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Autore: ChocoCat    24/12/2014    2 recensioni
REVISIONE IN CORSO
"Hermione raccolse la borsetta di perline dalla sedia accanto alla propria e si avviò verso il piano di sopra per entrare nella prima camera che avesse trovato. Si ritrovò davanti al letto sfatto di Ron; sul davanzale della finestra c’era una boccia di vetro vuota, il vecchio Deluminatore e la sua bacchetta. I ricordi la sommersero; in quella stanza, strategie, ansie, affetti, paure, e ancora gioie, disappunto, e amori senza fine…"
Seguiamo le vicende di una Hermione che sta per cambiare definitivamente la rotta della propria vita (e se non lo sapete ancora, sappiate che non andrà come previsto!), un vivace Ronald pronto a tutto - anche a un'avventura nella jungla nera in mezzo ai ragni-, una Ginevra alle prese con il vaiolo magico brasiliano e un passato pronto a ribollirle contro, un Seamus con il suo più grande sogno inconfessato, ed infine... Harry, che dovrebbe avere la mente vuota e non sentire mal di testa da un bel po', ma è risaputo... nella vita... non si sa mai cosa ci aspetta!
Genere: Avventura, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ginny Weasley, Il trio protagonista, Luna Lovegood, Michael Corner, Seamus Finnigan | Coppie: Harry/Hermione
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Triangolo | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'The Keepsake Tales'
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Dal capitolo precedente:



Stava per ricominciare a parlare – Seamus era sempre stato un gran chiacchierone – quando Harry lo frenò tempestivamente.



Abbiamo fretta. Dobbiamo trovare abbastanza gente da fare un diversivo, poi ci serve qualcuno che faccia l’allarme, e dobbiamo dividerci in due gruppi.” Tre, qualcuno doveva anche andare alla Gringott, ma questo lo tenne per sé.

Quanti siamo in tutto?” chiese Seamus, con lo sguardo attento di chi vuole assolutamente partecipare.

Io, Seamus, Ron, Megan, Adam?, Edwin e Basil. Dovrebbe andare, no?” disse Harry, abbastanza convinto dalla piega della situazione.

Andiamo, Harry. Dimentichi qualcuno.” Si intromise Ron, con un’aria combattuta e leggermente contrariata. “Chi ha sempre ideato i nostri piani? Chi si è sempre preoccupata che tutto andasse per il verso giusto?”

Hai ragione, Ron. Dobbiamo parlare con Hermione.”







27.



Hermione si tolse il mantello di lana. Il suo piccolo appartamento non era più stato così pieno dai tempi in cui aveva dato la festa per il trasloco. Grattastinchi saltava dal divano alla poltrona con soddisfazione, incapace di decidere dove fermarsi per sonnecchiare.
Alla fine optò per il grembo di Seamus, che non vedeva più da tanto tempo. Vi si acciambellò con grande sorpresa del proprietario, e prese a fare le fusa. Il suo muso brachimorfo produceva un caloroso seppur molesto rumore di marmitta.
Hermione scosse la testa, quel gatto era davvero mezzo Keatzley.

Nonostante l’urgenza della situazione, il disagio generale era evidente, sembrava inibire i gesti e gravare sui pensieri.
Hermione e Ronald evitavano di scambiarsi occhiate troppo lunghe, Harry e Daniel borbottavano preoccupati per la faccenda della statua rubata, e Seamus faticava a credere di essere finalmente parte dell’élite, una pedina al servizio della giustizia, al posto giusto nel momento giusto, tanto che sentiva le mani fredde e umidicce stringersi una nell’altra spasmodicamente, in attesa che qualcuno si decidesse a parlare. Con un po’ di titubanza cominciò ad accarezzare Grattastinchi che ora gli premeva il muso piatto contro il mento e ora gli solleticava il naso con la punta della coda, alla ricerca svergognata del suo affetto.



Harry si fece coraggio alzandosi in piedi, organizzare il piano senza lasciare indizi per strada era capitale, non era più un ragazzino a cui tutto era perdonato. Se perdeva il suo posto in accademia il suo duro lavoro sarebbe andato perso, per non parlare del danno causato ai suoi amici. E Ginny era ancora dispersa, imprigionata chissà dove. Gli vennero in mente le urla di Hermione quando Bellatrix Lestrange aveva deciso di torturarla. Erano così vividamente impresse nei suoi ricordi da lasciarlo ancora senza fiato.
Temporeggiò, strofinandosi il viso con veemenza. Cercò di riprendere le redini dei pensieri, il che gli costò una fatica immane, e spiegò l’altra parte del piano anche a Seamus, camminando avanti e indietro sul tappeto verde di Hermione; di tanto in tanto si spettinava i capelli, e si passava una mano sulla fronte sudata; il rilievo della vecchia cicatrice era sempre lì, a ricordargli chi fosse e cosa stesse facendo. Era sempre lui, con i suoi migliori amici, alla ricerca di una soluzione a qualcosa di più grande di loro.
Non riuscì a non stupirsi e imbarazzarsi per l’ennesima volta, leggendo l’animata ammirazione sui volti degli amici, soprattutto quello cordiale di Seamus.

Il simpatico ma turbolento ex Grifondoro era con loro e li aveva seguiti dopo l’incontro al Paiolo Magico, ormai la frittata era fatta.
Sperò in cuor suo che non li tradisse e non facesse
saltare tutto in aria come al solito. Harry approfittò della spiegazione aggiungendo dettagli in modo che anche Hermione potesse seguire il discorso. La osservò di tanto in tanto, lanciandole le solite occhiate interrogative, cui lei rispondeva sempre, in un modo o nell’altro, onestamente.
Hermione era stata, in pochi minuti, perplessa, stupita, devastata – cosa sarebbe stato di Ginny? – e Harry capì, alla fine del discorso e con il fiato corto, che il suo piano era arzigogolato ma fattibile, perché ora Hermione gli rivolgeva uno sguardo fatto di comprensione, risolutezza. Si sentì rinfrancato, e finalmente scivolò seduto sul tappeto, con la schiena appoggiata alla poltrona di Seamus.
Aveva accuratamente evitato di notare il disagio fra i suoi amici, ma ora era eclatante. Si sentì ferito e scottato dalla proprio curiosità, ma non poté fare a meno di osservarli. Hermione sedeva accanto a Ron con una tazza fumante di tè al limone.
Era seria e completamente assorbita dalla situazione. Rifletteva e il rapido nistagmo degli occhi dava l’impressione che lei non ci “fosse” con la testa. Ronald era seduto composto, ingombrava la stanza con la sua stazza e il colore folgorante dei suoi capelli rossicci.
Eppure sembrava rannicchiato, quasi volesse scomparire mimetizzandosi fra i mobili.
Erano così vicini, eppure… eppure così distanti – o era una sua impressione? Harry voleva loro un gran bene, era brutto, orribile vederli soffrire, loro non potevano, non dovevano - loro erano la sua
famiglia.
Avrebbe dato qualsiasi cosa in quel momento per aiutarli.







28.



Perché mi hai portato qui?”

Il pallido, umido pomeriggio inglese era malamente incominciato con quella frase, che definirla a doppio tagliente sarebbe stato un eufemismo. Era stata una scelta deliberata, una domanda timida che aveva tardato a lungo perché si nascondeva fra le altre nella speranza di non dover mai comparire sulle sue labbra.
Era successo ugualmente, perché tutti i nodi vengono al pettine, prima o poi.

Dopo una mattina frenata dalla debolezza fisica di Michael che viaggiava dal divano al tavolo da pranzo in un continuo va e vieni e dalle occhiate trasparenti e incriminanti di Luna dietro la sua coperta psichedelica, Ginny si era decisa a parlare con Michael.
Era pomeriggio, ma fuori era tutto grigio e senza un orologio non avrebbero mai potuto dire che ora fosse.
Non era veramente un problema, perché tutto in quelle giornate sembrava indicare che il tempo si fosse fermato.
C’era solo quella ragazza stramba a scandire il tempo con le sue escursioni, ma tutto urlava silenziosamente, come un soffio caldo e muto, che in quella casa, quale che fosse il tempo necessario, sarebbero riusciti a parlarsi.
Perché erano soli.
Perché non c’era altra scelta.

Luna era uscita da poco, lasciando un clafoutis alle ciliegie in forno. Ginny prese a intrecciarsi i capelli nervosamente, allontanando lievemente il viso dal calore del fuoco. Si era seduta sul tappeto del salotto, vicino al caminetto, mentre la pioggia batteva sul tetto della veranda e il vento fuori spazzava la landa, pronta ad affrontare il suo migliore nemico.
Michael non le aveva concesso delicatezze, non le aveva dato il tempo di prepararsi.
Perché mi hai portato qui?
Il tempo si era fermato su di loro, nonostante le lancette ticchettanti e il cucù abominevole del signor Lovegood.
Il profumo aspro della cottura riempiva le narici, imprigionandoli in quel presente bizzarro e scadenzato.

Ginny cercava le parole, Michael contava gli attimi guardandola negli occhi senza sosta. Con un po’ di apprensione in gola, decise di mandare giù il gozzo e dire semplicemente la verità, ad ogni passo, poco alla volta.
Non era mai successo, dal loro litigio, che fosse lui a fare domande. Lui era quello zitto, quello che non provava niente, che si eccitava per qualsiasi questione ma no, non la loro, quella era sempre stata
acqua passata, fin dall’inizio della fine.
E lei si era sempre ritrovata sola a combattere una battaglia contro i suoi sentimenti, rincorrendo i suoi perchè.
Perché siamo riusciti ad implodere per un bacio? Perché io ti ho perdonato tutto, malgrado me stessa? Perché tu ce l’hai ancora con il mondo? Perché il sapore della mia pelle non ti è piaciuto? Perché il tuo invece me lo ricordo ancora, e mi è bastata una volta, e mi è piaciuto, oh, così tanto?

Era sempre stata lei a preoccuparsi di riallacciare i rapporti e riavvicinare malamente i lembi della ferita.

Perché, Michael, non avevo idea di come dare spiegazioni ai miei.”

Di solito lui buttava sale sul sangue.

Sei nei guai, adesso?”

Sembrava provare un malato piacere a rigirare il dito nella piaga.

Sempre meglio che restare in una prigione sudicia, clandestina e di cui nessuno sa nulla.”

Tranne me.”

Già, tranne te Michael.”

È gentile Luna. Sai, la casa…”

Sì, Luna è una persona adorabile e molto luminosa.”

Tu abiti qua vicino, vero?”

Sì, io… beh, in realtà…” ricordò improvvisamente che no, non era così. Che stupida. Come poteva averlo dimenticato? “Prima di partire in Brasile passavo molto tempo a casa di Harry.”

Ne hai di posti in cui tornare, dopo questo…” Episodio? Circostanza? Varco spazio-temporale? Non seppe definirlo. Si trattenne dal mettere in fondo alla frase qualche parola sghemba e inutile. Sapeva che lei avrebbe intuito.

E tu?” chiese Gin, con aria fintamente divertita, come quando si pongono le domande ai bambini meno fortunati. “Tu sai dove tornare?”

Era una domanda-abisso. Michael era stato solo un vecchio fantasma fino a una manciata di notti prima.

Aveva tentato di lottare, all’inizio – quando se l’era trovato davanti in mezzo alla giungla, come un brutto scherzo del passato, ma si era ritirata scottata, rimproverata nientemeno che da se stessa. In fondo al cuore, che fosse a Natale, o al suo compleanno, o davanti a una stella cadente, il suo desiderio più profondo era sempre stato lo stesso. Era costretto, soffocato da strati di nuovi ricordi, da pensieri, paure, emozioni più audaci che non faceva fatica a mostrare.
Ma i suoi sentimenti per Michael… no, per Misha… erano un tormento che datava dai tempi della scuola.
E avevano superato l’ostacolo del tempo, quello che ogni ricordo deve affrontare.
Era sfumato il ricordo di Michael?

No. Ricordava i tratti del suo viso e l’effetto della rabbia e dello stupore e delle risa su quegli spigoli morbidi.
L’aveva ritrovato, come un gatto randagio e arruffato, ma era ancora lo stesso – vero?
Tu sai dove tornare” implicava che lei volesse davvero saperlo.



Non vivo più con i miei.” Ammise lui, rastrellandosi i capelli all’indietro con aria scomoda.

Ah…?” rabbrividì alla vista di quel suo gesto così familiare. Caro. Caro e doloroso. I suoi aggettivi preferiti per Michael.

Ah, eh già.” Lui tagliò lo sguardo che lei cercava di intercettare per posarlo sul fuoco. Nel marrone dei suoi occhi lei vide le fiamme. “A dire il vero viaggio di continuo, dormo un po’ ovunque.”

Quanti incontri, quante vite, quanti ricordi nuovi aveva lui, per proteggersi dal passato?

Il mondo è la mia casa.”

Inaspettatamente, la risposta di Michael la rasserenò un poco.

È… una bella cosa.”

Cosa altro avrebbe potuto dire? Odiava ammetterlo, ma lo ammirava.
Aveva il coraggio di andare contro le convenzioni, contro il solito – diploma-lavoro-casa-famiglia di cui lei si accingeva a superare la prima tappa; Ginny aveva sempre soffocato quella parte di sé per amore degli altri.



Il mondo è la mia casa. Ginny sentì il cuore stringersi in una morsa di dolorosa nostalgia, come se lui le avesse appena dichiarato “ehi, sono ancora io”. Io - io, io, io. Io quello che hai conosciuto un tempo, quello che ti faceva tremare il cuore di gioia per qualsiasi sciocchezza, non il Michael cattivo e spietato che ti ha spezzata come un ramoscello.
Quel
io.
Seguito da un “corri subito a scriverlo sul tuo diario, avida (di –
ahahah - amore), stupida, naïve piccola Ginny”.

Michael la guardava – uno sguardo di cioccolato liquido innocente - e lei non riusciva a capacitarsi dell’incubo ad occhi aperti che la sua mente riusciva a raffigurare. Era innaturale quella voce distorta che le risuonava in testa come le campane. Pensò di essere impazzita.
Era tutto dentro di lei. Erano i suoi demoni. Non aveva un posto dove nascondersi, se lui era realmente di fronte a lei.
Li aveva creati lui, quei mostri oscuri, glieli aveva liberati dentro quando l’aveva abbandonata – abbandonata sì, da tutti, non solo da lui: dai suoi segregati in casa, da Percy quell’invertebrato, da Harry e Ron e perfino Hermione, perché lei era quella piccola, quella che non doveva sapere niente, e da Fred, che non le aveva lasciato il tempo di salutarlo. Finché ci sarebbe stato lui, però – così pensava la
piccola Ginny quando era ancora a Hogwarts e aveva il diritto di sognare, lui che era sempre stato il suo Lumos, non sarebbe mai stata da sola. Misha era la sua solida colonna portante, capace di ridarle tutta la sua tempra con un semplice sguardo dei suoi.

E ora, chi era? Chi c’era dietro quello sguardo così sapientemente lavorato da sembrare quello del suo Misha?

Senti-”

Senti…”

Michael si alzò e prese a camminare sul tappeto, lentamente per non farsi male.

Vai, prima tu.” Disse, con la bocca nascosta dietro la mano, grattandosi nervosamente il mento.

Mi dispiace. Non volevo che ti ritrovassi nuovamente coinvolto.” Rispose lei, abbassando lo sguardo.
Nel tutto. Nei maledetti briganti, nelle convenzioni che tanto sapientemente rifuggi, nel mio amore sciocco e vischioso – pensò, ma non lo disse.

Non è niente, non è quello. Io vorrei parlare di altro. Ci sono tante cose che vorrei… chiarire, con te.”

Lo sguardo atterrito di Gin frenò il suo entusiasmo iniziale.
Sto andando troppo in fretta?
Si spazzò i capelli dal viso e tentò di ricominciare il discorso in modo appropriato.
La ragazza stava lentamente sciogliendo la treccia di prima, in un gesto che sembrava del tutto inconscio. Michael rimase qualche istante a fissarla con le labbra semichiuse, cullato dal gesto meccanico, incapace di formulare la frase.
Si avvicinò al caminetto, Gin era ai suoi piedi e lui abbassò la testa per continuare a guardarla negli occhi. Se l’era ripromesso.
Niente più scappatoie. La punta del piede sfiorava la gamba di lei.
Chiuse gli occhi, pronto a buttarsi nel vuoto, quel vuoto che non aveva mai voluto affrontare.



Michael, prima però devo dirti una cosa importante.”

Gin si aggrappò alla sua gamba, si tirò in piedi. Il suo viso era d’un tratto vicino, sfocato.
Michael avvertì il calore rubato al fuoco emanare dalla sua pelle, liberare la sua fragranza. Il cuore mancò un battito.
Si perse nell’olfatto che lo guidava verso quel nuovo profumo, che aveva note lattee di amore perduto, di bisticci e d’infanzia, nella vista, che scioglieva tutto attorno a lui in una scia di colori per potersi focalizzare su di lei, quella ragazza dai capelli di fiamma, e nel rumore del respiro che sfuggiva fra quelle labbra rosse e succose che lo chiamavano.
Che lo avevano sempre chiamato.
La mano scappò al suo controllo e raggiunse una guancia vellutata e bollente.
Raccolse uno sguardo risoluto fra le dita e vi rispose, suo malgrado, con affetto. Era quello che aveva sempre apprezzato in lei.
Era dinamite pura, appoggiata alla sua pelle, pronta a esplodere.
E lui sarebbe saltato in aria, ne era certo.

Non dovresti.” Accennò lei, beandosi di quel lieve contatto, socchiudendo gli occhi.

Lo so.”
La parte di me che odio di più.

Sono stanca di rincorrerti, Misha, e di perderti, e di ritrovarti.”

Era una confessione? Era un consiglio velato?
Michael non seppe cosa pensare. Vacillò sul posto, mantenendo il contatto.
Gin posò una mano sulla sua e gliela strinse. Lui lo prese come un invito a continuare.

Non volevo che andasse tutto a finire male. Sai, io ero solo molto confuso. Sono sempre stato una persona confusa. Mi sento perso tre quarti del tempo, forse è per questo che mi arrabbio facilmente. Sono perennemente nervoso e preoccupato. E… mi vergogno. Non vorrei essere così.” Sussurrò Michael, lasciando che lei raccogliesse quella mano fra le sue e la portasse contro il petto. “Tu… sembra che sai sempre che tasto pigiare per farmi esplodere.” Guardò attraverso la veranda, inseguendo le folate di vento che spostavano la pioggia, al di sopra del capo di Gin.
Era più facile, così. Guardando altrove.

Non era esattamente quello che voleva dirle, accidenti, ma era uscito da sé.

Mi dispiace.” Soffiò lei. “Ho sempre saputo che era colpa mia.”

Tutto quanto. Le notti insonni, il gioco di rincorrersi, l’affiatamento, solleticarsi il naso con i fili d’erba, scappare dagli altri, nascondersi insieme, condividere tutto, baciarsi per sbaglio…?

Michael si allontanò di scatto.

Che cosa stai dicendo?” le disse, serrando la mascella. “Gin, tu non capisci… hai solo scatenato il solito caos per l’ennesima volta, quante volte hai ridotto in polvere le mie idee? Quante volte mi hai fatto sentire uno stupido… ma non è per questo che è finito tutto quanto. Devi smettere di pensare in modo sbagliato… devi smettere di pensare e basta! È successo, doveva succedere, ora è finito.” Concluse, sperando di farle capire che il discorso doveva essere chiuso lì, ora e per sempre.

Ginny incrociò le braccia, facendo un passo verso di lui.

E questo che cosa rappresenta allora?” indicò lui, se stessa, la casa di Luna con gesto teatrale. “perché io proprio non capisco, Michael. Forse dovresti spiegarmelo tu.” Gli puntò un dito sul petto. “Tu con la tua mente brillante! È tutto finito, vero? Ma certo.”

No, aspetta, non intendevo dire questo…”

Cercavo la sicurezza nei tuoi occhi. E tu non ti sei mai tirato indietro. Era doloroso. Era bellissimo.

Gin, devo dirtelo, io… io non avrei mai immaginato, nemmeno col senno di poi, quanto potessi essere importante per te.” Non senza il diario. “Devi credermi, non ne avevo la minima idea. Perché…” esitò, facendo un passo verso di lei, guadagnandosi un’occhiata orripilata. “Perché io non volevo, Gin.”

Tu non volevi che cosa?”

Non volevo pensare, sapere, sperare ancora, soffrire per mano tua, …non volevo nessuna responsabilità. E tu eri un pacchetto integrale di responsabilità! Così appassionata, così seria, mentre io… ero ancora un ragazzino, spaventatissimo dal potere che mi avevi messo in mano. Avrei potuto farti così male…” Michael prese le spalle di Ginny e la scosse dolcemente. “Non voglio mai più avere quel potere fra le mani. Non sono in grado di gestirlo. Mi capisci?”

Ginny sentì gli occhi farsi lucidi, ma frenò le lacrime in un impeto di forza.

Oh, si che capisco. Capisco tutto, Michael. Sei un cretino, ecco cosa capisco! Avresti potuto farmi così male?” lo scimmiottò acidamente. “Avresti?! Tu mi hai fatto male.” Lo prese per il colletto della camicia e spinse il naso contro il suo, guardandolo negli occhi, annaspando in quell’alito fremente e familiare come un ubriaco in un oceano di vino. “Mi stai facendo male, qui, ora. Mi hai fatto male quanto ti ho visto con le gambe rotte.” Gli morse una guancia, fingendo di ignorare quanto la sua voce fosse instabile. “Quando mi hai perso la bussola.” Gli morse il labbro superiore, senza raccogliere lo spillo di sangue pur vedendolo scaturire.
“Quando mi sei rotolato addosso.” Le scappò qualche lacrima fra le ciglia, giù per il mento, per terra.
Non importa, è la rabbia.
“Quando hai implorato che restassi accanto a te perché avevi la febbre e tremavi di paura!” Michael faceva di no con la testa, voleva allontanarla, spingere via quegli incisivi crudeli, ma le mani stringevano convulsamente due piccole spalle, e lui sapeva che erano coperte di lentiggini, ricordava di aver inventato delle costellazioni osservandole, nude, alla luce del sole – ricordava, oh?, di averle amate.

Sapeva di essere rosso in viso, accalorato per l’imbarazzo, il caminetto scoppiettante e i baci avvelenati, e per la vergogna di provare un immenso piacere. Tutto in lei lo conquistava, il dolore aveva un sapore - un sapore? - invitante, e l’idea che si mischiassero gli accese la mente di pensieri vivi come le fiamme.
Perché la parte di me che odio di più, Ginevra, sei tu.
Quando lei scese a mordergli l’incavo del collo Michael sentì la voce morire – proprio lì, in fondo alla gola; i suoi sentimenti diventarono una nube indistinta di rabbia e desiderio. Voleva concedersi quello che si era sempre negato per codardia.
Non era mai stato così facile focalizzare lo sguardo su di lei, piccola macchia bianca sul suo manto nero.
Ginevra lo guardava e i suoi occhi gli parlavano. Era così triste, arrabbiata e famelica e appassionata, come non aveva mai avuto il coraggio di affrontarla.
Capiva e sapeva di essere capito senza il bisogno di una parola.
E ora, era chiaro, lei stava per fare qualcosa di completamente pazzo. Dunque scappa Michael, oppure…

Sai cos’è il coraggio, Michael?”

Gin…”

Ginevra gli strappò un bacio.
Lo tenne per il bavero, senza lasciarli via di fuga, costringendolo a sbattere il muso contro la realtà, e mentre lo assaggiava prepotente, premendo il viso contro il suo, si mischiarono lacrime e sangue, e quel gusto era buono, salato e metallico.
Non aveva idea di quello che stava facendo, era da tanto tempo che aspettava quell’istante, ma non se l’era immaginato così cruento. Voleva dolcezza, romanticismo, audacia. Michael aveva accettato di mischiare la saliva con la sua come un cucciolo che non sa ancora come reagire, ma che si fida della madre.
Non era quello che voleva.
Eppure il cuore le martellava fino nelle orecchie, perché Michael non l’aveva rifiutata, la sua lingua le era venuta incontro. Era completamente impazzito. Un attimo prima era immobile, passivo, pietrificato. Forse aveva solo bisogno di uno stimolo, o gli era mancato il tempo per respirare.

Gin aveva accennato a scostarsi, ancora affannata, muta per lo stupore, e lui lasciò le sue spalle per stringerla e farla cozzare contro di sé in una stretta mortifera. Se si potesse essere divorati da uno sguardo… Gin era lì, sulla bocca del suo stomaco, come il più buono dei dolciumi, come il più indigesto dei veleni.

Si era accartocciato su di lei, attorno a lei, l’avvolgeva del tutto con ogni lembo di pelle libero d’ingombri, scorrendo l'involucro con le dita, incitandola a fremere di rimando.
La paura, la paura… dov’era andata la paura?

Gin era calda come la brace, sapeva di casa - lei era casa; assurdo, vero?, considerando che non ne aveva una; era sua da sempre – lei, quel tenero fiorire di fiamme e costellazioni, mappa del suo cielo, passato e presente, paura e desiderio.
Gin no, lei no, non può essere mia.
La paura? Eccola. Infantile, sciocca, lo pietrificava, perché lui sentiva il cuore piccolo e pesante, e faticava a trattenerlo dallo scoppiare; si, era convinto che lei non ci sarebbe stata tutta lì dentro, nel suo petto.
Troppa energia in un corpo solo.
Troppe sensazioni per non farlo impazzire.

Tu… tu sei sempre stata troppo, per me. Troppo di tutto.” Le mani corsero a ripulirle le labbra dal suo sudicio sangue.
Le dita premettero sulla cute fino a farla sbiancare, accarezzò il suo viso lasciando strie arrossate fino alla mandibola. “E io non ho i mezzi per
contenerti. Non…” esitò, perché era difficile da ammettere. “Io non sono abbastanza.”

Guardò con rassegnato divertimento i suoi due moncherini fare capolino fra i capelli di Gin, mentre giocando a far rifrangere il colore del fuoco in quel rosso vivo, si beava di quell’accostamento – lui, lei – così sbagliato, pure così giusto.

No, Misha, non è vero…”

Riuscire a non baciarsi, a non far collimare quelle bocche affamate era solamente un gioco, lo sapevano entrambi.

Non sarò mai in grado di farlo, Gin. Prendere o lasciare.”

L’abisso sembrava allontanarsi proporzionalmente alla vicinanza con la sua pelle.

Sentì le mani di lei cercare le sue, studiarne i polpastrelli secchi e le unghie morsicate, sfregarle, riconoscerle.

Credo che la mia scelta sia chiara, no?” sussurrò con voce roca, sospirando contro il suo naso. “Prendere.”









29.





D’accordo, Harry. Ci divideremo in quattro squadre. Due persone con il mantello dell’invisibilità andranno alla Gringott, possibilmente non Daniel. Due resteranno al piano terra dell’Accademia e si sposteranno su e giù per le scale controllando che non salga nessuno. Altre due andranno in segreteria, e l’ultima coppia rimasta andrà nella stanza degli annali.”

Hermione aveva posato la tazza su una pila di libri con aria pensierosa. Seamus era più che elettrizzato all’idea di condividere un segreto di stato; aveva preso la tazza e l’aveva portata nel lavello di Hermione senza dire nulla.
Quando vide l’aria preoccupata di Hermione cominciò a scusarsi infinite volte, fino a farla scoppiare dal ridere per l’imbarazzo e la situazione.

Ho fatto un disegno dell’Accademia, non dovrebbe essere così difficile.” Si intromise Ron per tornare al discorso principale, mostrandole l’altro lato della pergamena stropicciata che aveva portato quella mattina al Paiolo Magico.

Hermione gli lanciò uno sguardo nauseato. Il disegno era graficamente uno scempio, e Harry che se n’era accorto lo prese di mano all’amico e finse di studiarlo con grande attenzione.

Entrate di servizio qui, qui e qui.” Mormorò. “Bene, ragazzi, è molto semplice. Direi che Daniel e io andiamo su agli annali, Edwin e Basil in segreteria, Megan e Adam saranno il diversivo se succede qualcosa al piano terra e tu, Ron, accompagnerai Hermione alla mia cassaforte.”

Ci aveva pensato a lungo, aveva evitato all’amico la vista della sua fortuna per un sacco di tempo, ma stavolta era diverso, c’era in gioco un fidanzamento; come altro definirlo? Si sentiva stupido, a chiamarlo amore ad alta voce nella sua mente.
Quel “fidanzamento” era amicizia, oltre che amore, e rappresentava un’evoluzione durata ben sette anni di scuola, più quelli all’Accademia. Non poteva permettere che si autodistruggessero per chissà quale sciocchezza.
Non si era mai intromesso, aveva accettato di buon grado il loro rapporto, in nome dell’amicizia.
Il trio aveva retto a questo e altro, nel tempo. Ora, in nome dell’amicizia, forse aveva fatto la mossa giusta.
Forse, soli e nel cuore dell’azione, con l’adrenalina in corpo, si sarebbero ritrovati.
Harry lo sperava con tutto il cuore.

E io?” gemette Seamus, imbronciato.

Dannazione, se l’era dimenticato. Era talmente assorbito dalla nuvola di malumore che aleggiava fra di loro che si era dimenticato dell’ultima novità.

Che domande, Seamus.” Disse, tossicchiando per nascondere l’imbarazzo. “Tu vieni con me e Daniel!”

Hermione lo frenò.

Harry, sei convinto del piano?”

Certo, andrà bene. Deve andare bene.” Quel piano, e anche l’altro. L’importante era ritrovare Ginny e far tornare tutto alla normalità.

La normalità.
Una bufala, e lui lo sapeva.
Ginny era scomparsa, il vecchio Sinister mentiva, Daniel era nei guai, e lui aveva la mente travolta da una sfilza infinita di pensieri e sensazioni non sue che lo annientavano da dentro e gli sfuggivano appena cercava di focalizzarle.
Sapeva che non era stata una grande idea, mettersi nella squadra più vulnerabile.
Ma era davvero la sua? Forse no. Accidenti, sicuramente, no.
Sapeva anche che Seamus era di troppo nella sua squadra.
Avrebbe corso il rischio di metterlo nella squadra di Ron? E guastare la possibilità che si riconciliasse con Hermione?
Forse rischiavano troppo e avevano almeno bisogno di una copertura.

Seamus, cambio di rotta. Tu dovrai fare qualcosa di molto più importante…”







   
 
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