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Autore: Bored94    26/12/2014    0 recensioni
La storia di due amici dal giorno in cui si sono conosciuti. Com'è stata la loro vita in Accademia, in quali guai si sono cacciati, le amicizie che hanno stretto...
Chi erano il Dottore e il Maestro prima che le loro vite venissero completamente stravolte?
[Riferimento a Universo Esteso. Academy Era.]
Genere: Angst, Generale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Doctor - Altro, Master - Altro
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Nota/Spiegazione/Nozioni fondamentali (scusate ma è necessario):

Questa... cosa, è nata più che altro perché sono tendenzialmente una persona che si annoia con poco e diciamo che potrebbe essere nata una minuscola guerra tra me e alcune brutte persone che non nomino (nah, scherzo).

Il vero problema è l'universo esteso di Doctor Who. Un persona malvagia ha introdotto me e altre disagiate in questo universo e, nonostante la nostra conoscenza estremamente limitata, abbiamo iniziato a sfornare headcanon.

Questa è una della conseguenze.

Alcune precisazioni prima di cominciare: ho fatto iniziare la storia dal primo incontro tra il Dottore e il Maestro (pezzo preso liberamente in prestito da un'amica con il suo permesso che ora mi sta ricoprendo di insulti perché ha già letto la storia per intero) e arriverà fino a... beh, lo vedrete.

Tutti i personaggi che verranno nominati sono presenti in libri, audio e episodi, leggendo avrete modo di conoscerli tutti quanti.

Prima di iniziare:

- Lungbarrow è la casa di appartenenza del Dottore, Oakdown è la casa di appartenenza del Maestro. I Lungbarrow sono Oldblood e gli Oakdown Newblood, la differenza consiste essenzialmente nel fatto che i Newblood, oltre a essere stati creati dopo (sì, creati), possono controllare le rigenerazioni, mentre gli Oldblood no, inoltre gli Oldblood hanno inizialmente un cuore solo, differenza che scompare con la prima rigenerazione.

- Il Dottore era granché con la telepatia da bambino.
- I Gallifreyani: secondo i libri (e no, non ho intenzione di prendere in considerazione il film del '96 dove dicono diversamente), i gallifreyani possiedono un corpo antropomorfo perché esso è stato creato sinteticamente (immaginatevi delle menti fluttuanti senza corpo), a causa di una maledizione o a un difetto di progettazione, le spiegazioni divergono, (non sono solo i cuori a essere doppi, molti degli organi interni lo sono) sono diventati sterili e quindi la loro riproduzione avviene tramite dei telai genetici che creano nuovi corpi nei quali vengono inserite parti di mente di Gallifreyani morti e mescolate per creare una nuova personalità (le menti di tutti i morti finiscono nella Matrice, una specie di database).

- La loro specie è caratterizzata da una mente alveare, riguardo questo punto non ci sono spiegazioni chiare, credo si intenda che questa rete telepatica permetta loro di essere sempre in contatto, permette loro di riconoscersi senza dover fare affidamento sull'aspetto esteriore e sono in grado di percepire la emozioni molto forti (tipo un forte shock, odio, …). Inoltre sono “touch telepath”: attraverso il contatto fisico sono in grado di comunicare telepaticamente nel vero senso della parola (per questo mi disturba il fatto che il Dottore non abbia riconosciuto Missy... ha detto di essere il Maestro, era il tuo migliore amico, come fai a non riconoscerlo se ti ficca la lingua in gola quando la prima volta che vi siete rivisti nel NewWho, appena è tornato a essere un Signore del Tempo, lo hai riconosciuto prima ancora che aprisse bocca? Ma non apriamo un dibattito).

- I Tamburi: nel classic il Maestro non li sente, in End of Time scopriamo che Rassilon glieli ha messi in testa durante la guerra del Tempo: è tornato indietro a quando lui era bambino e glieli ha regalati, un piccolo omaggio (morisse male). In questo modo dovrebbe essersi creata una Timeline alternativa in cui li ha sempre sentiti in teoria... beh, capite quale sia il problema, no?

...credo che per ora le spiegazioni siano sufficienti, buona lettura (tutte le informazioni sono reperibili su Tardiswikia e a questo link https://docs.google.com/document/d/1wSQFPFXwETuD9iC10H60VwuWNE2jUo_lbaZ2Imf7cvU/edit?pli=1 un croce: canon, due croci: speculazioni. Per coloro che dovessero avere già conoscenze dell'UE: in alcuni punti mi sono discostata per esigenze di trama).







 

TOGETHER WE CAN WIN SPACE, TIME AND DEATH

 

Thinking of the times
How we laughed and cried
I wouldn't change a thing
I couldn't even if I tried
Through the wind and rain
The spirit of our song remains the same

 

Non gli piaceva la casa dei Lungbarrow. Non gli piacevano i cugini e la mentalità. Odiava doversi comportare sempre come una bravo soldatino, ligio al dovere, zelante e obbediente.

Lui non voleva andare all'Accademia, né arruolarsi. Lui voleva esplorare l'universo, vedere mondi nuovi, viaggiare. Non credeva nella supremazia dei Signori del Tempo.

Per questo spesso scappava a correre nei prati vicini alla Casa, per stare da solo, lontano dai cugini, che oltretutto non perdevano occasione per prenderlo in giro perché meno dotato di loro nella telepatia e perché, di notte, piangeva perché aveva paura del buio.

Si sedette sull'erba, godendo della visione del panorama.
Fu allora che notò qualcuno all'orizzonte. Sembrava un bambino come lui e correva, sembrava venire dalla Casa degli Oakdown poco distante. Lo osservò per un po', curioso, e quando lo vide buttarsi a sedere poco lontano da lui, il fiato corto per la corsa, lo guardò meglio: aveva i capelli neri corti con la frangetta, ora tutti spettinati, e grandi occhi blu.

- Tutto bene? - la domanda gli uscì spontanea e l'altro alzò di scatto la testa, guardandolo. Era stupito, chiaramente non l'aveva visto e non si aspettava di trovare nessuno lì.
- Sì. Grazie. - fece una pausa, senza smettere di guardarlo con stupore. - Tu chi sei?
- Mi chiamo Dottore, sono della Casa Lungbarrow. - gli porse la mano per stringergliela, ma l'altro la osservò con apprensione.
- Dottore? - chiese l'altro perplesso senza però avvicinarsi.
L'altro fece un sorriso imbarazzato. - È il nome che mi sono scelto... i miei cugini mi chiamano Lumaca. - spiegò facendo una smorfia.
- Oh. Io sono Koschei, Casa Oakdown. - spiegò, evitando di stringergli la mano, e il Dottore aggrottò le sopracciglia.
- D'accordo, Koschei... - fece una pausa, poi decise di rischiare e sorrise. - Non ti mangio, sai?
Koschei accennò un sorriso, per poi scuotere la testa. - No, lo so. Non è per te, è che... è meglio che non mi tocchi. - si allontanò di qualche passo come per sottolineare quelle parole e il Dottore sgranò gli occhi.
- Perché? Sei malato?
- No, io... non lo so, - ammise, abbassando lo sguardo - ma se mi toccassi sentiresti qualcosa. Nella mia testa. E non voglio. Non sono pazzo. - aggiunse subito, una punta di disperazione nella voce, lo sguardo supplichevole. - Davvero, è solo che, da quando ho guardato nello Scisma, sento delle cose. Come dei tamburi. Sempre.
Il Dottore alzò le sopracciglia, stupito. Non si aspettava certo una risposta del genere, ma non era né spaventato né disgustato, anzi. - Davvero? Interessante! Comunque non preoccuparti, - aggiunse - io con la telepatia non me la cavo bene. Non sentirei niente, probabilmente. Però... posso provare? - domandò, lo sguardo speranzoso, e Koschei lo fissò, preso in contropiede. Era la prima volta che qualcuno gli rispondeva così quando parlava dei tamburi, la prima volta che non veniva allontanato né rimproverato o preso in giro. Guardò il biondino con un nuovo rispetto.
- Beh... se proprio vuoi. - rispose, cauto, e l'altro annuì, entusiasta. Gli si avvicinò e, con delicatezza, gli appoggiò le mani sul viso e la fronte contro la sua, chiudendo gli occhi. Quando si allontanò, qualche istante dopo, sorrideva.
- Io non sento niente... - disse - però questo non vuol dire che non ti creda.
Koschei sorrise di rimando, sentendosi stranamente sollevato. Quel bambino era riuscito a tranquillizzarlo in pochi minuti. - Grazie. Se vuoi posso insegnarti la telepatia, dicono che sono molto bravo. Solo se vuoi. - specificò immediatamente. Non voleva sembrare troppo invadente, ma l'altro si esibì in un sorrisone.
- Mi piacerebbe molto! Quando?
- Domani?
- Perfetto. Domani, qui. Ci sarò. - si voltò a guardare verso la sua Casa. - Ora però è meglio che vada, Koschei. Mi ha fatto piacere conoscerti. - gli porse la mano e questa volta l'altro la strinse, sorridendo. - Ci vediamo domani. - lo salutò e corse via.
Mentre correva verso Casa non riusciva a smettere di sorridere. Aveva trovato un amico. Non sapeva perché ma, nonostante lo conoscesse da pochi minuti, sentiva che Koschei sarebbe stato molto importante.

 

Koschei si nascose in camera, dietro al letto, le lacrime che gli rigavano le guance.

Aveva mal di testa. Un mal di testa atroce che non accennava ad andarsene, tutto per colpa dei tamburi che gli rimbombavano nel cervello da quando aveva guardato nello Scisma, pochi giorni prima.

E nessuno gli credeva. I suoi cugini lo prendevano in giro, gli dicevano che era pazzo, che non era possibile. E lui non sapeva mai cosa replicare. Aveva provato con la telepatia, ma non ci credevano o lo ignoravano.

Singhiozzò, stringendosi le ginocchia al petto. Si sentiva solo. Non c'era nessuno che lo consolasse, nessuno che lo capisse. Vedeva alcuni degli altri bambini della sua età venire consigliati da quelli più grandi, aiutati, e li invidiava. A volte si chiedeva cosa si provava ad essere abbracciati. L'aveva visto fare da una sua cugina molto più grande ad un'altra sua coetanea, un giorno in cui quest'ultima piangeva perché si era fatta male. Le aveva guardate, stupito, e anche lui aveva desiderato un abbraccio da qualcuno. Qualcuno che gli dicesse che sarebbe andato tutto bene, che quei tamburi sarebbero spariti.

Si alzò in piedi, non ne poteva più di stare lì. Corse fuori, sul prato, lontano dalla Casa.

Si era appena seduto quando sentì una voce. - Tutto bene? - alzò la testa, stupito, e poco distante da sé vide un bambino a occhio e croce della sua età, i capelli biondi e gli occhioni scuri.
- Sì. Grazie. Tu chi sei?
- Mi chiamo Dottore, sono della Casa Lungbarrow. - gli porse la mano e Koschei trattenne il respiro, fissandola. Non poteva stringerla, assolutamente.
- Dottore? - che nome bizzarro...
L'altro fece un sorriso imbarazzato. - È il nome che mi sono scelto... i miei cugini mi chiamano Lumaca. - spiegò facendo una smorfia e lui si ritrovò a chiedersi il perché ma non osò domandarlo direttamente.
- Oh. Io sono Koschei, Casa Oakdown. - spiegò, evitando di stringergli la mano, e l'altro aggrottò le sopracciglia.
- D'accordo, Koschei... - fece una pausa e sorrise - non ti mangio, sai?
Era chiaro che stava accennando alla stretta di mano e il bambino cercò di sorridere, scuotendo la testa. - No, lo so. Non è per te, è che... è meglio che non mi tocchi. - si allontanò di qualche passo per essere sicuro di rendere l'idea e l'altro sgranò gli occhi.
- Perché? Sei malato? - domandò ingenuamente e Koschei sperò quasi che fosse così.
- No, io... non lo so, - ammise, abbassando lo sguardo - ma se mi toccassi sentiresti qualcosa. Nella mia testa. E non voglio. Non sono pazzo. - aggiunse subito, una punta di disperazione nella voce, lo sguardo supplichevole. - Davvero, è solo che, da quando ho guardato nello Scisma, sento delle cose. Come dei tamburi. Sempre. - tacque, rendendosi conto di aver parlato a raffica. Si pentì subito di quelle parole, convinto che quello strano bambino, dopo averle ascoltate, se ne sarebbe andato a gambe levate dopo avergli rivolto un'occhiata di disprezzo, ma non fu così.
- Davvero? Interessante! Comunque non preoccuparti, - aggiunse - io con la telepatia non me la cavo bene. Non sentirei niente, probabilmente. Però... posso provare?
Koschei lo fissò come se gli fossero spuntate tre teste, per poi sorridere. Non era scappato. Non l'aveva insultato. Era ancora lì, sorridente, ben intenzionato a sentire i tamburi che gli martellavano in testa. Decise di accontentarlo.
- Beh... se proprio vuoi. - rispose con cautela e l'altro annuì con entusiasmo. Si avvicinò subito a lui e gli appoggiò le mani sul visto, la fronte contro la sua. Koschei chiuse gli occhi, concentrandosi sulla comunicazione telepatica. I tamburi erano forti, doveva sentirli. Per forza. E a quel punto sarebbe scappato? Forse prima non ci credeva davvero e ora che aveva la prova se ne sarebbe andato. E se invece non li avesse sentiti? Lo avrebbe creduto pazzo come tutti gli altri. Sentiva i cuori battere all'impazzata per l'ansia. Non voleva che il Dottore se ne andasse. Si sentiva stranamente a suo agio con lui, nonostante lo conoscesse da pochissimo.
Il Dottore si allontanò poco dopo, sorridendo. - Io non sento niente... - disse - però questo non vuol dire che non ti creda.
Koschei lo fissò, sbalordito. A quanto pareva non se la cavava davvero molto bene con la telepatia, eppure gli credeva. Sorrideva. Era il primo sorriso sincero che vedeva da mesi e sorrise di rimando, tranquillizzato.
- Grazie. Se vuoi posso insegnarti la telepatia, dicono che sono molto bravo. Solo se vuoi. - aggiunse, non voleva sembrare troppo invadente, ma il Dottore sorrise, felice.
- Mi piacerebbe molto! Quando?
- Domani?
- Perfetto. Domani, qui. Ci sarò. - si girò verso la sua Casa. - ora però è meglio che vada, Koschei. Mi ha fatto piacere conoscerti, - gli porse la mano e questa volta l'altro la strinse, sorridendo - ci vediamo domani. - lo salutò e corse via.
Koschei lo guardò correre via sorridendo.

Forse ho trovato un amico.

 

- Non entrerà mai all'Accademia.
- Te l'ho già detto, non ci vuole andare.
Le voci e i passi si allontanarono, il bambino rimase nascosto sotto le coperte, incapace di trattenere le lacrime.
Non sarebbe tornato dentro.
Non sarebbe tornato in mezzo ai suoi cugini, lo avrebbero deriso perché piangeva, dandogli del fifone.
Non voleva andare all'Accademia e non voleva che lo guardassero piangere.
Un scricchiolio interruppe i suoi pensieri. Una voce chiamò nel buio.
Si tirò la coperta ancora più su per nascondere la testa, chi era entrato?
Le assi continuavano a scricchiolare sotto i passi dell'intruso, i bisbigli emessi da quest'ultimo non aiutavano di certo il bambino a calmarsi.
I rumori cessarono all'improvviso.
Che fosse Torvic? Impossibile. Torvic era morto. Lo aveva... un singhiozzo uscì dalle sue labbra. Torvic era morto, per colpa sua. Lui lo aveva ucciso.
Ma se non l'avessi fatto avrebbe ucciso Kos. Si aggrappò disperatamente a questo pensiero ma non fu sufficiente a farlo smettere di tremare.
E se fosse stato il suo fantasma? Il fantasma di Torvic? Si diede automaticamente dello stupido, i fantasmi non esistevano... però aveva sentito alcune storie, raccontategli da uno degli altri della casa... storie dei terrestri, sembravano molto convincenti.
Piano piano tirò fuori la testa da sotto le coperte e si guardò attorno, niente.
Si mise seduto con le gambe penzoloni, non c'era nulla nel granaio a parte lui... che si fosse solo immaginato quei rumori?
Si alzò in piedi e fu in quel momento che accadde. Qualcosa, da sotto il suo letto, gli afferrò un piede e gli sussurrò di sdraiarsi di nuovo, gli disse che era tutto un sogno e che se fosse tornato a dormire tutto si sarebbe risolto.
Avrebbe voluto urlare ma la voce gli restò bloccata in gola. Sentiva il cuore martellare contro il petto. Chi c'era sotto il suo letto? Quella voce... quella era una voce di donna.
Decise di fare come gli era stato detto e si nascose di nuovo sotto le coperte, sperando che qualsiasi cosa ci fosse sotto il suo letto non gli avesse mentito e si limitasse davvero ad andarsene.
I rumori ricominciarono: sentì la creatura uscire da sotto il suo letto e iniziare ad allontanarsi... non riuscì a trattenere il pianto, cosa stava succedendo? Era un incubo? Quella creatura era lì sotto a causa di qualcosa che aveva fatto? Era per la morte di Torvic?
Sentì di nuovo i passi avvicinarsi e cercò di farsi più piccolo che poté. L'essere che era stato sotto al suo letto si sedette accanto a lui e gli posò una mano sulla testa.
Quindi è una persona... c'era una persona lì sotto.
La voce di donna iniziò a parlargli, gli parlò della paura e di imparare a conviverci, di prendere la propria forza da essa, mentre gli accarezzava i capelli per cercare di calmarlo.

Finalmente il piccolo Dottore si tranquillizzò e riuscì ad addormentarsi cullato dalla voce di quella ragazza misteriosa.

 

Il bambino si guardò attorno spaesato. Si era aspettato di veder comparire il suo amico alla cerimonia di benvenuto che l'Accademia aveva indetto per i nuovi arrivati, ma non era stato in grado di trovarlo in mezzo alla folla.

Non aveva prestato molta attenzione alla presentazione, si era limitato ad osservare gli altri bambini.

Finalmente l'uomo che aveva capito essere un professore smise di parlare e loro vennero divisi in gruppi in modo che fosse più facile controllarli durante la visita dell'Accademia.

Quel luogo sembrava essere immenso e lui aveva provveduto a eliminare sistematicamente dalla sua memoria ogni informazione riguardante le aule e il modo per raggiungerle. Che scusa avrebbe avuto per arrivare in ritardo altrimenti? Come avrebbe giustificato le corse per quei corridoi interminabili?

Dopo un tempo che parve infinito, i bambini vennero accompagnati nella zona riservata al dormitorio. Il gruppo iniziò a sfoltirsi a mano a mano che venivano assegnate le stanze fino a che rimase solo lui con l'uomo che gli stava facendo da cicerone. Come si chiamava? Borusa? Non gli piaceva molto...

- Eccoci qua.
La voce di Borusa lo riportò alla realtà.

- Beh? Che cosa stai aspettando? - chiese impaziente, era evidente che avrebbe preferito far parte dei Giochi piuttosto che fare da balia a un marmocchio.

Il bambino si guardò attorno, come se si aspettasse di vedere spuntare qualcuno da un momento all'altro.

Chissà dove era andato a cacciarsi il Dottore.

Che se ne fosse dimenticato?

Che fosse scappato?

Eppure gli aveva promesso che si sarebbero trovati lì...

Sospirò e si diresse con lentezza esasperante verso la porta della stanza, si aprì e lui entrò con la stessa calma irritante.

Sentì distintamente il suo accompagnatore sbuffare e allontanarsi in fretta mentre la porta si richiudeva alle sue spalle... non poté fare a meno di lasciarsi sfuggire un sorriso di scherno. Quanto potevano essere stupidi gli adulti?

Accantonò quei pensieri e sollevò lo sguardo verso l'interno della stanza.

- Eccoti finalmente! Dove eri finito? - gli chiese il bambino biondo poco distante che si era accorto di lui a causa del rumore provocato dalla porta.

- Dove ero finito io? Ma sei stato tu a non esserti presentato, ti ho cercato!

L'altro lo guardò un attimo perplesso per poi aprirsi in un sorriso.

- Devono averci messo in due gruppi diversi. Almeno ci siamo ritrovati.

Koschei annuì e rivolse la sua attenzione verso l'altro occupante della stanza: un bambino dai capelli rossi e l'aria da attaccabrighe. - E lui chi è?

- Oh, giusto! Lui è Magnus, un nostro compagno di stanza. Magnus, questo è Koschei, è il mio migliore amico.

Magnus fece qualche passo nella sua direzione, la mano tesa per imitare il saluto degli adulti.

Il bambino moro si ritrasse d'istinto, le braccia conserte, un'espressione diffidente sul volto.

L'altro rimase sorpreso e abbassò la mano. - Ho fatto qualcosa di sbagliato?
- No. - intervenne il Dottore prima che l'amico potesse rispondere. - Lui... - si pentì subito di aver preso la parola, non sapeva come completare la frase senza mettere in imbarazzo Koschei o offendere Magnus.

Quest'ultimo li osservò confuso, facendo passare lo sguardo da uno all'altro. - Certo che siete strani. - si limitò a commentare e si buttò sul letto.

Koschei fece finta di non averlo sentito e iniziò a studiare la sua nuova camera.

- Perché non vuoi che la gente ti tocchi? - chiese Magnus a bruciapelo dopo un momento di assoluto silenzio.

Il Dottore si trovò a pensare che il loro nuovo amico non era particolarmente dotato di tatto.

Koschei si irrigidì. - Non ti riguarda. - rispose secco, sdraiandosi sul proprio letto.

- Kos! - lo riprese l'amico. - Ti ha solo fatto una domanda. Lui non lo sa.
- Appunto. Non lo sa perché non sono affari suoi. - sbottò con astio, non aggiungendo altro e girandosi verso la parete, dando le spalle agli altri due bambini.

Il Dottore rimase un momento a fissare la sua schiena, non riusciva a capire il motivo del suo malumore: Magnus aveva teso la mano per stringere la sua, ma Koschei avrebbe potuto tranquillamente trovare una giustificazione accettabile al suo comportamento... invece era diventato ostile e si era messo sulla difensiva. Decise di lasciar perdere per il momento.

Ne avrebbero parlato più tardi.

 

La situazione non accennava a migliorare: Koschei restava chiuso nel suo mutismo, il Dottore aveva provato in diversi modi a parlargli per capire cosa andasse, voleva capire cosa avesse turbato l'amico, ma quest'ultimo non sembrava intenzionato a scendere a più miti consigli.

Con il passare del tempo, il Dottore iniziò a sentirsi a disagio: aveva davvero sperato che non sarebbe successo, aveva sperato che, avendo conosciuto Koschei, non sarebbe stato solo e forse l'Accademia non si sarebbe rivelata così terribile.

Poi era arrivato Magnus e aveva iniziato a formarsi in lui l'idea che si sarebbe riuscito a fare anche altri amici.

Invece ciò che più lo spaventava era diventato reale: era solo.

Koschei non gli rivolgeva la parola.

Magnus, da qualche giorno a quella parte, era diventato intrattabile.

Dove aveva sbagliato?

Fino a qualche giorno prima sembrava stesse andando tutto per il meglio.

 

Avrebbe iniziato da Magnus.

Aveva finalmente deciso di sbloccare la situazione, avesse dovuto litigare davvero con i suoi compagni di stanza, e aveva deciso di parlare prima con Magnus, per parlare con Koschei avrebbe dovuto trovare un momento per prenderlo in disparte in modo che nessuno si intromettesse o sentisse la loro discussione. Sarebbe stato un po' più complicato.

E poi per quanto insofferente e irritabile almeno Magnus gli rivolgeva ancora la parola... ogni tanto.

Lo cercò per tutta l'Accademia ma non riuscì a trovarlo, quando stava per darsi per vinto lo vide: era in un cortiletto interno dove nessuno andava mai e stava tirando calci a un albero.

Il Dottore rimase a guardarlo finché non ebbe terminato e finalmente parlò.

- Magnus. Finalmente ti ho trovato. Volevo parlarti.

L'altro gli lanciò un'occhiata furtiva ma non rispose.
- Perché stavi prendendo a calci quell'albero?
Il bambino dai capelli rossi brontolò qualcosa a denti stretti, non abbastanza forte, però, da farsi sentire.

Si allontanò di qualche passo e si sedette su una pietra, le gambe divaricate e lo sguardo rivolto a terra come se tra l'erba ci fosse un qualche segreto di vitale importanza da essere decodificato.

Il Dottore si avvicinò cauto e si sedette per terra davanti a lui, le gambe incrociate, un sorriso conciliante stampato sul volto.

Rinunciò presto a quella facciata, sospirò e si decise ad affrontare la questione.

- Ascolta, volevo parlarti degli ultimi giorni. Io non sono abituato ad avere molti amici ma mi sembrava che fosse tutto a posto. Ho fatto qualcosa di sbagliato?
L'amico lo guardò sorpreso. - No. Tu non c'entri. - fece per alzarsi e andarsene ma il Dottore lo afferrò per una manica.

- E allora perché non ci parli più?
- Beh, non è che il tuo amico mi parlasse molto anche prima. - rispose con un sorriso di scherno.
- A lui penserò dopo. Non hai risposto alla mia domanda.
Magnus si guardò attorno, come se avesse avuto paura che qualcuno avesse potuto sentire. - Tu sei un Lungbarrow, giusto? E il tuo amico è Oakdown.
Il Dottore lo guardò perplesso. - Sì, perché?
- Diciamo che... ci sono delle voci che girano su di voi. - disse storcendo il naso.
- Voci?
- Sì, beh... dicono che non siete degni delle case a cui appartenete e che siete... come posso dire... - Magnus sembrò davvero sforzarsi di trovare il modo migliore per dirlo, ma alla fine dovette cedere - difettosi.

Il Dottore rimase a fissarlo sconcertato. - Difettosi?

L'altro annuì. - È quello che dicono alcune persone. La mia famiglia mi ha scritto, vogliono che cambi stanza. Frequentarvi non fa bene al nome della mia famiglia.
- Capisco.
L'amico continuò a parlare, probabilmente non capendo cosa stava succedendo nella mente dell'altro o in estremo tentativo di giustificarsi. - Dicono che tu sia un debole, che sei scappato alla vista dello Scisma e che saresti scappato anche il primo giorno d'Accademia se non ti avessero costretto a venire. Dicono che Koschei sia impazzito guardando nello Scisma, che senta cose che non ci sono...
- Beh, non si può dire che non abbiano un qualche fondamento... chi vorrebbe essere amico di un pazzo? - Il bambino strinse i denti e si alzò in piedi. - È per questo che ci stai evitando? - fece per allontanarsi e lasciare solo Magnus.
- Io non sono difettoso. - aggiunse prima di rientrare all'Accademia, la voce incrinata. - E Koschei non è pazzo. C'è davvero qualcosa nella sua testa. Libero di non crederci e di considerarci difettosi. - disse pronunciando questa parola con disprezzo. - Spero ti divertirai con i tuoi nuovi compagni di stanza.

- Ehi, aspetta! - il Dottore se n'era già andato. Corse lungo i corridoi, si andò a rintanare in un posto che riteneva abbastanza isolato e iniziò a piangere, le gambe strette tra le braccia e la testa sulle ginocchia.

Alla fine non era cambiato niente. Anche lì pensavano che fosse strano e debole... come avrebbe fatto a farsi nuovi amici ora che tutti la pensavano così?

E neanche Koschei voleva parlargli.

Quando finalmente si fu calmato, si rese conto che probabilmente era tardi e sarebbe dovuto essere in camera da un bel po'... aveva perso la concezione del tempo.

 

L'Accademia era completamente deserta. Accelerò il passo: se si fosse fatto trovare fuori dal dormitorio a quell'ora tarda sarebbero stati guai.

Arrivò finalmente alla porta della sua stanza, si avvicinò e aspettò finché non si aprì. Si rese conto che stava ansimando, aveva accelerato il passo fino quasi a correre.

Entrò in silenzio, preoccupato di non svegliare gli altri nel caso fossero già andati a dormire, ma rimase sorpreso quando vide solo Koschei, per di più ancora sveglio.

Magnus aveva già cambiato stanza?

Non ebbe molto tempo per rifletterci, un movimento attirò la sua attenzione che fu riportata alla realtà: Koschei gli aveva dato le spalle e stava per andare a dormire.

- Kos? - chiamò con voce incerta.

L'altro si bloccò. - Cosa vuoi? Ho sonno.
Il Dottore deglutì a vuoto e si decise a parlare. - Vorrei sapere cos'ho fatto.
Koschei si girò verso di lui, un sopracciglio inarcato.

- Sei arrabbiato con me per qualche motivo, ma non riesco a capire. Ho detto o fatto qualcosa di sbagliato?

- Che ti importa? Tanto mica devi essere amico di un pazzo. - sbottò storcendo il naso e ignorando lo sguardo ferito dell'amico.

Il Dottore sgranò gli occhi e lo guardò come gli avesse appena tirato uno schiaffo.

- Ma di cosa stai parlando?

- Di cosa sto parlando? Perché non lo chiedi al tuo amico visto che ora andate così d'accordo? - Koschei gli diede di nuovo le spalle, ma la voce del Dottore lo trattenne.

- Ma che... - l'illuminazione lo colpì all'improvviso. - Oh. Ci hai sentiti parlare nel cortile, vero?
L'amico rimase in silenzio per qualche secondo poi finalmente esplose. - Tu avevi detto di avermi creduto! Avevi detto che non avevi sentito niente ma che mi credevi!
- Ma infatti ti credo...
- Bugiardo! Ti ho sentito. - disse, la voce che tremava. - Magnus ha detto che dicono che sono pazzo e che sento cose che non ci sono. E tu gli ha risposto che era vero e che nessuno vorrebbe essere amico di un pazzo.

Il Dottore sospirò, attraversò la stanza e si mise davanti a lui, le mani sulle sue spalle e gli occhi fissi nei suoi. - Amico mio, tu sei proprio un idiota. - disse continuando a guardarlo con sguardo serio e deciso. - Il peggior idiota che abbia mai conosciuto.

Koschei sgranò gli occhi, troppo sconvolto per liberarsi dalla presa e sfuggire all'abbraccio improvviso dell'amico.

- Ma che stai...
- La prossima volta che hai intenzione di origliare una conversazione, vedi di ascoltare tutto. - gli brontolò all'orecchio per poi lasciarlo andare e scoppiare a ridere.

L'espressione confusa di Koschei non ebbe altro effetto che farlo ridere ancora più forte.

- È vero, - riprese alla fine - stavamo parlando di quello che dicono di noi due e del fatto che dovrà cambiare stanza... ma io non ho mai detto che fosse vero che tu sei pazzo, Kos. Stavo solo rispondendo alle sue assurdità. Se tu fossi rimasto un attimo di più o ti fossi avvicinato avresti sentito anche che gli ho detto che non c'è niente che non va nella tua testa e che non sei pazzo, che i tamburi ci sono davvero.

- Davvero?
Il Dottore annuì sorridendo. - Però non è solo questo, vero? È da un po' che ti comporti in modo strano. Si può sapere che ti è preso? Praticamente non mi rivolgi la parola da giorni.

Koschei sembrò profondamente imbarazzato da quella domanda e borbottò qualcosa che l'altro non riuscì a capire.
- Come dici?
Prese un respiro profondo e riprovò. - Tu fai davvero presto a conoscere le persone. Già il primo giorno ti eri fatto un nuovo amico, probabilmente nei prossimi giorni te ne farai altri e io passerò in secondo piano.
- Perché dici questo?
- Oh, andiamo! Hai sentito cos'ha detto Magnus. E ha ragione, almeno in parte. Sono difettoso, chi mai vorrebbe stare con me?
L'amico lo guardò come se gli fossero spuntate tre teste. - Io. - rispose candidamente.

- Tu conoscerai altre persone e ti farai nuovi amici, loro non vorranno anche me tra i piedi. - mormorò con un filo di voce, gli occhi lucidi. - E sarò di nuovo da solo.

Il bambino biondo davanti a lui sentì un groppo in gola. Koschei sembrava sinceramente convinto che lo avrebbe abbandonato, come avrebbe potuto fare a convincerlo del contrario?

Sospirò e iniziò a parlare. - Era quello a cui stavo pensando anche io oggi. Sai, tu sei stato il mio primo vero amico. A parte Badger, ma è un avatroide, non è proprio come avere un amico della mia età, eh? - abbozzò un sorriso. - Avevo davvero paura di iniziare l'Accademia, avevo paura che mi prendessero tutti in giro come a casa e che sarei rimasto solo... poi ho conosciuto te. Arrivato qui ho incontrato Magnus e ho pensato che magari sarei riuscito a conoscere altre persone, ma poi abbiamo litigato e tu non mi rivolgevi la parola. Pensavo che sarebbe successo davvero ciò che avevo immaginato prima che diventassimo amici.

L'amico alzò lo sguardo, gli occhi ancora arrossati, doveva aver pianto poco prima che lui arrivasse. Solo in quel momento si accorse che anche il Dottore aveva gli occhi rossi. Che stupido era stato.

- Sei il mio migliore amico, Kos. - proseguì il bambino. - Quindi non pensare neanche per un attimo che ti abbandonerei solo perché certe persone non sono abbastanza intelligenti per capire. Non ti conoscono quindi la loro opinione per me non vale nulla e se non accetteranno te, allora non potranno essere neanche miei amici.

Il piccolo terminò il suo discorso con decisione e appoggiò lo sguardo risoluto sull'amico, Koschei sorrise sollevato. Avrei dovuto dirglielo subito, pensò, era stata sciocco preoccuparsi, ora si sentiva molto meglio ed era sicuro che il Dottore avrebbe mantenuto la parola. Lo faceva sempre.

Il Dottore sembrava aspettare solo quello perché si esibì in uno dei suoi tipici sorrisi.

 

La crisi era passata, lui e Koschei si erano finalmente chiariti e la prospettiva di una giornata di lezioni il giorno seguente non era così tragica ora che non erano più soli.

Stavano ridendo e chiacchierando da un po' quando Magnus entrò nella stanza. Un silenzio di tomba calò sulla stanza e i due amici si limitarono a osservare il bambino dai capelli rossi davanti a loro.

Magnus fece scorrere lo sguardo da uno all'altro e sospirò quando capì che si erano riappacificati ma il Dottore aveva raccontato a Koschei ogni cosa.

- Perché sei qui? Non ti eri spostato in un'altra stanza? - chiese il Dottore con durezza.
Magnus alzò lo sguardo per incontrare il suo, l'amico si sentì stranamente in colpa: l'altro sembrava esserci rimasto male... ma era stato lui a cominciare.

- Non mi sono spostato. Mi hanno spostato. È stata la mia famiglia a chiedere che non rimanessi in camera con voi perché dicono che “lo stupido e il pazzo nuocciono al nome della famiglia”.
Il Dottore deglutì, Koschei non aveva ancora aperto bocca. - E quindi perché sei qui?
Magnus distolse lo sguardo fingendosi imbarazzato ma non riuscì a nascondere un lampo di malizia. - Ho detto al professore incaricato del mio trasferimento che la mia famiglia aveva cambiato idea.
I due bambini sgranarono gli occhi e si guardarono stupefatti.
- E ti ha creduto? - finalmente Koschei si era deciso a parlare con il compagno di stanza.
L'altro sorrise. - Beh, non può certo mettere in dubbio la parola della mia famiglia, giusto? - rispose porgendo un foglio scritto a mano ai due amici.

Il Dottore e Koschei studiarono ciò che era scritto su quel pezzo di carta come se fosse una verità rivelata.
- Quindi resti? - chiese il bambino moro perplesso.
L'altro annuì deciso per poi aggiungere un timido: - Se per voi va bene...

- Perché lo hai fatto? Mi hai detto che noi...
Magnus lo interruppe esasperato. - Lo so cos'ho detto. Ho riportato delle voci. Cose che ho sentito dire, non ho mai detto che le penso. E comunque, visto che loro pretendono da me un comportamento degno del mio nome e del mio addestramento, che vogliono che segua il percorso deciso da loro e che la mia opinione in merito non conta nulla, almeno starò in camera e parlerò con chi vorrò io, che gli piaccia o no.

Koschei era sbalordito: quel bambino li conosceva da poco, aveva sentito tutto ciò che dicevano di loro e sapeva che ciò che dicevano su di lui era vero, lo aveva ignorato e gli aveva risposto male sin dal primo giorno... eppure era lì e aveva intenzione di restarci. Forse lo aveva giudicato in modo troppo affrettato.

Avrebbe dovuto imparare a non agire così d'impulso quando conosceva qualcuno e a non dare per scontato che lo avrebbero evitato se avessero saputo dei tamburi... avrebbe dovuto, ma aveva provato ed era rimasto deluso così tante volta prima di conoscere il Dottore che ora non riusciva a sbloccarsi, la paura era troppa.

Il Dottore stava già sorridendo a Magnus: si era scusato e si era spiegato, per lui era più che sufficiente.

- Quindi posso restare? - la voce del bambino lo riportò alla realtà.
Entrambi annuirono e l'atmosfera si fece molto più rilassata.

Magnus lanciò uno sguardo al Dottore, tutto era risolto e potevano tornare a parlarsi in tutta tranquillità. Si voltò verso Koschei e storse il naso.
- Credo abbiamo iniziato con il piede sbagliato... ricominciamo?
Koschei sorrise e annuì. - Koschei Oakdown. - fece finta di presentarsi. - Ti stringerei la mano ma sentiresti dei tamburi nella mia testa. - disse imbarazzato e a disagio.
- Io sono Magnus. - sorrise lui di rimando. - E non è un problema: ho i capelli rossi, coloro che hanno i capelli rossi si possono isolare dalla mente alveare quando vogliono. Non sentirò nulla. - disse tendendo la mano.
Koschei lo osservò non particolarmente convinto, ma alla fine cedette e i due si scambiarono una stretta di mano, Magnus fece un occhiolino. - Il silenzio, nessun problema.
L'altro riuscì finalmente a rilassarsi del tutto e i tre amici rimasero a chiacchierare fino ad ora tarda. Finalmente a letto, dopo qualche momento di silenzio, il Dottore parlò. - Magnus? - sussurrò, consapevole che Koschei si era già addormentato.
- Sì?
- Sei riuscito davvero ad isolarti dalla mente alveare?
Magnus rimase un attimo in silenzio. - No. Non sono ancora capace di farlo, sto ancora imparando. Per ora riesco solo a schermare i miei pensieri.
- Quindi in realtà li hai sentiti.
- ...sì, ma sono riuscito a non fargli sentire che mi sono accorto dei tamburi.
Entrambi rimasero in silenzio per qualche minuto.
- Perché lo hai fatto?
- Lui non voleva che li sentissi, no? Era questo il problema, giusto? Ho mentito, ma che male può fare una bugia così piccola... lui non è in imbarazzo e non se ne preoccupa più e per me non fa molta differenza, sapevo già che non era matto, me lo hai detto tu.
- Capisco. Buonanotte, Magnus.
- Buonanotte.
Nello stesso momento, nel buio, Koschei si ritrovò a sorridere suo malgrado. Gli aveva mentito, questo era vero, ma l'aveva fatto perché potessero essere amici e non poteva di certo lamentarsi: era la seconda persona nella sua vita che si comportava in modo gentile con lui... chiuse gli occhi e lasciò che il sonno prendesse il sopravvento.
 

Era ormai passato un mesetto dal loro arrivo all'Accademia e tutto sembrava procedere per il verso giusto.

Un nuovo “compagno di stanza” era ora presente: una cugina del Dottore aveva mandato Badger, un avatroide, all'Accademia. Il Dottore fece salti di gioia al solo vederlo e supplicò perché potesse restare in camera con loro.

Ce la fece per sfinimento: ottenne il permesso di farlo dormire con loro a patto che non riempisse di pelo tutta la stanza.

 

Magnus e Koschei scoprirono di essere particolarmente portati per certe materie e il Dottore particolarmente pigro.

Questo comportava che il loro tipico pomeriggio consistesse nello studiare e giocare all'aperto... tranne per il Dottore. Lui lo occupava tutto guardando fuori dalla finestra, perso dietro a chissà quali pensieri, mentre gli altri due studiavano, e correndo da una parte all'altra meravigliandosi di qualsiasi cosa quando erano fuori nel tempo libero... per poi ritrovarsi a supplicare i due amici di lasciargli copiare i compiti cosa che, dopo diverse lamentele e minacce da parte loro di non aiutarlo più, accadeva puntualmente ogni giorno.

Quel giorno però si sarebbe rivelato differente.

- Ehi! - sbraitò Koschei per l'ennesima volta mollandogli un calcio in uno stinco. - Si può sapere perché fissi sempre fuori dalla finestra? Impegnati per una volta, altrimenti quando ci saranno gli esami sarai nei guai.
Il Dottore si girò verso di lui, lo sguardo assente. - Come? - chiese cascando dalle nuvole.

- Compiti. - scandì l'amico come se stesse parlando con un ritardato.
L'amico scosse la testa. - Giusto. - afferrò il libro e iniziò a leggere e a fare schemi ed esercizi. Gli altri due si guardarono confusi: stava davvero studiando?

Non poterono fare a meno di comunicare telepaticamente chiedendosi che cosa stesse succedendo. Accantonarono la situazione e decisero che semplicemente aveva deciso di dar loro retta per una volta.

Il comportamento del Dottore fu strano per tutto il pomeriggio, come se fosse stato assente, e i due amici cominciarono a preoccuparsi: che non avesse voglia di studiare era normale, ma che non avesse nemmeno voglia di giocare? Da quando erano usciti, se ne stava seduto su un muretto a fissare il vuoto.

Avevano provato a parlargli e a chiedergli che cosa fosse successo, ma l'unica risposta che avevano ricevuto era stata una scrollata di spalle e un sorriso smorto.

Continuò a essere particolarmente silenzioso tutta sera e se ne andò a dormire senza raccontare uno dei soliti aneddoti che era solito narrare su pianeti lontani, alcuni erano viaggi di fantasia, altre informazioni reali dategli da quei pochi cugini che lo avevano in simpatia.

Che fosse realtà o pura finzione però non importava: i tre bambini restavano a parlare entusiasti di questi mondi incredibili e a fantasticare di viaggi nello spazio.

Quella sera nulla.

 

Furono svegliati nel cuore della notte da un rumore soffocato, come un lamento sommesso: il Dottore stava piangendo al buio, le mani e il viso affondati nel pelo di Badger.

Magnus e Koschei si avvicinarono spaventati. Non riuscivano a capire a cosa fosse dovuto quel pianto improvviso.

Si resero conto che si era mosso nel sonno e che stava ancora dormendo.

Magnus andò ad accendere la luce, quella della luna non era sufficiente a illuminare completamente la stanza, mentre Koschei cercava di svegliare l'amico.

Finalmente il Dottore aprì gli occhi e si guardò attorno terrorizzato. Cercò di divincolarsi, non ancora completamente consapevole di ciò che stava succedendo.

- Fermo! Fermo! Calmati. È stato solo un incubo. Non è successo niente.
Il bambino mise a fuoco la stanza e i suoi amici solo in quel momento, si sfregò gli occhi per asciugarsi le lacrime e li guardò imbarazzato.

- Cos'è successo? Cos'hai sognato? - chiede Magnus preoccupato.

L'altro scosse la testa, gli occhi lucidi. - Non importa. Mi dispiace avervi spaventati, è solo che ho paura del buio.
I due si guardarono: se si fosse trattato solo di quello sarebbe già successo... perché solo ora? Non insistettero oltre, evidentemente, di qualsiasi cosa si trattasse, non aveva nessuna voglia di parlarne e cercare di convincerlo sarebbe stato inutile.

Tornarono a dormire, decisi a chiarire il mistero il giorno seguente, ma anche la mattina dopo non ottennero nulla se non una debole giustificazione che insisteva sulla paura del buio e il fatto di non averne parlato prima per paura che lo prendessero in giro come facevano i suoi cugini.

Anche quella notte ebbe degli incubi e così la notte seguente e quella dopo ancora.

Koschei e Magnus iniziarono davvero a preoccuparsi e le risposte evasive dell'amico non erano d'aiuto.

La terza notte in cui i Dottore si svegliò urlando e piangendo, i due bambini decisero di fare qualcosa: unirono i loro letti al suo, in modo che lui fosse al centro.

L'amico li guardò perplesso.

- Hai detto di avere paura del buio, no? - chiese Magnus. - E che a casa tua c'era qualcosa sotto al tuo letto che ti ha afferrato.
Il Dottore annuì ma sembrava ancora non capire.

- Ora sei in mezzo a noi, niente arriverà da te senza che noi ce ne accorgiamo. E non devi avere paura del buio perché siamo tutti insieme. - intervenne Koschei.

- Inoltre, sarà più facile svegliarti se avrai altri incubi. - concluse Magnus con decisione.

L'amico rimase un attimo a guardarli: non stavano ridendo di lui e sembravano determinati ad aiutarlo... si sentì tremendamente in colpa per avergli mentito.

 

 

 

  
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