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Autore: Vanya Imyarek    21/12/2014    2 recensioni
Per i Greci, il kosmos è l'ordine del mondo, basato sul perfetto equilibrio tra opposti, come luce e tenebre, bene e male. Ora, se la gente odierna sapesse che il kosmos è minacciato da un fantasma con vari problemi mentali e un chiodo fisso pr la propria divinizzazione, e che è invece difeso da un paio di ragazzi doppiogiochisti, opportunisti e pure alquanto iettatori, tutti impegnati a cercare di procurarsi un'antica corona egizia dai poteri straordinari, ci sarebbe da supporre che il mondo piomberebbe nel panico generale.
Genere: Avventura | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Servi del Kosmos'
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                                                               PENELOPE

 

SCOPRIAMO  CHE  UN  MUSEO  DI  NOTTE  E’  PIU’  AFFOLLATO DI  UN  OUTLET  LA  DOMENICA  POMERIGGIO

 

 

 

 

Mi ritrovai distesa a terra, a fissare un lampadario spento, con un gran mal di testa e tutto il corpo in genere indolenzito. Evidentemente, dovevo essere svenuta. E meno male che quegli amuleti avrebbero dovuto aumentare i nostri poteri!

“Ma dove cavolo siamo?” bofonchiò Chad accanto a me, rialzandosi. Svenuti tutti e due: non c’è che dire, proprio un lavoro eccellente la magia egizia.

Mi rialzai. “A giudicare dalle teche piene di oggetti egizi, direi che almeno la destinazione l’abbiamo imbroccata giusta” gli risposi.

Anche con tutte le luci spente, la debole luce che passava dalle finestre era sufficiente per vederci qualcosa. Statuette che raffiguravano uomini, dei e sfingi, vasi canopi e un paio di statue molto grandi: che fosse un museo egizio, l’avrebbe potuto capire anche Chad Mist.

 “Bene, ora dobbiamo trovare quella benedetta corona” annunciò lo scemo sopra menzionato, come se ce ne fosse bisogno. Questa frase, però, mi fece venire in mente un dettaglio non secondario.

 “Quello stordito di un dio non ci ha detto qual è!” esclamai, mentre un minuscolo angolino del mio cervello sperava che Thoth non fosse in ascolto. “Non una descrizione, non un modo per riconoscerla, niente!”

 “Magari pensava che avremmo controllato il cartellino?” chiese lui in un odioso tono di sufficienza, picchiettando un cartellino attaccato a una teca, che esplicava la natura dell’oggetto esposto.

“Con la luce che c’è, tanto di cappello se riusciamo a vedere gli oggetti, figuriamoci a leggere i cartellini” bofonchiai, e per inciso avevo ragione: c’era troppa poca luce per leggere qualunque cosa.

“Si vedrà. Io intanto qui di corone non ne vedo, proviamo nelle altre sale” rispose Chad.

Ci toccò girare mezzo museo per trovare qualche benedetta corona, il che mi fece imbestialire per due motivi: uno, ma quanto cavolo era grande quel posto? e secondo, quegli amuleti funzionavano veramente, ma veramente da schifo.

E quando finalmente trovammo quelle maledettissime corone, non riuscimmo neppure a beccare quella giusta. Innanzitutto dovemmo sforzare la vista in modo assurdo per decifrare quei cartellini, e ne facemmo passare parecchi prima di arrivare alle corone del periodo tolemaico. E pure di quelle ce n’era ben più di una: tre a forma di birillo e due strani copricapi blu, che a quanto ricordavo erano quelli che si usavano in battaglia.

“Secondo me è una di quelli blu” asserì Chad. “Hanno l’aria più regale”

 “E infatti le usavano solo per andare in guerra. Quelle con cui governavano, e di cui è più probabile che faccia parte quella che stiamo cercando, sono quelle a birillo”

 “Solo le persone superficiali non giudicano dalle apparenze, diceva Einstein”

“Era Oscar Wilde, sveglione”

“Sì, va be’, vediamo piuttosto di recuperare questa corona senza far scattare tremila antifurti” ribatté lui alla svelta.

“Disse quello con il potere di trasformare in polvere qualunque cosa toccasse” gli feci notare.

Lui sbuffò, ma lo stesso si svolse dalle mani quelle ridicole bende che gli aveva rifilato Thoth e toccò il vetro. Un breve lampo azzurrino passò dalla teca alla sua mano, e lui fu scaraventato a un paio di metri da lì.

 “Miseria ladra” imprecò lui. “Che razza di roba è? Magia?”

 “Evidentemente, non mi sembra certo un normale antifurto” replicai io, studiando meglio la teca. Ora sembrava un semplice oggetto di vetro, che scintillava debolmente alla poca luce che passava. Ma aveva già messo in chiaro che il trucchetto di Chad non avrebbe funzionato.

“Prova a tirare una spadata al vetro” suggerì il mio nuovo compagno d’avventure, rialzandosi e raggiungendomi. “Almeno, farai scattare un banalissimo antifurto mortale e attirerai qui tutta la polizia d’Egitto”

“E ti pare poco?”

 “Sì, dal momento che noi sappiamo teletrasportarci”

“Da schifo” replicai, un po’ infastidita, devo ammetterlo, dal fatto che avesse detto qualcosa di intelligente. “Comunque, non sono sicura che con la spada riusciremmo a risparmiarci altri incantesimi”

“Zitta …” mormorò lui, inclinando la testa come se stesse cercando di sentire qualcosa. Lo imitai, e in effetti qualcosa lo sentii.

 “Oh dei, per favore non dire nulla a mio fratello. Diventerebbe una piaga, se scoprisse che sai più cose sull’Egitto di me”

“Tranquilla, non sono il tipo che va a creare problemi familiari agli altri. Piuttosto, è ancora molto lontana la sala della corona?”

 “No, ci stiamo avvicinando”

 Erano due voci femminili, ma non era questo l’importante: l’importante era che sembravano essere lì per recuperare lo stesso oggetto per cui eravamo venuti noi. Naturalmente non sapevamo se fossero mezzosangue ‘dalla parte giusta’ o alleate di Setne, ma chi se ne fregava, la loro presenza lì significava solo che dovevamo sbrigarci a portar via la corona.

Feci girare il mio braccialetto per le canoniche tre volte, e non appena di trasformò in una spada, la tirai sul vetro con tutta la fora di cui ero capace. Non ricevetti nessuna scarica elettrica e non fui scaraventata da nessuna parte; in compenso, il suono stridulo di un allarme dilagò per tutto il museo, insieme ad altri suoni di non facile identificazione, simili a oggetti di pietra che venivano spostati.

“La corona!” gridò una delle voci femminili in precedenza, e anche in mezzo a tutto quel casino, riuscimmo a sentire dei passi di corsa.

Piccolo problema: ancora non sapevamo quale delle tre corone fosse quella giusta. Dal momento che tirare a indovinare sarebbe stata la cosa più cretina di questo mondo, feci quella più logica, ovvero le afferrai tutte e tre. Dopodiché, sia io che Chad ci buttammo fuori dalla stanza a tutta velocità.

 Dato che eravamo al buio, tentai quella pessima forma di teletrasporto di cui disponevamo, concentrandomi sulla Piramide Arena di Memphis. Questa volta, il viaggio nell’ombra non funzionò da schifo: non funzionò proprio.

“Perché cavolo non va?!” sbraitò Chad, stringendo furiosamente il proprio amuleto. Era vero, perché accidenti non funzionava proprio ora che dovevamo toglierci di lì alla svelta? Aspetta … proprio ora che dovevamo toglierci di lì alla svelta? Ripensandoci, non suonava esattamente come un caso.

“Credo che sia una delle misure di sicurezza del museo” dissi al mio socio. “Una volta che la teca è stata distrutta, scatta un qualcosa che impedisce le magie di teletrasporto”

“Ma fantastico” brontolò Chad. “E quelle due mi sa che si stanno avvicinando. Ci deve capitare qualcos’altro?”

Come sempre succede nei romanzi quando qualcuno fa una domanda del genere, la risposta era ‘sì’.

 In quel preciso istante, infatti, ci si parò davanti la causa del rumore di pietra spostata che avevamo sentito prima, ovvero un gruppo di statue semoventi (per l’appunto in pietra) raffiguranti un tipo in gonnellino, una sfinge e un tizio con la testa da ariete.

“E questi che cavolo sono?” chiese Chad.

“C’è bisogno di chiederlo? Altre misure di sicurezza, ovvio!” ribattei io. Devo ammettere che ormai ero sull’orlo di una crisi nervosa: in mezzo a quella strana missione da cui dipendevano un sacco di cose, non sapevamo quale fosse la corona giusta, eravamo inseguiti da due tizie, la nostra unica via di fuga era bloccata, e ora ci trovavamo davanti quelle maledettissime statue.

“Li vedo!” gridò una delle due ragazze. Ecco, ci avevano raggiunti, eravamo circondati, ci avrebbero portato via la corona e di noi chissà che avrebbero fatto.

“Ma ne capiti qualcuna anche a loro!” sbottai esasperata. “Si facciano attaccare da qualche statua, gli crolli un reperto in testa, perché tutte a noi?!”

Okay, okay, forse qui posso sembrare un po’ isterica, ma vi ho già detto tutti i miei motivi, mi sembra che sia comprensibile. Qualunque cosa ne pensiate, fatto sta che una delle statue che ci stavano davanti – la sfinge - corse verso di noi, passò oltre e si precipitò nell’altra stanza … dritto dalle due ragazze.

“Ma che cavolo!” strillò una.

 “Ma non dovevano attaccare solo gli intrusi?” chiese l’altra, la cui voce fu quasi coperta dal rumore di qualcosa che si rompeva.

“Così hanno detto quei cretini della prima tradizione … Attenta!”

 Un tonfo e un urlo soffocato.

Ora, voi sapete perfettamente cosa fosse successo, in particolare perché due di voi c’erano, ma figuratevi come mi sono sentita io, quando mi sono resa conto che, ricostruendo i fatti tramite i suoni, alle due ragazze era successo tutto quello che io avevo loro augurato. Com’era possibile? Puro caso? Sarebbe stata l’ipotesi più improbabile. Un qualche mio strano potere che incredibilmente sceglieva il momento più opportuno per manifestarsi? Ecco, quello era già un po’ più probabile. Tanto per essere sicura, decisi di fare un’altra prova.

Non bisogna credere che mentre a quelle ragazze succedevano tutti i miei auguri, le due statue che erano rimasta davanti a noi fossero rimaste lì impalate. Naturalmente, rimasero fedeli al compito originario di attaccarci. E nel modo più ridicolo possibile: il tizio in gonnellino, piegato il collo, cercava di usare la propria testa a mo’ di mazza, mentre quello dalla testa di ariete si comportava, confondendo il periodo storico, come un ariete medievale.

 Fino a quel momento la difesa era stata affidata a Chad, visto che io avevo le mani occupate dalle corone e più che saltellare in giro per schivare i colpi non potevo; difesa che tra l’altro non serviva a un tubo, dato che i coltelli, contro la pietra, sono notoriamente inefficaci. La mia altra prova consistette appunto nel dirigere questo mio ‘potere’ contro le statue.

“Tu con la testa di ariete, spaccatela contro il muro!” gridai. “E tu che meni la testa ovunque, incastratela da qualche parte!”

 “Sei scema?” fu il commento di Chad, che ovviamente non aveva capito nulla. Anche la sua testa vuota afferrò qualcosina, comunque, quando il tizio dalla testa d’ariete, passandogli accanto e mancandolo di un soffio, andò a sbattere contro il muro del museo da distruggere in un colpo la propria testa e il muro stesso. Mezzo secondo dopo, il tizio della testa roteante centrò le macerie del muro con la suddetta, e non riuscì più a liberarsi.

“Come cavolo hai fatto?!” mi chiese Chad, guardandomi stupefatto.

“Evidentemente non sei l’unico ad avere poteri semidivini” commentai io.

Lui guardò le statue. “Lo dicevo io che eri una iettatrice”

Lo guardai malissimo, ma in un certo senso le sue parole erano vere: la tesi di Moros si faceva sempre più probabile. Decisamente, però, quello non era il posto adatto a elucubrarvi.

“Muoviamoci” gli ordinai, uscendo di corsa dalla stanza. Ma naturalmente, una volta eliminate tutte quelle possibilità di fallire, non poteva non sorgerne un’altra.

“C’è qualcuno!” gridò una voce ignota, ma stavolta maschile.

“E non urlarlo, dannazione!” sibilò un’altra, sempre maschile e con accento italiano. Io e Chad non stemmo lì a chiederci chi fossero i nuovi arrivati e scappammo in un’altra sala, sperando di allontanarci dai due.

 Ma accidenti, era mai possibile che in un museo di notte si fosse concentrata così tanta gente? Chiunque avesse mandato quei tizi, un paio non erano più che sufficienti? Comunque, non persi tempo per sfruttare il mio nuovo potere.

 “Che qualcosa cada addosso a uno dei due, e l’altro si fermi ad aiutarlo!” sussurrai. Un grido di dolore mi informò che aveva funzionato anche questa volta.

A questo punto io e Chad eravamo arrivati vicino a uno scalone: piuttosto palese che conducesse al pian terreno. Ci precipitammo giù alla massima velocità con cui potevamo correre senza cadere e romperci l’osso del collo, ovvero molto più lentamente di quanto avrei voluto. E tanto per cambiare, al pian terreno trovammo un simpatico comitato di accoglienza: un nutrito gruppo di mummie, con copertura di bende variabile.

“Ma dove siamo finiti, in un film horror trash?” brontolò Chad, sfoderando uno dei suoi coltelli.

 No, avrei voluto rispondere io, è il romanzetto per ragazzine. O forse no, perché magari in un libro del genere l’autore sarebbe stato così scemo da dimenticarsi che i morti non si possono uccidere, o avrebbe dato qualche grande potere al coltello di Chad, e insomma gli avrebbe fatto abbattere le mummie. Ovviamente, lì non accadde nulla del genere. La destinataria si beccò la lama nello stomaco, e continuò a star lì ad aspettarci.

“Lascia perdere i coltelli! Pensa piuttosto a sfondare la barriera!” gli gridai. Almeno a far quello ci riuscimmo, perché tra il fatto che stavamo praticamente cadendo giù dalle scale e la loro staticità, riuscimmo a urtarne e farne cadere un numero sufficiente da poter proseguire.

Ora, sorgeva il problema: dove proseguire? Nessuno di noi era mai stato al museo del Cairo, e non avevamo la più pallida idea di dove fosse l’uscita. E naturalmente, avevamo le mummie alle calcagna.

Optammo per correre a casaccio, sperando di imbroccare la strada giusta. E considerata la nostra fortuna, era assai probabile che l’avessimo anche trovata, e che saremmo usciti sani e salvi dal museo per teletrasportarci al sicuro non appena fuori … se una mummia non fosse riuscita ad afferrarmi e a strapparmi di mano le tre corone.

Cacciai un urlo, tentando di recuperarle, ma quella mi trattenne mentre scartava due corone e passava la terza a una sua compare. Era decisamente troppo forte, per essere un cadavere rinsecchito. E anche se aveva fatto una scrematura rivelandoci quale con ogni probabilità fosse la corona giusta, fatto sta che l’altra mummia stava correndo indietro.

“Ma non riesci neanche a scappare da un cadavere?!” imprecò Chad.

“Provaci tu, campione!” ribattei, riuscendo a spezzare un braccio alla mummia – devo dire che fu piuttosto disgustoso – e a liberarmi dalla sua presa.

Riuscimmo a correre liberamente dietro alla mummia con la corona, dato che le altre, ora che la refurtiva era stata recuperata, non sembravano avere più alcun interesse per noi. La mummia risalì le scale, evidentemente per riportare la corona alla sua sede. La seguimmo alla massima velocità che potevamo raggiungere (tenendo anche conto che non avevamo fatto che correre per gli ultimi minuti), ma perfino quel cadavere fu più veloce di noi. Ovviamente, proprio quando stavamo per raggiungerla, la mummia entrò in una sala e a chi la consegnò?

Alle due ragazze, ormai ripresesi dalle sfighe che avevo loro scaricato addosso.

 “Ce l’abbiamo!” esultò una.

“Okay, Sadie, ora andiamocene, sono troppi per poterli affrontare!” gridò l’altra. Troppi? Ma se eravamo solo noi due! O magari quella tipa stava parlando degli altri due ragazzi … magari in realtà facevano parte di fazioni opposte. Però il fatto che noi, i ‘mezzosangue giusti’ e i tirapiedi di Setne ci fossimo riuniti lì in quel museo in quella stessa notte e alla stessa ora per recuperare la corona, sembrava una sfiga decisamente surreale.

Sfiga o meno, però, finché le due ragazze erano lì, erano lì anche le nostre possibilità di recuperare la corona. Ci precipitammo nella stanza brandendo le rispettive armi, ma quelle ovviamente avevano già squagliato. Chad tirò un coltello nella loro direzione (lui giura che voleva solo rallentare, al massimo ferire superficialmente, e non uccidere) e per tutta risposta una delle due ragazze, una bionda dai capelli lisci che brandiva un bastone e una specie di boomerang, ci lanciò contro la prima delle due cose, che si trasformò in una leonessa.

In modo piuttosto idiota, non potei fare a meno di cacciare un urlo, minacciando la belva con Afanisis. Chad tirò i suoi coltelli, e fece fuori, nell’ordine, una teca, un sarcofago e la zampa posteriore sinistra della leonessa. Fui io a darle il colpo di grazia, mentre lei voltava istintivamente la testa per esaminare il danno.

Non rimanemmo lì a commentare lo scontro e tornammo all’inseguimento delle ragazze e della corona, ma il contrattempo ci aveva fregati. Quando raggiungemmo le due tipe, fu solo per vederle sparire in un vortice di sabbia che si sprigionava dalla punta di una piramide lì esposta.

Dopo una frazione di secondo di stupore, ci lanciammo anche noi contro quella specie di teletrasporto, ma quello sparì subito, lasciandoci con l’unico risultato di un bel po’ di sabbia negli occhi.

“Ma come diavolo hai fatto a perderti quella dannata corona?!” sbottò Chad furibondo.

 “Be’, tu non mi hai aiutato molto, sai? A quanto mi risulta, ho dovuto portarle tutte io da sola!” risposi io, ancora più arrabbiata. Con lui, con le due ragazze, con le mummie e con quella situazione in genere. Dannazione, ci avevano affidato una missione così importante, e noi cos’avevamo fatto? Avevamo fallito al primo colpo! Poteva esistere una situazione più schifosa, umiliante e amareggiante?

“Io ti coprivo le spalle!” sbottò lui.

“Sì, così bene che mi hanno aggredita e hanno preso la corona”

“Ehm …” un leggero colpo di tosse alle nostre spalle ci costrinse a tacere e a voltarci. Presi dal litigio e dalla frustrazione per la perdita della corona, ci eravamo completamente dimenticati dei due ragazzi. Dovemmo ricordarcene in quel momento.

Per i primi secondi in cui ce li trovammo davanti, non riuscimmo a fare assolutamente niente. Eravamo paralizzati dall’aspetto di uno dei due.

Quel tipo aveva solo la testa di un ragazzo; il resto del corpo lo denunciava chiaramente come non umano. Al posto della pelle, aveva una cosa simile all’esoscheletro di un insetto, nero e scintillante, con braccia sottili e mani dalle dita innaturalmente lunghe. Al posto dei piedi aveva le zampe di un coccodrillo. E tanto per completare il tutto, un bel paio di nere ali membranose, tipo pipistrello, attaccate alla schiena. La testa, in compenso, era spiazzante montata su quel corpo: era quella di un normalissimo ragazzo orientale, forse cinese, coreano o giapponese, pallido e con i capelli neri e arruffati.

L’altro ragazzo, grazie agli dei, sembrava più che normale: carnagione olivastra, capelli neri, lineamenti irregolari ma non troppo spiacevoli, occhi dorati e un’espressione vagamente scettica.

 “Perdonatemi l’interruzione” disse quello più umano, che era anche quello dell’accento italiano. “Ma vorremmo discutere di alcune cose con voi. No, mettete giù le armi, non è una minaccia … al contrario, penso che potrebbe rivelarsi un’offerta molto vantaggiosa”

 

Ladies & Gentlemen,

ecco qui, finalmente, un capitolo decisamente più movimentato. Mi piacerebbe molto se lasciaste una qualche recensione a questo, o a qualcuno dei precedenti. Il fatto è che con questo silenzio assoluto non ho nessuna idea su che cosa sia apprezzato nella storia e cosa no, quali elementi dovrei migliorare e quali invece vadano bene. Mi sarebbe molto utile un vostro parere, insomma. Grazie. E ora che vi ho tediati a sufficienza, vi lascio qualche spoiler: nel prossimo capitolo, i nostri eroi sapranno quale sarebbe l’ ‘offerta molto vantaggiosa’, e Penelope prenderà una decisione piuttosto problematica.

 

  
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