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Autore: FireFistAce    01/01/2015    6 recensioni
Salve! Questa storia è il mio primo Crossover e, quindi, la prima Jelsa che scrivo. Piccola precisazione: i capitoli sono alternati, dopo il prologo sono Jack, Elsa, Jack, Elsa, ecc...
Spero che vi piaccia!
Dal capitolo due:
"Jack (si chiamava così, giusto?) si rimise in piedi subito, volteggiando fino a terra e atterrando con grazia.
Ora che lo guardavo bene, notai che doveva avere più o meno la mia età, ed era vestito in modo improponibile per uno che aveva planato sulle montagne innevate: una leggerissima felpa blu con le maniche lunghe, un paio di pantaloni marroni a pinocchietto e basta. Non aveva le scarpe, non aveva le calze, una sciarpa, un paio di guanti, niente. [...]"
Dal capitolo tre:
"Avrei voluto farle un sacco di domande in quel momento.
Non hai freddo? Non sei stanca? Non vuoi tornare a casa?
Invece rimasi in silenzio e la accontentai, passando intorno a una nuvola conica che andava verso l'alto, girandole intorno e poi capovolgendomi per tornare verso il suolo a capo in giù.
Sentii le sue braccia stringermi il collo e il suo viso affondare nella mia spalla mentre cadevamo a velocità folle verso il basso.
“Hai paura?” chiesi preoccupato.
“No”
Genere: Malinconico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, I Cinque Guardiani, Jack Frost, Un po' tutti
Note: Cross-over | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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Dopo la bufera

La vita, da quando avevo fatto pace con me stessa, scorreva tranquilla.

Ero improvvisamente diventata la Regina più amata e famosa che Arendelle avesse mai avuto: i bambini venivano da me a chiedermi di congelare le loro scarpe per pattinare, gli adulti venivano da me quando avevano bisogno di scappare dalla loro vita piena di impegni e volevano svagarsi.

Non avevamo più chiuso le porte del palazzo da allora e Anna era il ritratto della vita e della felicità: correva in paese, osservava le persone mentre lavoravano, andava in giro con Olaf e Sven e a sera, quando Kristoff smetteva di portare il ghiaccio, si mettevano tutti nel salone del camino e stavano lì a parlare e scherzare.

Inizialmente tutto questo mi aveva affascinata. Niente più solitudine, niente più freddo nella mia stanza, niente più porte chiuse. Avevo ritrovato mia sorella e non vivevo più nella paura di uccidere qualcuno.

Certo, il rischio c'era sempre e cercavo ogni giorno di allenarmi per qualche ora a comandare i miei poteri, ma ormai avevo il pieno controllo della neve.

Era una vita splendida, calma, tranquilla e serena.

Nonostante questo, ormai era da un po' di tempo che mi ritrovavo la notte da sola a fissare il cielo. Dentro di me era nato il bisogno di capire come mai io fossi l'unica con un potere simile, chi aveva deciso che io dovevo comandare il ghiaccio e soprattutto perché.

Ad Anna non avevo detto niente: non volevo preoccuparla senza motivo e le mie domande potevano tranquillamente rimanere senza risposta.

In fin dei conti perché rovinare quella vita che avevo sempre desiderato solo per delle curiosità che mi avrebbero portata solo a mettere in discussione la mia esistenza?

“Elsa, che stai facendo?” mi chiese Olaf una sera, raggiungendomi in camera. Avevo lasciato la porta aperta e lui era entrato, come faceva solitamente.

Ero accoccolata alla finestra aperta ad osservare la neve che scendeva fuori, rischiarata dalla luce della luna.

Gli sorrisi.

“Guardo il cielo” risposi.

Lui si arrampicò sul davanzale con me, con il suo modo di fare goffo e buffo.

“E cosa guardi nel cielo?” domandò.

“La luna” dissi.

“Oh, la luna. E perché guardi la luna?”

Mi venne da ridere: quando iniziava a domandare, Olaf non si fermava più.

“Perché mi piace ed è splendente. Mi mette tranquillità” spiegai.

Incantata da quel bagliore argenteo, roteai una mano nell'aria e feci apparire la figura cristallizzata di un fiocco di neve, che brillò davanti ai nostri occhi.

“Wow, Elsa, sei proprio brava!” esclamò Olaf, meravigliato. Feci esplodere il fiocco di neve in tanti piccoli fiocchi, che si posarono su di noi. Lui fece un gridolino e provò a prenderli con le mani, ridendo come un bambino.

“Dai, è tardi adesso. Vai a dormire, ok?” gli dissi subito dopo, facendogli una carezza sulla testa. Lui annuì.

“D'accordo! Buonanotte, Elsa” mi salutò, per poi correre fuori dalla mia stanza, verso quello che una volta era un ripostiglio e che io avevo adibito a cameretta per Olaf, con tanto di letto congelato, neve perenne che cadeva dal soffitto per raffreddare l'ambiente e armadio pieno di pantofole di ghiaccio.

Chiusi la porta, poi rimasi per un attimo sovrappensiero: da un po' di tempo, ormai, volevo tornare sulla cima di quella che era diventata la mia montagna, però sapevo benissimo di non poterlo fare di giorno. Non potevo lasciare Arendelle senza di me perché i miei sudditi avevano bisogno di una guida, e poi avrei fatto preoccupare Anna scomparendo senza motivo.

Appoggiai l'orecchio alla porta per sentire se c'erano rumori in corridoio ma era tutto completamente silenzioso. Strinsi le labbra, pensierosa per un secondo, poi sigillai la porta con il ghiaccio per impedire che qualcuno entrasse a disturbarmi.

Presi un mantello dall'armadio, me lo misi intorno alla testa per non essere riconosciuta e poi aprii la finestra. Feci comparire magicamente una soffice pedana di neve sotto al davanzale e ci saltai sopra, scivolando lentamente verso il basso e atterrando sul suolo ghiacciato senza fare rumore.

 

Quando lo vidi in lontananza sentii una felicità pervadermi, come se stessi tornando a casa dopo un periodo lunghissimo. Il mio palazzo, fatto interamente di ghiaccio. Salii la scalinata in cristallo osservando tutti i particolari che avevo costruito quell'estate, poi aprii il portone principale ed entrai nella sala d'ingresso.

“Let it go” canticchiai.

Poi mi misi a ridere e a volteggiare, allegra come non ero da un po', e cambiai il mio abito, che era tornato, da quando regnavo, ad essere quello del giorno dell'incoronazione.

Salendo felice la rampa di scale che portava al primo piano, stavo pensando al fatto che la pace che regnava in quel posto mi faceva sentire viva e libera, ma poi lo sentii.

Mi bloccai, cercando di capire cosa fosse: era una risata?

Mi avvicinai silenziosamente alla porta e la aprii leggermente. Intravidi le grosse gambe di Marshmellow che si muovevano in circolo, lo sentivo che ringhiava contro qualcosa che probabilmente gli volteggiava intorno.

Poco più in alto, leggermente sopra la sua testa, c'era un ragazzo. Un ragazzo che volava.

Solo per un secondo rimasi incredula (chi ero io, in fin dei conti, per pensare che volare fosse una cosa assurda? Costruivo palazzi interamente fatti di ghiaccio!), poi aprii la porta all'improvviso.

Il ragazzo si bloccò, sorpreso, dando la possibilità a Marshmellow di dargli un colpo sulla testa e farlo cadere.

Frenai la sua caduta rovinosa con un cumulo di neve per evitare che si facesse male e subito dopo la mia ghiacciata guardia del corpo lo prese per un piede, alzandolo come se fosse un salame.

“Ehi, lasciami andare! Ti ho detto di mollarmi, stupido cubetto di ghiaccio!” si mise a gridare, divincolandosi e cercando di colpire Marshmellow con un bastone di legno, ricurvo sulla cima, che aveva in mano. Per tutta risposta, lui gli ringhiò contro infuriato.

“Chi sei tu?” domandai sulla difensiva, pronta a congelarlo in caso di bisogno.

Lui mi fissò con uno sguardo strano, quasi come se non capisse.

“Tu... riesci a vedermi?” chiese. Rimasi senza parole.

“Non provare a distrarmi con domande inutili” risposi.

“No, no, scusami, non volevo... senti, ti giuro che non sono un tuo nemico, ok? Fammi mettere giù dal tuo amico e ti prometto che proverò a spiegarti. D'accordo?” propose.

Scossi la testa, allibita.

“Non se ne parla nemmeno! Sei a casa mia, nel mio palazzo! Se non ti muovi a dirmi chi sei giuro che ti congelo!” lo minacciai.

Sul suo viso pallido nacque un sorriso beffardo che mi fece salire il sangue alla testa.

“Ti assicuro che non funzionerebbe nemmeno se ci mettessi tutto l'impegno del mondo” disse.

“Stai tirando troppo la corda. Chi sei e perché sei qui?” domandai per l'ultima volta. Lui sospirò, poi si arrese.

“Io sono Jack Frost. Stavo svolazzando in giro per i fiordi e, mentre sorvolavo la montagna, ho visto questo palazzo, mi è piaciuto e mi sono avvicinato. Tutto qua” rispose.

Non ero sicura di credergli.

“Perché puoi volare?” chiesi ancora.

“Per lo stesso motivo per cui tu puoi comandare il ghiaccio, immagino” commentò.

Questo era un punto per lui, considerai.

“D'accordo, ascoltami faremo così: adesso Marshmellow ti lascerà e tu te ne andrai di qui. Chiaro?” proposi. Lui annuì.

“Va bene, ma fammi scendere. Ho il sangue alla testa!” esclamò.

Feci un cenno a Marshmellow, che aprì la grossa mano nevosa e lo liberò dalla sua stretta. Jack (si chiamava così, giusto?) si rimise in piedi subito, volteggiando fino a terra e atterrando con grazia.

Ora che lo guardavo bene, notai che doveva avere più o meno la mia età, ed era vestito in modo improponibile per uno che aveva planato sulle montagne innevate: una leggerissima felpa blu con le maniche lunghe, un paio di pantaloni marroni a pinocchietto e basta. Non aveva le scarpe, non aveva le calze, una sciarpa, un paio di guanti, niente.

Si passò una mano tra i capelli bianchi e mi guardò sorridendo.

“Ehi, complimenti alla guardia del corpo. L'hai creata tu?” s'informò indicando Marshmellow, che strinse pericolosamente gli occhi, già infastidito dal suo modo di fare.

“Ho detto che devi andartene. Non sei il benvenuto qui”

Jack alzò le mani in segno di resa, continuando a sorridere.

“Lo so, lo so. Mi dispiace, Regina Elsa, di continuare a disturbarla” disse con un inchino.

“Come sai il mio nome?” chiesi, già pronta a congelarlo di nuovo.

“La Regina dei Ghiacci. Sei famosa in tutto il mondo, sai?”

“Che cosa?”

Quella notizia mi lasciò basita: famosa in tutto il mondo? Di certo non era quello che volevo.

Jack mi guardò e il suo sorriso si spense un poco.

“Ehi, stavo scherzando. Non ti preoccupare” mi disse. Lo osservai.

“Se stavi scherzando allora come sai chi sono?” domandai.

“Non avrei potuto non saperlo. Ecco, lascia che ti mostri” rispose.

Continuavamo a rimanere sulla difensiva, io e Marshmellow, ma ora ero anche incuriosita.

Vidi Jack prendere il suo bastone e scattare in avanti, correndo lungo il pavimento. Un secondo dopo l'ampio spazio circolare che io stessa avevo creato si mutò e del disegno di un fiocco di neve con cui avevo abbellito il pavimento non rimase niente. Al suo posto, il ghiaccio divenne più bianco e si espanse sotto ai nostri piedi, decorato con piccole venature splendenti che mi incantarono. Al centro un enorme statua di neve, una perfetta copia di me e Marshmellow, si materializzò in un secondo, proprio come il mio palazzo quell'estate.

Mi caddero le braccia per lo stupore.

“C-cosa... tu...” balbettai. Ero incredula.

Chi diavolo era questo Jack Frost?

  
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