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Autore: Naki94    04/01/2015    0 recensioni
A Mason Creek continuano le ricerche dell'agente dell'FBI Jersey Shown non solo sulla recente scomparsa di Sofia Monroe, ma di altri due ragazzi: Martin Hoover e Jason Davies. E mentre gli abitanti di Mason Creek, soprattutto i genitori dei ragazzi scomparsi, diventano sempre più inquieti, emerge dal passato la leggenda di un demone soprannuminato Lo Slender. Il detective Shown dovrà combattere contro le superstizioni di un paese intero mentre continua la sua indagine su un caso sempre più intricato.
Genere: Horror, Suspence, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
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 Quando arrivo in centrale trovo in lacrime, seduti su quelle scomode poltroncine nella sala prima degli interrogatori, due coppie di genitori. Sui loro volti c'è tenebra e dolore mentre stanno l'uno accanto all'altro abbracciati. Sono i genitori dei due ragazzi scomparsi. Mentre mi avvicino una delle due madri disperate davanti a me parla col marito a voce strozzata dal groppo forte alla gola e dal pianto. «Harry, dovevamo andarcene. Dovevamo andarcene finché eravamo in tempo. Te l'avevo detto, dovevamo andarcene da questa città!».

Incrocio lo sguardo di Kooper che arriva dalla parte opposta del corridoio, evito lo sguardo dei genitori ed entro nella stanza per gli interrogatori sapendo che ci avrebbe pensato Kooper a calmarli e a renderli più disponibili alle indagini prima di farli entrare.

I primi ad entrare sono i signori Hoover e io metto subito in chiaro un paio di cosette. «Signor Hoover, signora Hoover, conosco l'opinione pubblica della città di Mason Creek e riconosco che le indagini fino ad ora hanno conseguito pochi risultati, tuttavia vi garantisco che io personalmente sto impiegando tutto il mio tempo e le mie energie per trovare i vostri figli e mettere dietro le sbarre a vita quel figlio di puttana che gli ha rapiti. Detto questo pretendo da voi la massima collaborazione e zero lamentele e perdite di tempo. Sono stato chiaro?».

I signori Hoover mi guardano interdetti per qualche istante dandomi l'evidente l'impressione che le mie parole abbiamo smorzato in loro quella rabbia assassina che avevano in corpo due secondi e mezzo prima, quando sono entrati dalla porta.

Il signor Hoover avvicina il viso alla moglie che ancora mi fissa. «Il detective ha ragione, non serve a nulla incazzarsi. Dobbiamo trovare nostro figlio».

«Questo è lo spirito giusto, ora procediamo».

La signora Hoover si asciuga le lacrime e ripone il fazzoletto ormai intriso e fradicio nella borsetta.

«Ricordate a che ora vostro figlio, Martin Hoover, è uscito di casa?». Apro il mio taccuino sulla scrivania metallica.

«E' uscito di casa dopo pranzo, forse erano già le due del pomeriggio». Risponde il signor Hoover.

La signora Hoover precisa la risposta del marito. «Sì, intorno all'una e mezza è uscito di casa».

«Sapevate dove andava?».

Il signor Hoover si appoggia alla scrivania protendendosi verso di me. «No, credo che l'abbia chiamato uno di suoi amici ad uscire. Io ero in camera da letto e ho sentito squillare il telefono di casa e Martin parlare con qualcuno».

«Ma non vi ha detto dove andava o chi doveva incontrare?».

Il signor Hoover risponde. «No, è uscito e basta»

Questa volta la signora Hoover aggiunge qualcosa. «E' strano che non abbia detto nulla».

«Che cosa è strano?» Domando.

La signora Hoover risponde. «Vede detective, Martin è sempre stato, fin da bambino, una persona molto rispettosa ed educata. Non lo dico perché è mio figlio, glielo posso garantire. Le birbonate le ha fatte anche lui, ma non è bravo a nascondersi o a dire bugie. Ora che ci penso, ieri, dopo pranzo, è uscito senza dire niente. Io non ci ho dato peso, però in genere ci dice sempre dove va o con chi è. Sarà solo una coincidenza».

«Signora Hoover, una cosa importante mi ha insegnato questo mestiere, ovvero che non esistono coincidenze». Mi accendo una sigaretta e poi mi rivolgo di nuovo alla signora Hoover. «Dunque Martin è un ragazzo che tutto sommato che vi racconta sempre tutto?».

«Sì, esatto». Risponde la signora Hoover. «E' sempre stato molto sincero. Quando tenta di non esserlo noi lo vediamo subito».

«Dopo non avete più avuto sue notizie?».

«No, niente. Lo aspettavamo a casa per le sei così da prepararsi per la cena, ma non è arrivato così abbiamo chiamato subito a casa dei Davies e dei Wide per sapere se Martin era da loro e quando verso le nove abbiamo saputo che anche i loro figli non erano rientrati abbiamo chiamato subito la polizia».

«Grazie mille, siete stati molto bravi. Quando uscite dalla porta dite pure ai signori Davies che possono entrare. Grazie della collaborazione». Spengo la sigaretta nella tazza di caffè vuota che stava sulla scrivania da qualche giorno e aspetto che i signori Davies entrino.

La signora Davies, Clara Davies è la prima ad entrare, seguita poi dal marito. La prima impressione: l'agitazione di un interrogatorio è invisibile al confronto con la grave paura che noto vibrare sopra le occhiaie gonfie negli occhi stanchi avvizziti. Si siedono.

«Allora, signori Davies, voglio trovare vostro figlio e ho bisogno del vostro..».

La signora Davies mi interrompe seppur sussurrando, odio quando qualcuno lo fa. «Nessuno può trovare nostro figlio».

«Le assicuro, signora Davies, che, anche se le indagini possono sembrare lente e senza risultati, abbiamo il piede tutto sull'acceleratore e non intendiamo mollare». Provo a rassicurarla.

Allora lei mi guarda oltre il ciuffo di capelli spettinati che le scivola sul volto crespo. Mi fissa negli occhi con lo sguardo di una pazza, forse accenna a un sorriso di chi non ha più speranza e si lascia cadere nelle braccia del destino. «La creatura risvegliata nei boschi ormai l'ha presa, voi state dando la caccia a un fantasma. Non troverete mai il colpevole perché lui non esiste».

Il signor Harry Davies non calma certo la situazione, ma anzi aggiunge benzina al fuoco. E il suo tono è cupo e serio. «Clara ha ragione, quell'essere di cui tutti parlano è sorto dal bosco. Quei satanisti andrebbero arsi al rogo per quello che hanno fatto».

«Un momento. Immagino che l'assenza di prove, di testimoni, e di un sospettato in una comunità come la vostra, di fronte a tragedie simili, possa far nascere le più assurde superstizioni, ma non posso credere che voi ora parliate sul serio. Siete evidentemente in uno stato di choc per quello che è accaduto, vi comprendo».

Un profondo silenzio cala nella stanza mentre i rami secchi di un cespuglio grattano graffiando il vetro della finestra della stanza. «Detective, lei non ha idea di ciò che è stato risvegliato. Quel mostro ci ucciderà tutti se non andiamo via da qui». Continua la signora Davies. «Perché non siamo andati via prima che accadesse Harry? Perché non siamo scappati da Mason Creek finché avevo ancora il mio Jason?».

«Ha detto “avevo” non avevamo. Signor Davies, lei è il vero padre di Jason?».

Harry risponde prima chinando la testa. «No, il padre di Jason è morto quasi tre anni fa». La signora Davies precisa. «Robert ed io abbiamo divorziato quando quando Jason era ancora piccolo, poi mi sono risposata con Harry».

«Qual'era allora il suo cognome da coniuge?».

«Gordon».

«D'accordo. Voglio solamente farvi un paio di domanda». I signori Davies finalmente decidono di tacere ritirandosi in un attento silenzio . «Quando avete visto l'ultima volta vostro figlio Jason?».

Clara risponde. «Harry era al lavoro e mi aveva chiamato che non sarebbe tornato per pranzo, così Jason ed io abbiamo mangiato qualcosa davanti alla TV. Poi Jason ha chiamato col telefono di casa il suo amico Martin. Quando è tornato in salotto, perché noi abbiamo il telefono di casa in un angolo del corridoio nel reparto notte, mi ha detto che sarebbe uscito con Martin ed Eric quel pomeriggio».

Quella rivelazione mi piomba addosso come acqua gelata e annoto tutto sul quaderno. «A che ora è uscito, se lo ricorda?». Domando.

«Sì, poco dopo l'una del pomeriggio. Me lo ricordo perché stata per cominciare quel programma di cucina che guardo ogni martedì e avevamo appena pranzato».

«Bene. Jason per caso le ha detto dove andava?».

«No, è uscito abbastanza di fretta. Non gliel'ho chiesto».

«Un'ultima cosa: ha notato qualcosa di strano in suo figlio Jason quel giorno? Un gsto particolare o un frase?».

«Da quando suo padre Robert è morto, Jason ha iniziato ad avere dei comportamenti un po' strani. Anche se ha qualche amichetto come Eric o Martin, rimane un ragazzo a cui piace stare in disparte. Ha volte passa interi pomeriggi fuori casa, da solo».

«Grazie signori Davies, potete andare».

Alla porta, ancora voltata vero l'uscita, Clara Davies si ferma e mormora qualcosa. «Lo Slender, detective Shown, dall'oscurità di Carachura, si sfamerà di altre giovani anime».

All'esterno, oltre il vetro della finestra su cui battono i secchi rami del cespuglio, si apre lenta e regolare la successione di cupi versi monosillabici di un gufo.

   
 
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