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Autore: Therainsmelody    29/12/2014    3 recensioni
Astrea è una giovane fata in viaggio con la madre, fin qui nulla di strano.
C'è, però, un problema: si trovano in un territorio proibito alla fate che, nonostante questo, risulta impregnato della loro magia. Questo fa sorgere delle domande ad Astrea e sarà sua madre Cinzia a darle le risposte che cerca.
La fata del vento verrà quindi a conoscenza di una delle più terribili storie sul passato del suo popolo, una di quelle che si vogliono dimenticare a tutti i costi: il motivo per cui se ne sono andate dalla radura, il luogo in cui danzavano le fate.
Genere: Drammatico, Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'The Circle of Lost Tales'
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Dove danzavano le fate

Capitolo IV

 

And when we come back
We’ll be dressed in black
And you’ll scream our name aloud

 
 

Verdiana attendeva, come suo solito, nella radura. Il sole stava declinando, lento, verso l’oceano e i suoi occhi non si staccavano da lui nemmeno per un secondo.

Quando il sole toccherà l’orizzonte sarò da te.

Abram glielo ripeteva così spesso che ormai era diventata una tradizione; loro due s’incontravano sempre al tramonto.
Piccole scintille blu sprizzavano dalle sue dita, sembravano tante minuscole stelle che brillavano un solo istante per poi perire con la stessa velocità con cui erano nate. Mosse delicatamente la mano destra e un luminoso filo di luce bluastra s’innalzo sopra la sua testa per poi ridiscendere e circondarla come se fosse il nastro di un qualche pregiato vestito umano. Le capitava spesso di giocare con la sua magia per ingannare l’attesa.
Un rumore di passi nella boscaglia la fece distrarre e ogni traccia di magia scomparve, lasciando solamente una minuta ragazza bionda al centro di un verde praticello. Il rumore continuò, ma dal bosco non uscì nessuno.
<< Abram? Sei tu? >>
Per un momento calò il silenzio, poi i passi rincominciarono. Verdiana fissava inquieta la direzione dalla quale sembrava provenire il suono, ma non accennò in alcun modo a muoversi.
Alla fine una voce rispose alla sua domanda.
<< Mi spiace, ma non sono Abram. >> Una figura fuoriuscì dalle tenebre e appena la luce rossastra del tramonto la illuminò la mente di Verdiana formulò un’unica frase, il cui senso le fu chiaro solo dopo aver osservato meglio.

Non Abram, ma quasi.

Il ragazzo di fronte a lei doveva essere di qualche anno più grande; folti capelli di un castano tendente al rosso che si muovevano in delicate onde; gli stessi occhi nocciola e lo stesso naso rivoltò all’insù, ma neanche l’ombra di una lentiggine. Era più alto e più muscoloso di Abram, eppure le linee del viso erano le stesse. Rivide le labbra che aveva baciato tante volte, identiche in ogni dettaglio, tranne che quelle sembravano provare ribrezzo verso di lei invece che la tacita ammirazione alla quale era abituata.
Era simile a lui, ma al contempo completamente diverso.
<< Chi siete? >> Lo chiese con tutta la determinazione della quale disponeva. Non voleva mostrarsi debole o indifesa davanti a quel minaccioso giovane uomo.
<< Il mio nome è Anthony Brennan. Sono il fratello di Abram. >> Verdiana si sentì un pochino meno tesa. Forse Abram non poteva venire e aveva mandato il fratello per avvisarla.
<< Lui sta bene? >>  L’espressione di disgusto si accentuò.
<< Oh, sì, lui sta bene. È di voi che dovreste preoccuparvi. >> L’ansia le attanagliò lo stomaco in un attimo. I suoi occhi schizzarono in ogni direzione, in cerca di una via di fuga.
Anthony si avvicinò.
Scintille blu crepitarono minacciose tra le dita di Verdiana.
<< Non penserete davvero di usare la vostra diabolica magia contro di me? Non vi conviene. >> Un impeto di rabbia spinse Verdiana avanti, non si era mai sentita così coraggiosa in tutta la sua vita.
<< E se anche fosse? Come pensa di potermi fermare? >> Un ghigno pieno di crudeltà riempì il volto di Anthony; era soddisfazione quella sul suo viso, Verdiana ne era certa.
<< In realtà è molto semplice: vi ordinerò di non farlo, Stelladifelce. >> Nel udire il suo vero nome Verdiana impallidì. Sentì in modo nitido e distinto il terrore che si propagava per tutto il suo corpo al ritmo del battito del suo cuore fatato. Cercò di opporsi più che poteva al comando, ma fu tutto inutile.
Il crepitio elettrico si affievolì fino a scomparire.
La magia se n’era andata.
Anthony scoppiò in una risata grottesca e terrificante. Rise così tanto che gli vennero le lacrime agli occhi e dovette estrarre un minuscolo fazzolettino sgualcito dal suo taschino per potersele asciugare.
Verdiana era arrabbiata e aveva paura, una combinazione di emozioni quasi letale.
<< Io non canterei vittoria così presto se fossi in voi! Abram arriverà a salvarmi! >> Anthony le rivolse un ulteriore sguardo di disprezzo e le sputò addosso.
<< Quell’idiota di mio fratello non verrà. Non ci sarà nessuno a salvarvi, morirete tutte. >>

Tutte? Intende tutte le fate?!

Anthony le si avvicinò ancora. Prese con forza il suo viso tra le dita e la costrinse a guardarlo negli occhi mentre parlava.
<< Ora voglio che voi, Stelladifelce, portiate qui le vostre mostruose amichette. Non m’interessa quali o quante bugie dovrete raccontare, voglio solo che le portiate tutte qui senza far loro sapere che è presente qualcun altro. >>
Verdiana cominciò a tremare.
Che sarebbe morta per mano di quel pazzo l’aveva già intuito, ma non aveva neanche lontanamente preso in considerazione il fatto che lui avrebbe voluto sterminare la sua famiglia. Un pensiero le passò, fulmineo, per la testa: le fate erano tante e tutte dotate di poteri magici; lui era solo e conosceva solamente il suo nome.
Non sarebbe mai riuscito a sopravvivere.
Un sorriso vittorioso le percorse il viso; uno ancora più malefico fece capolino su quello di Anthony mentre la lasciava andare.
<< Credi che sia stato così sciocco da venire qui senza nessun’altro? Ti sbagli.>>
Lentamente, dalla boscaglia, cominciarono a fuoriuscire orde di uomini di ogni forma e taglia; praticamente l’intero villaggio.
Sul volto di ognuno di loro Verdiana poteva leggere la rabbia, il disgusto, l’orrore che provavano solamente guardandola e allora seppe che erano a conoscenza della sua natura di fata e che tutti loro, nessuno escluso, avrebbero voluto vederla morta.
Le avrebbero uccise, tutte quante.
Quelle persone erano lì per sterminare la sua gente.
<< Preparati, piccola e lurida creatura, perché tra poco qui ci saranno solo sangue e morte. >>
Verdiana si voltò, con le lacrime agli occhi, e cominciò a camminare, senza volerlo davvero, verso casa sua e delle sue sorelle. Ogni passo era pura sofferenza, ogni respiro un eterno tormento. Stava per condannare le uniche persone che avesse mai considerato come una vera famiglia. Le avrebbe portate tutte ad incontrare la morte.
Mentre l’ultima flebile luce del sole scompariva, inghiottita dall’oceano, e l’oscurità tra gli alberi l’accoglieva tra le sue braccia, sentì nuovamente l’orrida risata di Anthony Brennan e fu certa di aver appena incontrato quello che gli uomini chiamavano il Diavolo.
 

Abram era in ritardo. Gli era bastato uno sguardo veloce alla luce che filtrava placida dalla finestra di casa sua per capirlo. Stava assumendo la tipica sfumatura rosso-dorata di quando il sole si trovava solo a pochi centimetri dal toccare l’orizzonte.
Era dannatamente in ritardo.
S’infilò la giacca il più velocemente possibile e si fiondò giù dalle scale, fuori dalla porta e sulla strada per la radura.
Cominciò come una sensazione di fastidio. C’era qualcosa che non andava nel villaggio, nelle case, nelle strade, in tutto quello che lo circondava. All’inizio quel sentimento lo lasciò confuso: non sembrava avere nessuna logica, ogni cosa era esattamente come la ricordava.
La risposta arrivò improvvisa, come un fulmine nel mezzo di una tranquilla giornata soleggiata dove neanche una nuvola solcava il cielo. Arrivò e portò la luce nella sua mente.
Non c’era nessuno.
Non che normalmente al calare della sera ci fossero decine e decine di persone che passeggiavano tra le viuzze strette e maleodoranti, ma c’era sempre qualche padre di famiglia che lavorava fino a tardi o un paio di ragazzini che si attardavano a giocare per strada. Per non parlare del fatto che dal pub uscivano ogni sera una marea di voci concitate e ubriache, tra le quali riconosceva spesso quelle del padre e del fratello maggiore, mentre al momento, dalla porta sbarrata e dalle finestre chiuse, non solo non giungevano suoni e musica, ma nemmeno un minuscolo barlume di illuminazione.
Era piuttosto evidente che c’era qualcosa di diverso dal solito.

Ignoralo. Vai avanti per la tua strada. C’è qualcuno che stai facendo aspettare più del dovuto.

Abram aumentò il passo e tenne lo sguardo il più basso possibile così da evitare di accorgersi continuamente della mancanza dei suoi concittadini.
La cosa sembrò funzionare finché non finì a sbattere contro qualcuno.
Alzò lo sguardo e si trovò di fronte al suo migliore amico. I capelli neri e indomabili, come al solito, e gli occhi limpidi e sorridenti, dello stesso azzurro del cielo. Zachary distese le labbra appena lo vide e gli appoggiò una mano sulla spalla con fare fraterno.
<< Devi guardare dove vai, bello mio, o un giorno o l’altro potresti inavvertitamente finire in una rissa. >> Lo disse con il suo solito tono scherzoso eppure c’era qualcosa che non lo convinceva. Non poteva descriverlo in altro modo se non come una sorta di ombra che si nascondeva tra le pieghe del suo stesso essere.
Zachary gli stava nascondendo qualcosa.
<< Lo so, è che sto andando di fretta quindi … se non ti dispiace … >> Fece per spostarsi e continuare a camminare, ma l’altro lo precedette, bloccandogli nuovamente la strada.
<< Non hai due minuti per il tuo migliore amico? >> La sensazione d’inquietudine di Abram si acuì.
<< Possiamo parlare in qualsiasi altro momento, ora ho da fare. >> Tentò nuovamente di sorpassarlo e ancora una volta Zachary glielo impedì.
Ora stava cominciando a perdere la pazienza.
<< Si può sapere che cos’hai? Che sta succedendo? Perché non c’è nessuno? Perché le case sono tutte chiuse? E per che diavolo di motivo non mi vuoi lasciar passare? >> L’ultima domanda la urlò così forte che se si fossero trovati in condizioni normali qualche curioso si sarebbe fermato ad osservare la scena.
Zachary parve tentennare per un attimo, poi l’espressione sul suo viso s’indurì e Abram sapeva che stava a significare una presa di decisione da parte dell’amico.
<< Non puoi andare nel bosco, non oggi. Se ci fai finirai per farti ammazzare! >> Sembrava realmente preoccupato per la sua vita.
In quel momento ad Abram non poteva importare meno di così.
<< Come fai a saperlo? Dimmi che cosa sta succedendo! >> Zachary abbassò gli occhi per una frazione di secondo prima di iniziare a parlare.
Era dispiaciuto, Abram lo sapeva, e dentro di lui avrebbe voluto solamente consolarlo, ma non poteva. Quello strano comportamento iniziava a puzzare di tradimento.
<< Tuo fratello vi ha visti, l’ha vista. Ha radunato tutto il villaggio e l’ha portato nel bosco per sterminare quei mostri. Mi ha chiesto d’impedirti di andare perché non voleva trovarsi in condizione di doverti uccidere. Sto solo cercando di salvarti la vita! Ti prego Abram, non andare! Lascia che le uccida e torni con la sua stupida gloria, dimenticati di quella … ragazza e vai avanti! >> La voce di Zachary aveva esitato sulla parola ragazza. L’aveva detta solo perché sapeva che Abram era innamorato di lei. Per lui non era che una dei tanti mostri infami e ingannevoli.
Sentì la rabbia salire come un fiume in piena e avrebbe potuto indicare con precisione assoluta il momento in cui l’acqua avrebbe rotto gli argini e sarebbe straripata.
<< Lei non è un mostro! Nessuna di loro lo è! Come hai potuto tenermi all’oscuro di una cosa simile? Pensavo fossimo migliori amici e invece tu hai lasciato che tutto questo succedesse senza fare nulla! >> Se avesse avuto un’arma e più tempo a disposizione l’avrebbe ucciso.
Quel pensiero lo sconvolse.

Voglio davvero ucciderlo. Ciò significa che lo odio? È veramente questo il modo in cui avrà fine la nostra amicizia?

<< Abram, io … >> Non lo avrebbe lasciato parlare. Non aveva intenzione di sentire le sue patetiche e stupide scuse.
Lui con Zachary Galloway aveva chiuso.
<< Stai zitto! Se sopravvivrò a questa notte sappi che io e tutta la mia discendenza odieremo la tua famiglia in eterno e se invece dovessi morire, come dici tu, sta pur certo che succederà la stessa cosa perché mio fratello trova sempre qualcuno da incolpare per i suoi errori! >>
Il respiro di Abram era pesante. Il suo dito era ancora puntato contro il petto di Zachary con fare minaccioso, lo abbassò.
<< E adesso levati! Ho cose ben più importanti che stare qui ad occuparmi di un traditore! >> Zachary, lo sguardo sconvolto e il cuore sprofondato nella disperazione più totale, si fece lentamente da parte. Abram lo superò come una furia e si mise a correre in direzione della radura.
Mentre l’amico scompariva nel buio della notte, Zachary sussurrò un'unica e flebile parola che mai nessuno, tranne il vento, sarebbe riuscito ad udire.
<< Perdono. >>
 

Aveva detto loro che qualcosa di terribile era successo nella radura. Uomini o forse animali, non lo sapeva. L’unica cosa di cui era certa era che fosse inutilizzabile e che serviva la magia di tutte le fate per poter farla tornare com’era prima entro la luna piena successiva.
Nessuna aveva dubitato della sua parola.
D'altronde perché farlo: le fate non mentivano mai.
Tatiana era in testa alla fila, le altre scivolavano leggere dietro alla sua autoritaria figura. Verdiana riusciva a vedere fili di magia di vari colori sprizzare a destra e a sinistra; le sue sorelle si stavano inconsapevolmente preparando alla battaglia. A quel pensiero la sensazione di schegge acuminate che le trapassavano il cuore s’intensificò.

Madre perdonami per quello che sto facendo.
Madre perdonami per quello che ho già fatto e che non può più essere cambiato.

Quando giunsero nel circolo di alberi, che conoscevano così bene, si fermarono e incominciarono a guardarsi attorno con disappunto. Non c’era nulla che non andasse; la radura era esattamente come ognuna di loro la ricordava.
<< Dove sarebbe questo enorme problema? >> La voce di Tatiana era forte e chiara nel silenzio notturno del bosco, eppure pareva scoppiettare come le fiamme del fuoco quando divampavano alte.
<< Mi dispiace. >> Fu l’unica frase che Verdiana riuscì a proferire prima che dalle ombre uscissero uomini armati di tutto punto: forconi, spade, archi, asce, martelli e tutto quello che erano stati in grado di trovare. Alcuni di loro reggevano delle fiaccole improvvisate per portare un po’ di luce in tutta quella oscurità. Tatiana incrociò lo sguardo lacrimoso di Verdiana e le lanciò un’occhiata piena di indignazione e sconcerto.
<< Perché? >> Fu l’unica cosa che chiese.
<< Conosce il mio vero nome. >> Un risposta intrisa di vergogna e peccato per una domanda che suonava come un’accusa. La regina si voltò facendo svolazzare i suoi riccioli rossi e raddrizzò la schiena con eleganza.
<< Fate! È ora di combattere per la nostra vita. >> A quel grido, quelle fra loro che ancora non l’avevano fatto, liberarono la magia racchiusa nel loro essere e si scagliarono all’attacco.
Grida, fumo ed esplosioni di luce.
Ovunque Verdiana si girasse non vedeva che guerra e dolore.
Umani che venivano strangolati da piante magiche o lasciati senza l’aria necessaria a sopravvivere.
Fate che venivano colpite da frecce infuocate o decapitate a colpi di ascia.
Più di tutto vedeva sangue.
Macchie rosso scuro che coprivano ogni cosa: la terra, i corpi, le armi.

È colpa mia! Sono stata io a fare tutto questo!

Non sapeva neanche lei se stava per mettersi a piangere o se aveva intenzione di unirsi alla battaglia alla quale lei stessa aveva dato inizio. Ogni dubbio fu fugato quando un voce a lei famigliare la raggiunse.
<< Verdiana! >> Era Abram, ne era assolutamente certa. Iniziò a correre nella direzione da cui lui la stava chiamando, urlando a sua volta il suo nome. Mentre si muoveva in quella matassa di corpi, vivi e morti, udì un’altra voce: nitida e fiammeggiante.

Tatiana.

<< Mie figlie adorate, aprite le ali e fuggite. Non vinceremo questa guerra con la forza, ma con l’astuzia della nostra magia. >> Un vago ricordo della sua infanzia si fece strada nella mente di Verdiana. C’erano lei, Cinzia e altre giovani fate sedute attorno alla regina. Una di loro aveva chiesto quale fosse l’incantesimo più potente di cui Tatiana disponeva e la risposta era stata: “Una magia forte abbastanza da uccidere tutti i nostri nemici.”

No! Tutto, ma quell’incantesimo no!

Se lo avesse lanciato tutti gli umani sarebbero morti, anche Abram se non fosse riuscita a portarlo via da lì in fretta.
<< Abram! >> Continuava a correre tra i cadaveri; le fate che fuggivano e gli uomini che ridevano, divertiti dalla distruzione che avevano portato con loro.
<< Verdiana! >> Questa volta la voce era più vicina.
Doveva sbrigarsi, dovevano andarsene.
Verdiana sentiva il tempo scivolare via, inesorabile, assieme alla voce di Tatiana.
<< Alta la fiamma, vivo il fuoco;
le mie parole ascolta, languisci sotto al mio giogo;
scaglia la tua furia sul nostro antico nemico,
fa sì che il tuo potere sia valso il sacrificio. >>
La sua magia si propagò in ogni direzione.
Fili grigi che scivolavano con grazia tra le persone e che si tramutavano in fiamme voraci ogni qualvolta capitava loro di toccare un essere umano.
Verdiana non aveva più tempo.
<< Abram! Dove sei? >> Nella sua voce c’era la disperazione di una persona che stava perdendo tutto ciò che aveva valore nella sua vita, proprio davanti ai suoi occhi, e che non poteva fare nulla per impedirlo.
<< Verdiana! >> Era lì, proprio davanti a lei. A separarli c’erano solo cinque passi di distanza.

Ci sono riuscita! L’ho trovato! Ora possiamo andare via da questo posto infernale e vivere per sempre insieme felici.

Tese la mano nella sua direzione e Abram fece altrettanto. Sentì i polpastrelli di lui scivolare delicati sulla sua mano e un brivido di gioia ed eccitazione la percorse da capo a piedi.
Durò solo un istante.
Un fulminea lingua grigia lo colpì in pieno petto ed esplose nel più terribile e maestoso dei fuochi.
Tutto quello che lei vide fu Abram e poi più niente.
Verdiana restò immobile, nella stessa identica posizione in cui si trovava poco prima, solo che ora non stava più per raggiungere il suo grande amore.
Quello che restava di Abram Brennan era solo un corpo carbonizzato, il braccio ancora teso verso di lei, ma senza alcuna speranza di raggiungerla.
Verdiana cadde in ginocchio.
Attorno a lei le fate superstiti volavano via; la regina Tatiana le chiamava a raccolta e partiva verso territori ignoti, alla ricerca di una nuova casa; gli uomini urlavano e bruciavano e cadevano a terra senza vita.
Nella radura erano rimaste solo sangue e morte, come aveva detto Anthony.
I corpi delle fate cadute si illuminarono di splendenti luci colorate: alcune erano azzurre molto chiare, altre blu come le profondità oceaniche oppure verde bosco. Lentamente anche quest’ultime scomparvero e ciò che restava delle fate fece ritorno al suo elemento d’origine.
Verdiana non le vide o, se lo fece, le ignorò.
Ora non c’erano più nemmeno le grida strazianti degli uomini, attorno a lei era solo silenzio.
<< Abram? >> Lo disse piano la prima volta, poco più che un sussurro, poi lo ripeté più forte e infine lo urlò a pieni polmoni quasi che il suono del suo nome contenesse la magia necessaria a riportarlo indietro.
Si accasciò e cominciò a piangere.
Un pianto disperato e logorante, così triste che, nell’udirlo, chiunque avrebbe pensato ad un amore perduto nel più tragico dei modi.
<< Verdiana, dobbiamo andare. >> Era la voce di Cinzia, della sua amica più cara. Si vedeva che cercava di mantenere una parvenza di controllo, ma che, sotto sotto, era davvero dispiaciuta per il dolore dell’altra.
Verdiana non voleva la sua compassione.
<< Vattene! Tornatene a casa, io non verrò con te! >> La fata dell’aria rimase in silenzio. I capelli biondi erano cosparsi di rosse macchie umide e appiccicaticce, così come il viso. Il suo sguardo si muoveva rapido da Verdiana alle altre fate che si allontanavano, indeciso sul da farsi.
<< Ti prego, Verdiana, vieni con … >> Non riuscì a concludere la frase.
<< Io non ci riesco, non lo sopporto! Non posso vivere senza di lui! Perché?! Perché l’ha portato via da me?! >> Non stava ascoltando le suppliche della sua amica; l’unica cosa che sentiva, forte e chiara, era il suo dolore. Strinse con delicatezza la mano carbonizzata di Abram tra le sue.
<< Lui era tutto, era l’altra parte della mia anima. Come si fa a vivere se metà di ciò che sei se n’è andato per sempre? >> Verdiana lasciò andare il corpo dell’amato e premette con forza le mani nel terreno. Quando vide quel gesto e le lacrime senza speranza della fata, Cinzia capì e un tremito di paura fece bagnare le sue guancie dal pianto.
<< No! No, per favore non farlo. >> Verdiana strinse più forte l’erba bruciacchiata.
<< Io non la voglio più! È tua, riprenditela! Non voglio più vivere! Mi hai sentito? Riprenditi la mia vita! >> Una fievole luce verdastra cominciò a turbinare leggiadra attorno a Verdiana e la fata sorrise: poteva mettersi il cuore in pace; ora sarebbero stati assieme per sempre.
Cinzia non poteva sopportarlo, non più di quanto Verdiana potesse sopportare la morte di Abram. Fece scattare le ali e si alzò in volo, dando la schiena alla scena.

Ti voglio bene, Verdiana.

Ti voglio bene anch’io.

Quando Cinzia raggiunse le altre si voltò un’ultima volta, ma il corpo di Verdiana era già scomparso, avvolto dalla magia del suo elemento.

Ricordati che polvere sei e polvere ritornerai.

 
Circa trecento anni più tardi, nel punto in cui Verdiana aveva rinunciato alla sua vita immortale, due fate riaprirono gli occhi da quello che era sembrato un lungo sonno pieno di sogni, sia belli che tragici. Quelli di Cinzia erano velati di lacrime.
<< Non pensavo che tu l’avessi vista morire. >> Astrea era visibilmente toccata dalla storia a cui aveva appena assistito. Sua madre si alzò, asciugò i suoi occhi stanchi da antiche lacrime di rammarico e s’incamminò silenziosa fuori dal circolo di alberi.
<< Ho un’ ultima domanda: le fate l’hanno mai perdonata per quello che ha fatto? Voglio dire hanno considerato la sua perdita come una punizione sufficiente? >> Astrea non voleva sembrare cattiva, ma era così che le cose funzionavano nel mondo delle fate: per ogni trasgressione c’era un prezzo da pagare se si voleva essere assolte.
<< No, nessuna fata l’ha mai perdonata. >> Astrea annuì lievemente con la testa; neanche lei l’avrebbe fatto.
<< Ma io sì. >> Aggiunse Cinzia sorridendo e questo lasciò la figlia ancora più perplessa di quanto non fosse stata prima del racconto.
<< Perché? >>
<< Perché sbagliare è umano. >> Rispose con la sua solita dolcezza, inclinando leggermente la testa. Astrea incrociò le braccia e la fissò scocciata, come se stesse guardando qualcuno che si stava prendendo gioco della sua intelligenza.
<< Però Verdiana non era umana, era una fata. >> Cinzia sorrise. Pareva divertita dall’acuta risposta della figlia.
<< Già, ma il suo cuore era molto più umano di quello degli essere umani stessi. >> Sua madre la prese per mano e insieme lasciarono quel prato desolato che era diventato la tomba di così tante persone, sia mortali che immortali.
Una sorta di cimitero magico.
Il luogo in cui, tanto tempo prima, danzavano le fate.




Spazio Autrice
Dopo più di due mesi il miracolo è avvenuto! Sono riuscita a pubblicare l'ultimo capitolo! 
I finali alla Romeo e Giulietta li ho sempre odiati e vi giuro che ho cercato di trovare una soluzione diversa con tutta me stessa, ma, non volendo togliere la morte di Abram (diciamo che è da quella scena che è nata l'idea della storia), non ho potuto fare altrimenti.

Come dice all'inizio di quest'avventura (o forse addirittura nel prologo di questa serie) ogni storia è ispirata ha una canzone di cui ho messo alcune frasi all'inizio di ogni capitolo. In questo caso si tratta di Spectrum di Florence and the Machine (saranno quasi tutte loro le canzoni).
Se volete ascoltarla vi basta cliccare Qui


Con questo vi lascio, spero che il finale vi sia piaciuto (si fa per dire).
Alla prossima,
Mel

 

   
 
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