sarà confinato a qualche lavoro umiliante, non appena si sarà ripreso, se mai è possibile farsi una ragione di quello che gli è successo. E Drax non potrà più tornare, ammesso che sia…

- No, non dirlo nemmeno. - Quella sera aveva sentito i suoi pensieri dritti nella mente. Aveva provato il suo stesso dolore fisico… e poi più nulla. Preferiva non sapere, oh, sì, era molto meglio. - Porco schifo, loro l’hanno salvato! - Le aveva afferrato i polsi di scatto, e quando se ne rese conto era troppo tardi. Sciolse la stretta, controllando di non averle fatto troppo male, ma lei non sembrava essersene accorta: forse aveva bisogno di quel contatto estremo, in realtà, forse lo attendeva da mesi...

- Lo so. Lo so, Dottore! Ma per la legge questo non conta uno sputo di Sorcioporco!

- Allora non voglio più vivere su un pianeta in cui la vita vale uno sputo. Non voglio!

Tutto tornava alle origini.

La rabbia verso le ingiustizie, le tradizioni vuote di ogni significato, verso gli artefici di tanta ipocrisia e ancor più verso coloro che seguivano quei dettami senza manifestare dubbio o curiosità. Guardare e non fare nulla per cambiare il destino.

La sua ribellione, la sua fuga.

Ora lo sapeva, il destino non può essere cambiato, eppure continuava a detestare che qualcuno glielo ricordasse. Sentiva, per la prima volta dopo più di un secolo, quel prurito, quel fremere dei muscoli sotto la pelle, l’istinto di correre via.

- Loro l’hanno salvato - ripeté - Io no. Io non sono riuscito a convincerlo. E adesso Ada mi detesta per averci provato. È tutto qui, no? Tutto quello che c’è da dire sulla faccenda. Il resto, il Guardiano Nero, la Sorellanza, la gloria, il potere, sono tutte stronzate. Io ho fallito.



Ma l’avrebbe frenato, davvero, quell’istinto, ce l’avrebbe messa tutta, se solo Thistle gli avesse dimostrato una comprensione maggiore.

Era ormai presa completamente da se stessa, o meglio da Kedred, che era in fondo la stessa cosa. Le attese tra un’udienza e l’altra sarebbero state ancora più angoscianti se il Castellano non avesse fatto del suo meglio per alleviare quella sofferenza, permettendole di vederlo abbastanza spesso nonostante le regole e la burocrazia a riguardo. Infine era stato rilasciato, pur con quel marchio d’infamia sulle spalle ora un poco incurvate dal dolore.

La Casa di Deeptree era crollata definitivamente, e non solo in senso metaforico. Il Kithriarca e i pochi altri membri superstiti erano emigrati a nord, ma la Governante era rimasta mentre le mura crollavano e la seppellivano, stoica e impassibile fino alla fine.

L’aveva portato con sé a Lungbarrow, come un relitto ripescato dal mare.

Aveva asciugato le sue lacrime, il cui odore salato le era ormai più familiare della punta delle sue dita.

Gli aveva tagliato i capelli e l’aveva aiutato a riordinare i pensieri.

Era rimasta a tenergli la mano quando si addormentava, per svegliarlo al minimo accenno di un incubo.

Ma aveva dovuto anche fare i conti con le nuove responsabilità sul lavoro, con il ritrovarsi in quel laboratorio, dove già aveva trascorso tanti anni sereni, con degli sconosciuti. La nuova insegnante di Ingegneria era una persona gentile, ma sulle prime le era sembrato di detestarla. E gli sguardi. Gli sguardi degli studenti, dei professori, dei suoi colleghi assistenti, di chiunque tra quelle mura - compassione, sospetto, anche semplice curiosità… avrebbe voluto urlare. Ma non nascondersi. Non aveva nulla per cui provare vergogna, se non per il comportamento dei suoi genitori, ma su questo aveva deciso di non tentare nemmeno di formulare un’opinione. Era più semplice, così.

Il ritorno di suo padre aveva destabilizzato quel fragile equilibrio, e ora vederlo parlare finalmente con Kedred, nonostante tutto, sì, come se nulla fosse successo, le sembrò paradossale.

- Dottore, quella sera stavo per venire ad annunciarti qualcosa di importante.

- Ed è… ancora valido?

- Dipende da te. Se non mi riterrai degno…

Thistle non lo interruppe, non lo avrebbe mai fatto: sapeva quanto quel momento fosse importante per lui. Ma ormai era assurdo! Non avevano più bisogno della sua benedizione!

- Sciocchezze, dimmi di cosa si tratta.

Kedred si fece coraggio e allungò la mano a trovare quella di lei. . - Noi…

- Voi? Cosa… voi, volete dire voi? Oh!

Già, oh. Era sempre stato così idiota? Con i suoi racconti buffi e le sue canzoncine, seriamente, era sempre stata la figlia di un idiota?

- Thistle, vorrei parlargli per un momento da solo. E non provare ad origliare, me ne accorgerei. La tua barriera mentale è un colabrodo come al solito, grazie dei complimenti.

Lei non ebbe alcuna reazione, ma uscì ugualmente. Il Dottore gli si rivolse con dolcezza:

- Kedredaselus, forse non ti ho mai lasciato comprendere del tutto cosa significhi per me. Il giorno in cui scoprii che saresti nato… la rinascita della vita su questo pianeta… è stata una delle gioie più grandi che abbia mai provato. Poi ti ho conosciuto, ho visto l’uomo splendido che eri diventato. Ho lasciato che seguissi la tua strada, e ho gioito mentre mi rendevo conto che non ti avrebbe mai portato troppo lontano. Ed è qui che ti volevo, vicino a noi. Ma eri ancora legato ai tuoi doveri, non ho mai desiderato crearti problemi. Adesso, però…

- Sono solo.

- Non lo sarai mai. Lungbarrow sarà per sempre la tua Casa, se lo vorrai. Per quanto mi riguarda, tu sei mio Cugino. Per quanto mi riguarda, tu sei…

Trattenne quella parla troppo grande e troppo esclusiva per essere pronunciata o anche soltanto pensata, ma Kedred capì e cominciò a singhiozzare, posando la testa sulle sue ginocchia. Il Dottore ebbe un brivido e d’istinto l’avrebbe accarezzato, ma non osava toccarlo, insudiciarlo del suo fetore di morte. La sua voce si fece un poco più dura: - Alzati! Sii sincero con me.

Tremando, Ked si rimise a sedere. - Tutto ciò che desideri.

- Non c’è nient’altro, in realtà. Farai parte della mia famiglia comunque, non c’è bisogno che sposi Thistle.

Lo vide sbiancare, incredulo e forse offeso da quelle parole. Era la stessa obiezione che lei gli aveva messo avanti la prima volta che glielo aveva chiesto. Perché pensavano questo di lui? - Ma io la amo. Profondamente. Disperatamente.

- Bene, in questo caso non ho più argomenti da opporre, quindi c’è poco da essere disperati. Carciofina, puoi smettere di stirarti quelle orecchie da elfo, torna dentro!

Thistle aprì la porta con finta noncuranza, ma quando Kedred corse a stringerla a sé cercò una conferma nello sguardo di suo padre. Il Dottore sorrise lievemente e chiuse gli occhi.

- Te ne andrai, vero? - Kedred la lasciò andare, voltandosi a sperare in una smentita. La voce di lei sembrava ghiaccio puro. - È il momento. L’ho sempre saputo, sin da quando ero piccola. Un giorno saresti andato via.

- Ti prego, non fare così. Lo sai, ho meditato su molte cose, mentre ero nel Vortice.

- Lo immagino. Immagino cos’hai capito. Sei venuto al mondo perché un giorno avresti dato la vita a Jack. L’Universo aveva bisogno di lui e l’ha creato attraverso di te.

- Questa è solo una delle verità che ho compreso, tesoro mio...

- Il destino, giusto? L’ordine delle cose. Per questo hai incontrato la mamma, per questo hai creato questo teatrino e l’hai chiamato famiglia, oh! Ma non voglio essere parte di quel gioco, io ho una mia dignità, avrò la mia vita e tu non ci sarai.

- Ora basta, ti prego. Lasciami finire. L’altra verità… è che… se sono ancora vivo, dopo tutto questo, è perché ci sei tu. Perché sei la mia bambina adorata e non ho ancora visto abbastanza di te.

- Non dirmi queste stronzate, almeno. La mamma è stata più saggia, ha evitato melensaggini. Hai visto abbastanza, invece... so badare a me stessa, grazie mille.

- Se mi chiedi di restare, resterò.

- No. Non ho bisogno di te.

- D’accordo. Ma io sì. - Il Dottore si sporse un poco ma Thistle si scostò. lasciandolo senza equilibrio per qualche istante. - Tornerò, più presto di quanto tu non creda. Tu sei tutta la mia vita, tutta la mia speranza. Sei la ragione per cui chiamo ancora questo pianeta “casa”.

- Ma senti quello che dici? Vai. Non sei importante. Tu sei solo… quello che sei sempre stato. Un eroe vagabondo. Torna a vagabondare, allora… non ho bisogno di te, non ho bisogno della mamma, non ha più senso…

- Hai- hai ragione. Una volta che diventi un Rinnegato, lo rimani per tutta la vita… ma senti quest’altra cosa, Thistle: una volta che diventi padre, lo sei oltre i limiti del tempo e dello spazio.

Lei ebbe uno sbuffo di insofferenza e gli voltò le spalle.

- Smettila di recitare. Vattene. Adesso!

Kedred era visibilmente lacerato. il suo sguardo saettava da uno all’altra come se non potesse, non volesse scegliere. Il Dottore gli tolse ogni imbarazzo, uscendo e chiudendo la porta dietro di sé.

 

Si fermò per un poco in ogni stanza, come per imprimerla nella memoria. I gatti si strusciavano contro le sue gambe e miagolavano in tono interrogativo, come a chiedere notizie della loro padrona. Intralciavano i suoi passi, ma lui non li cacciò via né si chinò a tranquillizzarli. I ricordi di cui era impregnato ogni angolo della Casa lo ipnotizzavano, lasciandolo stordito… echi di voci si rincorrevano e rimbalzavano sulle pareti, spettri evocati dai suoi stessi cuori. Quasi sorrise davanti alle apparecchiature da reportage di Morth, e augurò ogni bene a quei due teppistelli.

Esitò davanti alla porta della camera di Jackjamin. Arrivò a chiedersi perché la Casa non l’avesse semplicemente riassorbita, ma lo capì quando finalmente sbirciò dentro. Apparentemente assorta in uno dei suoi album di vecchi disegni, Ryndane se ne stava accoccolata ai piedi del letto, le labbra atteggiate ad un piccolo broncio. Sussultò quando si accorse della sua presenza e fu presa dal timore che si arrabbiasse, ma lui la rassicurò scuotendo piano la testa. Notò che aveva uno sbaffo di farina sul naso e si sentì allargare i cuori di tenerezza, ma ciò non mutò la sua decisione.

- Torna a scuola, è chiaro?

Dane alzò le spalle, come per dire che non poteva promettergli nulla. Il Dottore ebbe un brivido, rendendosi conto di non avere più alcuna autorità - o di non averne mai avuta, in fondo.

Innocet lo attendeva all’angolo del corridoio, con mille domande sulle labbra. Lui la superò, dirigendosi verso la sua stanza.

Proprio come Thistle, non si era illusa nemmeno per un istante che il Dottore fosse tornato per restare. Ma a differenza di lei ce la metteva tutta per comprendere le sue scelte, inciampava in pozze di rancore e si rialzava con la forza dell’affetto che li aveva sempre uniti. Anche se non riusciva ancora a concepire come fosse possibile aver perso così tanto in una sola notte. Non che fosse la prima volta per lei - ma in quel tempo lontano non aveva mai provato la felicità che era riuscita ad assaporare nell’ultimo secolo. Avrebbe trascorso altri seicento anni imprigionata sottoterra se questo avesse riportato a casa Jack e Ada.

- Non riesco a credere che non ci siano più.

- Sei tu a dirlo.

Lei gli teneva dietro. - Sarebbe stato inutile nasconderlo. Non puoi mentire al Telaio, né alla Matrice.

Il Dottore rallentò ed esplose:. - A quel paese la Matrice! A quel paese Jelpax e le sue paranoie sull’Agenzia! Non mi avranno, non possono fermarmi. Lo sai, non c’è un solo modo di vedere le cose. Lui ha percorso… sta percorrendo un lungo cammino. Il più lungo di tutti.

- Ma tu hai visto la sua fine. Hai segnato la sua fine. È per questo… che Ada se n’è andata?

- In effetti mi sembra la ragione perfetta per un divorzio - rispose lui, caustico.

Innocet rabbrividì. - Non eravate… nemmeno sposati…

Il Dottore sembrò addolcirsi d’improvviso; la sua voce parve vibrare di una tenue speranza: - Questo è qualcosa a cui porrò rimedio, un giorno. - Si fermò a contemplare gli oggetti sul cassettone, allungando le dita senza toccarli.

- Ma tu sai dov’è - insistette lei. Ada le mancava terribilmente. In quegli anni era giunta quasi a dimenticare che fosse umana, aveva goduto della sua compagnia e della sua amicizia come se fossero dello stesso sangue.

- Non so ancora quando. Non posso permettermi di sbagliare, vedi… devo aspettare. In ogni caso, non sarà con questa faccia. Non sarà con queste mani, soprattutto. Lo senti? Io lo sento ancora.

Aprì un cassetto e vi posò qualcosa, poi lo sigillò. Innocet non fece in tempo a vedere, ma temeva di sapere di cosa si trattasse.

- Lascia che ti spieghi, una volta per tutte. Sono distrutto. Ma non lascerò che qualcuno dica che sia stata colpa mia. Né mia, né del Guardiano Nero, né di qualcun altro. È stato un terribile incidente… ed era il destino di Jack. La sua strada.

- Ma quella forza era coinvolta.

- Sì. Loro sono sempre coinvolti, in un modo o nell’altro, ma nemmeno si rendono conto del disegno più grande di cui fanno parte. Portano l’equilibrio o il caos in energie sprigionate da qualcosa di più potente. Noi tutti, Effimeri ed Eterni, seguiamo linee disegnate da un’eternità… cerchi che vengono chiusi ad ogni istante.

- Perché parli come se non te ne importasse niente? Quello era un cerchio che non avresti dovuto chiudere!

- Lo so! - Digrignò i denti, mollando un pugno contro il cassettone. Dei pettinini si sparsero, una boccetta di profumo rotolò e cadde sul tappeto; l’intera Casa vibrò di pena e risentimento.

- Perdonami, Dottore.

Lui sospirò, scuotendo la testa, mentre già sentiva di non potersi trattenere un giorno di più. Soffocava. Scalpitava. - Ma ce ne sono altri… Persone che devo vedere. Promesse che devo mantenere.

Innocet annuì. - Se pensi davvero che sia giunto il momento, non farò nulla per fermarti. Non potrei comunque. Ma ti prego, non andare da solo.

Il Dottore si avvicinò a lei e appoggiò il viso contro il suo. Pensieri teneri e struggenti gli sfuggirono, e la sentì sospirare. Sentì un fruscio sulle scale e guardò in quella direzione, quasi sperando che Thistle avesse cambiato idea. Ma era solo Glitz, il gattino più vivace e arruffato di Lungbarrow. Ripensò alle risate, quando Ada gli aveva dato il nome: “Vuoi chiamarlo come quel mascalzone?” “Ti era affezionato, ammettilo” “Tu sei affezionata a tutta la gente strana che ho incontrato” “Certo. Ma di più a quelli che hai incontrato allo specchio”. La sua Ada. L’amore che aveva perduto, forse senza ritorno.

- Oh, no, non lo farò. - Si schiarì la gola. - Dorium?

La luce si accese.

 

Indossò con cura la camicia e la giacca dalla fodera rossa, infilò gli stivaletti lucidi e si pettinò i capelli più lunghi e privi di lucentezza, ormai completamente bianchi; assomigliava sin troppo al Signore del Tempo che un giorno era fuggito da Gallifrey con la piccola Arkityor.

Una volta sulla TARDIS, agganciò la scatola alla catena appesa al soffitto.

- Andiamo?

- Dove, Dottore? - Pur rimpiangendo già la Casa che l’aveva accolto come una parte di sé, Dorium aveva le sue ragioni per non abbandonarlo, e almeno una metà di esse erano puramente egoistiche. Ma forse le ragioni del Dottore non lo erano? Cosa c’era di sbagliato nel fuggire dal dolore per ritrovare un passato irrisolto?

Dita lente e avide accarezzarono la console e si chiusero su una leva. Gli occhi pungevano di lacrime che non sarebbero mai scese. L’urlo che il Dottore portava dentro non si era esaurito, ma non poteva curarsene se era intenzionato a sopravvivere.

- Sai benissimo dove, vecchio testone. A far avverare i tuoi sogni...


   
 
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