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Autore: Futeki    23/12/2014    2 recensioni
"Sulla via per l'inferno c'è sempre un sacco di gente, ma è comunque una via che si percorre in solitudine." (C. Bukowski)
Kaitlyn Chandler è una ragazza apparentemente normale. Un anno fa, dopo la morte del fratello in un incidente d'auto, si è trasferita con sua madre in una piccola cittadina del New Jersey. Ha due amici a cui è molto affezionata, ma generalmente le piace starsene per conto suo. Nonostante le apparenze, Kaitlyn ha un dono speciale: è in grado di fare con l'acqua tutto ciò che vuole, può manipolarla a suo piacere. Ma accanto a questo potere, Kaitlyn nasconde un terribile segreto: anche i suoi occhi hanno in sé qualcosa di speciale e allo stesso tempo spaventoso; dietro il rosso cremisi dei suoi occhi, Kaitlyn nasconde il terribile risultato della sua storia. Ma da qualche parte c'è qualcuno che sa tutta la verità su di lei, un'unità governativa americana che conosce il suo segreto: lei non è l'unica ragazza ad avere poteri speciali, ci sono altri ragazzi come lei e tutti loro sono legati da un destino comune.
Genere: Azione, Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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DICIOTTO

Ritorno alla base

 

 

 

Combattere se stesso è la guerra più difficile;

vincere se stesso è la vittoria più bella.
(Verlag Sven von Loga)

 

 

 

 

Entrai in una sala operativa e cercai sotto tutte le scrivanie il cassetto argentato. Lo trovai. Iniziai a provare tutte le sequenze possibili. Uno, due, tre, quattro. Due, tre, quattro, cinque. Tre, quattro, cinque, sei. La serratura scattò. Presi tutti i dischetti che trovai all'interno e mi avviai fuori. Corsi per tutto il corridoio, per le scale e ancora per il corridoio del piano terra. Non mi preoccupai di stare attenta a eventuali nemici. Non mi interessava. Mi sentivo congelata, come se non potessi più essere colpita da niente.

Uscii dalla base. Alcuni dei miei compagni erano lì. Non chiesi dove fossero gli altri.

Sam c'era e mi abbracciò forte senza che io gli dicessi nulla.

«Alex?», mi chiese qualcuno. Scossi la testa.

Sara diede fuoco alla scia di liquido infiammabile che partiva da quella porta e arrivava a tutte le uscite. Sam sciolse l'abbraccio e diede una mano a Robb. Chiuse gli occhi. Una bomba esplose. Poi un'altra. E un'altra ancora. Ci allontanammo. Le esplosioni provocarono altre esplosioni. Ci voltammo e corremmo via.

Quando arrivammo alle auto, scoprii che i compagni che mancavano erano già lì. A parte Alex, nessuno di noi era rimasto indietro.

Cassidy era accanto a una macchina insieme ai bambini. Quando la vide, Sam si irrigidì.

«Harry», bisbigliò. Non stava guardando Cassidy, ma il bambino con gli occhi neri.

«Sam!», urlò il bambino. Corse verso di lui e gli saltò letteralmente tra le braccia. Sam lo strinse talmente forte che pensai che gli avrebbe fatto male. Piangevano entrambi.

Fu in quel momento che collegai tutto. Pensai a Mitchie e alla sua casa data alle fiamme mentre i suoi genitori dormivano. Pensai alla storia di Sam e a come qualcuno avesse cercato di incastrare l'unico sopravvissuto all'incendio. Quel bambino era il fratellino di Sam, rapito da casa sua allo stesso modo in cui era stata rapita Mitchie.

Sfiorai il braccio di Sam e gli sorrisi.

Anche Tom stava meglio. Lui, Robb, Kevin, Cassidy e i bambini erano tornati alle macchine prima ancora che noialtri uscissimo dalla base. Robb aveva pulito la ferita di Tom e aveva estratto il proiettile. Ormai non sanguinava più.

Salii su una macchina, certa che da un momento all'altro le mie gambe avrebbero ceduto. Mi girava la testa. Avevo nascosto i dischetti sotto la maglia e la plastica delle copertine mi solleticava la schiena. Appoggiai la testa al finestrino.

Qualcuno guidò fino al jet, qualcun altro mi disse che dovevo scendere dalla macchina e salire a bordo del velivolo e io lo feci meccanicamente. Quando finalmente restai da sola, seduta su un sedile del jet, mi addormentai.

Al mio risveglio, trovai Sam accanto a me. Mi sentii rincuorata.

Raccontai cosa era successo ad Alex. Spiegai che avevo già incontrato Mike al party e lui ci aveva detto che il professore era morto. Non dissi nulla dei dischetti, né riportai a qualcuno le ultime parole di Alex. Ne avrei parlato soltanto con Luke e gli avrei chiesto di aiutarmi a contattare la sorella di Alex.

Quando rientrammo alla base, la trovammo ancora in pieno blackout. Quando ci videro entrare, tutti furono sollevati. Qualcuno, probabilmente, aveva pensato che non ce l'avremmo fatta, mentre qualcun altro, sicuramente, lo sperava. La talpa era ancora lì, bisognava scoprire chi fosse.

«Finalmente è finita», disse Spike, «è finita per davvero. Ce l'abbiamo fatta.»

Poi notò l'assenza di Alex e si zittì. Fu Luke a porre la fatidica domanda: «Dov'è Alex?»

Scossi la testa e lo guardai dritto negli occhi. Speravo che capisse che era morto dopo aver raggiunto l'obiettivo, che era stato un eroe, come sempre, fino alla fine.

Cercò di dire qualcosa, ma la voce gli morì in gola. Si mise una mano sulla bocca e per la prima volta vidi nel suo sguardo quanto profondo fosse il legame che avevano. Le luci si riaccesero per un istante, poi si spensero di nuovo. Sembrava quasi di percepire il dolore di Luke come una scarica di corrente che attraversava l'aria, una scossa che avrebbe fatto rabbrividire chiunque.

Ci riunimmo in una sala operativa per stilare un rapporto completo della missione. Luke riattaccò la corrente e ci mettemmo immediatamente a lavoro. Nessuno nominò più Alex. Nella sala operativa mancavano soltanto Robb e Tom, che erano andati in infermeria per cercare di curare la gamba di Tom.

Lavorammo per un paio d'ore ininterrottamente, poi Johanna ci mandò a riposarci. Io andai da Luke, mentre Sam andò dal fratellino che aveva appena ritrovato. Quando avevamo spiegato a Johanna dei bambini, lei aveva immediatamente dato disposizioni perché fossero sistemati al meglio. Lucy li controllò e decretò che erano ancora perfettamente sani e che nessuno aveva fatto loro ciò che invece era stato fatto a Mitchie.

Quando bussai alla porta della camera di Luke, lui mi disse di entrare senza venire ad aprire la porta. Era disteso sul suo letto completamente al buio, con un braccio posato sugli occhi.

«Ciao Kaitlyn», mi disse senza guardarmi. Probabilmente, grazie al suo potere riusciva a percepire la mia presenza visto che ero un ottimo conduttore di elettricità. L'ultimo rimasto, visto che Alex non c'era più.

«Ciao Luke.» Avrei voluto chiedergli come stava, ma mi sembrava una domanda stupida, quindi arrivai dritta al punto. «Alex mi ha chiesto di dirti una cosa, prima di...» Non riuscii a completare la frase.

«So già cosa voleva che tu mi dicessi», rispose. «Che ne dici, provo a indovinare?»

Annuii. Poi ricordai che non poteva vedermi. «Sì», risposi.

«Ti ha detto "Kaitlyn, dì a Luke che ce l'abbiamo fatta"», disse imitandone anche il tono di voce. Lo sentii sorridere mentre pronunciava quelle parole.

«Sì», confermai.

«Cosa pensi che significhi?», mi disse. «Prova a indovinare.»

«Non lo so, credevo si riferisse alla missione. Sono riuscita a prendere la lista degli agenti russi, presto sapremo chi è la talpa.»

«Bene», rispose lui, «ma non è questo che intendeva.»

«E allora cosa voleva dire?»

«Quando arrivammo all'Operon, Alex mi detestava per via del mio potere. Quando Johanna gli assegnò me come partner, lui si arrabbiò parecchio. Poi però diventammo amici. Successe quando per la prima volta, invece di guardare soltanto al mio potere, cercò di capire che tipo di persona fossi. Parlammo una notte intera e lui mi raccontò delle sue speranze per il futuro. "Qui i miei poteri possono essere impiegati a fin di bene", mi disse, "questo è ciò a cui punto nella mia vita; prima di morire, voglio raggiungere un obiettivo: voglio fare qualcosa di utile per le persone a cui voglio bene, voglio salvare la gente."»

Sorrisi nel sentirgli pronunciare quelle parole. Erano tipiche di Alex.

«Io gli dissi che ero d'accordo. Gli dissi che quello sarebbe stato il mio obiettivo e che mi avrebbe fatto piacere raggiungerlo insieme a lui. Da quel giorno diventammo inseparabili.»

«Ora ho capito cosa voleva dire», dissi io. «Aveva ragione, ce l'avete fatta.»

«Sì», disse lui.

«Mi ha chiesto anche di dire a sua sorella che le voleva bene, anche se non glielo diceva mai.»

«Provvederò a farglielo sapere.»

«Grazie.»

Feci per andarmene, ma lui mi fermò. «Ti ha detto che sono un Hellbound anch'io?»

Mi voltai. «Sì», dissi.

«E che altro ti ha detto?», chiese alzandosi dal letto.

«Che non devo combattere le mie guerre da sola.»

«Anch'io la penso così, Kaitlyn. Sappi che per qualunque cosa puoi contare sul mio aiuto.»

«Grazie.»

«Adesso occupiamoci della talpa», disse lui.

«Prima voglio passare a trovare Tom in infermeria.»

Annuì. «Ti accompagno.»

Quando arrivammo, l'infermeria era piena di gente. Robb e Lucy andavano avanti e indietro per la stanza, gli altri erano tutti attorno a un lettino.

Mi voltai. Tom era dall'altra parte della stanza e dormiva beatamente nonostante il caos. Mi avvicinai per cercare di capire chi ci fosse sul lettino attorno al quale c'era tutta quella gente. Sam mi prese per mano un secondo prima che guardassi.

Mitchie era pallida e aveva le convulsioni. Lucy stava usando tutto il proprio potere per cercare di salvarla, ma era chiaro che non ci stava riuscendo. Improvvisamente però le convulsioni cessarono. Mitchie rimase immobile con gli occhi chiusi. Se non avessi sentito il suo debole battito cardiaco grazie al monitor accanto al lettino, avrei creduto che fosse morta.

Lucy disse a tutti noi di andare via: non avremmo potuto fare nulla e saremo stati d'intralcio. Mi voltai per andarmene anch'io, ma lei mi chiamò e mi disse di restare.

«Le restano un paio d'ore di vita», disse. «Scegli tu se restare con lei o andare via.»

La freddezza con cui disse quelle parole mi sconvolse. Decisi di restare. Mi misi a sedere accanto a lei sperando che si risvegliasse, anche solo per qualche secondo. Avrei voluto scusarmi per non aver mantenuto la promessa che le avevo fatto.

Dopo qualche minuto mi resi conto che non si sarebbe svegliata, allora iniziai a parlare come se potesse sentirmi.

«Mi dispiace di non aver mantenuto la promessa che ti ho fatto», dissi, «non sono riuscita a salvarti. Però posso assicurarti che non verranno rapiti più bambini, non da parte loro, almeno. Ho fatto quello che potevo, magari per questo potresti essere fiera di me. Anche i tuoi amici sono salvi, lo sai?»

Attesi come se mi aspettassi una risposta. Ma lei giaceva immobile e silenziosa su quel lettino. Volevo andare via, volevo scappare da lì, ma non potevo. Non l'avrei lasciata sola in quel momento. Restai con lei tenendole la mano finché il battito cardiaco non si arrestò. Non feci nulla quando accadde. Restai lì, come se non fosse cambiato niente, anche se qualcosa dentro di me si era spezzato.

Dopo un po', Lucy arrivò e mi disse di andare via. Lo feci in silenzio. Passai davanti a Tom, che era sveglio. Chissà da quanto tempo mi stava ascoltando. Lo salutai e gli chiesi se stesse bene. Lui annuì. Gli augurai la buonanotte e tornai in camera mia. Una volta di fronte alla porta, decisi che quella notte non sarei rimasta da sola, non volevo. Bussai alla porta di Sam, ma dall'interno non rispose nessuno. Aprii ed entrai, ma Sam non era lì. Sul suo letto c'era Harry, che dormiva beatamente, lontano da tutte le cose brutte che accadono al mondo.

Tornai in camera mia e fui sorpresa di trovarvi Sam all'interno. Mi aspettava. Non disse nulla e mi strinse forte.

«Dobbiamo andare in sala operativa», disse. «Luke ci aspetta lì per vedere cosa c'è su quei dischetti.»

La talpa. Me n'ero completamente dimenticata.

Annuii e mi feci forza.

La sala operativa era completamente piena. Tutti gli agenti, i tecnici e anche qualcuno della sicurezza erano stati riuniti lì. Luke era seduto su una scrivania, con un computer poggiato sulle gambe. Entrai e chiusi a chiave la porta dietro di me. Molte teste si voltarono a guardarmi, ma io non ci feci caso. Passai a Luke i dischetti e poi tornai in fondo alla stanza.

«Durante l'ultima missione», iniziò a spiegare lui, «siamo riusciti a recuperare delle informazioni preziose. Come voi ben sapete, riteniamo che all’interno dell’Operon ci sia un infiltrato russo, una talpa.»

Tra le persone all’interno della sala si levò un mormorio.

«È arrivato il momento di scoprire di chi si tratta. Grazie a una giovane agente, siamo in possesso della lista di tutti gli agenti registrati nei Servizi Segreti russi e abbiamo ragione di credere che il nominativo di uno dei nostri comparirà tra questi file.»

Luke infilò il dischetto nel computer. Il monitor gigante alle sue spalle si accese.

Comparve il primo volto, io tirai fuori la pistola.

Su quei dischetti c’erano centinaia di schede riguardanti ogni singolo agente. Luke scorse la lista un nome alla volta, facendo comparire i volti di tantissimi agenti russi sul monitor.

Caricai la pistola.

Al passaggio di alcuni volti sullo schermo, qualcuno bisbigliò, qualcun altro imprecò. Erano i nostri nemici giurati, molti di loro avevano ucciso i nostri compagni.

Erano tutti impegnati a fissare lo schermo, perciò nessuno fece caso a me che mi facevo largo tra la folla con un’arma carica in mano.

La puntai alla testa di Johanna giusto un attimo prima che il suo volto comparisse sul monitor.

“Johanna Master, agente operativo. Infiltrata all’Operon.”

 

 

 

 

N.d.A.: Finalmente si è scoperto chi è la talpa: Johanna. Era stata lei a mandare i ragazzi a proteggere il professore, sostenendo che avrebbero tranquillamente potuto farcela, era stata lei a ordinare loro di restare tutti uniti quando sarebbero entrati nella base russa. Lei stessa si era arrabbiata quando i ragazzi, su suggerimento di Alex, si erano divisi in gruppi. Alex aveva già capito che c’era lei dietro a tutto, per questo lui e Luke avevano escogitato il trucco del blackout.

Non so fino a che punto i lettori se lo aspettassero o meno, ma la mia idea era quella di seminare degli indizi e allo stesso tempo fare una rivelazione sconvolgente, in ogni caso grazie a tutti coloro che hanno provato a fare supposizioni o a indovinare: la passione con cui avete seguito la storia fin qui mi rende felicissima.

Con questo capitolo (il terzultimo) si chiude anche il cerchio degli articoli di giornale del prologo: il primo si riferiva proprio alla storia di Sam e del suo fratellino, pubblicato sul Miami Herald – Sam infatti viene dalla Florida, dove i condannati a morte possono scegliere come morire e lui, appunto, aveva scelto la sedia elettrica; il secondo e il terzo articolo, pubblicati sul giornale di Stonington, dove Kaitlyn viveva assieme alla madre e al fratello Ryan prima di trasferirsi, raccontano proprio l’incidente che lei ha avuto con il fratello e il successivo omicidio involontario degli uomini responsabili della morte di Ryan.

Grazie a tutti coloro che hanno seguito la storia fin qui. Buone feste!

Futeki

 

 

   
 
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