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Autore: Beatrix Bonnie    11/01/2015    2 recensioni
-Seguito de L'orologio d'oro-
I tempi spensierati sono finiti: con il ritorno di Colui-che-non-deve-essere-nominato, Mairead, Edmund e Laughlin, insieme ai loro amici del FIE, dovranno affrontare il crescente clima di razzismo dell'Irlanda magica, tra ansie per gli esami finali, nuovi caos a scuola e un Presidente della Magia che conquista sempre più potere. Per Edmund non sarà un'impresa facile, soprattutto visto che il ragazzo sarà anche impegnato nella ricerca di un leggendario manufatto magico di grande potenza, che potrà salvarlo dalla maledizione impostagli da Sigmund McFarren. Ma dove lo porterà la sua ricerca? E questo oggetto esiste davvero o sono solo farneticazioni di un vecchio?
Genere: Drammatico, Mistero, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: II guerra magica/Libri 5-7
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Il Trinity College per Giovani Maghi e Streghe'
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CAPITOLO 13
Incastrato!






Rohiall si strinse nel suo mantello di lana. Aveva uno sguardo cupo, così distante dal sorriso spensierato e allegro che l'aveva sempre caratterizzato. «Ed, sei sicuro di questa cosa?»
Edmund lasciò cadere il capello di padre Rafael nella pozione Polisucco preparata da Gearoid, il padre di Rohiall. No, non era affatto sicuro di quella cosa, ma ormai era tardi per tirarsi indietro. La Polisucco richiedeva un mese di tempo per essere preparata, oltre ad una serie di ingredienti che non si trovavano in una normale dispensa scolastica, per cui Edmund si era rivolto a Gearoid, che per sopravvivere vendeva pozioni a maghi e streghe che non avevano tempo o modo di confezionarsele da soli. Era stata una mossa azzardata coinvolgere altre persone nel suo piano, ma non aveva avuto scelta.
«E se ti scoprissero?» insistette Rohiall.
«Per Merlino, non lo so!» sbottò Edmund. «Al massimo mi beccherò una punizione o qualcosa di simile... non sto rapinando la Gringott, voglio solo accedere alla biblioteca del seminario.»
Una folata di vento gelido li investì, agitando i rami più alti degli alberi. Si trovavano poco fuori dal territorio del Trinity, perché Edmund aveva sfruttato il passaggio segreto che sbucava nei boschi che circondavano il villaggio di Doolin.
Rohiall si strinse nelle spalle, forse dispiaciuto per aver insistito. «È che ho un brutto presentimento» si giustificò. «Con questi tempi cupi, sai...»
«Ti senti più ispirato per la divinazione?» completò Edmund, cercando di sdrammatizzare.
Rohiall apprezzò lo sforzo e fece balenare un sorriso sulle labbra. «Il mio bisnonno era un Veggente, sai?»
«E tu credi di aver ereditato qualche dote?»
Rohiall rise. «Credo di aver più possibilità di divinare con un paio di bottiglie di whisky nello stomaco!»
Edmund si sentì improvvisamente più leggero. Ma sì, sarebbe andato tutto benissimo! Sollevò il bicchiere con la Polisucco al cielo, per un brindisi. «Alla divinazione col whisky!» esclamò, e poi svuotò il contenuto con un sorso solo.

Adolphus McPride era convinto che l'onestà fosse un buon modo per raggiungere i propri obiettivi. Ma quando l'onestà falliva, si poteva far ricorso a qualche scappatoia. Quella che stava per mettere in atto, in particolare, non era una semplice scappatoia: era un piano ben articolato e perfettamente funzionante, che stava per essere implementato.
«Cosa state facendo?» domandò uno dei figli di Deamundi. McPride non sapeva dire quale fosse: erano già troppo simili normalmente, figuriamoci con i tratti del volto modificati in modo da essere irriconoscibili. Deamundi era stato molto coraggioso o molto stupido ad offrire tre dei suoi figli per quel piano. Aveva risparmiato il primogenito e erede al titolo, ma certo mettere in pericolo tre giovanotti di così belle speranze era un peccato. O forse il Conte non si fidava più di nessuno dei suoi uomini e aveva scelto i figli per una missione tanto delicata.
McPride sorrise. «Sto rendendo ancora più efficace il nostro piano» spiegò tranquillo, continuando a scrivere il biglietto, sempre nascosto al riparo dietro lo sperone di roccia. I tre fratelli Deamundi, vestiti di nero con delle maschere bianche sul volto, si sarebbero introdotti al Trinity tramite quel passaggio segreto che McPride aveva scoperto quando ancora frequentava la scuola: partiva da un albero nel bosco nei dintorni di Doolin e giungeva fino a sotto il ponte che portava al castello. Da lì, sarebbero entrati in atrio e poi in portineria. Ed era proprio in quel momento che il piano sarebbe stato perfetto grazie a quel biglietto. McPride lo incantò con la bacchetta e lo passò ad uno dei fratelli Deamundi. «Non appena arrivate in portineria, fate volare questo biglietto.»
«Cosa significa?» domandò uno dei tre, strappando il foglietto dalle mani del fratello e leggendo quello che vi era scritto.
McPride accennò con il capo a due figure che si intravedevano nel bosco. «Quello più alto è mio figlio Edmund» spiegò. «Non so cosa ci faccia fuori dal castello, ma possiamo sfruttare la cosa a nostro vantaggio.»
Il ragazzo con in mano il biglietto annuì, facendo segno di aver capito. «Così non potrà sostenere di non averlo scritto lui, a meno di non ammettere che è uscito dal castello.»
McPride gli rivolse un sorriso compiaciuto. Questo doveva essere il secondogenito, il fratello sveglio. «Grazie a questo biglietto, verrà in atrio una ragazza» continuò a spiegare. «Fate in modo di essere scoperti da lei e soprattutto ditele in un modo o nell'altro il motivo per cui vi siete introdotti nel castello.»
«Ovvio.»
McPride preferì insistere su quel punto basilare. «È essenziale che sappia il motivo della vostra presenza. Altrimenti il piano non funziona.»
Il secondogenito scoppiò a ridere, con una risata talmente forte e allegra che i fratelli gli fecero segno di far silenzio, se non volevano essere scoperti. Quello si ricompose, ma non perse il sorriso. «Lo sappiamo, non siamo degli idioti» commentò, come se quel trattamento da bambini lo divertisse più che infastidirlo.
«Bene.» McPride annuì soddisfatto, poi si sporse oltre lo sperone di roccia per controllare che Edmund e l'altro ragazzino se ne fossero andati. «Via libera» annunciò.
I tre fratelli Deamundi si misero le maschere e si avviarono verso il passaggio segreto mostrato da McPride.
«Vedete di non far del male a nessuno» li avvertì prima che sparissero dentro il tronco dell'albero. «E soprattutto di non farvi catturare.»

Edmund aveva scelto di muoversi dopo cena, approfittando del buio, visto che tanto aveva scoperto che la biblioteca del seminario chiudeva alle otto di sera. Raggiunse Doolin senza essere visto, ma ricordò a se stesso che, se anche qualcuno l'avesse visto, con l'aspetto di padre Rafael poteva andare dove voleva. Aveva trasfigurato dei vecchi vestiti dell'orfanotrofio perché sembrassero quelli del prete e si era imbacuccato in un mantello nero. Si era perfino procurato, tramite Rohiall, un paio di occhiali finti. Certo, non ci vedeva molto così, ma almeno assomigliava in tutto e per tutto a padre Rafaell. Nessuno avrebbe prestato attenzione a lui.
In tutta tranquillità, si buttò nel metrombino di Doolin per raggiungere Dubh Cliathan. Le strade della parte magica di Dublino erano quasi deserte, a quell'ora, complice il freddo e la strana tensione che aleggiava nell'aria.
Edmund raggiunse indisturbato il seminario: un portone anonimo si affacciava su una delle strade secondarie di Dubh Cliathan con affianco la targa di marmo che fungeva da insegna. Edmund trattenne il respiro e bussò. Venne ad aprirgli un maghetto anziano, ingobbito e mezzo cieco, con una voce resa stridula dall'età. «Padre Majestis?» domandò, aggiustandosi gli occhialetti sul naso.
«Ehm... sì, sono io» rispose Edmund, impacciato.
Il vecchio mago si spostò dall'ingresso per permettergli di entrare.
Edmund gli rivolse un sorriso tirato e cercò disperatamente qualche indizio che potesse condurlo verso la biblioteca. Per fortuna, incrociò due giovani seminaristi che lo salutarono con rispetto e calore. «Mi accompagnereste in biblioteca?» buttò lì allora Edmund, sperando che i ragazzi potessero indicargli la strada, lungo i corridoi e le ampie scalinate del vecchio palazzo.
«Certamente, padre» rispose quello più alto, che aveva i capelli rossi come il fuoco e due incredibili orecchie a sventola. «Stavamo parlando del possibile successore del patriarca Iohannes VII. Sembra che le sue condizioni di salute siano ulteriormente peggiorate.»
«Ehm... già» fu l'arguto commento di Edmund. Ad essere sinceri, non sapeva nemmeno che il Patriarca Magico fosse malato.
«Io dico che sceglieranno il cardinal Saiminiu» commentò l'altro seminarista, convinto.
Edmund corrugò la fronte, per un attimo perplesso, poi gli ritornò alla mente che lo zio del professor Saiminiu era cardinale. Era stato lui a proporre di mandare Priscilla, la sorella storpia di Septimius, a studiare a Hogwarts.
Il ragazzo alto sospirò. «Lo temo anche io, anche se a me piacerebbe che eleggessero il cardinal Ravase.»
«Perché temi?» intervenne Edmund, troppo curioso per scegliere la tattica più ovvia del silenzio stampa e non rischiare così di tradirsi.
Il seminarista alzò le spalle. «Mah, ci sono dei frangenti nella curia di Roma che spingono perché anche la Chiesa Magica accolga definitivamente tutte le istanze del Concilio Vaticano II, non solo quelle che sottoscrisse all'epoca il patriarca Gregorius XIII» spiegò tranquillo. «Solo che il cardinal Saiminiu è un tradizionalista, quindi dubito che appoggerebbe l'idea.»
«Lei cosa dice, padre?» lo interpellò l'altro, fiducioso in qualche risposta illuminante da parte del professore.
«Be'...» balbettò Edmund, chiedendosi che cosa avrebbe potuto dire padre Rafael in quel settore. Ripensò alla lezione sulle Arti Oscure e immaginò che il professore fosse tutto tranne che un tradizionalista. Sorrise. «Io dico che un bel vento di novità non farebbe male alla nostra Chiesa.»
Nel frattempo erano arrivati davanti alla porta della biblioteca. Non appena Edmund entrò, rimase incantato ad osservare lo splendore del salone dal soffitto affrescato, ricolmo di libri ordinatamente collocati su scaffali immensi, posti tutti lungo le pareti. Al centro, una serie di tavoli, ognuno con la propria lampada e leggio, mentre due magnifici lampadari illuminavano il salone. «Certo che è davvero bella questa biblioteca» si lasciò sfuggire Edmund, ammirato.
«Decisamente sì» concordò il seminarista spilungone.
Edmund notò la pergamena incantata di cui gli aveva parlato padre Rafael, tramite la quale avrebbe potuto trovare immediatamente i libri che parlavano dei conti O'Donnell e O'Neill, e si lasciò sfuggire un sorriso soddisfatto. «Credo proprio che sarà una serata fruttuosa.»

Mairead abbandonò la testa sul librone che stava leggendo. Il professor Codail era stato felicissimo di accoglierla per la Disputatio, anche perché – e questo la diceva lunga sull'età dell'insegnante – anche suo padre Reammon l'aveva fatta con lui. Tuttavia, la sua felicità non gli aveva impedito di rifilarle dei mattoni impressionanti da studiare per elaborare la ricerca.
«Questo coso sbrodola per pagine e pagine tutte le leggi precedenti che vengono riprese e riformulate dalla Costituzione Irlandese!» si lamentò con Moira, sbuffando.
La sua amica alzò gli occhi dal tema di Incantesimi che stava ultimando. «Hai scelto tu una materia pallosa per la Disputatio, non è colpa mia» le rispose. «Chi cerca il suo Molliccio...»
«...pianga se stesso» completò Mairead, alzando gli occhi al soffitto di legno dell'aula studio. «Lo so, lo so.»
«Senti» bisbigliò invece Moira, mettendo da parte la penna d'oca. «Alla fine cosa voleva Sergey?»
Mairead alzò la testa dal libro di storia e si guardò in giro. «Mi ha chiesto di uscire» rivelò alla fine.
«Tu e lui?» replicò stupita Moira. Non se lo sarebbe mai aspettato, perché Balosky – che aveva conosciuto un po' meglio quell'anno in quanto suo compagno dictator – non aveva mai dimostrato grande interesse nei loro confronti. «E tu cosa gli hai risposto?» chiese ancora. La sua domanda era stata solo un'occasione per distrarre l'amica dall'insofferenza nei confronti della Disputatio, non si immaginava certo di ritrovarsi a parlare di argomenti scottanti. Mairead si strinse nelle spalle. «Eh... gli ho detto sì.»
«Gli hai detto sì?»
«No... cioè...» balbettò la ragazza. «Ero confusa, mi ha colta alla sprovvista.»
Moira la guardò dritta negli occhi. «E con Edmund, allora?»
Mairead distolse lo sguardo e sospirò. «Edmund è mio amico» sussurrò, più che altro a se stessa.
«Credevo volessi qualcosa di più di un'amicizia» le rispose Moira, senza smettere di guardarla con intensità. La sua amica le aveva parlato qualche tempo fa del subbuglio di strani sentimenti che sentiva nascere per Edmund e lei era convinta che sarebbero stati una bellissima coppia. Ma a volte erano talmente idioti tutti e due che bisognava smuovere un po' le acque perché succedesse qualcosa.
«Sì, lo volevo...» borbottò Mairead. «Cioè, lo voglio ancora, ma non mi sembra che per Edmund valga la stessa cosa e non voglio rovinare il nostro rapporto per una stupida fantasia che mi sono messa in testa.» Aveva cominciato a provare qualcosa per Edmund da quando erano scappati da Petra, da quando si era accorta che i suoi occhi erano incredibilmente vivi, meravigliosi ed espressivi, colpiti dai raggi del sole appena sorto, che faceva brillare le sue lacrime come diamanti. All'inizio non aveva capito che cosa le passasse per la testa, il motivo per cui si sentiva così legata a lui, il suo pensarlo in continuazione, la voglia di passare più tempo possibile con lui. Poi aveva capito di provare qualcosa nei suoi confronti, qualcosa di più forte di una semplice amicizia. Aveva pensato che sarebbe stato bello poter passare la sua vita insieme a lui. Ma Edmund non sembrava pensarla allo stesso modo: lui non pareva interessato a null'altro che non fossero le sue ricerche. E forse era meglio così.
La questione si poteva chiudere lì, senonché Mairead notò che Moira stava per replicare qualcosa, quindi si affrettò per aggiungere: «Non posso vivere aspettando un sogno irrealizzabile. Sergey è reale, mi ha chiesto di uscire, è carino e non è un idiota bellimbusto che gioca a Quidditch. Perché non provarci?»
Moira le riservò un'occhiata che non lasciava spazio ad equivoci. «Perché non è Edmund.»
Mairead sbuffò e si rimise a leggere il libro di storia per dimostrare tutto il suo disappunto.
«Hai un foglietto che ti svolazza sulla testa» la informò Moira, senza smettere di usare quel tono di chi è convinto di aver ragione.
Mairead afferrò al volo l'aeroplanino che le ronzava sulla testa e lo aprì, sempre con una certa stizza. Una grafia che non riconosceva aveva vergato poche parole: Vieni subito in atrio, è urgente. Il biglietto recava la firma di Edmund. «A parlar del diavolo...» borbottò scontrosa.
«È di Edmund?» si informò Moira, e sembrava stranamente compiaciuta.
«Sì, ma questa non mi sembra la sua scrittura» rispose Mairead, mostrando il biglietto all'amica.
Moira prese il biglietto e lo osservò per un attimo. «Nemmeno a me. Però forse si è cacciato nei guai e ha chiesto a qualcuno di scriverti.»
«Edmund ha un sesto senso per i guai» sbuffò Mairead, cominciando a buttare le sue cose nella borsa.
Anche Moira cominciò a mettere a posto. «Ti accompagno.»
Non c'era più in giro nessuno per il castello, nonostante fossero appena le otto di sera. Il motivo principale era l'inverno, che insinuava il suo freddo nei corridoi bui e silenziosi, senza che i pochi bracieri riuscissero a battere gli spifferi delle finestre e le crepe dei muri. Mairead era ancora imbronciata per la storia di Edmund e Sergey, per cui la camminata fu abbastanza silenziosa. Le due ragazze erano quasi giunte in atrio, quando Mairead si accorse che le mancava un libro. «Ho lasciato il volume del professor Codail in aula studio» borbottò immusonita. «Vai avanti, che ti raggiungo.»
«Va bene.» Moira represse un brivido di freddo, poi si incamminò sola verso l'ingresso. Quando scese gli ultimi gradini della scalinata che portava in atrio, si accorse subito che non c'era nessuno ad aspettarla, né Edmund né qualcuno che potesse aver mandato quel biglietto. Era una cosa sciocca, ma la sua mano corse istintivamente alla bacchetta che teneva in borsa. Poteva benissimo essere uno stupido scherzo, magari architettato dalla Diablaiocht e dai suoi compari, eppure aveva la sensazione che stesse per accadere qualcosa di irrimediabile.
«C'è nessuno?» domandò, la sua voce che si perdeva nell'eco. Fece qualche passo verso la Sala Mor, quando dei suoni sordi verso la portineria richiamarono la sua attenzione. Forse è solo Armandus, il custode, cercò di convincersi, ma la sua mano stringeva ancora forte la bacchetta. Passò una manciata di secondi in cui non successe nulla, tanto che Moira fu sicura di essersi sbagliata.
E poi la porta della portineria si spalancò di botto e ne uscirono tre maghi incappucciati, con un lungo mantello nero e una maschera bianca sul viso.
Moira sentì le gambe cederle. Una morsa di gelo le attanagliò il cuore, che prese a martellare all'impazzata nel petto. Aprì la bocca, fece per urlare, ma non le uscì alcun suono. La sua mano si serrò involontariamente intorno alla bacchetta, per quanto la sua mente non avesse nemmeno provato a formulare il pensiero di attaccarli. Che cosa avrebbe mai potuto fare lei contro tre Mangiamorte?
«Stai zitta e non ti faremo nulla di male.» La voce era giovanile, sembrava quella di un ragazzo. Era dura e tagliente, ma non così spaventosa come Moira si sarebbe aspettata.
Le tornò un po' di animo. «Cosa...? Cosa avete fatto al professor Captatio?» riuscì a mormorare, temendo che i Mangiamorte avessero aggredito il preside nel suo studio.
Il Mangiamorte in mezzo scoppiò a ridere, una risata vitale e grassa, che non aveva nulla a che fare con quelle temibili e sarcastiche tipiche dei cattivi della storia. «A Captatio? Proprio nulla. Era lui che dovevamo incontrare» rivelò stupidamente.
Moira era troppo spaventata e sconvolta per domandarsi il motivo per cui i Mangiamorte avessero rivelato il loro piano. «Dovevate vedere il preside?» fece loro eco.
«Nessuno deve sapere di questo incontro!» Il primo Mangiarmorte riprese il controllo della situazione. «Schiantiamola e cancelliamole la memoria!»
Moira non pensò a quanto maldestri dovevano essere quei tre per gridare ad alta voce il loro piano d'azione, ma approfittò di quella idiozia per buttarsi al riparo contro il portone della Sala Mor, che si aprì sotto il suo peso. Dei raggi di luce rossa le passarono sopra la testa, mancandola di parecchio e andando a frantumare una panca dei Llapac. Moira urlò, urlò con quanto fiato aveva in gola, inginocchiandosi a terra e riparandosi al testa con le braccia. Una voce dentro di lei, che assomigliava tanto a quella di Edmund, le ordinò di alzarsi e combattere, di fronteggiare il nemico e affrontare la morte in modo eroico, ma Moira si limitò a strisciare a terra per ripararsi contro la parete.
Entro cinque secondi entreranno in Sala e ti troveranno rannicchiata a terra, alla loro completa mercé! urlò la voce nella sua testa. Alzati e combatti!
Ma in quella confusione di lampi e incantesimi maldestri, un altro grido si impose sugli altri: «Moira!»
Mairead entrò in scena come un tornado, la bacchetta puntata avanti a sé, urlando qualsiasi maledizione le passasse per la testa.
«Filiamocela!» ordinò uno dei Mangiamorte.
Non appena gli incantesimi smisero di volare nella sua direzione, Moira si alzò lentamente da terra e spiò in ingresso. I Mangiamorte se l'erano filata, Mairead era sul punto di inseguirli come solo una stupida Raloi poteva pensare di fare, quando comparve un po' di gente richiamata dal baccano. Quello che seguì fu per Moira confuso come un sogno dell'alba. Arrivarono un sacco di studenti, tra cui anche Henry che la abbracciò e la consolò con tutto l'affetto di cui era capace. Poi arrivarono i professori e il preside, vennero chiamati degli Auror e tutti cominciarono a vociferare e a dire la propria su quello che era successo. Ad un certo punto comparve anche Edmund, con l'aria perplessa e colpevole, come se temesse di essere stato scoperto a compiere qualcuno dei suoi guai.
Il capo degli Auror insistette anche per interrogare Moira immediatamente. «Cosa ci facevi in ingresso?» la aggredì, senza nemmeno avere il buon gusto di trattarla con un certo tatto, visto il brutto quarto d'ora che aveva appena passato.
«Io stavo accompagnando Mairead, perché Edmund le aveva scritto di raggiungerla in atrio al più presto» spiegò Moira, con la spiacevole sensazione di sentirsi sotto processo.
«Dov'è il biglietto?» L'Auror sembrava voler soppesare ogni sua affermazione.
Mairead allora si fece avanti e glielo mostrò. «Eccolo.»
Per un attimo, gli occhi di Moira incrociarono quelli perplessi di Edmund e capì che davvero quel biglietto non l'aveva scritto lui. Ma Edmund non la smentì, forse perché, per dimostrare di non aver scritto a Mairead, doveva confessare qualcosa di più grave.
«Bene.» Dopo aver dato un'occhiata al biglietto, l'Auror le piantò gli occhi addosso. «Ora dimmi: hai sentito i Mangiamorte dire qualcosa? Hanno detto il motivo per cui sono penetrati nel castello?»
Moira deglutì. Rivelare quello che aveva sentito avrebbe significato mettere nei guai il preside, per quanto fosse certa che i Mangiamorte avessero mentito riguardo al loro incontro.
«Ragazzina, sarai interrogata di nuovo in centrale» la avvertì l'Auror. «Qualsiasi cosa tu sappia, è meglio che la dica adesso.»
Gli occhi ansiosi di Moira saettarono verso il professor Captatio. Lui ricambiò il suo sguardo, sembrò quasi capire e accennò un sorriso d'incoraggiamento.
«Hanno detto – le mancò la voce, – hanno detto che avevano incontrato il professor Captatio.»
Gli sguardi di tutti si puntarono sul preside. Lui chiuse gli occhi, come se si preparasse ad affrontare tutto ciò che sarebbe conseguito da quella affermazione.
Moira si sentì terribilmente in colpa perché quando l'uomo riaprì gli occhi, lei vide che erano quelli di un vecchio stanco. E ne fu certa: il professor Captatio era stato incastrato.









Ecco a voi, cari amici, un capitolo bello farcito!
Insomma, succedono un sacco di cose! Soprattutto, ecco realizzato il malvagio piano di McPride per mettere fuori gioco Captatio... quanto questo piano sarà efficace, lo potrete vedere molto presto! ;)
Insomma, invece di blaterare, vi lascio una bella carrellata di immagini:
Tanto per cominciare, QUI una bella foto di Rohiall, il nostro adorato Irish Traveller che ogni tanto compare, quando serve!
QUI i quattro fratelli maschi Deamundi: Cassian, erede del titolo, poi Liutpridus (il secondogenito sveglio, a detta di McPride, nonché l'unico ad aver ereditato gli occhi verdi degli O'Brian... vorrà pur dire qualcosa!), Tricolon e infine Eibhean, che ha frequentato il Trinity per qualche anno con Ed e gli altri. Ovviamente sono gli ultimi tre a partecipare al piano di McPride.
QUI la biblioteca del seminario (ovvero la biblioteca Queriniana di Brescia), mentre qui quella del Trinity e qui una che vi dà l'idea di come sia quella di McPride (che è solo circolare, però!).
QUI l'immagine di gruppo dei Nagard del sesto anno, per chi non l'avesse ancora vista, cosicché possiate ammirare il bel Sergey Balosky. È quello alto, cosa che non mancherà di far notare un Edmund piuttosto geloso! ;)
QUI una bella immagine di un chiostro che assomiglia molto a come mi immagino quello del Trinity (lo so, non c'entra nulla, perdonate... ma era troppo bella!)
QUI, finalmente, l'immmagine del capitolo: ovvero i fratelli Deamundi mascherati da Mangiamorte. Bel costume per carnevale! ;)

Be', vi annuncio che sono a buon punto con il prossimo capitolo, quindi aggiornerò fra sole 2 settimane, lunedì 26 gennaio!
A presto!
Beatrix

   
 
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