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Autore: Bored94    26/12/2014    2 recensioni
La storia di due amici dal giorno in cui si sono conosciuti. Com'è stata la loro vita in Accademia, in quali guai si sono cacciati, le amicizie che hanno stretto...
Chi erano il Dottore e il Maestro prima che le loro vite venissero completamente stravolte?
[Riferimento a Universo Esteso. Academy Era.]
Genere: Angst, Generale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Doctor - Altro, Master - Altro
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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4.


- Tardis! Tardis! Tardis! - gli strilli acuti di Millennia perforarono i timpani di mezzo Deca, l'altra metà si era salvata solo grazie al fatto che, avendo già fatto la lezione di guida, si erano sdraiati poco lontano.

L'istruttore si lasciò sfuggire un sorrisetto divertito, l'entusiasmo di alcuni studenti era sempre uno spettacolo.

Millennia, Ushas, Theta, Koschei e Magnus salirono a bordo del Tardis, era il loro turno. Il resto del gruppo sarebbe rimasto ad aspettarli.

La domanda di Theta sul perché il loro compagno di stanza non avesse fatto la lezione con loro invece che fare cambio con Millennia ricevette un'alzata di spalle come unica risposta.

Pilotare si dimostrò più semplice del previsto e tutti, a turni, ebbero modo di gestire i comandi principali.

Il vero dramma fu quando toccò a Theta. In quel momento capirono perché Drax aveva insistito per fare cambio con Millennia, avevano realizzato solo in quel momento che, dovendo fare a turni, anche Theta avrebbe dovuto guidare.

Iniziarono a recitare scongiuri e si poterono distintamente sentire Koschei e Magnus dire qualcosa come “Non voglio morire” e “Dove sono le cinture di sicurezza?”.

Millennia e Ushas erano già pronte a compatire l'amico ma Theta non si dimostrò il disastro che tutti temevano, era stato abbastanza abile, diversamente dalle altre materie dell'Accademia, questo sembrava interessargli particolarmente e quindi non fece danni.

Questo non impedì ai suoi amici di ringraziare ogni divinità conosciuta nell'universo e di provare il desiderio di baciare la terra su cui camminavano una volta che furono atterrati e ebbero messo piede fuori dal Tardis.

 

Gli anni passarono e Theta si dimostrò un pericolo pubblico alla guida del Tardis... non tanto perché non fosse in grado di guidare, ma perché si divertiva a lasciar alla nave l'iniziativa, permettendogli di portarlo dove preferiva.

Data la loro fama di combinaguai, il Deca non si preoccupava eccessivamente di cosa avrebbero potuto fare loro se li avessero scoperti in certi frangenti... che fossero essi raccogliere noci allucinogene, giocare a Eighth Man Bound, Sepulchasm o al Gioco del perigosto, scalare il Monte Cadon o provocare il presidente.

 

Doveva essere solo una favola come molte altre. Nelle banche dati dei Signori del Tempo veniva descritto come una leggenda vaga e lontana... quando Jelpax aveva rivelato loro quelle informazioni sugli Antichi, erano sicuri che, anche se si fossero avventurati alla ricerca di uno di loro, non li avrebbero di certo trovati.

E allora perché partire?

Per il piacere di farlo, ovvio. Non aspettavano altro che il pretesto per rubare un Tardis e partire all'avventura, vera o fittizia che fosse.

Non tutto il Deca partì, sarebbe stato incredibilmente sospetto.

Decisero di andare a cercare il Giocattolaio, uno degli Antichi, e la sua Stanza dei Giochi.

Gli unici a lasciare il pianeta furono Theta, Rallon e Millennia. Gli altri si misero all'opera per fornire loro le coordinate, il Tardis e tutto ciò di cui avrebbero avuto bisogno... compreso l'imprimatur.

Partirono Theta, Rallon e Millennia.

Tornò solo Theta.

Come il gruppo scoprì in seguito, i loro tre amici avevano trovato il Giocattolaio in stato dormiente, privo di corpo fisico, ma, non appena erano arrivati, aveva preso possesso del corpo di Rallon e reso Millennia uno dei suoi giocattoli viventi. Il Dottore riuscì a sconfiggerlo al suo gioco e il Giocattolaio gli permise di andarsene incolume, sapendo che, con il tempo, sarebbe diventato un avversario ancora più stimolante.

Ma questo non potevano saperlo.

La prima cosa detta loro fu che erano stati scoperti e che il viaggio dei loro amici non era andato a buon fine.

I sette amici passarono la giornata con il cuore in gola, preoccupati per ciò che poteva essere successo. Più ci pensavano, più le opzioni si facevano inquietanti, così smisero di pensare.

I professori non dicevano loro nulla di più di ciò che avevano già detto, probabilmente ritenevano che la loro ansia fosse parte della loro punizione.

E ora erano lì. Tutti e sette immobili e in attesa davanti al punto in cui sarebbe dovuto apparire il Tardis.

Non si chiesero come avessero fatto a scoprirli.

Non si chiesero come fosse stato possibile che qualcosa che sapevano solo loro e che avevano orchestrato nei minimi dettagli fosse trapelato.

Non era mai successo prima quindi non dubitarono, erano troppo sconvolti per farlo, non erano abituati a farlo.

Rimasero a guardare, lo stomaco stretto in una morsa, mentre il Tardis ricompariva davanti a loro e le sue porte si aprivano, facendo uscire Theta... e nessun altro.

Attesero qualche istante, dov'erano Rallon e Millennia?

Spostarono lo sguardo su Theta con espressioni interrogative ma l'amico non li stava guardando.

Aveva sperato di trovare solo loro ad attenderlo, solo lui sapeva quanto avesse bisogno di poter raccontare loro tutto quanto era successo, spiegare ciò che aveva visto e cercare di farsi capire.

Sapeva che si sarebbero arrabbiati, che sarebbero stati furiosi, ma sperava che avrebbero capito e fossero riusciti a perdonarlo... o almeno a portargli un minimo di conforto.

Quando però si era reso conto che il Tardis non stava più seguendo la rotta da lui stabilita ma una imposta dall'esterno, aveva capito che erano stati scoperti... la situazione che gli si sarebbe presentata davanti sarebbe stata molto diversa da quella immaginata. Che cosa aveva raccontato ai suoi amici?

Uscendo dal Tardis non era riuscito ad alzare lo sguardo su di loro anche se sapeva bene che lo stavano osservando in cerca di risposte.

Gli vennero fatte molte domande e fu solo in quel modo che il Deca scoprì ciò che era successo. Un paio di loro restarono impietriti, altri lasciarono la stanza, non disposti ad ascoltare una parola di più.

 

I giorni seguenti non migliorarono la situazione. Theta si trovò isolato dal resto del gruppo che, dal canto suo, non passava insieme più del tempo necessario dovuto alle lezioni in comune o alla condivisione della camera.

Erano consapevoli che in parte la colpa era anche loro, anzi, non solo in parte: la colpa era da distribuirsi equamente tra loro dal momento che, ognuno in modo diverso, aveva contribuito alla riuscita di quel viaggio, ma non riuscivano a riavvicinarsi come avrebbero dovuto.

Forse era proprio questa consapevolezza a dividerli ancora di più.

Ushas divenne ancora più chiusa e scontrosa del solito, aveva perso la sua compagna di stanza e la cosa più simile a una migliore amica che avesse mai avuto. Si rifugiava nei suoi esperimenti come se contenessero il segreto della vita stessa... o semplicemente riuscissero ad alienarla dalla realtà.

Jelpax aveva costantemente il naso immerso nei libri e lasciava la biblioteca solo per l'ora dei pasti. Era stato lui a fornire le coordinate per raggiungere il Giocattolaio, avrebbe dato qualsiasi cosa per non averlo mai nemmeno nominato.

Magnus si allenava. Sempre. Sembrava stesse cercando di prepararsi a una guerra imminente.

Drax si era chiuso in laboratorio. Ne usciva sporco dalla testa ai piedi a notte fonda, senza far rumore e senza parlare.

Mortimus si era isolato completamente dal gruppo, come tutti ormai, e Koschei si era chiuso nel mutismo più assoluto.

E Theta... Theta si dava la colpa di ciò che era successo.

Se non avesse convinto Rallon e Millennia a partire sarebbero stati ancora vivi, ancora con loro.

Se fosse stato più abile, più preparato, più... più, non sarebbero caduti nella mani del Giocattolaio. Avrebbe tanto voluto poter parlare con gli altri ma vedeva la loro rabbia, la loro disperazione, il loro dolore e non poteva fare a meno di pensare che parte di esse fosse colpa sua.

Aveva provato a parlare con Koschei ma non aveva ottenuto nessun tipo di reazione, l'amico era troppo furioso: gli aveva detto di non andare, che sarebbe stato pericoloso, ma non l'aveva voluto ascoltare, quindi perché avrebbe dovuto parlare ora?

Il tempo passò, il Deca venne messo sotto interrogatorio. Volevano un nome.

Volevano sapere di chi era stata l'iniziativa, chi avesse avuto l'idea.

Se avessero parlato, gli altri sarebbero stati risparmiati, solo il diretto responsabile avrebbe pagato.

Nessuno di loro aprì bocca.

Erano arrabbiati, certo. Si sentivano responsabili di ciò che era accaduto e sapevano che la colpa era in parte loro, quindi non avrebbero parlato.

Se doveva esserci una condanna, allora tutti loro la meritavano.

Non erano più bambini, erano giovani uomini ormai, vicino al raggiungimento del titolo di Signori del Tempo, non potevano scappare dalle loro responsabilità per rintanarsi in un angolo a piangere.

Era questo il bello del Deca: nonostante le loro differenze, in fondo erano tutti amici. Buoni amici. Leali fino alla fine.

Per questi motivi, tutti si stupirono quando fu detto loro che Theta sarebbe stato l'unico a essere sottoposto a processo.

- Cosa?! Perché? - esclamò Koschei, non riuscendo più a restare impassibile, non li aveva ascoltati, certo, ma era innegabile che la colpa fosse di tutti loro.

- È stato fatto il suo nome.
- Balle! - sbraitò Mortimus con una veemenza che stupì tutti quanti, seguito a ruota da Jelpax. - Nessuno di noi ha mai detto nulla.

- Ne siete sicuri? - chiese uno dei consiglieri lì presenti, instillando per la prima volta il dubbio.

Che domanda era? Certo che ne erano sicuri. Avevano promesso di essere sempre dalla parte gli uni degli altri, non importava cosa fosse successo. Nessuno di loro avrebbe mai tradito la parola data...

Fu in quel momento che capirono.

Qualcuno aveva davvero vuotato il sacco, come avrebbero fatto, altrimenti, a sapere quando Theta sarebbe tornato su Gallifrey.

Solo loro ne erano a conoscenza.

Tutti quanti si girarono nella direzione di Vansell, gli occhi sgranati.

Koschei, Magnus e Drax non avrebbero mai parlato, mai. Avevano passato talmente tanto tempo insieme che la sola idea di denunciare uno di loro quattro era inconcepibile.

Jelpax e Mortimus... non era nella loro indole, erano tranquilli, certo, ma anche loro avevano sempre preso parte alle loro avventure, portando i loro talenti unici e le loro informazioni preziose. Informazioni che più di una volta erano state fondamentali nelle riuscite dei loro piani.

Ushas non era tipo da fare la spia, non era particolarmente espansiva o affabile, ma era leale, su questo non c'era dubbio.

L'unica opzione rimasta era...

- Tu. - la parola fu pronunciata quasi come un insulto da Magnus mentre il diretto interessato inarcava un sopracciglio. - Sei stato tu. Vansell, come hai potuto?

L'altro scrollò le spalle. - La decisione di partire è stata sua.

Tutti sbiancarono alla conferma dei loro sospetti.

- Tutti abbiamo partecipato in ugual misura. Siamo tutti responsabili, Vansell. - sibilò Drax. - Avevamo giurato.

- Giurato? Giurato cosa? Di provocare la morte di due dei nostri amici? Di finire in prigione a causa di Theta? - scosse la testa. - Sono promesse da bambini, fatta da dei bambini.

- Traditore. - sibilò una voce femminile, mentre Vansell lasciava la stanza senza battere ciglio.

- Ognuno di voi tornerà alla propria casa fino a nuovo ordine. Non potrete avvicinarvi all'Accademia senza che vi venga espressamente richiesto e dovrete restare lontani dall'aula del processo.

Le guardie afferrarono Theta tra le proteste degli altri membri del Deca, impossibilitati però a intervenire dalla presenza dei soldati.

L'amico non ebbe nessun tipo di reazione, si fece portare via senza dimostrare nessun tipo di emozione.

 

- Vansell! - il ragazzo si voltò, sentendo urlare il suo nome.

Non fece in tempo a realizzare ciò che stava accadendo che Koschei lo colpì con un pugno in pieno volto, seguito da un altro e un altro ancora.

Subito dopo di lui arrivarono Mortimus, Jelpax, Drax, Ushas e Magnus, restarono lì, immobili, a guardare l'amico sfogare la sua rabbia su quello che era stato uno di loro. Nessuno di loro mosse un dito per fermarlo.

Anche se avessero voluto non avrebbero potuto.

E non volevano.

A causa dell'orario e del luogo appartato, nessuno si accorse di cosa stava succedendo e anche se così fosse stato, tutti erano venuti a sapere cos'era successo, non avrebbero mai cercato di mettersi in mezzo alle questioni del Deca, non in quel frangente.

 

Dopo questo episodio, ognuno tornò alle proprie occupazioni. L'idea di non poter fare nulla per porre rimedio e il senso di colpa per la morte dei loro amici non permetteva loro di spendere tempo insieme come avrebbero voluto.

Le poche volte che ci avevano provato si erano limitati a discutere, riuscirono però a mettere a punto un piano, frustrati dall'impossibilità di non poter prendere parte al processo.

Non volevano lasciare da solo Theta, ma non potevano entrare tutti e sei. Almeno due di loro, però, ce l'avrebbero fatta.

Gli unici presenti al processo di Theta furono Vansell, chiamato come testimone e lì per conto della CIA, Jelpax, che era riuscito a intrufolarsi con la scusa di dover stendere il verbale, e Magnus, nascosto tra la folla che cercava di passare inosservato dopo essersi fatto notare da Theta.

Il verdetto fu chiaro: espulso dall'Accademia. Ci furono altri momenti per il Deca, altre avventure, ma non erano più al completo: Vansell li aveva traditi, Rallon e Millennia erano morti, Mortimus e Drax avevano lasciato il pianeta uno dopo l'altro prima ancora che l'espulsione di Theta venisse ufficializzata.

Con l'andare del tempo il Deca si sciolse e ognuno andò per la propria strada.

Nemmeno il rapporto tra Theta e Koschei fu più lo stesso: avevano ricominciato a parlarsi, certo, ma erano distanti. Sembrava che fra loro fosse sorto un muro invalicabile, impossibile da scavalcare o abbattere.

La consapevolezza giunse, almeno da parte di Koschei, una notte in cui si svegliò per il dolore, la testa che pulsava, i tamburi che martellavano come se volessero liberarsi e uscire dalla sua testa.

Il dolore era insopportabile, ma sapeva che presto sarebbe finito e attese.

Attese, ma non lo sentì diminuire.

Quando il dolore lo ebbe svegliato del tutto capì: non lo avrebbero aiutato, non questa volta.

Non si trovava nella sua stanza, all'Accademia, con i suoi amici addormentati poco distanti da lui, pronti ad aiutarlo nel caso i tamburi fossero diventati troppo forti.

Era a casa Oakdown. Lì nessuno sarebbe arrivato nessuno per dargli conforto.

Lì non c'era Magnus in grado di attenuarli, Theta pronto ad abbracciarlo e a ripetere che si sarebbe tutto sistemato o Drax che cercava di allentare la tensione con battute stupide.

Era solo.

Solamente in quel momento si rese davvero conto di quanto avesse fatto affidamento sui suoi tre amici in passato.

Sono rimasto solo. Alla fine non è cambiato nulla. Anche loro non ci sono più. Fu l'unica cosa che riuscì a pensare prima che i tamburi prendessero il sopravvento sui suoi pensieri e non gli permettessero altro che raggomitolarsi tra le coperte, la testa fra le mani, e iniziare a piangere.

 

La consapevolezza per Theta giunse più lentamente e gradatamente. Iniziò quando Koschei, che non aveva visto per lungo tempo, gli disse che ormai “Koschei” non esisteva più, era morto, e che ora esisteva solo il Maestro. Un'altra prova giunse dai molteplici incontri che ebbero, anche dopo aver lasciato Gallifrey, nei quali si incontrarono da nemici.

Incontrò anche Magnus e Ushas, il primo si faceva ormai chiamare il Signore della Guerra e il Dottore, così ormai Theta si faceva chiamare, alla fine lo aveva visto morire, una morte causata in parte da lui stesso; la seconda, che aveva cambiato il proprio nome in Rani, era diventata una Signora del Tempo rinnegata per i suoi folli esperimenti e la rivide anche in compagnia e come alleata del Maestro.

Gli capitò di incontrare anche Mortimus, il Monaco, e quasi non si stupì di scoprire che anche lui aveva iniziato affari non propriamente leciti, e Drax. Drax, dopo un periodo passato in prigione sulla Terra per aver rubato ciò di cui aveva bisogno per riparare il proprio Tardis, era stato catturato dall'Ombra, agente del Guardiano Nero, che lo aveva portato su Zeos affinché creasse e si occupasse di Mentalis, un computer che ingaggiò una guerra con Atrios e che lo devastò. Il Dottore riuscì a portare il vecchio amico dalla propria parte per sconfiggere l'Ombra e Drax decise di restare su Atrios per aiutare a ricostruire il pianeta.

Non lo rivide più.

 

Ebbe modo di incontrare il Maestro ancora e ancora sulla Terra, sembrava che, nonostante la loro amicizia fosse andata perduta, restasse un qualche tipo di legame contorto che li portava a scontrarsi ogni volta. Divennero nemici.

Il Dottore vide il suo migliore amico trasformarsi nel suo peggior nemico e si vide fare un patto con Morte affinché lo privasse della sua identità, facendolo diventare umano per dieci anni, quando Morte presentò il conto però, il Dottore iniziò a nutrire dei dubbi: aveva avuto modo di parlare con questo “umano”, gli ricordava ciò che era stato... e fu in quel frangente che entrambi scoprirono la verità, un evento che era ormai sepolto nella loro memoria, tornò in superficie nella sua vera forma: era stato il Dottore a uccidere Torvic, non il Maestro, come entrambi invece ricordavano, e il Dottore aveva fatto un patto con Morte in modo che il suo campione diventasse il Maestro, Koschei.

La rivelazione lo lasciò senza fiato, non poteva essere... come aveva potuto fare una cosa simile? Come aveva potuto dimenticare come erano andati realmente i fatti? Come aveva potuto vendere il suo migliore amico a quel modo?

Inaspettatamente il Maestro, o meglio John Smith, questo era il nome dell'uomo che era diventato, lo perdonò.

Non gli faceva una colpa di ciò che era accaduto. Era un bambino, era normale che si fosse lasciato prendere dal panico, questa era la sua risposta. E poi, aveva continuato, anche lui non era esente da colpe.

Al Dottore sembrò di aver ritrovato il suo migliore amico, supplicò Morte di fare un altro patto, di non renderlo di nuovo suo schiavo, ma fu tutto inutile: quando incontrò di nuovo il Maestro, molti secoli dopo, incontrò di nuovo un nemico.

 

Il tempo continuò a scorrere.

Il Dottore continuò a cercare di salvare vite, pianeti, lo stesso universo. Continuò a viaggiare nel tempo e nello spazio, portando con sé di volta in volta sempre nuovi compagni, vedendoli però inevitabilmente lasciarlo o fare una fine tragica.

Alcuni di loro giunsero persino a odiarlo.

Poi arrivò la guerra.

L'Ultima Grande Guerra del Tempo. E tutti i Signori del Tempo, rinnegati e non, vennero richiamati a Gallifrey per combattere. I Dalek avevano attaccato il pianeta, tutti dovevano accorrere per portare il loro contributo.

Il Dottore rispose alla chiamata, cambiò se stesso, la sua stessa natura, smise di farsi chiamare Dottore e divenne un soldato.

Un soldato come tanti che combatteva nel disperato tentativo di salvare il proprio pianeta.

Molti Signori del Tempo vennero tessuti già adulti durante quella guerra, milioni morirono. Le perdite furono enormi e le conseguenze di ripercossero su tutta la popolazione: il dolore e la disperazione erano troppi anche per la loro razza, la guerra sembrava non avere fine e anche i morti erano stati richiamati dalle tombe e ritessuti prima del tempo per combattere.

Il Dottore li vide, i suoi vecchi amici. Anche loro erano stati richiamati al fronte e avevano risposto alla chiamata.

I loro volti erano cambiati ma li riconosceva senza nessuno sforzo, li avrebbe sempre riconosciuti. Combattere al loro fianco gli ricordò le mille avventure che avevano affrontato da ragazzi, all'Accademia, quando la loro vita era molto più semplice e felice.

Combatterono insieme e fu terribilmente semplice, ogni singola mossa, ogni attacco, ogni difesa erano orchestrati con perfetta sincronia, come se non fossero passate centinaia di anni da quando si erano rivolti la parola per l'ultima volta, da quando li aveva visti morire, o come se non si fossero mai trasformati in nemici.

Sapeva che anche loro sentivano le stesse sensazioni, la stessa euforia e la stessa paura. Per un momento il Dottore credette di averli ritrovati: Koschei, Magnus, Drax, Jelpax, Mortimus, Ushas... non il Maestro, non il Signore della Guerra, non il Monaco, non la Rani... semplicemente i suoi amici.

E poi li vide morire.

Morirono. Uno dopo l'altro caddero in battaglia, come soldati, come ciò che non erano mai stati. Li perse di nuovo, uno dopo l'altro, in alcuni casi senza neppure essere in grado di star loro accanto, nella foga della battaglia, senza la possibilità di poter dire loro addio o di chiedere il loro perdono per averli delusi al punto da portarli a odiarlo e a combatterlo.

In altri casi riuscì a restare con loro fino alla fine, le lacrime che scorrevano copiose sul suo viso mentre supplicava di tenere duro e chiedeva scusa, ancora e ancora, non sapendo bene nemmeno lui per che cosa e ricevendo solo un sorriso smorto e esangue come risposta.

Li perse di nuovo tutti... non seppe mai dire se il peggio fosse stato il poterli rivedere e perderli di nuovo, la ritrovata complicità nuovamente dissolta o la scoperta, agghiacciante, che di Rallon e Millennia fosse rimasto così poco nella Matrice da poterli sfruttare solamente per i sistemi di controllo delle navi da guerra.

Lo shock per quella devastazione fu immenso per una razza abituata a ritenersi la migliore dell'universo.

Lo shock portò alla follia alcuni di loro ed essa prese velocemente piede a causa della mente alveare. L'intero pianeta stava affrontando una guerra senza fine contro un nemico che sembrava invincibile e ora doveva anche lottare contro se stessa, contro il proprio shock, le urla, il dolore, la disperazione, la morte, la follia incalzanti... quel popolo glorioso e magnifico, che aveva detenuto il controllo delle leggi del tempo stesso, era piegato in due e reso l'ombra di se stesso.

Così il Dottore prese una decisione: la guerra avrebbe portato alla distruzione dell'universo stesso se fosse continuata. Doveva porvi termine a qualsiasi costo e l'unico modo per distruggere i Dalek, l'unico modo che riusciva a concepire per eliminare quelle macchine di morte e i mostri che i suoi stessi simili stavano diventando, fu quello di distruggere Gallifrey con essi.

E lo avrebbe fatto. Avrebbe usato il Momento se non si fosse creato un paradosso che avesse permesso di incontrare due versioni future di se stesso e insieme non avessero trovato una soluzione, chiudendo il pianeta in un loop spazio-temporale in modo che non potesse più fare danni all'universo.

Ma questo non era destinato a ricordarlo. Ciò che era destinato a ricordare era di aver fatto esplodere il proprio pianeta, di aver sterminato la sua gente e di essere l'ultimo della sua specie.

Lui solo avrebbe portato questo fardello per il resto della sua esistenza.

Nessun altro gli sarebbe potuto essere di conforto.

Non avrebbe più potuto tornare a casa, rivedere i prati rossi di Gallifrey, il Monte Cadon, il Monte Perdizione, l'Accademia... i suoi amici.

Qualunque possibilità ci fosse stata, qualsiasi possibilità fosse anche solo remotamente esistita di potere riavere i suoi amici era scomparsa per sempre. Di certo non poteva sapere che uno di loro era già stato ritessuto e fatto lasciare il pianeta prima del disastro.

L'universo sembrava così silenzioso ora.

Crescendo aveva davvero colmato le sue lacune telepatiche, sorrise tristemente ricordando le discussioni con i suoi amici, diverse volte ne avevano parlato, ma ora gli sembrava di essere sordo e cieco. Non c'era nulla.

Il Tardis era senziente ovviamente.

Le altre creature nell'universo erano una buona compagnia e i compagni di viaggio che si sceglieva erano sempre un buon intrattenimento... ma non era la stessa cosa.

Si sentiva costantemente solo: gli amici che si era creato sulla Terra dopo la guerra lo avevano lasciato e comunque erano umani, non avrebbero mai compreso appieno che cosa significava essere un Signore del Tempo. Alcuni di loro sembravano più comprensivi di altri, ma loro non avevano perso tutto. Non era responsabili della distruzione della loro intera razza... per questo quando lo vide fu terrorizzato ma anche entusiasta.

Non si aspettava che fosse sopravvissuto... e di certo non si aspettava di rivederlo, eppure era lì. Era

tornato.

Il Maestro era vivo ed era tornato sulla Terra. Per conquistarla e spazzare via la sua popolazione.

Combatterono e il Dottore riuscì a riportare tutto alla normalità: con la distruzione della macchina paradosso, andarono distrutti anche tutti i ricordi legati a quell'anno di chiunque non si fosse trovato nell'occhio del ciclone quando tutto era successo.

Il Dottore, poi, fece qualcosa che nessuno dei suoi amici terrestri si era aspettato: perdonò il Maestro, gli risparmiò la vita.

Viaggiare insieme però e ritrovare il suo amico non era nei piani di Tempo e Morte, Lucy, la “moglie” del Maestro, risvegliatasi dalla trance indottale da lui, gli sparò, e il Dottore lo vide morire tra le sue braccia.

Lo supplicò di rigenerarsi, lo pregò ripetutamente, non voleva restare di nuovo solo... troppo tardi, i tamburi avevano portato il vecchio amico alla pazzia, il suo odio era tale che si lasciò morire per non permettere al Dottore questa vittoria.

 

- Cosa sta succedendo? - tutto attorno a loro era completamente immobile.

Il Dottore e il Maestro si erano incontrati nuovamente, il Maestro aveva ingannato la morte ed era tornato.

In un diverso frangete il Dottore ne sarebbe stato quasi felice, aveva cercato di riportarlo alla ragione quando lo aveva rivisto lì sulla Terra ma era stato inutile: il Maestro lo aveva attaccato e si era avvicinato solo per fargli sentire i tamburi. Gesto che il Dottore non capì completamente: perché cercare di farglieli sentire? Quale era il motivo se lo vedeva come il nemico?

- Li sento. Li sento. - aveva risposto lui. Quindi quelli erano i tamburi? Li sentiva per la prima volta nella sua vita, non era mai stato in grado di sentirli in gioventù.

La reazione del Maestro lo sorprese: si staccò da lui e scappò via.

Per quale motivo stava scappando? Gli aveva detto che era in grado di sentirli... che non gli avesse creduto? Probabilmente aveva pensato che il Dottore stesse mentendo, sapeva che Theta non era mai stato in grado di sentire nulla e doveva essere giunto alla conclusione che nemmeno il Dottore ne fosse in grado, doveva aver pensato che lo stesse dicendo solo per assecondarlo, per avere qualche possibilità in più di fermarlo...

La situazione era peggiorata sempre di più, il Maestro aveva preso il controllo della popolazione del pianeta trasformando tutti gli abitanti in copie di se stesso.

In questo modo riuscì ad amplificare i tamburi e a creare un segnale che guidò Gallifrey e i Signori del Tempo fuori dalla bolla temporale in cui erano stati rinchiusi, causando per poco la distruzione della Terra.

Era stato proprio in quel momento, con il Dottore che brandiva una pistola puntata alla testa del suo vecchio amico, che tutto si fermò.

Lo spazio venne in qualche modo modificato perché Wilfred era accanto a lui, in quel momento, non più nella cella di contenimento delle radiazioni.

- Cosa è successo? - chiese una voce di bambino. - Dove ci troviamo?
I tre uomini si girarono verso la fonte di quella voce, il Dottore e il Maestro rimasero impietriti. Non potevano essere lì.

Davanti a loro c'erano due bambini, uno biondo e uno moro, con gli occhi sgranati e pieni di paura.

Si guardarono attorno spaesati, non capendo dove e quando si trovassero.

Ci misero un attimo, però, per capire chi avevano davanti.

Theta abbassò lo sguardo sulle mani del suo sé adulto. - Perché abbiamo una pistola? Pensavo non ci piacessero le armi. - disse candidamente, scatenando un'ondata di vergogna nella sua versione adulta.

Koschei continuava a spostare lo sguardo dalla sua versione adulta a quella di Theta, cercando di capire le dinamiche di ciò che stava accadendo.

- Che cosa ho fatto? - chiese il bambino moro con sguardo rassegnato.

L'amico cercò di contestare ma lui non lo fece finire. - Andiamo, Theta. Stai tenendo in mano una pistola. E sei girato verso di me. Entrambi sappiamo che odi le armi, quindi devo aver fatto qualcosa di male per spingerti a puntarmene una contro.

Il Dottore non disse nulla, non voleva che le loro versioni bambini sapessero. Non era giusto.

Con sua grande sorpresa il Maestro parlò e raccontò ai due bambini tutto ciò che era accaduto, facendoli iniziare a piangere.

- Cosa ti è saltato in mente?! - sbottò il Dottore. - Che motivo c'era di dire loro la verità?

L'altro lo guardò scettico. - A che pro nasconderglielo?

- Non saprei. - rispose il Dottore su tutte le furie. - Forse per evitare questo?!
Sottolineò le ultime parole indicando i due bambini seduti a terra.

Wilfred si avvicinò in silenzio e si sedette vicino a loro due sotto lo sguardo attento dei due Signori del Tempo che non riuscivano a capire cosa avesse intenzione di fare.

Si limitò a stare seduto lì, le braccia intorno alle spalle dei due piccoli Gallifreyani, in attesa.

- Non voglio. - disse Koschei all'improvviso, singhiozzando. - Voglio che vadano via, non voglio che i tamburi mi facciano diventare così. Theta è mio amico, non voglio fargli del male.

Wilfred sospirò e lo attirò di più a sé, facendolo sedere su una delle sue gambe.

- Non deve succedere per forza.
- Come è successo? - chiese Theta come se non avesse sentito nulla. - Io non cercherei mai di uccidere Koschei. Ho fatto una promessa. Ho promesso che resteremo insieme e che i tamburi non lo faranno diventare pazzo. Perché non l'ho mantenuta? - chiese tra le lacrime.

Wilfred lo fece sedere sull'altra gamba. - Ascoltate. Crescendo si cambia... - iniziò.

- Ma io non voglio fare del male a Theta! - lo interruppe Koschei. - Theta, credimi. Non lo farei mai. Sei il mio unico amico.

L'altro annuì, deciso. - Lo so. Come non te ne farei io. Non so cosa sia successo ma non si ripeterà, cambieremo il futuro, vero? - chiese il bambino guardando Wilfred con i suoi grandi occhi castani.

Wilfred si morse un labbro prima di rispondere.

- Certo che sì, piccolo. Certo che cambierete il futuro. Purtroppo le persone con il tempo cambiano e fanno cose che non avrebbero mai fatto prima. Questo non significa che che per voi sarà lo stesso. Magari questa è stata un'occasione. Un modo per avvertirvi su cosa succederà in futuro in modo che voi possiate fare qualcosa per evitarlo e restare amici.

I piccoli non sembravano affatto convinti.

Koschei scosse la testa. - Non si può. Ora che lo abbiamo visto il tempo non può essere riscritto. - mormorò abbattuto facendo una smorfia di dolore: i tamburi si stavano facendo sentire, doveva essere per il paradosso. Si portò una mano alla testa. - Fa male. - piagnucolò.

Wilfred lo strinse a sé, cercando di tranquillizzarlo. Il bambino nascose il viso contro la sua maglia, mentre l'uomo lo abbracciava. Theta mise una manina sul braccio dell'amico, come per comunicare la sua presenza, gli occhi lucidi, sull'orlo del pianto: quello che avevano scoperto era troppo difficile da accettare.

Wilfred si trovò così ad abbracciare i due piccoli Gallifreyani in lacrime, aspettando che riuscissero a smettere. Il modo in cui si aggrappavano a lui gli spezzava il cuore, era come se nessuno si fosse mai preoccupato di loro e ora stessero sfogando tutta la loro frustrazione su quello strano umano sconosciuto.

- Andrà tutto bene. Non dovete aver paura del futuro, non è inciso su pietra, riuscirete a cambiarlo. - disse. - Gli adulti spesso dimenticano cosa vuol dire essere stati bambini e per questo sbagliano, andando a infilarsi in situazioni che per loro sono senza via d'uscita quando in realtà il problema è solo il loro orgoglio. Ma voi ora avete visto, no? Riuscirete a evitarlo.

Theta e Koschei annuirono, volevano davvero crederci e così fecero, si raccontarono una bugia per non aggiungere quella paura a tutte le altre: dal loro punto di vista presto sarebbe iniziata l'Accademia, qualcosa a cui guardavano con grande timore.

Come erano comparsi, i due bambini scomparvero, qualunque fenomeno si fosse verificato, che fosse stato un paradosso o qualche strano evento architettato da qualcuno con un perverso senso dell'umorismo, finì così come era iniziato.

- Non ricorderanno nulla di tutto questo. - disse il Dottore rivolto a Wilfred.

L'uomo annuì sollevato. - Sarà meglio.

- Non cambieranno il futuro, ciò che hai fatto è stato inutile. - sbottò il Maestro, non capiva per quale motivo quell'uomo si fosse preso il disturbo di consolare entrambi, aveva capito che uno dei due era lui, no?

- Inutile? Erano soltanto due bambini, santo cielo! - esclamò rispondendo inconsapevolmente alla sua domanda silenziosa. - Quale sarebbe stato il beneficio di spaventarli visto che non ricorderanno nulla?

Non ottenne risposta: il fenomeno si sfaldò del tutto e lui si ritrovò di nuovo nella cella di contenimento.

Il Dottore sollevò nuovamente la pistola, Rassilon alle sue spalle che attendava con un ghigno sul volto.

Ho fatto una promessa! Le parole della sua versione bambina gli riecheggiarono nella mente. Non poteva farlo. Non poteva ucciderlo, lo aveva promesso.

- Spostati. - riuscì a dire finalmente. Il Maestro lo guardò un attimo perplesso poi sembrò capire, si lanciò di lato e il Dottore sparò alla macchina che aveva permesso di portare lì Gallifrey.

Gli eventi che seguirono accaddero a una velocità tale che solo una volta che tutto fu finito il Dottore si rese conto di essere ancora vivo.

Rassilon aveva minacciato di ucciderli entrambi e il Maestro lo aveva attaccato, accusandolo di avergli rovinato la vita e averlo fatto impazzire, avevano scoperto che era stato Rassilon a mettere i tamburi nella sua testa quando era solo un bambino, in seguito erano tutti scomparsi inghiottiti dal portale.

Era rimasto solo il Dottore.

E Wilfred.

Proprio quando stava iniziando a pensare che si sarebbe salvato (bussare quattro volte... a cos'altro poteva fare riferimento se non ai tamburi? Ma ora il Maestro era scomparso quindi non sarebbe dovuto morire, giusto?) sentì bussare quattro volte contro la parete della cella di contenimento.

Wilfred era ancora lì dentro e le radiazioni stavano per invadere la cabina.

Era così che sarebbe morto, allora.

 

Riuscì a rivedere tutti prima di rigenerarsi, ma questo non migliorò le cose. Non voleva morire, era troppo presto, c'erano ancora tante cose che avrebbe potuto fare...

- Non voglio andarmene. - mormorò mentre la rigenerazione prendeva il sopravvento.

 

Ne aveva viste tante. Si era rigenerato molte volte dopo quella volta.

Aveva addirittura ricevuto un nuovo ciclo di rigenerazioni da Gallifrey... Gallifrey, l'aveva cercata per così tanto tempo.

Ora il tempo però era scaduto.

Il suo tempo era scaduto.

Era alla sua ultima rigenerazione e questa volta nessun intervento dell'ultimo secondo gli avrebbe salvato la vita.

Forse era meglio così, tutte le storie dovevano finire prima o poi, la sua non faceva eccezione.

L'unico rimpianto era quello di non essere riuscito a ritrovare il suo pianeta nonostante le estenuanti e continue ricerche.

Questa volta era rimasto davvero l'ultimo.

Seduto nella sala della console del Tardis, fece vagare lo sguardo su ogni minimo dettaglio come per dargli un addio definitivo.

- E quindi è così che finisce, eh Sexy? - disse rivolto al Tardis, la voce roca. - Solo tu e io nello spazio più profondo... dovevamo immaginarlo...

Il Tardis reagì a quelle parole e proiettò tutte le versioni del suo interfaccia, come a voler rimediare a quella situazione. Come se avesse voluto dire: “No, guarda. Non sei solo”.

Il Dottore si esibì un un sorriso stanco mentre il suo sguardo si posava su ogni ologramma... c'erano tutti: tutte le persone che aveva conosciuto nel corso dei millenni e che erano state al suo fianco durante le sue avventure... e poi li vide.

Il Tardis li aveva tenuti per ultimi, sapendo che erano coloro di cui il Dottore sentiva maggiormente la mancanza.

Il Deca venne riprodotto davanti ai suoi occhi nella sua versione originaria, c'erano tutti. Nove bambini erano in piedi davanti a lui, i visi sorridenti e privi di preoccupazioni.

Il Dottore sentì le lacrime farsi strada senza che avesse nessun modo per impedirlo.

- Mi dispiace. - sussurrò. - Mi dispiace tanto, non sono riuscito a salvarvi.

Gli ologrammi tremolarono e quasi svanirono. Il Tardis aveva pensato di fargli un piacere mostrandoglieli, non voleva risvegliare i sensi di colpa del suo vecchio amico.

- No! - esclamò il Dottore. - No, va bene. Non ti preoccupare. - disse per rassicurare il Tardis. - Hai fatto bene. Almeno posso rivederli un'ultima volta prima di andarmene e ricordarli così com'erano. È un ricordo felice dopo tutto.

Dedicò tutta la sua attenzione al gruppetto davanti a sé, la vista offuscata dalle lacrime che non volevano saperne di smettere di scorrere.

- Se esiste un aldilà, forse ora ci rivedremo. Mi mancate così tanto... - fu l'ultima cosa che riuscì a dire prima di spegnersi per sempre.

Il Dottore era morto, un sorriso sulle labbra e l'espressione serena... non sentì mai i lamenti del Tardis.

Le leggende dicevano che un Tardis potesse essere sconvolto dalla morte del proprio Signore del Tempo a tal punto da ricorrere al suicidio.

Nessuno aveva mai assistito alla morte di un Tardis e nessuno vi avrebbe assistito nemmeno questa volta tanto il Tardis del Dottore si era spinto nelle profondità dello spazio.

I suoi lamenti furono però udibili in tutto il tempo e lo spazio e tutto le creature senzienti seppero che l'ora del Dottore era giunta.

Mentre lei liberava nel proprio sistema il virus profano creato da Rassilon, un virus in grado di distruggere qualsiasi tecnologia Gallifreyana ne venisse in contatto, e si dava la morte, in tutto l'universo interi popoli celebravano la morte di colui che innumerevoli volte aveva salvati tutti loro.

Si narra che in tutto lo spazio e il tempo un unico canto si diffuse, un canto che si diceva avrebbe accompagnato il Dottore nel suo viaggio verso il mondo dei morti.

 

- Theta! Theta! - il Dottore si guardò attorno spaesato. Dove si trovava? Cosa era successo?

L'ultima cosa che ricordava era di essere morto nel proprio Tardis... mise a fuoco il mondo che lo circondava e vide alcuni bambini che correvano nella sua direzione, li riconobbe senza sforzo: era il Deca... com'era possibile?

Guardò il suo riflesso nel fiume accanto a lui e si toccò il viso, esterrefatto: era un bambino.

Era tornato su Gallifrey, all'inizio di tutto.

Che fosse una possibilità? Una seconda possibilità per salvare i suoi amici?

- Ehi! Ma ci sei? - gli chiese Koschei guardandolo come se fosse stato qualcuno di particolarmente stupito.

- Eh? Sì, scusa. - disse, un sorriso enorme stampato sul volto.

- Si può sapere che ti prende? - chiese Rallon confuso. - Sembri su un altro pianeta.

- Scusate, stavo pensando... - già... ma a cosa stava pensando? Non riusciva a ricordare nulla di ciò che era passato nella sua mente fino a pochi secondi prima. Perché si era distratto?

- E a cosa stavi pensando?
- Non lo so... - disse scuotendo la testa confuso. - Credo fosse qualcosa di importante ma non riesco a ricordare. - si arrese e alzò le spalle. - Mi tornerà in mente. Volevate chiedermi qualcosa?

Millennia annuì e Jelpax gli porse un foglio sul quale era disegnato un serpente che si mordeva la coda.

- Sei tu l'esperto sulle questioni terrestri, giusto? Che cosa significa questo disegno? Lo abbiamo trovato in un libro.

Theta si sentì sbiancare, un brivido gli corse lungo la schiena senza che lui riuscisse a capire il perché di quell'improvvisa ondata di paura.

- È un Uroboro. Simbolizza l'eterno ritorno e la ciclicità del tempo: tutto è destinato a ripetersi in eterno in un ciclo senza via d'uscita.




Nota.
Chiedo scusa per aver pubblicato tutto subito, ma essendo ben consapevole che non riuscirò a pubblicare nel futuro prossimo ho preferito mettere tutto qui. Una volta pubblicato non fugge.

  
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