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Autore: Evenstar75    21/01/2015    4 recensioni
Trovata la Cura per il vampirismo, Bonnie ha evocato un incantesimo che lascia libera scelta: vivere una vita mortale oppure trascorrere un'eternità da vampiro o da ibrido.
Damon è scomparso da anni e nessuno ha più sue notizie.
Elena ha scelto Stefan e insieme vivono felicemente da umani al pensionato di Zach.
In casa Salvatore è nata una bambina dai meravigliosi occhi azzurri, a cui è stato dato il nome di Demetra.
Sedici anni dopo, Damon è tornato per lei.
'I know the risk but I have to know her'.
Intanto Rebekah Mikaelson trama vendetta contro i suoi nemici di sempre per uno sgarbo che le ha portato via il 'lieto fine'.
Una nuova maledizione incombe sulla ignara e spensierata 'next generation' di Mystic Falls.
I nostri eroi dovranno fare un salto nel passato per salvare il futuro dei loro figli e, per riuscirci, dovranno collaborare e riaprire molte ferite e questioni irrisolte.
Le avventure di Matilde 'Matt' Lockwood, Sheila Bennet, Nick Mikaelson e Demi Salvatore... in capitoli ispirati ad un'ipotetica serie tv :D
Saranno molto gradite le recensioni :D
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Damon Salvatore, Elena Gilbert, Nuovo personaggio, Stefan Salvatore, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: Triangolo
Capitoli:
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Previously On the DemiDiaries.
(rielaborazione delle scene/punti chiave del seguente capitolo)

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Cap36_Shadows:
 
Prince: ‘’ E’ in arrivo una bella baraonda demoniaca
pronta a leccare i piedi della Deveraux.
Demoni e Ombre,
evocati direttamente dall’Inferno grazie al sangue
di un Marchiato con lo Stigma Diaboli.’’
 
Nick: ‘‘Non lascerò che tocchino Demi. Non mi arrenderò mai, non finché non sarà salva.-’’
 
Prince: ‘’Niente di quello che farai basterà a tenerla al sicuro dal suo destino.
La strega non smetterà mai di darle la caccia e, quando te l’avrà portata via, il tuo cuore finirà sottoterra, sepolto accanto a lei.
E, per un essere immortale, vivere con quel vuoto può essere molto, molto doloroso.
Devi… ecco, credermi sulla parola.’’

 
 
Cap37_Like_Father_Did:
 
Prince: ‘’Non c’è da scherzare, con quelle creature.
Purtroppo lo so meglio di te e non sono così idiota da rischiare di restarci secco.
Abbiamo bisogno di armi. Di un equipaggiamento decente.’’
 
*Al laboratorio del Mystic Grill*
 
Mattie e Sheila: W-Willy? William… Doge?!
 
Mattie: ‘’Fermi tutti… un momento!
 Da quando un comunissimo, brillante ma sfortunato studente di liceo, è diventato un esperto di Dark BibidiBula?! Non sono mica cose che si imparano nel tempo libero tra uno straordinario mal pagato e l’altro, quelle lì, giusto?!’’
Will: ‘’Dal ramo materno, discendo da una delle famiglie magiche più prestigiose di New Orleans. Mia madre era una delle streghe più in gamba del Quartiere Francese.
I miei genitori sono stati attaccati da un branco di schiavi oscuri che la Deveraux aveva spedito di proposito alla nostra porta.
 Li voleva fuori dai piedi, questo è sicuro.
Se non fosse stato per Eve, nemmeno io sarei sopravvissuto.’’
 
Nick: ‘’Sheila non riesce a sentire i pensieri di Eve perché lei è in grado di comunicare solamente con chi è un Licantropo.
Con chi lo è una volta al mese, con chi lo è in parte, oppure, comunque, con chi potrebbe… diventarlo.’’

Mattie: ‘’Vuoi dire che c’è una speranza che anch’io diventi una di voi?’’
Nick: ‘’Tu non sarai mai un Lupo Mannaro, è fuori discussione.
E preferirei che questo discorso rimanesse chiuso.’’
 
Elena a Damon: - Dov’è… dov’è Stefan?-
Damon: - Ha cercato di fermarmi.
Niente di grave, sta’ tranquilla. L’ho solamente… ucciso.
E risparmiami la parte in cui mi dici che avrei dovuto ascoltare i consigli di tuo marito mentre mi chiedeva di rispettare la tua sacrosanta decisione e di lasciarti venire qui a morire, ti prego.-
 
Rebekah: - Diglielo, Elena. Dille che l’hai sempre ingannata a proposito del suo vero padre ed io te la restituirò, sana e salva. E vi lascerò in pace, una volta per tutte.-
 
Demi a Damon: ‘’Tu lo sapevi e non me l’hai mai detto! L’hai sempre saputo, è così? Da quanto tempo va avanti questa messinscena?
Hai finto anche tu, Damon, per tutto il tempo…’’
 
Prince: ‘’Mai farsi mordere da un’Ombra.
I denti e la saliva di quelle creature sono le loro armi più pericolose.
E’ coi morsi che trasmettono il loro veleno e, una volta entrato in circolo quel siero, non c’è Cura al mondo che possa impedire ad un essere vivente di diventare come loro.’’

 
*A sbalzare Demi lontano dal pericolo mortale, infatti, proprio come Elijah aveva fatto con Prince, era arrivato Nick, i suoi capelli castani contro il sole morente del tramonto inoltrato.
Fu Nick ad essere aggredito ed acciuffato dall’Ombra sibilante di Adam Stone al posto di Damon e, mentre la Salvatore ruzzolava tra i cespugli, al riparo, fu nel collo delicato del minore dei Mikaelson che calò il morso incurabile e maledetto dell’Infero.*

 
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- NOOOOOOOOO!-
 
Nick udì quell’urlo corale e disperato rimbombare in lontananza, come dall’interno di una campana vuota, ma non riuscì in nessun modo ad impedire ciò che sapeva che, di lì a poco, sarebbe accaduto: mentre rotolava tra i ciuffi d’erba, sbalzato via dall’impatto violento con l’Ombra di Adam Stone, udì il tonfo sordo della propria schiena contro il terreno duro ed asciutto, ed il peso di quella creatura ringhiante che gli gravava sul petto, mozzandogli il fiato in gola. Si dibatté nel vano tentativo di liberarsi, ma ebbe giusto il tempo di veder baluginare un paio di zanne rossastre sopra la propria testa, prima di sentirsele affondare brutalmente nel collo.
Il dolore che si dipanò all’istante dai due fori slabbrati incisi nella sua giugulare non fu paragonabile a nessun genere di sofferenza fisica da lui sperimentata prima: era un acido amaro che sfrigolava sulla sua pelle e sotto di essa, un gelo incandescente che gli strappava i pensieri con pinze avvelenate, una scarica elettrica che si propagava in tutte le sue cellule impazzite, senza controllo, come un fiume in piena, strabordante di pura ed inguaribile oscurità.
Nick sentì gli occhi ardere con violenza mentre li rivolgeva quasi involontariamente al cielo, poi avvertì distrattamente che il metallo freddo della catenina posta attorno alla sua gola cedeva, rompendosi con un tintinnio leggero.
Le sue pupille si tramutarono in due specchi vacui, mentre il ragazzo capiva che l’anello di Elijah era scivolato via dalla collana di Mattie, rotolando nel verde, fino a giacere inerte al suo fianco, simile un grosso diamante imbevuto di sangue.
‘’Domani papà mi dirà che sono stato bravo a non far andare perduto il suo anello. Non si era accorto di averlo lasciato cadere sul pavimento… ci tiene così tanto… sarà felice quando glielo restituirò. Sarà… così… felice…’’
L’odore lieve e dolciastro della clorofilla gli assalì le narici mentre stramazzava all’indietro, schiacciato al suolo dal suo assalitore; poi, mentre quest’ultimo sollevava la propria faccia contorta e traslucida, segnata da fitte ragnatele blu notte attorno agli zigomi ossuti, Nick notò che, a sfavillare nelle sue iridi lattiginose e feroci, c’era una soddisfazione perversa, estranea, orribilmente familiare.
Quella di Sophie.
La strega senza scrupoli, da qualche parte nel buio di quei tunnel privi di coscienza, si stava godendo lo spettacolo, assaporando il trionfo appena ottenuto contro chiunque avesse mai osato opporsi al suo piano di tenebre ed egoismo. Il suo maniacale, succulento senso di successo fremeva attraverso l’aura della sua personale marionetta demoniaca, la stessa che aveva appena contaminato col proprio siero il fratellino della sua Arma, nonché il ragazzo della sua vittima sacrificale.
Un vero colpo da maestra.
Se la bocca annerita dell’Ombra avesse potuto emettere un qualsiasi suono, lo sapeva, ne sarebbe venuta fuori una risata stridula ed assordante, ma l’unico cambiamento che Nick riuscì a carpire nelle vicinanze fu un repentino, secco sussulto da parte di Adam. Questi, come colto alla sprovvista da qualcosa (o da qualcuno), s’irrigidì bruscamente sul posto, mentre il figlio di Elijah si rendeva conto che il carico del suo corpo cominciava a farsi via via più leggero da sostenere.
La presa ferrea dei suoi artigli sulle sue braccia si allentò e la sua morsa divenne sempre più debole, fino a quando non si sciolse definitivamente, liberandolo.
- Colpisci, dritto al cuore.- la voce di Demi, rintoccò così cruda e trasfigurata che Nick la riconobbe a stento: la ragazza comparve come un miraggio alle spalle del fratello di Kayla, proprio nel momento esatto in cui lui si accasciava mollemente di lato. Aveva i lunghi capelli neri arruffati, scossi dal vento ed intrecciati di foglie, e le sue mani erano macchiate di un viscoso liquido color catrame. Stringeva convulsamente il paletto che Nick le aveva consegnato poco prima, e la punta grondante del legno lasciava intendere come l’arma fosse appena penetrata in profondità tra le scapole dell’Infero, mandando a segno il colpo decisivo e mettendolo temporaneamente fuori combattimento.
- Demi…- esalò Nick, muovendo soltanto le labbra, un istante prima di sentire il buio calare su di sé. Lei non riusciva a distogliere lo sguardo dalla carcassa immobile e scomposta di Adam Stone al loro fianco: c’era un insolito alone torbido che la circondava, qualcosa che somigliava all’ebbrezza del terrore, della repulsione e del piacere insieme. Annientare quella creatura abominevole le aveva procurato un’ondata ineguagliabile di adrenalina, un balsamo giunto in suo soccorso proprio quando aveva creduto di non avere altra scelta, se non quella di arrendersi al dominio dello Stigma Diaboli.
Attaccare le era piaciuto, le era servito.
Ma a quale prezzo?
Inorridita, la Salvatore si fissò le dita gocciolanti del sangue di quello che era stato soltanto un adolescente, un innocente schiavizzato dalla Magia Nera che proprio lei aveva attirato in città, e, con un urlo soffocato, lasciò cadere di scatto il pezzo di legno appuntito.
Anche tutte le forze nei suoi muscoli tesi e sfiniti parvero precipitare giù e Demi si schiantò con entrambe le ginocchia sulla nuda terra, accanto a Nick, quasi crollando addosso a lui:
- Nick.- mentre allungava la propria mano per cercare quella del ragazzo, gelida come se fosse stata plasmata nella neve mattutina, lei si sentì all’improvviso vecchia e rattrappita, prosciugata, come se qualcosa le avesse risucchiato via tutte le energie. Non era neppure sicura di possedere la forza necessaria per continuare a respirare e, come se non bastasse, ogni volta che provava a riempirsi d’aria i polmoni, l’ossigeno le feriva la gabbia toracica come un diluvio di spilli crudeli. Fissando il volto elegante e familiare di Nick rimanere esangue e privo di sensi, congelato in una smorfia serena e dolcissima che rendeva la sua bellezza ancora più insopportabile, la Salvatore sentì che gli occhi le si riempivano di lacrime, accecandola: - Nick, per favore. Per favore, svegliati. Guardami. Non ti azzardare… oh, no, no, ti prego…-
Ma lui non reagì, neppure quando lei lo scosse, dapprima lievemente, poi sempre con più insistenza, quasi con rabbia. Nuotando nell’oceano del suo silenzio assente, Demi ebbe la sensazione di stare lottando contro una corrente impietosa d’agonia, nel tentativo di non lasciarsi trascinare giù. No, non poteva vivere in un luogo dal quale non avrebbe più potuto raggiungerlo… e dirgli grazie
- Bambina…- la voce di Damon la raggiunse da poco lontano, affaticata e graffiante, eppure concreta, vivida e reale. Demetra avvertiva il suo odore selvatico e amaro di vegetazione, di vento, di sangue e sale, e percepiva il suo tiepido calore corporeo riscaldarla mentre, quasi spaventato all’idea di toccarla, le sfiorava la schiena in una muta carezza. Come se avesse previsto ciò che il vampiro le avrebbe detto da lì a qualche istante, lei strinse più forte le dita attorno a quelle immobili di Nick, scuotendo la testa, mentre appoggiava la guancia bagnata sul petto inerte del ragazzo. Non c’era alcun battito cardiaco, sotto la sua camicia stracciata, nessun accenno di movimento.
- Non respira. N-non… non… respira. Perché non…? Damon…- ansimò la sedicenne, senza riuscire a smettere di tremare. Il fratello di Stefan serrò la mascella, la faccia ormai segnata da un lividore così evidente da dare ai suoi lineamenti le sembianze di una maschera, poi si costrinse a mormorare, con tutta la tenerezza che riuscì a racimolare:
- Shhh… Demi, Demi… mi dispiace tanto... lascialo andare, piccola, lascialo...-
Lei alzò di scatto il capo, lanciando un’occhiata furente all’uomo, come se le avesse appena chiesto l’impossibile, come se non capisse. Poi l’azzurro delle iridi della giovane s’intrecciò al suo gemello, altrettanto lucido ed intenso, e qualcosa in quell’abisso la spinse a prendere in considerazione l’unica possibilità che, per quanto orribile, poteva riuscire a spiegare in modo sensato l’atroce realtà dei fatti.
Nick era… era caduto.
A quel punto, Demetra avrebbe voluto urlare fino a farsi consumare le corde vocali, fino a lasciarle carbonizzare dal senso di privazione che la annichiliva dall’interno, e lo fece, senza pensarci due volte. Solo che il nome che si ascoltò pronunciare non era esattamente quello che si sarebbe aspettata:
- PRINCE!-
In quel momento si udì un boato squarciare la greve atmosfera circostante, così netto ed improvviso da far sobbalzare di spavento persino Damon, il quale s’inginocchiò subito verso la figlia, afferrandola per le braccia e costringendola a stare al riparo: una pira color zaffiro, infatti, era divampata proprio al loro fianco, avvolgendo il cadavere del fratello di Kayla Stone nelle proprie fiamme altissime e scoppiettanti e dilaniandone le carni, fino a cancellarne il ricordo. Demi, guardando oltre la spalla di Damon, vide riflesse quelle lingue di fuoco danzante in un paio d’occhi smeraldini, stravolti e feroci, le cui pupille erano così dilatate da inghiottire quasi completamente l’iride. Lei si rese conto che il principe non stava osservando né lei né il vampiro; era come se fosse cieco a qualsiasi altra cosa al mondo che non fosse il corpo di suo fratello disteso bocconi sul terreno, con le ciglia che gli proiettavano flebili ombre a raggiera sotto le palpebre chiuse.
Come quando era soltanto un bambino, e Prince si sporgeva per sbirciare verso il suo letto dalla porta della loro stanza, poco dopo essere rientrato a villa Mikaelson stanco, sudato e distrutto dagli allenamenti. Nick si era lamentato spesso dell’abitudine che il biondo aveva di non svegliarlo per trascorrere un po’ di tempo assieme, ma a Prince era sempre bastato assicurarsi che l’altro stesse bene e che la Deveraux avesse rispettato il patto stipulato in cambio del suo silenzio… tutto qui.
‘’Perché tu non vuoi che il tuo fratellino si faccia male, non è vero, Prince?’’
- FUORI DAI PIEDI!-
Damon sentì un brivido spasmodico percorrergli la spina dorsale mentre l’eco di quella voce giovane e vibrante di collera gli richiamava alla mente un volto del passato che credeva ormai sepolto da sedici anni: Klaus. Incredulo e suggestionato, il vampiro dalla chioma corvina si girò appena verso il ragazzo alto e muscoloso che era piombato accanto a loro come un fulmine, poi batté più volte le ciglia, cercando di strapparsi dal cervello l’immagine indesiderata che i suoi pensieri avevano già costruito intorno a quel tono inconfondibile e letale.
Nonostante la somiglianza quasi paurosa, quel tipo non era esattamente identico all’Ibrido Mikaelson che aveva tormentato le loro esistenze vampiresche: i suoi capelli erano chiari e riccioluti come una cascata di miele intorno alla sua fonte aggrottata e nei suoi tratti c’era una delicatezza quasi angelica che, nonostante l’espressione assassina, lo rendeva molto più simile a Rebekah che al suo dispotico fratellastro.
Non che questo dettaglio giocasse in suo favore, comunque.
Demi sollevò lo sguardo luccicante di lacrime verso il giovane, notando come il suo labbro inferiore, spaccato dal pugno di Adam Stone, fosse stato già miracolosamente ricucito dalla magia guaritrice insita nella sua natura sovrannaturale, e provò l’istinto di afferrarlo per un braccio, di scuoterlo per ottenere dei chiarimenti, delle rassicurazioni, qualunque cosa potesse strapparla via da quella tortuosa spirale di dubbio e di angoscia:
- Che cos’ha? Perché non si sveglia? Che cosa gli hanno fatto?!- esplose, con un nodo in gola. Nick era esanime solo da qualche minuto, eppure non le era mai mancato così tanto: aveva l’impressione che Prince, concentrato com’era sul fratello, non avesse la minima intenzione di darle ascolto, né tantomeno di rivolgerle un briciolo d’attenzione, e si sentiva impazzire dal senso d’impotenza: - Non può essere… lui non… n-non è…-
- No.- fu una risposta così fioca da portare Demi a credere di essersela inventata di sana pianta; poi Prince serrò con forza un muscolo della mascella, sfiorando con l’indice il lato della mandibola di Nick, come per assicurarsi di aver intuito il giusto a proposito delle sue condizioni. Senza dare nell’occhio, scostò appena il colletto della sua camicia bianca per scoprire un lembo di pelle d’avorio e la trovò solcata come da uno strato di collosa fuliggine nera: era il calco già sbiadito di un’arcata superiore incisa nella carne, e la faccia del figlio di Klaus s’incupì, invece di rasserenarsi, nel rilevare quel preciso particolare.
La Salvatore non capiva. Se Nick non era morto, che cosa poteva aver strappato ogni traccia di sollievo dal volto attonito del principe?
- NO!-
Con sua immensa sorpresa, il ragazzo si piegò su se stesso con un grido strozzato di dolore, stringendosi lo stomaco come se fosse squassato dai crampi, mentre gli alberi tutt’intorno fremevano bruscamente, caoticamente, scossi dal Potere che si andava propagando da lui più che da qualsiasi alito di vento nel dintorni.
- Prince…-
- Non toccarmi.- la avvertì lui, scattando ad una distanza di sicurezza e spingendo Demi ad abbassare la mano che aveva allungato timidamente verso di lui. Damon li osservò, muto e in disparte, poi si domandò se fosse normale che gli occhi verdi della prole ossigenata del demonio fossero improvvisamente diventati di un color topazio così acceso da ricordare quelli di un Lupo Mannaro pronto alla trasformazione, o comunque quelli di una creatura altrettanto bestiale e pericolosa. Oh, no, no, no, quello non era decisamente normal…! - IO CI STO PROVANDO, COSI’ DURAMENTE, A NON UCCIDERVI ENTRAMBI SENZA BATTERE CIGLIO… NON RENDERMI LE COSE ANCORA PIU’ DIFFICILI, DEMETRA.- ruggì Prince, a denti stretti, lottando contro se stesso ed agitando i pugni chiusi fino allo spasmo, come se avesse il terrore di vedersi sfuggire delle scariche fiammanti di energia mortale dai palmi contratti.
La sedicenne deglutì e sentì che tutti i suoi nervi reagivano istantaneamente a quell’allarme di pericolo, com’era già successo la sera prima alle Cascate, infondendole dentro una forza che non credeva di poter racimolare ancora.
Le sue gote s’incendiarono così violentemente da far quasi evaporare all’istante i copiosi rivoli di lacrime che ci stavano piovendo giù dagli angoli delle ciglia. Damon cercò di correre ai ripari afferrandola per una mano, nella speranza di tenerla buona, ma non riuscì ad acchiapparla in tempo:
- IO NON VOLEVO CHE ACCADESSE TUTTO QUESTO! NON L’HO MAI VOLUTO!- si sfogò lei, scattando in piedi per fronteggiare Prince, malferma sulle gambe eppure così piena di rancore e fuoco e furia da scoppiare. Non mai aveva chiesto che quella stupida Maledizione le gravasse sulla testa, non aveva desiderato essere speciale o essere il frutto di un amore proibito, né tantomeno essere rapita da una donna vendicativa che li aveva trascinati tutti quanti in quell’incubo senza fine. Mentre strillava, aveva quasi dimenticato la voragine che la perdita le aveva scavato nel petto e, rendendosene conto, Prince le rivolse un sorriso talmente efferato da farla quasi indietreggiare di colpo:
- MA E’ SUCCESSO!- sbottò quello di rimando, avanzando di un passo. Erano ormai così vicini che Damon cercò di sporgersi oltre la grossa testa di Eve, che si era appostata accanto a Nick, continuando ad annusarlo e a mugolare; al biondo bastò sussurrare quelle parole a mezza voce per essere sicuro che la Prescelta fosse l’unica ad udirle: - Perciò ora siamo bloccati qui, tesoro. Benvenuta nel mio inferno personale, ovvero nel luogo in cui si cerca continuamente di meritare i sacrifici di chi ci ha amato, senza mai riuscire sul serio ad essere alla loro altezza. Comoda?!-
La Salvatore affrontò di nuovo gli occhi ancora dorati del principe e sostenne il loro sguardo spietato, ipnotico. Ricordava bene quando Nick le aveva narrato ciò che era accaduto la notte in cui Hayley ed Elijah erano stati strappati alla vita come fiori dal gambo troppo fragile e nobile per resistere alla crudeltà della terra, e sapeva ciò che Prince aveva visto accadere davanti a sé quando era soltanto un bimbo senza colpa.
Qualcosa le diceva che lui riusciva a condividere fin troppo bene quell’orribile moto di colpa che le inabissava il cuore, anche adesso.
Magari lo odiava, ma lo capiva.
Per assurdo, qualcuno riusciva a comprendere l’immensità del suo tormento, ed era ancora in piedi, proprio lì, di fronte a lei, a dimostrarle con prepotenza che si poteva andare avanti anche senza finire sbriciolati dal destino che Sophie aveva filato per loro come una seconda Atropo, la Moira della Morte.
Non era poi così sola.
- Fa ancora male?- bisbigliò Prince all’improvviso, senza una particolare intonazione. Demi, colta alla sprovvista, si toccò istintivamente il simbolo del Marchio, il quale aveva smesso da qualche secondo di pulsare e di martoriarle la pelle sensibile sotto l’orecchio, donandole una tregua inaspettata. Il suo sguardo stravolto gli bastò come risposta e lui fece un gesto di congedo con le dita affusolate: - Bene. Qualunque sia stato il pensiero che ha fatto passare il tuo dolore in secondo piano, anche solo per un istante, trattienilo. Concentrati.- parlava in modo meccanico, come se stesse seguendo un libretto d’istruzioni, e Demetra sentì tutto il suo distacco rimbombarle nei timpani. La sua voce non aveva la stessa pacatezza gentile di quella di Nick, era solo fredda e dura, ma riusciva comunque a trovare il proprio varco attraverso la sua mente, nonostante tutto: - Se lo Stigma ha la meglio, la stronza vince. Le servirai la Chiave su un piatto d’argento, e mio fratello avrà fatto sfoggio del proprio mirabile coraggio invano. Farai meglio a ricordartelo.- Prince si passò il polsino della camicia sul mento ancora un po’ insanguinato, ripulendosi, poi superò con passo deciso la Salvatore, senza più degnarla di un’occhiata.
 
///
 
-… D-Demi?- quel nome graffiò la gola arida di Nick prima ancora che lui potesse schiudere le palpebre pesanti come macigni. La luce purpurea del tramonto ormai inoltrato gli ferì gli occhi appannati, poi un indistinto fluttuare di tenebre e sbavature di colore aggredì il suo campo visivo, prima di essere sostituito da due perle identiche e fulgenti, turchine e limpidissime, che lo scrutavano turbate, incredule e curiose.
- Nope. Ma ci sei andato piuttosto vicino.- sorrise una voce maschile ed innegabilmente sollevata. Nick ansimò appena e cercò di tossire, sorpreso nel ritrovarsi nei polmoni abbastanza aria da poter rimettere in moto il cuore, poi esercitò una leggera pressione sui propri gomiti, nel debole ma audace tentativo di tirarsi su a sedere. Qualcuno però lo trattenne, con un mormorio di avvertimento, prima di guidare tutti i suoi movimenti con attenzione, per evitare che il suo corpo indolenzito lo tradisse: Damon. - Hey, vacci piano, Baby Elijah. Sta’ giù, sei ancora mezzo morto. Non dovresti sforzarti troppo, se non vuoi completare l’opera… anzitempo.-
- Dov’è?- incalzò Nick, agitato, accettando l’aiuto del vampiro senza protestare e cercando di contrastare il capogiro mentre si raddrizzava, lottando strenuamente per mantenere una parvenza di equilibrio. L’odore che sentiva attorno a sé era un misto nauseabondo che sapeva di cenere e sangue, di carne in putrefazione, pelo di lupo e paura. Eve gli strofinò il muso triangolare contro la guancia, delicata come una manciata di piume, ed il ragazzo ripeté quella domanda telepaticamente anche a lei, prima di pronunciarla ad alta voce, con un respiro strozzato: - Sta… sta bene… lei…?-
- L’hai salvata.- rispose Damon, fissandolo dritto in faccia con un’inedita espressione colma di serietà e gratitudine. Gli teneva una mano dietro la schiena, come per sorreggerlo, un gesto che a Nick ricordò inconsapevolmente Elijah, ed il suo modo infallibile di farlo sentire al sicuro quando si sentiva troppo a disagio col proprio carattere introverso, così differente da quello esuberante di Prince. - Ci hai salvati entrambi, e senza uno straccio di mantello.-
Mentre gli faceva l’occhiolino, le labbra sottili del giovane Mikaelson s’incresparono nel fantasma di un sorriso stremato. Le voci familiari e sempre più acute di Demetra e di Prince gli giunsero da poco lontano, con un’eco stranamente ridondante: stavano forse litigando?! Quando finalmente lui intuì che l’argomento della loro conversazione era lo Stigma, provò un involontario spasmo di terrore. Che fosse rimasto svenuto tanto a lungo da scatenare una reazione fatale nel Marchio di Sophie?
Che fosse già troppo tardi per…?  
‘’No, la tua Demi è okay. Prince la sta aiutando a resistere, a concentrarsi, nonostante le sue solite cattive maniere.’’ gli assicurò Eve, intercettando il suo cruccio, il naso umido premuto contro la sua mascella, in un gesto di vicinanza e di protezione. Gli spinse all’indietro una ciocca di capelli castani e arruffati con un sospiro che profumava di conforto, poi uggiolò: ‘’Lui sa cosa fare… e lo sta facendo per te.’’
Nick annuì piano e lanciò un’occhiata poco più in là, notando il modo brusco in cui Prince aveva appena congedato la Salvatore, lasciandola lì impalata a stringersi nelle spalle e a fissare il vuoto per un lunghissimo istante di silenzio; inspirando a fondo, seppure a fatica, lei ricompose i pezzi e ritornò dritta sulla schiena, mentre il nuovo velo di determinazione apparso nelle sue iridi la spingeva a voltarsi e a seguire il principe, come se non le restasse altro che fidarsi di lui e dei suoi consigli.
Il petto del figlio di Elijah si contrasse appena a quella vista, ma ogni presentimento svanì quando Demetra si accorse che si era ripreso e gli rivolse uno sguardo attonito, interdetto, emozionato. I suoi occhi celesti brillarono come stelle mentre lei si precipitava verso di lui, quasi volando, pervasa da un senso di gioia talmente autentico ed ignaro da spezzare in due l’anima stessa di Nick:
- Tu sei… oh, sei qui, davvero… sei tornato!- la sua voce allegra gli riverberò nelle orecchie, assieme alla consistenza morbida delle sue labbra premute contro la pelle, restituendogli qualche effimera briciola di speranza.
- Da te, sempre.- le ricordò lui, affondando la faccia tra le onde nere dei suoi capelli lisci e ricambiando la sua stretta con tutte le forze che fu in grado di radunare. Chiuse gli occhi e posò la fronte contro il collo tiepido della Prescelta, in pace per un infinito attimo rubato all’ineluttabilità del futuro.
Sentiva che l’onta superficiale del morso di Adam si andava progressivamente ricucendo, ma il torpore velenoso che gli scorreva nelle vene gli suggeriva senza possibili fraintendimenti che non sarebbe stato altrettanto facile liberarsi dei suoi effetti più tremendi.
Non esiste una cura, Nick…
Non c’è rimedio al mondo…
Non c’è.
- Mi dispiace di averti spaventata in questo modo, non avrei mai voluto farlo.- lei borbottò qualcosa d’incomprensibile sulla nobiltà d’animo e sulla propria voglia di prendere a calci qualcosa, qualcuno, il mondo, ed il ragazzo serrò con una veemenza quasi dolorosa le palpebre, per farsi coraggio, per costringersi a fare la cosa giusta. Doveva continuare a proteggerla, anche dalla verità, ma non riuscì a dire nulla di sensato, perché Demi si era già allontanata appena da lui, carezzandogli il viso e tenendolo sospeso tra le mani di fronte al proprio.
Lo scrutava assorta e turbata, come se non riuscisse a credere alla fortuna di rivederlo vigile davanti a sé:
- Sei crollato senza un suono.- gli spiegò, mentre il solo rievocare quell’immagine le faceva pizzicare le pareti del cuore, spargendoci sopra uno spesso strato di sale e fuliggine. - Non avevi battito, era come… come se…-
- Come se quell’Ombra ti avesse morso.- terminò Prince al suo posto, tagliente. Nick alzò di scatto lo sguardo su di lui, al di sopra della spalla di Demi, e socchiuse appena la bocca dallo stupore. Non si era aspettato di sentirsi scoperto così in fretta e senza tanti preamboli; sperava che nessuno avesse visto o quantomeno capito la gravità della ferita che Stone gli aveva inflitto, così da poter guadagnare tutto il tempo necessario a ritardare il più possibile l’esplosione di dolore e negazione che sarebbe inevitabilmente scaturita dalla sua disgrazia.
Nel percepire l’incombenza della verità, però, la presa di Nick attorno alla figura minuta della Salvatore si fece più convulsa, come se lui non sopportasse l’idea di lasciarla esposta alle ripercussioni di una simile conferma, come se stesse cercando, nel calore di quel loro abbraccio, la forza di sostenere gli occhi fervidi ed indagatori del principe, implorando il loro aiuto.
- No, niente affatto… io sto bene.- la bugia gli venne fuori priva di tentennamenti, mentre il suo stomaco si attorcigliava su se stesso come un serpente a sonagli, senza farsi notare, lasciando intatta la sua più impeccabile facciata. Gli occhi felini di Prince continuarono ad inchiodarlo dall’alto, incapaci di farsi ingannare, superando la barriera della sua corazza senza difficoltà, ma il minore dei due Mikaelson si impose di proseguire: - Ho solo battuto la testa, piuttosto violentemente.- Nick si leccò le labbra secche, col terrore che potessero annerirsi da un momento all’altro, rivelando il suo segreto, poi si rese conto che Demetra lo stava osservando, smarrita, come se volesse disperatamente credere alle sue parole ma non ci riuscisse, non totalmente. Il ricordo non troppo remoto di quando le sue omissioni erano l’ostacolo principale al loro rapporto appena nato lo ghermì con insistenza, ma non bastò a fermarlo: - Sono un po’ ammaccato, ma me la caverò. Hey…- lui le sfiorò gli zigomi con i pollici, catturando un paio di lacrime prima che strabordassero verso il basso. Poi un groppo gli trafugò l’aria prima che potesse articolare correttamente quella frase accorata: -… n-non piangere. Sei salva, sei di nuovo al sicuro. Per me, è tutto ciò che conta. Tutto.-
Da dietro le ciglia, Nick cercò furtivamente il sostegno di Prince, lasciando che quell’ultima dichiarazione chiarisse in modo definitivo la sua volontà. Pur di difendere quella ragazza, si sarebbe portato quel fardello nella tomba, scomparendo di scena senza che nessuno dovesse patire troppo il suo addio.
Il biondo lo fissò, immobile, mentre ogni fibra della sua essenza gorgogliava dall’interno, lottando all’ultimo sangue contro il cieco istinto di vuotare il sacco una volta per tutte, fregandosene bellamente delle possibili conseguenze.
Ma Nick non mollava, esigeva di essere ascoltato:
‘’Non sono soltanto ferito, sono condannato. E tu lo sai. Non servirebbe a niente dirle adesso ciò che accadrà, solo a spezzarle il cuore. Non è abbastanza forte da reggere a tutto questo, non oggi, non dopo tutte le scosse emotive che ha subito. Non me lo perdonerei mai, Prince… non posso sopportare di essere io la goccia che farà traboccare il suo vaso.’’
‘’Non me ne importa proprio nulla di lei.’’ sibilò l’occhiata eloquente del principe, mentre il duello mentale tra i due proseguiva senza sosta, quasi crudele nella propria intensità. Nick gli scoccò un ultimo sguardo indecifrabile ed un po’ scettico, scuotendo impercettibilmente il capo:
‘’Per favore, fratello.’’
- D’accordo, allora.-
Il figlio di Klaus deglutì con estrema difficoltà, poi assunse un’aria decisa, che raschiò via dai suoi tratti di pietra ogni residuo di vulnerabilità; tese la mano destra, il palmo rivolto verso il cielo, ma non fu un’offerta di soccorso o d’intesa con Nick, quella, quanto piuttosto un’esplicita richiesta, una riscossione:
- Sono venuto fin qui per uno scopo ben preciso, io.- annunciò dopo un secondo, rapido ed implacabile come una pugnalata. Sia Demetra che Damon lo fissarono con un sopracciglio inarcato, ma Prince finse di non badare alla loro perplessità, mostrandosi più noncurante ed altezzoso che mai. Mantenere credibile quella copertura, tuttavia, specie sotto un certo paio di occhi cerulei, fu più complicato di quanto non si aspettasse. Dannazione. Cosa diamine c’era di diverso rispetto alle altre volte in cui aveva mentito in quel modo tanto spudorato? Aveva trascorso anni interminabili a far finta che tutto andasse a meraviglia quando, in realtà, stava morendo dentro, avrebbe potuto resistere altri dieci minuti senza farsi scoprire… no?!
- La Profezia della Clessidra… mi appartiene. E la voglio, subito. Così ciascuno di noi potrà tornarsene a casa e risolvere i propri drammi in famiglia. E’ chiaro che ne qualcuno ne ha particolarmente bisogno.- la sua chiara allusione ad una faccenda urgente quanto spinosa da sistemare punse Nick sul vivo, ma, per fortuna, nessuno dei due Salvatore diede segnale di aver afferrato quella precisa sfumatura. D’altronde, come avrebbero potuto? Entrambi si limitarono ad arrossire, mentre il ricordo della rivelazione di Rebekah sulla paternità bastava a confonderli, portandoli decisamente fuori strada: - Basta con le perdite di tempo ed i sentimentalismi, esigo la mia pergamena!- sbuffò allora Prince, impaziente. - Morirsene di noia dopo averla scampata contro tutte quelle Ombre sarebbe alquanto ridicolo, non trovate?-
 
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Damon lo fulminò, indignato, poi indirizzò a Nick una smorfietta confidenziale:
- Mi dispiace di averti etichettato come la peggiore seccatura nei paraggi solamente perché eri nipote di tua zia. Non avevo ancora ancora incontrato Spruzzetto Di Sole.- commentò, scoprendo i denti in un sorriso minaccioso che il principe ricambiò, con un’immensa faccia tosta.
- Mio fratello è dalla nostra parte, anche se non lo ammetterà mai.- assicurò il figlio di Elijah a Demi, mentre lei cercava il suo consenso senza parlare, appoggiando la mano sulla tasca dei propri pantaloni sbrindellati, là dove era nascosta la parte mancante del suddetto foglio millenario. Nick le sistemò una ciocca ribelle dietro l’orecchio: - Sai già cosa fare. Dentro di te, senti che è giusto così. Non hai bisogno del mio permesso.- a quel punto, le sorrise mestamente. Aveva una voglia di baciarla che rischiava di farlo impazzire, ma non era sicuro che sarebbe riuscito a trattenere la disperazione se lo avesse fatto, se avesse realizzato che quella poteva davvero essere l’ultima volta.
- Forse no.- acconsentì lei, estraendo la Profezia, ruvida ed arida contro i polpastrelli. - Ma ho bisogno di te. Avrò sempre bisogno di te.-
Il minore dei Mikaelson mosse le labbra senza che ne uscisse alcun suono, poi afferrò la mano libera che lei gli stava tendendo, alzandosi in piedi e cercando di dissimulare la fatica ed il pungente dolore che gli costava ogni minimo movimento. Eve intuì che qualcosa non andava ma non poté fare altro che emettere qualche ringhio soffocato, mentre Demi, spolverandosi i jeans, si avvicinava cautamente a Prince. Quest’ultimo la stava rimirando con la stessa curiosa diffidenza che lei gli aveva riservato fin dal loro primo incontro, ma anche con una sorta di cupa frenesia nelle iridi verde intenso, qualcosa che si tramutò in palese compiacimento non appena lei gli ebbe consegnato il tanto agognato frammento di carta giallastra e scricchiolante:
- Mi sto fidando di te. Non farmene pentire.- lo avvertì Demetra, trattenendo per un istante più del dovuto la Profezia, come se non volesse lasciarla andare nelle mani del suo nuovo proprietario, non senza una garanzia. Lui concesse a quel foglietto di restare sospeso come un muro impalpabile tra le loro dita, ancora per qualche secondo, poi lo reclamò a sé con un unico gesto deciso, appropriandosene così bruscamente da far temere alla Salvatore di aver visto uno squarcio aprirsi nella pergamena:
- Grazie mille, tesoro. Ci proverò.- mormorò il biondo, racimolando un barlume piuttosto sbiadito della propria solita, accattivante spavalderia mentre lei lo guardava storto. - Nicklaus?!- richiamò subito il principe, con fare autoritario. Quando raggiunse il fratello minore, posandogli una mano sulla spalla come in una pacca, questi avvertì che quella presa confortante lo aiutava silenziosamente a stare dritto, a non dare cenni troppo evidenti di cedimento, ed un moto d’inaspettata e sbigottita riconoscenza gli scaldò il petto.
- Abbiamo finito, qui. Forza. Ce ne andiamo.-
 
///
 
- Mi dispiace per quello che è accaduto con Rebekah.- aveva sussurrato Demi a Nick poco dopo, mentre Damon la aspettava in disparte, pronto a fare dietrofront verso il luogo in cui Elena stava aspettando il loro ritorno, tra le macerie di casa Donovan e quelle altrettanto insensibili della bionda Originale.
- Anche a me.- aveva soffiato il ragazzo, con gli occhi bassi ed un pallore niveo sparso sulle guance. Lei aveva aspettato che il suo shock ed il suo cipiglio impietrito si rilassassero un po’, poi gli aveva afferrato le mani, stringendole delicatamente tra le proprie ed intrecciando le dita con le sue, come per riempire il vuoto causato da quella nuova, incolmabile perdita, nonostante si sentisse la persona meno adatta a consolarlo:
- Lo so che può sembrare ipocrita e falso e buonista e sciocco, da parte mia, ma… nessuno dovrebbe subire ciò che tua zia ha patito. Nessuno dovrebbe vedersi strappare via la persona che ama, o la speranza di una vita diversa, lontana da tutto questo.- Nick trasalì e lei lo osservò allarmata, confusa, con le iridi che le si inumidivano, fraintendendo le ragioni di quel sussulto: - Io provo così tanta… pena per lei. Vorrei… vorrei essere stata capace di…-
- Lo so.- aveva annuito il giovane, posandole un indice latteo sulle labbra, per zittirla. - E’ per questo, per la tua compassione così assoluta, che io…- si era interrotto precipitosamente, come se si fosse arrestato sul ciglio di un burrone. Quando aveva ripreso a parlare, la sua voce era stata un sussurro sofferto: - Il tuo è un dono, Demi, è ciò che ti rende così tenace, così diversa da chiunque altro sia coinvolto in questa brutta storia. Il potere di perdonare, il coraggio di andare avanti… ti mostreranno la tua strada. E, una volta trovata, non dovrai fare altro che percorrerla, a testa alta… perché tu fai così.-
- Non so nemmeno se c’è ancora, una strada fatta apposta per me.- aveva ammesso lei, tanto sincera da farsi male.
- Mi sono sentito anch’io così, sai, quando i miei genitori sono morti.- le aveva confidato Nick, con un cenno quasi involontario all’anello di rubini che era tornato al proprio posto sul suo anulare destro. - Immagino che mia zia abbia vissuto lo stesso dolore per anni, senza riuscire a sopravvivergli.- lo sguardo del figlio di Elijah si era fatto di colpo più intenso, simile ad una manciata di carboni ardenti sulla sua pelle: - E’ davvero raro, quasi impossibile, che le cose che perdiamo ci vengano restituite dal fato. Quando accade, non bisogna arrendersi, non bisogna scappare.- Demi l’aveva fissato con circospezione, intuendo già quale fosse il punto di quel discorso. - Parla con lui.- le aveva bisbigliato Nick, lanciando una rapida occhiata a Damon, il quale era impegnato a mantenere una posa indifferente davanti ad un Prince che accarezzava Eve sulle orecchie, forse passandole informazioni sull’attuale, drammatico stato di salute del loro protetto. - Ascolta ciò che ha da dire, qualunque cosa sia, fallo per lui, per te stessa… e per me.- il suo tono s’incrinò pericolosamente, mentre l’espressione dapprima così contrariata di lei si ammorbidiva un poco, intenerita: - Perché io vorrei che mio padre fosse qui, adesso. Non mi è mai mancato così tanto.-
 
- E’ stato toccante.- commentò Prince, assestando un calcio ad un cespuglio di ginepro per farsi strada, mentre il dolce suono dei passi frettolosi di Eve vibrava accanto a lui ed il fiato un po’ corto di Nick ansava alle sue spalle, mentre questi si impegnava per non mostrarsi affaticato o debole, come se tutto andasse bene, come se niente fosse cambiato. - Quel tuo casto bacio sulla sua fronte, il modo in cui l’hai spinta tra le braccia della sua famiglia per essere certo che avrà qualcuno a cui aggrapparsi quando tu non ci sarai più, il tuo essere un cavaliere solitario perennemente senza macchia, insomma… sei stato così nobile e puro e altruista e mi ha fatto commuovere talmente tanto, che ora muoio dalla voglia…- cantilenò il biondo, scorgendo finalmente il profilo lucidissimo della Ferrari nera all’orizzonte. -… di prenderti a calci nel sedere!-
In un vortice d’impeto e velocità, Prince afferrò Nick per la camicia, spingendolo contro una fiancata dell’auto silenziosa ed elegante, fino a fargli sbattere la schiena contro di essa. Il più giovane dei due fratelli non emise un solo gemito, cosa che sembrò far infuriare l’altro ancora di più:
- Ne ho ABBASTANZA!- sbraitò il figlio di Klaus, scuotendo Nick come per farlo rinsavire, le mani sulle sue spalle, gli occhi chiari e spiritati che cercavano i suoi in un muto appello di ascolto, denso d’urgenza, ira e devastazione. - Puoi anche infinocchiare la tua bella, farle pensare che nessuna schifosa Ombra ti abbia azzannato e che domattina sarai ancora il fidanzatino perfetto, ma non puoi fregare me. NON ME, NICKLAUS.- Eve arricciò il muso e cercò di far forza con la testa pelosa sul fianco di Prince, per invitarlo a mollare la presa sul fratellino, ma il ragazzo non desistette di un millimetro. Fissava l’altro con un’intensità tale da farsi bruciare le ciglia dorate, quasi come se lo odiasse, come se stesse riscoprendo attraverso di lui tutto quello che aveva tanto ostinatamente cercato di cancellare nel tempo: le urla, la colpa, Sophie, il tonfo secco di un cadavere sul pavimento, il martirio di Elijah in nome della loro famiglia, il suo viso grave pallido almeno quanto quello del giovane che aveva di fronte…
- Io SO quello che ho visto.-
- Allora sai anche che non c’è speranza.- esalò Nick, tagliando corto con uno sforzo enorme, distrutto. Voleva solo essere lasciato andare, svanire il più in fretta possibile… dimenticare. - Dire ad alta voce ciò che è accaduto non renderà il tutto più sopportabile, non mi impedirà di diventare un servo dell’Inferno!- l’orrore per la frase che aveva appena pronunciato quasi gli diede un conato, costringendolo a deglutire con irruenza, per trattenere la nausea. - Se accadesse sul serio, io… i-io preferirei…-
- NON OSARE DIRLO.- sbottò Prince, fuori di sé. - SAI perché non ho fatto a pezzi il vampiro che ha essiccato nostra zia e perché l’ho lasciato tornare a casa a braccetto con una ragazza la cui semplice esistenza non fa altro che spiattellarmi in faccia il motivo per cui sono stato addestrato da una psicopatica assassina?! Perché TU, fratellino, sei stato così idiota da buttarti in pasto al diavolo, pur di proteggerli entrambi! E’ ancora il tuo mestiere preferito, quello di cercare di salvare le persone, eh?!- tra le sue sopracciglia apparve una piccola ruga, tracciata dai ricordi della loro infanzia, durante la quale Nick aveva sempre tentato di trovare un antidoto per lo Stigma Diaboli. D’un tratto, anche le memorie più recenti, legate agli istanti vissuti assieme alla Capanna, riaffiorarono con prepotenza. - MOLTO BENE.- Prince spalancò lo sportello del passeggero, quasi scardinandolo dall’attaccatura, poi scaraventò il ragazzo dai capelli scuri nell’abitacolo, facendolo atterrare morbidamente su un sedile rivestito in pelle. - SEI UFFICIALMENTE IN MALATTIA, EROE. Ed hai bisogno di un degno sostituto. Che sarei io.- s’indicò con aria scettica, come se non credesse a se stesso mentre annunciava quella svolta. - Non ho nessuna esperienza, lo ammetto, ma, come avrai ben notato, al momento siamo un po’ a corto di personale. EVE!- la Licantropa emise un breve sbuffo irritato ma balzò dentro a sua volta, sporgendosi per leccare una guancia a Nick, incoraggiante, mentre Prince si posizionava al volante con aria risoluta.
- La mia macchina.- brontolò sommessamente il figlio di Elijah. -… non esiste che qualcuno guidi la mia
- NAH, NON ESISTE CHE NON ESISTA UNA CURA.- lo corresse Prince, accorato, mettendo in moto la vettura con uno stridore quasi assordante. Nick lo scrutò con la coda dell’occhio, mentre delle fitte ghiacciate s’insinuavano nelle sue costole, subdolamente, facendo sì che un brivido di tenebra gli attraversasse tutte le membra. La vista gli si appannò lentamente e la voce del fratello gli giunse via via più lontana, come se lui se la stesse immaginando, come se stessero fluttuando entrambi verso l’oblio: - TROVERO’ QUALCOSA, un modo per non lasciarti completare la trasformazione. O brucerò il mondo intero dalle fondamenta, lo giuro, cosicché tu possa comunque sentirti a casa.-
 
///
 
Demi proseguì il cammino di ritorno con la schiena leggermente ricurva in avanti, le mani ostinatamente affondate in tasca ed i capelli che le ricadevano flosci sulle guance candide, come due spesse tende color inchiostro. Damon era al suo fianco e le lanciava di tanto in tanto delle occhiate furtive, preoccupate, senza riuscire a dire nulla. Ogni volta che provava ad aprire la bocca per mormorarle qualcosa, fosse solo una frase di conforto o un semplice avvertimento circa il sentiero che stavano attraversando, le parole gli appassivano in gola, lasciandolo arido e desolato, disgustosamente impotente.
- Jeremy e Bonnie avranno ormai raggiunto tua madre a casa Donovan.- biascicò però ad un certo punto, ovvero quando credette di essere sull’orlo di una crisi di nervi per via della frustrazione. Lei non reagì. Da quando l’aveva incontrata per la prima volta, Demetra non era mai stata così silenziosa e schiva, almeno non con lui. Il pensiero che stesse soffrendo indicibilmente senza darlo a vedere, che si fosse chiusa ad ogni genere di stimolo esterno, preferendo nascondersi in un luogo che a lui non era più dato raggiungere piuttosto che affrontare la realtà, lo faceva impazzire. Perciò azzardò un lieve sorriso: - Personalmente, non sono mai stato un fan del Beremy, ma credo sul serio che la tua amica Sheila dovrebbe cominciare prendere in considerazione l’idea di un nuovo arrivato in famiglia.-
- Mio zio Jeremy c’è sempre stato per lei.- replicò la sedicenne, quasi suo malgrado, la voce arrugginita, come se non la usasse da settimane. Non ebbe la forza di sollevare lo sguardo, ma avvertì immediatamente quello di Damon scottare su di sé: fu come sentirsi esposta ad un raggio solare troppo potente, come vedersi costretta affrontare il gelo invernale nel bel mezzo di una convalescenza, subito dopo essere scampata per miracolo ad una malattia che l’aveva quasi uccisa. - Lui c’era nel giorno del suo primo compleanno e in tutti quelli a seguire. Non se n’è mai perso uno. E quando Sheila è capitombolata giù da un castello di legno nel parco, a sei anni, è stato lui quello che l’ha afferrarla al volo, prima che si facesse male. Jeremy era lì quando lei aveva voglia di mangiare schifezze ai pigiama party e persino quando continuava a chiedersi dove accidenti fosse finito il suo vero padre dopo averla abbandonata.-
Damon ammutolì, mentre il ghiaccio cristallino delle sue iridi che andava in mille frantumi. Fissò la sagoma della ragazza ondeggiare appena nel suo campo visivo mentre quest’ultima si stringeva nelle spalle ed accelerava il passo, sporca di fango, di lacrime e di rancore. Gli faceva venire in mente un gomitolo di sofferenza avviluppato su se stesso, un fiocco di neve talmente fragile da essere pronto a dissolversi nell’aria, prima ancora di aver toccato terra. - Demi.- il vampiro non ricordava di aver mai supplicato qualcuno, prima di quel momento. - Lasciami almeno…-
- Spiegare?!- completò lei al suo posto, piuttosto duramente, ma pur sempre a capo chino. - Niente di ciò che dirai potrà cambiare le cose, Damon.- stava quasi balbettando, ma non era più possibile trattenere l’onda anomala di schiettezza e dolore che le stava straripando dal petto fino alle labbra screpolate; poteva solamente lasciare che quella marea infuocata traboccasse all’esterno, nella speranza che la smettesse di soffocarla così: - Non cancellerà mai tutte le mattine in cui mi sono svegliata sentendomi così incomprensibilmente… incompleta, fuori posto, come un uccellino incapace di spiccare il volo. Era come se una parte della mia anima stesse vivendo altrove, lontana dal mondo finto che mi circondava quaggiù. Mi sentivo vuota e sperduta nella mia stessa casa, mentre ero coccolata dalla mia stessa famiglia, per tutto il tempo, e non ho mai avuto il coraggio di confidarlo a qualcuno, perché credevo che nessuno avrebbe potuto capire.- un rossore repentino le chiazzò il viso sfinito: - Qualcosa, dentro di me, ha sempre saputo, ha sempre avuto la sensazione di stare vivendo a metà. Ed ora ho scoperto che sei sempre stato tu…- la voce le si spezzò, ed i cocci si conficcarono dritti nel petto di Damon, come spilli invisibili. -… eri tu ciò che mi è sempre mancato, più di ogni altra cosa al mondo…- lei tirò su col naso, mentre il vampiro, impietrito, assorbiva l’impatto di tutte quelle struggenti rivelazioni. - Io avevo bisogno di te, senza neanche sapere che faccia avessi, quale fosse il tuo nome o se mi volessi bene. Mi sentivo… vicina a te, al pensiero, all’illusione di te. E tu… tu non c’eri.- dopo aver esalato quello sfogo così intimo, Demi si sentì all’improvviso avvilita, spossata.  
Il suo più grande desiderio era quello di scivolare nell’incoscienza assoluta, finendo magari catapultata in un universo parallelo, in uno in cui non sarebbe più stata costretta a sentirsi così accerchiata, braccata dal dolore.
- Dov’eri, Damon?- sussurrò infine, in un fil di voce. Il suo viso smunto, con quella corolla di ciglia scurissime a contornarle le palpebre gonfissime di pianto, non gli era mai sembrato più simile a quello di Elena. Era quasi come se la ragazzina stesse pronunciando quella domanda anche al posto della madre, facendogli due volte più male del dovuto. - Io… io ti avrei voluto accanto.-
 

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Damon rimase muto ed immobile a fissarla per un istante infinito di strazio e di silenzio, ma, prima che potesse formulare una qualsiasi frase coerente per discolparsi, per chiarire o anche solo per consolare la propria figlia, un’altra voce, femminile ed ansiosa, riecheggiò nel folto della radura, attirando irrimediabilmente la loro attenzione:
- DEMI!- la Salvatore riuscì a malapena ad udire un fruscio fulmineo di foglie smosse e ad annusare nell’atmosfera un vago, speziato profumo di miele misto ad apprensione, prima che un paio di braccia tiepide le si avvolgesse attorno con infinita dolcezza. Notò che erano esili e tremanti, eppure forti, come il resto del corpo di... sua madre. - Oh, Demi, piccola mia…- un singhiozzo spezzato e familiare le solleticò l’orecchio, mentre la nuova arrivata la cullava impercettibilmente, come fosse una bimba ancora in fasce, bisognosa di cure e di protezione. - Vi ho cercati dappertutto, temevo che... quelle creature… potevate essere… oh, ma state bene, tu sei salva, sei…-
Elena Gilbert, in carne, ossa e fiato corto, era lì, e l’aveva ritrovata. Ora, finalmente, erano assieme, e sarebbe andato tutto bene. Demi e la sua mamma avrebbero potuto contare l’una sull’altra per sopravvivere a qualunque difficoltà, come avevano sempre fatto, perché niente era realmente cambiato, tra loro…
Per un momento, la Prescelta si lasciò andare a quella possibilità così come a quella stretta tanto rassicurante e sentita, restando con gli occhi socchiusi mentre le carezze della donna che l’aveva messa al mondo le scorrevano lentamente tra i capelli. Poi udì degli altri passi rimbombare tutt’intorno, seguiti dalle espressioni concitate ma anche sollevate di Bonnie Bennett e di zio Jeremy, giunti fin lì dopo aver terminato il Rituale d’Essiccazione, per dare manforte ai soccorsi.
Tra gli arti possenti e muscolosi del fratello di Elena era sospeso mollemente quello che, a primo acchito, sarebbe potuto sembrare un semplice involto di lenzuola bianche, ma che, in realtà, era un corpo umano saldamente avviluppato in esse.
Demetra capì di chi si trattasse prima ancora di scorgere la mano grigiastra e delicata che ciondolava da un lato del drappo, o di individuare il profilo conosciuto di un viso angelico ed avvizzito seminascosto sotto il velo della stoffa.
Rebekah.
Come da un pugnale, la memoria della sedicenne fu trafitta all’istante dal ricordo del primo incontro con l’Originale, avvenuto nella famigerata aula di Storia del Mystic Falls’ Institute: quel giorno, un pallido raggio solare aveva investito la sagoma flessuosa della professoressa Mikaelson, introducendola bruscamente nel suo universo e in quello delle sue migliori amiche. Il modo in cui un certo paio di iridi turchesi e crudeli l’aveva squadrata fin dal principio, con un misto di curiosità ed inspiegabile disprezzo, le dava ancora i brividi sulla schiena:
 
- … Damon Salvatore?!- aveva gongolato la bionda insegnante di fronte alla classe gremita, lanciando un’occhiata deliziata al registro scolastico, stretto come un’arma di distruzione tra le dita d’avorio.
- Demetra, professoressa.- l’aveva corretta Demi, cadendo dalle nuvole. Ricordava di essersi sentita in imbarazzo ed in pericolo sotto quel suo cipiglio da falco, da leonessa, da fiera vendicatrice. - Io mi chiamo Demetra.-
- Ah certo.- aveva commentato l’altra, sfoggiato un sorriso indolente ed allusivo come unica risposta: - Molto interessante.-
 
- Mi ha chiamata ‘Damon’.- aveva raccontato ingenuamente la Salvatore, turbata, una volta tornata a casa, al sicuro, tra le braccia dei propri genitori e in particolare tra quelle della madre, che era sempre stata per lei la confidente più fidata, la sua guida nell’oscurità: - Che cosa può voler dire, mamma?-
- Non lo so.- il tono tremulo di Elena, la sua cupa ostinazione, le sue menzogne. - Non ho mai conosciuto nessuno che si chiamasse così.-
 
‘’Nessuno.’’
 
E poi, ancora, lo scontro finale tra le due vampire, consumatosi nel bel mezzo di quella stessa boscaglia sterile e funerea, mentre tutte le certezze di Demi si sbriciolavano al loro cospetto, simili ad un castello di sale e negazione finito sotto l’assalto implacabile della verità:
- Confessa, adesso, Elena. Diglielo. Dille che l’hai sempre ingannata a proposito del suo vero padre…!-
 
- TU… tu non avevi il DIRITTO di farlo.- quando spinse la Gilbert lontano da sé, istigata dall’amarezza e dalla rabbia repressa, Demi lo fece con una voce gelida e graffiante che sorprese persino lei. Elena si ritrasse come se si fosse scottata, mentre il poco colore che le animava ancora le guance, semplicemente, svaniva. - Come hai potuto farmi questo?! Come hai potuto guardarmi dritta negli occhi ogni singolo giorno e… mentire?! Dio, tu mi hai… m-mi hai sempre mentito- quel termine le venne fuori come un insulto, mentre le pareva che qualcuno alle sue spalle stesse cercando di tenerla a freno, supplicandola di non dare di matto, senza che lei potesse o volesse obbedire. Si sentiva nauseata, incredula, e la faccia mortificata di sua madre non faceva altro che aumentare il suo desiderio incontenibile di urlare: - Che differenza avrebbe fatto dirmi chi era mio padre fin dall’inizio, eh?! Credevi che sarebbe stato più semplice, così, cucirmi addosso un’esistenza che non era la mia e, perché no?, magari neppure la tua?!-
 
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Ammutolita e senza fiato, Elena si sforzò di non spostare subito il suo sguardo stravolto e rivelatore dalla figlia a Damon, mentre il suo pallore diventava via via più accentuato, ormai quasi cinereo. Le due Petrova tremavano entrambe come foglie, lei di colpa, Demi d’ira, delusione e risentimento:
- Pensavi forse che ti avrei giudicata? Che mi sarei vergognata di te, o peggio, di essere chi sono?! Oppure eri certa che sarei stata incapace di amare Stefan come il mio vero papà, se solo mi avessi raccontato la verità?!- gli occhi blu ed enormi di Demi scintillarono di lacrime trattenute, come se il solo prendere in considerazione quell’assurda possibilità fosse in grado di infliggerle un dolore atroce, quasi fisico: - Lascia che ti dica una cosetta o due, mammina: PESSIMA-CAPACITA’-DI-PREVISIONE!-
- Io stavo solo…- Elena inghiottì, in preda alle vertigini: era traballante sul posto, come se temesse che il terreno si sarebbe potuto spalancare da un momento all’altro sotto i suoi piedi, pronto a trascinarla nell’abisso. -… stavamo cercando di… di proteggerti…-
- E da COSA, esattamente?!- incalzò Demi, ormai furibonda. - Da tutto quello che avrebbe potuto risvegliare i tuoi fantasmi, per caso?!- l’interno delle palpebre le sembrava spalmato di acido, così come il fondo della sua gola: - Ho visto quella botola. E quella stanza, la mia coperta. Hai seppellito tutto ciò che ritenevi pericoloso in quel posto, e poi mi hai proibito di visitarlo, nella speranza che mi rassegnassi, come avevi fatto TU. Ma ciò che era contenuto in quelle pareti muffite apparteneva A ME quanto a te, mamma!- il suo grido era diventato così acuto che, tra qualche minuto, solo i pipistrelli sarebbero stati in grado di percepirlo: - Era roba mia, che mi riguardava, profondamente… e tu me l’hai portata VIA. Mi hai portato via una parte di ciò che sono, di ciò che avrei potuto comunque amare! E non era una decisione che spettava a te!-
- Volevo risparmiarti un dolore, il dolore di chi aspetta chi non può più tornare…- balbettò Elena, supplichevole. Damon l’aveva già vista in quelle condizioni una volta, la notte in cui il fantasma di Elijah aveva svelato il contenuto della Profezia in sua presenza, smascherando il segreto che lei e Stefan avevano serbato per sedici imperdonabili anni. Ma stavolta era diverso: la vampira sembrava sul punto di accasciarsi in avanti dalla disperazione, come se l’idea di sentirsi odiata dall’unica creatura che l’aveva tenuta in vita fino a quel momento avesse il potere di farla a pezzi dall’interno, squarciandole in due la gabbia toracica, calpestandole il cuore, inabissandole i polmoni e polverizzandole l’anima in un solo colpo. -… mi dispiace, tesoro, mi dispiace così tanto. Avrei dovuto dirtelo, ma avevo paura di ferirti, di vederti con quest’espressione sul volto... ne hai passate così tante, credevo che… forse il tempo avrebbe potuto…- fece un movimento timido, come se volesse sfiorarla per darle conforto, per alleviare la sofferenza di entrambe, ma la giovane scattò lontana dalla sua portata, prima che il suo tocco potesse raggiungerla. Quella distanza così incolmabile colpì la Gilbert come un pugno: - Mi merito tutto il tuo rancore, ma tu devi ascoltarmi, devi… devi credermi…-
- Vorrei riuscirci, davvero. Con tutta me stessa.- confessò la ragazza, strofinandosi il dorso della mano sugli zigomi bagnati e lasciandoci sopra un’impercettibile scia nerastra, simile al preludio grafico che certi popoli primitivi si tracciavano sulla pelle prima di una grande battaglia, una di quelle che, d’ora in poi, lei avrebbe combattuto da sola. - E forse mi odio per questo… perché ti voglio bene, e ne voglio a mio padre.- si mordicchiò il labbro inferiore, annaspando, come se quella rivelazione le fosse costata molto cara: l’assenza di Stefan in quel frangente cruciale le pesava dentro come un macigno, ma non avrebbe dato a nessuno la soddisfazione di intuirlo. - Questo non potrà cambiare, mai. Ma non chiedermi di fidarmi di voi come se nulla fosse successo, o di stare a sentire le vostre ragioni, perché, davvero, non posso farlo.- scosse impercettibilmente il capo, per autoconvincersi di aver preso la decisione più giusta, e qualche goccia tremula ancora appesa alle sue ciglia le colò sulle gote contratte. - Io… non posso. E basta.-  
 
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Elena fece un respiro profondo e stridente, come se stesse incanalando dentro di sé tutta l’aria possibile prima di un tuffo in pieno oceano, poi annuì a fatica, abbassando gli occhi, sconfitta. Demetra non provò alcun sentimento di piacere o di rivalsa davanti a quella resa, anzi, si sentì un mostro senza cuore: non sopportava di vedere sua madre soffrire, eppure era stata proprio lei a ferirla in quel modo, quasi sbattendole in faccia le porte del proprio cuore. Si chiese se, dopo una simile frattura, il loro rapporto si sarebbe mai potuto ricucire senza apparire per sempre la vacua, grossolana imitazione del legame che avevano avuto in passato, troppo perfetto per durare, per essere fino in fondo… reale.  
- Portala via da qui.- sospirò Elena d’un tratto, guardandosi le mani, apparentemente senza rivolgersi a nessuno dei presenti in particolare. Demi restò così stupefatta dal quella strana ed inaspettata richiesta che quasi sussultò, mentre il tocco gentile delle dita di Damon si posava sulle sue spalle rigide, rispondendo quasi inconsapevolmente a quel comando. Il gesto del vampiro trasudò all’istante un qualcosa di inspiegabilmente dolce, come fosse un minuscolo bagliore lunare scorto durante una notte senza stelle, e rassicurò intimamente la ragazza, spingendola ad inclinare appena il volto all’indietro. Nel fissare quello pallido ed immobile come madreperla di Damon, a lei tornò in mente la prima volta in cui l’aveva salvata, strappandola ad una sentenza di morte certa fuori dalla Biblioteca: ‘’Andrà tutto bene’’, le aveva detto, e lei, senza neppure sapere perché, seguendo solo l’istinto ed il lento, musicale ribollire delle proprie vene, gli aveva dato retta. - Noi andremo a prendere Stefan, poi ci occuperemo di Rebekah. Voi… andate.- la voce della Gilbert sgorgava dalla sua bocca come sangue da una ferita aperta, ma lei non vacillava.
Jeremy e Bonnie avevano delle espressioni talmente addolorate che Demetra si costrinse a mordersi l’interno della guancia fino ad assaporare il sangue, pur di non reagire davanti alla loro pietà. Ricordò, senza averlo premeditato, il modo scortese e quasi brutale con cui Prince Mikaelson l’aveva sbattuta fuori dalla Capanna la sera prima e sentì di comprendere come mai prima di quel momento la sua necessità divorante di rintanarsi nel buio e nel disprezzo di se stesso.
Nick le aveva raccomandato caldamente di mantenere la calma, di non vomitare solo ira ed acredine sui propri genitori, ed aveva avuto fiducia in lei. Ma Demi non era riuscita a seguire il suo saggio consiglio: era esplosa come una bomba ad orologeria ed adesso si ritrovava ad essere circondata dalla cenere e dai detriti, da tutto ciò che Sophie, Shane e Rebekah avevano subdolamente progettato per lei.
Ma chi sono io, veramente? Un burattino tra le grinfie del destino? Un pupazzo bitorzoluto, imbottito di bugie? Una mosca impulsiva finita in trappola? Oppure un oggetto mandato in mille frantumi e ricomposto maldestramente di proposito, così da essere condannato a non riconoscersi mai più nello specchio?
- Con te starà bene.- stava dicendo Elena, ormai atona, spenta. Demi batté le ciglia umide per guardarla meglio mentre parlava ma si ritrovò la guancia premuta contro il tessuto compatto di una giacca di pelle nera, i polpastrelli affondati in quella stessa consistenza, soffice e dura allo stesso tempo. Un imbarazzato stupore le serrò il petto: non si era accorta di essersi girata su se stessa e di aver abbracciato Damon, né di averlo fatto in quel modo, aggrappandosi a lui con tutto il corpo, come per non sprofondare.
Non si era resa conto di aver lasciato che il proprio bisogno di sentirlo vicino agisse al suo posto.
- La Camaro è a pochissimi metri da qui, più vicina di qualsiasi trabiccolo abbiate usato per arrivare.- convenne lui, apparentemente senza scomporsi. Demi, però, avvertì senza la minima difficoltà la sua cassa toracica espandersi quando lui inspirò a fondo, come per farsi coraggio, ed intuì tutto il suo nervosismo, la sua impotenza, la sua impazienza. - C’è una storia che esige di essere raccontata…- le soffiò sui capelli, chinandosi fino a sfiorarle la testa bruna col mento. - La mia. E non ho intenzione di rimandare oltre.- Elena li osservò, le due metà del suo cuore che si stringevano l’un l’altra, sorreggendosi ed infondendosi un pizzico di speranza mentre il vento li accarezzava al suo posto. Poi, molto lentamente, fece un passo indietro.
- Certo... ecco… io…- bisbigliò, mentre la strega Bennett le si avvicinava timidamente, toccandole un braccio con tutta la delicatezza del mondo, per esprimerle la sua solidarietà. -… abbiate cura l’uno dell’altra, mentre siete via. Non merito nessun perdono, ma questo… questo è tutto ciò che chiedo. Ciò che avrei chiesto sempre. Per… per favore.- Demetra, colpita da quella preghiera così soffocata, fece per sollevare lo sguardo, ma Elena si era già tappata la bocca con entrambe le mani, voltandosi precipitosamente nella direzione opposta: mentre le dita di bronzo di Bonnie rimanevano sospese a mezz’aria, la vampira scappò via, svanendo con un guizzo nel folto.
Damon si limitò a sussurrare il suo nome tra le labbra socchiuse, prima di cingere Demi con più forza, quasi con disperazione, come prima che il tetto di una casa diroccata si schiantasse su di loro.
Poi, inesorabilmente, i passi affrettati di ciò che di bello sarebbero potuti essere tutti e tre assieme si allontanarono nella foresta, rapidi, inarrestabili, come il tempo che avevano perduto e che non avrebbero mai più potuto recuperare.
 
///
 
- Non sarebbero dovuti essere già qui diciamo ‘’da un bel pezzo’’? Sai, di ritorno?! Puzzolenti di battaglia ma vittoriosi? Con le fanfare ad accoglierli al loro passaggio, magari mentre un trombettista ubriaco fa accidentalmente cascare lo strumento sulla testa vuota di Prince?!- Mattie giocherellò pigramente con l’ombrellino colorato che William aveva sistemato sulle sue olive verdi e ne infilzò una per la frustrazione, senza però azzardarsi a mangiarla: aveva lo stomaco annodato dalla tensione ed aveva lasciato nel piatto anche il resto dell’aperitivo consolatorio che il cameriere aveva improvvisato per lei e Sheila una volta venuti fuori dall’armeria.
La piccola Bennett, in un primo frangente, era parsa scioccata dalla mancanza d’appetito della sua migliore amica, tanto da provare a tentarla con le sue leccornie preferite, ma era stata ben presto vinta, a sua volta, dall’ansia dell’attesa: già da qualche minuto si teneva la testa tra le mani, i gomiti rigidi sul tavolino del Grill, i disordinati riccioli color carbone che le ricadevano fitti tra le nocche ed il respiro che si sforzava di essere il più silenzioso e regolare possibile, senza troppo successo.
- Stanno lottando all’ultimo sangue contro un esercito di mostruosità.- ricordò a Mattie, sfinita, quasi tentando autoconvincersi di essere ancora sana di mente, nonostante le sue parole suonassero assurde, persino rispetto agli standard degli ultimi tempi. - Con delle armi magiche fornite da uno stregone che al momento serve caffè macchiato alla gente ignara.- specificò, accennando a Willy Doge che armeggiava con una brocca di vetro colma di liquido fumante, dispensando sorrisi e carinerie a tutti i clienti con cui aveva a che fare. Quasi percependo lo sguardo della figlia di Bonnie indugiare su di sé, lui lanciò un’occhiata dalle loro parti, da dietro lo schermo dei propri lisci capelli castani: una piccola ruga gli si scavò tra le sopracciglia, mentre mormorava sommessamente qualcosa ad una collega e posava risolutamente il recipiente del caffè, forse intenzionato a congedarsi dal servizio al bancone. - Insomma, non è una faccenda da prendere alla leggera. La guerra è la guerra, e non sempre finisce in un lampo, specialmente quando uno dei due combattenti è un tale esibizionista.- Sheila si massaggiò piano le tempie, sempre sforzandosi di non perdere il controllo e di mostrarsi serena: - Sono in ritardo, è vero, ma non significa necessariamente che qualcosa sia andato storto. Niente affatto.-
- Sarei dovuta andare con loro.- bofonchiò Mattie, fissando una venatura nel legno come se le avesse fatto uno sgarbo. La mano tiepida di Sheila si posò subito sul dorso roseo della sua e la Lockwood ricambiò quella stretta d’impercettibile conforto, le guance rotonde che si gonfiavano di risentimento. - Sono un mezzo Lupo Mannaro anch’io, l’hai sentito con le tue orecchie! Non sarò una spadaccina provetta - in effetti, credo che la cosa più pericolosa che io abbia impugnato in vita mia sia la forchetta durante il pranzo del Ringraziamento-, ma mi sarei potuta comunque rendere utile, se solo mi avessero lasciata…-  
- Nick non ti avrebbe mai esposta al pericolo in quel modo, e lo sai.- tagliò corto la Bennett, senza un briciolo di esitazione, strappandole un’espressione colpita. Era davvero bizzarro per la biondina sentire la strega parlare del suo compare come se fosse un caro amico e non più il tipo tenebroso ed inaffidabile che avevano incontrato il primo giorno di scuola, ma questa l’aveva fatto in un modo talmente spontaneo e caloroso da commuoverla e da farle temporaneamente chiudere il becco. 
- So benissimo che ha la fissa di salvare il mondo. A volte credo che abbia scambiato Mystic Falls per Gotham City, figurati!- replicò però dopo qualche istante, nel tono affettuoso ed un filino adorante che non riusciva proprio a camuffare, quando si trattava di lui. La bruna non fece commenti a proposito della scia color porpora che si era andata progressivamente allargando sul viso della figlia di Care a quelle parole, ma non poté fare a meno di notarla. E di aggrottare le sopracciglia: - Dico soltanto che qualcuno dovrà pure darsi da fare per badare a lui, prima o poi.- Matt sospirò, poi si mise a sminuzzare nervosamente un bordo della tovaglietta di carta lilla, mentre William si accostava al loro tavolino, il cappello color cenere ballonzolante sul capo e l’aria un po’ preoccupata. Si era tolto il grembiule da lavoro, forse per fare una pausa, ma la Lockwood non parve neanche essersi accorta del suo arrivo, concentrata com’era nel brontolare: - Potrei provare ad essere io quel qualcuno, se solo mi spiegassero come accidenti diventare…-
- … il Lupo.- mormorò Sheila in un bisbiglio concitato.
- Brava! Proprio quello che stavo per…-
- No, Mattie… il Lupo! GUARDA!- ripeté ansiosamente la Bennett, dandole una scrollata ed indicando con l’indice un punto preciso alle sue spalle. Qualcosa di grosso e di peloso, nei pressi dello stesso portoncino che tutti loro avevano attraversato per riemergere dai mistici sotterranei, ebbe un fremito lucente, rivelando con chiarezza la propria posizione.
- E’ Eve.- quel nome denso di riconoscimento risuonò sia dalle labbra di Matt che da quelle di Willy, il quale aveva seguito il gesto della Bennett sino ad individuare la figura familiare del Licantropo Labonair, immobile davanti all’uscio del magazzino. - Sono tornati.- dedusse il giovane Doge, con la voce stranamente strozzata.
Matilde balzò in piedi così in fretta che per poco non rovesciò lo sgabello e Sheila la imitò in un battibaleno, con il cuore le che le schizzava in gola, pulsando dolorosamente, mentre Eve si agitava sul posto, gli occhi grigi gonfi d’urgenza, invitandoli a seguirla.
Mentre li conduceva fuori, le sue zampe sul pavimento tonfarono molto più pesantemente del solito, gravate da un’andatura solenne, sconsolata e tumida di apprensione.
‘’Qualcosa non va.’’ dedusse Mattie tra sé, oltrepassando con un salto il contenuto sparso e disintegrato dello scaffale colmo di provviste che Nick aveva scardinato prima di partire in missione; si precipitò fuori, sul retro del Grill, mentre la brezza ghiacciata le pungeva la faccia e la luce di due grossi fari gialli la accecava per un istante, stordendola. ‘’Eve?!’’ con uno sforzo di volontà che le parve paurosamente spontaneo, dettato com’era dall’angoscia istintiva che la stava attanagliando, la ragazzina cercò con la propria mente quella della Licantropa.
Ciò che vi lesse dentro fu scioccante, insopportabile: c’erano pena, rammarico ed orrore nei suoi pensieri agitati, e gli strascichi di quelle emozioni le rimasero impressi a fuoco nella testa, invadendola fino a farla ribollire:
‘’Dimmelo… che è successo? Che cosa… cosa cavolo sta succedendo…?!’’
‘’Presto… fate presto… non c’è tempo da perdere… il mio piccolo…’’ la vocina ormai familiare della creatura sovrannaturale le frusciò come una bufera nel cervello inceppato, incostante, mentre le pupille di Matilde si abituavano alla nuova luminosità, aiutate dalla sagoma snella di Prince che avanzava decisa, interponendosi tra la Ferrari abbagliante e la vista delle due migliori amiche di Demi.
Gli occhi del figlio di Klaus, di solito beffardi, erano adesso intensi ed inquieti, taglienti ed infranti, come cocci verde bottiglia. Incrociandoli per un brevissimo attimo, Mattie sentì il panico assorbirle ogni singola goccia di sangue nelle vene, lasciandola vuota e deserta nel profondo.
 
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Fu in quel preciso momento che, sporgendosi verso l’automobile, pronta a trasformarsi in una statua di sale per il proprio peccato, lei lo vide.
Era bianco, malconcio e stropicciato come uno straccio.
Con un lato della gola sporco, sbavato, sudicio di polvere e di quello che sembrava catrame fuso.
La sua pelle era tirata fin sulle ossa, mentre dei cerchi scuri risaltavano nel suo pallore malsano, simili a lividi violacei sotto gli occhi inesorabilmente chiusi.
- Nick?- Sheila si murò la bocca con le mani tremanti, come per tramortire un grido, mentre il cielo sbiadiva lentamente ed il ragazzo, per la prima volta da quando lui e Mattie si erano presentati, conosciuti, scontrati, punzecchiati ed infine aggrappati l’uno all’altra, non dava alcun segnale di aver udito il suo richiamo. La biondina scosse impercettibilmente la testa, mentre la scena del loro ultimo saluto le sfilava attraverso l’anima, riducendola a brandelli. - Oh, no… n-non può essere… non è vero…-
Non è un addio, questo qui, testa di profitterole.
Lui te l’ha promesso.
Te l’ha promesso.
Tu me l’avevi promesso.
-… intenzione di portarlo in un posto più sicuro. Alla Capanna. Perciò muoviti, prendi la tutta la roba di cui hai bisogno e raggiungimi. Finalmente ho la Profezia. Ti aspetterò qui, cercando di non massacrare la maggior parte della clientela per un puro sfogo personale, mh?- le parole intimidatorie del principe riecheggiarono nelle orecchie otturate di Mattie, e fu solo con immenso ritardo che quest’ultima si rese conto che lui si stava rivolgendo a William.
Entrambe le loro facce erano scolpite nel granito e lei non osò neppure immaginare quale espressione potesse essersi stampata sui propri lineamenti nel frattempo.
L’universo vacillò pericolosamente, poi lei arrancò a fatica verso l’auto, con il cuore che le mugolava nello sterno, in un lamento che ricordava troppo da vicino il pianto straziato di un cucciolo di lupo smarrito, terrorizzato. Incapace di ritrovare altrove la propria luna, braccata dal mesto, impenetrabile groviglio delle tenebre, Mattie si accoccolò lì dove era sempre stato il suo posto… accanto al suo compare.
E chiuse gli occhi.
 
///
 
- Siamo arrivati.- Demetra dischiuse con cautela le palpebre quando udì il motore vibrante della Camaro sospirare di resa, e si accorse di essere giunta, a bordo della fedele macchina azzurro metallizzato di Damon, ad una destinazione molto diversa da quella che si sarebbe aspettata: intorno all’abitacolo tiepido e confortevole, infatti, si stagliava l’austero giardino del Pensionato dei Salvatore, lambito dalle dita impercettibili del crepuscolo e imbrattato qua e là dal profumo di umido e di quiete che le nubi trasudavano abitualmente dopo il tramonto.
 
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Al cospetto di quella visione così famigliare, fatta di alberi e cespugli rigogliosi, di tegole ed ampie pareti tinteggiate di ricordi, la gola della ragazza si strinse in un groppo improvviso, asfissiante: le tornò in mente lo smeraldo vivido ed ipnotico dell’erbetta che, un attimo prima del rapimento, aveva fissato con muta caparbietà, come per conservarne intatta la consistenza sotto le ciglia, mentre il mondo intero si tramutava in torpore e scompariva tremolando sotto i suoi piedi. Demi si era aggrappata con tutte le proprie forze a quella sfumatura di colore, a quell’immagine reale, come ad un’ancora di salvezza, ma non le era servito poi ad un granché: aveva solo avvertito calare su di sé le braccia di Rebekah, graziose e crudeli come pugnali sguainati, ed era crollata nella loro trappola, fine della storia.
Da quando era stata risucchiata dalla spirale tumultuosa della cattura e delle rivelazioni, in realtà, era come se non avesse mai smesso di precipitare nel vuoto, scalpitando senza sosta e cercando un appiglio nel presente fino a scorticarsi le unghie, senza che nessuno, nessuno riuscisse ad afferrarla in tempo, prima dello schianto.
Poteva forse un albero rimanere in piedi, una volta che gli erano state amputate le radici?
Poteva una stella smettere di brillare nello stesso firmamento che aveva un tempo chiamato ‘’casa’’?
- E così sei sveglia.- osservò Damon, scoccandole una rapida occhiata; le sue dita d’avorio tamburellarono lievi sul volante, rivelando tutto il suo nervosismo, mentre lui si inumidiva le labbra stirate dalla tensione. - Però.- commentò. - Non hai detto una parola per tutto il viaggio.-
Demi non si girò, rimanendo a scrutare il finestrino con aria assente, ma intuì dalla voce incrinata del vampiro i suoi più inconfessabili tormenti: era esausto, preoccupato, eppure innaturalmente calmo, determinato, in qualche modo quasi… rassegnato. Ogni suo gesto tradiva il tormento che lo stava logorando, e lei, schiacciata da quella consapevolezza così intima, desiderò follemente potersi strappare via dal cuore il sommo senso d’appartenenza e condivisione che nutriva da sempre nei suoi riguardi.
Dio, voleva solo che finisse.
Voleva recidere di scatto tutte le funi che la tenevano ancorata ad un’esistenza fatta di segreti e di bugie e sentirsi libera, anche a costo di spegnere tutto ciò che fino a quel momento aveva ritenuto importante, indispensabile. Forse sarebbe stato più facile, fingere di non avere affatto un’anima, soltanto per non farsela mai più scalfire. Forse il non sentire nulla avrebbe reso più sopportabile persino la morsa feroce dell’orgoglio che ormai sembrava essersi impossessata del suo petto gracile, minuto, martoriato, eppure ancora così ostinatamente, quasi fastidiosamente pulsante:
- Tu, invece, non sei stato zitto un secondo, mh?- ironizzò la sedicenne, stringendosi nelle spalle con un piccolo brivido. Quasi involontariamente, percepì sotto i polpastrelli la stoffa lacera del proprio maglioncino preferito, impiastricciata di sangue e sfilacciata dal coltello implacabile di Shane, e strinse i denti con rabbia, come per impedirsi di mettersi ad urlare.
- Pensavo che volessi essere lasciata in pace per un po’.- confessò Damon, in un sussurro che sfregava dolcemente contro il bisogno di sfogo e distruzione che le stava ammontando dentro come lava incandescente. Scrutando di sfuggita il proprio riflesso nel tergicristallo gocciolante di brina, Demi vide le proprie scure sopracciglia aggrottarsi in una smorfietta interrogativa: - Voglio dire sapevo che sarebbe stato perfettamente inutile cercare di forzare la mano nella speranza che mi stessi a sentire, perciò ci ho rinunciato. Ti ho semplicemente ascoltata respirare, tranquilla, così silenziosa che ho sperato quasi che ti fossi appisolata. Che stessi viaggiando molto, molto lontano da qui, in un luogo in cui tutto è come vorresti che fosse. Limpido, onesto, sicuro, reale. Dove nessuno può più farti del male. Dove sei di nuovo te stessa e non ti senti più una bimba sperduta.- la ragazza distolse lo sguardo dallo specchietto prima che quest’ultimo cominciasse a danzarle pericolosamente davanti agli occhi. Non avrebbe sopportato per un secondo di più di rimirare la propria figura sbiadita e smunta, e così si rivolse finalmente a Damon, quasi furtivamente.
Lui la guardava già con intensità, come se lei fosse un fiore fragile e meraviglioso, sbocciato con coraggio nel bel mezzo dell’inverno, nonostante la neve ed il gelo pungente. Era come se in sua figlia potesse annusare l’ultimo soffio di primavera che gli fosse stato concesso dal destino, ed era di una bellezza intollerabile.
- Perché mi hai trascinata proprio qui, si può sapere?- chiese Demetra, accennando alla pensione, silenziosissima ed immobile a pochi metri da loro. Avrebbe voluto suonare dura e disinteressata, ma non ci riusciva: sotto il tettuccio basso della Camaro, in quell’ambiente confortevole, non poteva fare a meno di sentirsi a suo agio, ed era una sensazione che le era mancata molto, troppo, mentre era l’ostaggio di una vampira squilibrata, o dilaniata dallo Stigma Diaboli, o, peggio ancora, circondata da orripilanti creature infernali. ‘’Portala via.’’ aveva ordinato fioca Elena al vampiro, parlando come se lei non fosse presente alla scena, un istante prima di scappare via nella selva. Non aveva specificato un luogo preciso come destinazione, e Demi non riusciva davvero ad indovinare per quale ragione quel posto fosse stato la prima scelta di Damon. - Perché, sul serio, non c’è angolo del pianeta in cui vorrei essere di meno che…-
- Ti ho riportata a casa perché credevo che fosse giunto il momento di ricambiarti il favore, tutto qui.- la interruppe lui, senza essere brusco, ma con una fermezza gravida di sottintesi che la spiazzò. La giovane sentì le molle del sedile protestare appena mentre si voltava con tutto il corpo da un lato, per riuscire a guardare meglio in faccia il fratello maggiore di Stefan, quell’angelo protettore che conosceva da pochissimo e che, comunque, non era mai riuscita a considerare veramente come un estraneo.
- Che intendi dire con questo?- soffiò, fiocamente. Di quale ‘favore’ stava parlando? Quando mai l’aveva guidato a ritrovare il suo posto nel mondo, lei? - Non capisco.-
- E’ logico. Ci sono tante, troppe cose che ancora non sai.- le rispose Damon, il tono grondante di senso di colpa, di un’accusa latente che era indirizzata a chiunque, persino a lui in prima persona, tranne che a lei. - Cose che desidero dirti più di quanto io abbia mai bramato ficcare un paletto di quercia bianca dritto nel cuore della donna che ti ha strappato a me prima che potessi venire a sapere della tua esistenza. Ma non ti costringerò ad ascoltarmi, non fino a quando non sarai pronta… pronta a reggere il peso di ciò che dirò. Voglio che sia tu a chiedermi di raccontarti tutto, e a quel punto lo farò, te lo giuro, senza tralasciare un singolo dettaglio, senza preoccuparmi di addolcire la pillola. Avrai la verità. Tutta la verità.- Demi socchiuse la bocca rosea in una piccola ‘O’ di stupore, senza sapere cosa dire, mentre la lotta tra curiosità e rifiuto le imperversava nello sterno, più aspra che mai.
- Mi stai dando la possibilità di scegliere?- domandò alla fine, turbata, esitante, combattuta e tentata.
- Ti sto lasciando libera di non sapere che cosa mi ha portato a viverti lontano ogni giorno negli ultimi sedici anni.- chiarì Damon, senza esitazione. - O quello che ho provato durante tutto questo tempo, o ciò che mi ha spinto a non arrendermi mai veramente all’esilio, anche e soprattutto quando mi sembrava d’impazzire dalla solitudine. Di non scoprire quanto io abbia amato ciò che ho perso, o quanto io, colpevole ed idiota come sono, lo ami ancora, quasi come se fosse un mio diritto.- c’era un tratto di tensione evidente nella linea elegante della sua mascella, eppure i suoi occhi di ghiaccio erano concentrati, densi, irremovibili. - Io non me ne andrò da questa città fino a quando la Pietra Della Miracolosa Resurrezione non sarà stata trasformata in una polverina talmente sottile da far invidia a quella della fatina Trilly. Non mi muoverò da qui fino a quando non sarai sana e salva, e, già che ci siamo, felice da fare schifo. Ma, una volta che questa seccante avventura mistica sarà finita ed il mondo intero sarà tornato a ruotare sul proprio asse…- inspirò profondamente, come pronto al salto nel vuoto. -… potresti voler ricominciare da capo, avere una vita normale e tranquilla, come se nulla di tutto questo fosse mai accaduto. Quando quel giorno verrà, non voglio che tu ti senta condizionata dalla mia presenza, dal mio passato, dal dolore che mi porto dietro, dalle mancanze che non posso cancellare e sulle quali tu non puoi sorvolare. Se lo vorrai, Demi, non sarò così egoista da volerti per me, né arrogante e pazzo al punto da credere di meritare un’occasione. Posso starmene zitto adesso, o per sempre, se preferisci, così non saprai mai quanto ti sei sbagliata nel pensare che io ti avrei lasciata andare, se solo avessi potuto ragionare con la mia testa e dar retta al mio cuore, quando me ne sono andato. Non saprai mai che non sei stata un errore, ma un miracolo, e tutto potrà ancora tornare al suo posto. Senza problemi. Senza di me.-
 
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La ragazza tacque per un istante infinito, mentre le iridi ansiose e supplichevoli di Damon le sfioravano i lineamenti, alla cerca di una risposta, di un segnale; pensò che le sarebbe piaciuto moltissimo potersi sfogare in un pianto liberatorio, così forte da scuotere persino le fondamenta della terra, ma temeva che, se solo avesse lasciato via libera alle lacrime, non sarebbe più stata in grado di fermarle… non questa volta.
Si rendeva conto della grandezza straziante di ciò che il vampiro le stava offrendo: era disposto a rinunciare a tutto, pur di darle la possibilità di dimenticare e di andare avanti, di tornare alla normalità, una volta conclusa la guerra contro Sophie. Se il sole le si fosse spento di colpo sulla testa, come un’enorme lampadina fulminata, lui sarebbe stato capace di accendere un fuoco e di gettarsi a capofitto tra le fiamme, lasciandosi consumare, pur di regalarle un altro po’ di calore. Sarebbe uscito di scena, certo, ma l’avrebbe fatto senza ripensamenti… per lei.
Era di quell’uomo capace di compiere qualsiasi sacrificio in nome dell’amore, che Elena si era innamorata tanti anni prima?
Demi era stanca di chiederselo:
- Voglio sapere ogni cosa.- si lasciò sfuggire quella frase così precipitosamente che, per un attimo, le parve che fosse stato qualcun altro a pronunciarla al suo posto. Damon accennò un sorriso, ma non si sbilanciò: dal tono della sedicenne aveva intuito che c’era dell’altro, e lui si preparò ad affrontarne l’impatto: - Lo voglio per davvero. Ma allo stesso tempo… sono terrorizzata. Tu vuoi proteggere la bambina che ero quando mi hai conosciuta, quella che Stefan ed Elena hanno fatto crescere in una campana di vetro. La sua vita… la mia vita era racchiusa in una bolla di sapone che prima o poi, lo sapevamo tutti, sarebbe esplosa. Quel momento è giunto, e lei… non esiste più. Non so più chi sono o a chi appartengo… come posso essere sicura di ciò che desidero? Come posso costruire il mio futuro sulla tua verità, quando non ho conosciuto nient’altro che bugie?- la sua voce non era che il lieve tubare di una colomba dalle ali spezzate, troppo ferita e disillusa per azzardare un’occhiata fuori dal proprio nido d’insicurezze. - Non li perdonerò mai.- sbottò all’improvviso. - I miei genitori. Per non avermi insegnato a capire la differenza tra realtà e finzione, per avermi mentito come se fosse assolutamente naturale. E’ una cosa che dovrò imparare da sola, d’ora in poi, questa... dovrò imparare a cavarmela, senza più contare ciecamente sulla mia famiglia.- Damon incassò i sottintesi di quelle parole senza lasciar trapelare emozioni; i suoi occhi erano due stagni immobili e logori di mutismo, consapevolezza e comprensione. Nell’incrociarli, Demetra si sentì sbriciolata, come cenere sparsa nel vento: - Forse… se io e te avessimo avuto la possibilità di essere… c-ciò che siamo… prima…-
- Forse.- annuì Damon, senza più riuscire a guardarla. Lei ripensò istintivamente a sua madre, al modo spietato in cui le aveva scagliato addosso il proprio risentimento di figlia tradita. A Nick, che era stato aggredito da un mostro, pur di non lasciarla esposta al pericolo. A Rebekah, che lei non era riuscita a salvare dal suo stesso odio. Ed infine a Prince, che la guardava come se sapesse tutto di lei, come se vedesse attraverso la sua bellezza diafana ciò che di orribile sarebbe diventata a causa della Maledzione. Come se gli facesse schifo.
Che cosa sono diventata? Un pezzo di vetro lasciato su una spiaggia? C’è qualcuno che possa incrociare la mia orbita senza finire per sanguinare?
- Io ho bisogno... d-devo…- mormorò soffocata, aprendo di scatto lo sportello, come se volesse catapultarsi fuori. L’aria tiepida ed umida della sera le si avvolse attorno come una coperta e, nella foga di allontanarsi dalla tristezza di Damon e dall’acre disgusto che le provocava l’essersi trasformata nella creatura più lontana possibile dalla ragazza allegra e spensierata che tutti quelli attorno a lei avevano sempre avuto a cuore, un violento capogiro la stordì, costringendola a rimanere aggrappata alla portiera per non cadere in avanti. Un fruscio familiare venne in suo soccorso, e Demetra avvertì le braccia del fratello di Stefan tenerla in piedi. Lo sentì accarezzarle un braccio, per tranquillizzarla, e chiuse gli occhi di scatto, come per proteggerli da una tempesta di sabbia. Era proprio così che si sentiva: come se la polvere accumulata per anni sulla sua esistenza si fosse improvvisamente alzata, turbinando, impedendole di vedere oltre il proprio naso. Non sapeva più come orientarsi, perché non aveva la più pallida idea di dove andare, di cosa cercare. L’unica cosa reale era il respiro teso di Damon accanto a sé: -… devo… sto sbagliando tutto… è troppo per… non m’importa… non…-  
- Demi… va tutto bene… devi solo riposare… sono qui, sono qui… accanto a te… siamo insieme…- la voce del vampiro era distante, ma tenera. Non sembrava che lui la odiasse. Luci accecanti le scoppiettarono sotto le palpebre, e Demi capì che il suo equilibrio psicosomatico, alla fine, non aveva retto. Stava farneticando senza senso, scossa dai tremiti, ma quando la sua mano fredda si strinse attorno alla stoffa della camicia ruvida di Damon, le sue parole vennero fuori cristalline come acqua sorgente:
- Non lasciarmi… mai più... anche quando tutto questo sarà finito… tienimi.-
Lui non disse nulla ma obbedì fin da subito, trattenendola in quell’abbraccio intessuto di pianto e di ricongiungimento, mentre quell’inaspettata supplica gli regalava una speranza che non credeva di aver fatto nulla per meritare.
E se la tenne stretta al petto in tumulto, la sua bambina, sollevando gli occhi verso il cielo terso, apparentemente senza un vero perché; era come se volesse ringraziare con quel gesto chiunque, da lassù, avesse voluto regalargli uno spicchio di pace in quel mondo impietoso, gli aveva portato via tutto, ma che forse poteva ancora essere perdonato. Perché, in fondo, gli aveva donato anche lei, ed era un qualcosa per cui essere eternamente grati al paradiso.
 
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- Se provi a muoverti di un millimetro, ti soffoco col primo cuscino di piume che trovo nei paraggi. SONO STATA ABBASTANZA CHIARA?!- Mattie tirò su col naso con estrema dignità e sprimacciò selvaggiamente un guanciale color amaranto dalle lunghe frange beige, prima di sistemarlo con cura sotto la testa di Nick. Si assicurò che il ragazzo fosse ben comodo, poi si voltò; lui non osò aprire la bocca, rinunciando a protestare, e restò muto ad osservare la ragazza, mentre quest’ultima tirava fuori dal poderoso armadio della stanza di Prince un gigantesco cumulo di coperte e lasciava che si schiantassero in massa, con un soffice tonfo, sul lettone su cui Nick era stato costretto a sdraiarsi fin dal loro arrivo alla Capanna.
Era passato un bel po’ tempo da quando il maggiore dei fratelli Mikaelson era spuntato al Grill come un uragano incontenibile di foga e disperazione, impartendo ordini a destra e a manca e facendo sudare freddo quel povero diavolo di William Doge, ma l’espressione della biondina non era minimamente cambiata: da quando si era precipitata fuori dal magazzino dell’affollata locanda, non aveva smesso neanche per un secondo di essere corrucciata in quel cipiglio di pura, incontenibile, agonizzante… furia. - Anche se poi, in effetti, non credo che questa minaccia possa spaventarti un granché.- rifletté piccata, con i boccoli dorati che le dondolavano sulla schiena e le dita paffute che armeggiavano a fatica con un manto particolarmente spesso e vaporoso, un attimo prima di adagiarlo sul giovane, lisciandone meticolosamente le pieghe: - Pare proprio che la morte e tutte le sue più orribili derivazioni ti facciano gola, proprio come alla sottoscritta potrebbe far venire l’acquolina in bocca un grosso, appetitoso budino alla vaniglia. Ho reso sufficientemente l’idea?!-
- Sei arrabbiata con me.- mormorò Nick, in un soffio affaticato. Fuori dalla finestrella ovale che dava sulle Cascate, il crepuscolo era ormai calato, trasformando in oscurità il già tenue chiarore del sole. Il figlio di Elijah colse una triste similitudine con ciò che gli stava accadendo dentro mentre parlavano: c’era qualcosa di tremendamente sbagliato nelle sue vene, un corpuscolo estraneo e velenoso che gli si addensava progressivamente nel sangue e che, a lungo andare, gli avrebbe trasformato ogni fluido corporale in icore nero e viscoso, come quello dell’Ombra che lo aveva morso.
Attraverso il vetro, nel velo plumbeo del firmamento, al ragazzo parve di scorgere il bagliore sparuto di una minuscola stella, e la sua mano scattò istintivamente ad afferrare quella di Mattie, che gli stava ancora rimboccando le coltri:
- Non… non esserlo.- la voce di Nick si ruppe, facendosi estenuata ed implorante: - Nana. Ti prego.-
- Non smetterò di avercela con te fino a quando non starai meglio.- la Lockwood evitò ostinatamente il suo sguardo, ma alla fine si appollaiò su un angolino del materasso, restando seduta accanto a lui in silenzio, senza mai abbandonare la presa sulle sue dita. Erano fragili e sottili, così ghiacciate da farle venire voglia di sfregarle contro le proprie o persino di soffiarci sopra, pur di riuscire a restituire loro un barlume dell’antica vitalità. Ma Mattie sapeva perfettamente che non sarebbe servito, e quella consapevolezza era così inaccettabile da gonfiarle gli occhioni di lacrime, mentre lei si mordeva il labbro inferiore ed abbassava la testa arruffata, per non farsi vedere mentre tratteneva il pianto. Un pianto che, se solo fosse riuscito a sgorgare, avrebbe potuto inondare l’intera camera da letto senza problemi. - Non un minuto prima.- rimarcò, irritata. - Ficcatelo nella tua stramegamaledettaedannatissima zucca.-
- Allora immagino che sarò nei guai per molto, molto tempo.- considerò lui, sforzandosi di sorriderle, nel goffo tentativo di rasserenarla; Mattie fece per replicare a tono ma, in quel preciso momento, Nick trattenne bruscamente il fiato e rotolò su un fianco, gemendo piano e rannicchiandosi su se stesso in posizione fetale, scosso da un dolore lancinante, talmente improvviso da aver colto alla sprovvista persino le sue più notevoli abilità di camuffamento. Ingoiando un groppo di disperazione, la bionda si limitò a stringergli la mano fino a vedersi sbiancare le nocche, poi restò ferma, in attesa che quei crampi si placassero, con il cuore stritolato dall’impotenza.
Quando il ragazzo riuscì a smettere di tremare convulsamente e si rimise supino, lei notò che aveva il viso imperlato di sudore gelido, tanto che anche i suoi capelli castani di solito impeccabili erano umidi ed appiccicati alla sua fronte.
- Che cosa faccio?!- ansimò Mattie, guardandosi freneticamente intorno, alla cieca, come se sperasse di veder spuntare, nel bel mezzo della penombra, un rimedio miracoloso, una soluzione qualunque che potesse salvare il nipote di Rebekah dalla sua condanna. Ma non c’era nessuna mano tesa verso di loro, nella penombra. Quella che stavano vivendo giorno dopo giorno, si disse la Lockwood con amarezza, non era affatto una delle storie fantastiche che impolveravano gli scaffali della sua libreria personale da una vita; quello era il mondo reale, e si dava il caso che fosse un universo crudele ed ingiusto, sempre più estraneo ai suoi occhi. Dall’istante in cui aveva notato quanto smunto e livido fosse il bel viso di Nick, abbandonato mollemente sul sedile della sua stessa auto, là dove infinite volte lei lo aveva visto accendersi di coraggio, di vita e di voglia di ricominciare, tutto le era sembrato opaco ed inutile, come quando ad uno splendido vengono risucchiati via tutti i colori. - Dimmi… che cosa… cosa posso fare?!- mentre Nick osservava le spalle dell’amica che sussultavano smorzate, per contrastare lo scoppio nevoso dei singhiozzi, sentì come se il tempo si fosse fermato di colpo, dilatandosi fino ad inghiottire ogni altra dimensione.
Gli sembrò di essere rintanato in quel posto sicuro e riparato da secoli, e gli tornarono in mente le carezze amorevoli di sua madre, la dolce eco della sua voce mentre gli assicurava che la strana febbre del lupo sarebbe passata il mattino seguente, col sorgere dell’aurora, durando solo per il plenilunio, e nulla più.
E nulla di più…
Fu in quel momento che Mattie percepì una leggera scossa d’energia irradiarsi dal punto esatto in cui il suo palmo era a contatto con il dorso della mano gelida di Nick: uno strano calore le percorse il braccio, come un’impercettibile scarica d’elettricità, e lei si ritrovò con la mente affollata da pensieri che non erano i suoi, così sfuocati e confusi da assomigliare a spessi banchi di nebbia animata. Prince l’aveva avvertita che l’inevitabile transizione di Nick avrebbe riportato a galla i peggiori ricordi del ragazzo, costringendolo a riviverli infinite volte, fino a condurlo alla follia, ma Mattie non ci aveva voluto credere: era impossibile rassegnarsi al fatto che un’anima così pura come quella di Nick dovesse essere destinata a dei simili, immeritati supplizi; lui era speciale, forse il fato gli avrebbe concesso un po’ di pace, una tregua… forse avrebbe fatto un’eccezione. Per conto suo, lei era abbarbicata quella flebile speranza come una pianta rampicante al fuscello di un albero che, presto o tardi, sarebbe stato abbattuto, ma mai si sarebbe aspettata di dover diventare la diretta spettatrice degli ondeggianti squarci di coscienza che, esattamente come il principe le aveva annunciato, erano alla fine giunti per dare il tormento al suo migliore amico:
 
Vedeva.
Attraverso la foschia di una memoria che non le apparteneva, Mattie vedeva un viso dai tratti poco distinti, belli quanto innaturalmente pallidi, fiocamente rischiarati dal lume di un cero; si trattava di un profilo femminile ed aggraziato, a lei sconosciuto, incorniciato da lunghissimi capelli neri privi di sfumature, simili ad una copiosa cascata di carbone liquido, o, meglio, ai tentacoli arricciati di una piovra ormai priva di vita. C’erano anche delle mani, lì vicino, mani piccole e delicate, intrecciate su di un seno ancora acerbo, chiaramente adolescenziale, talmente immobile da mettere i brividi. Il filo grezzo di una collanina era avvolto saldamente attorno a quelle minuscole nocche esangui: il ciondolo era una ‘’M’’ svolazzante, modellata finemente nell’ossidiana.
La biondina ebbe l’impressione di aver già visto quel gioiello da qualche parte, ma non poté affilare lo sguardo come avrebbe voluto, perché non erano davvero i suoi occhi, quelli che assistevano impotenti alla scena.
Dall’atmosfera greve che opprimeva l’intera visione, pareva di presenziare ad un funerale, alla veglia di una persona cara: che cosa diavolo era accaduto a quella fanciulla misteriosa ed inerte, che giaceva distesa su un letto disfatto, simile ad un sepolcro profumato di fiori e di morte?
‘’Cos’hai fatto?’’ una voce spezzata e rauca, come quella trasmessa da un canale televisivo mal sintonizzato, dissolse di botto il silenzio tombale circostante. L’accento smaccato era un marchio di fabbrica assolutamente singolare, unico: Prince. ‘’Che cos’è successo… che cosa le hai fatto?!’’
L’inquadratura del ricordo fu caoticamente attirata dalle parti di un uscio, spalancato con tanta violenza da far tremare la parete adiacente, impiastricciata da una carta da parati violacea, sfregiata dal tempo come dai segni di unghiate; il debole aggancio di uno specchio ovale inchiodato al muro cedette di schianto, e l’oggetto precipitò verso il basso, finendo in mille frantumi sul pavimento a scacchiera.
Mattie notò che un grosso coccio tagliente le era piovuto accanto e, senza poter controllare i propri movimenti, totalmente in balia del miraggio, si ritrovò a guardare attraverso quel pezzo di vetro, aspettandosi di scorgerci dentro un paio di tonde iridi verde mare, sgranate dallo sgomento e dal terrore.
Ma il riflesso che la lastra luccicante le restituì le tolse il fiato.
La faccia giovanissima e stravolta che individuò le era familiare quasi quanto la propria, ma non era decisamente la sua, bensì quella del proprietario di quel mondo evanescente, intessuto di cupe, inconfessabili e segrete memorie.
Non erano suoi, quei famelici occhi gialli da predatore inconsapevole, né quel dolore atroce che le faceva contorcere tutti i muscoli e le ossa come se volessero allungarsi all’unisono per incurvarsi, rafforzarsi, distorcersi, tendersi, fino a trasformarsi in qualcosa di diverso, di aggressivo… di mostruoso.
Non erano di certo suoi, quei polpastrelli artigliati e macchiati di scarlatto che ora stava fissando con orrore crescente, senza poter in alcun modo distogliere lo sguardo. Quelle erano, assurdamente ma senza ombra di dubbio, le dita affusolate e inconfondibili di Nick Mikaelson. E quel fluido viscoso che le imbrattava, gocciolando fino a terra con un tonfo impercettibile, quello… era sangue.  
‘’Che cos’hai fatto?! Che cos’hai fatto?! Che cosa le hai fatto, NICKLAUS?!’’
 
- Hey, compare... mi stai facendo m-maleahio… molla l’osso… SVEGLIATI!- il figlio di Elijah riemerse dal baratro del suo delirio all’improvviso, annaspando, poi balzò a sedere sul materasso, sbattendo freneticamente le ciglia incrostate di sale e guardandosi poi intorno, trafelato. Con un’esplosione di grigiore danzante, il mondo riprese bruscamente consistenza davanti suoi occhi stralunati: le pareti tappezzate di quadri, le cianfrusaglie da collezione di Prince, il pigolio rado del respiro di Mattie… ogni cosa gli riapparve nella propria corporeità, spezzando le illusioni e catapultandolo di peso nel presente.
Fu in quel momento che il ragazzo si accorse di aver tenuto un po’ troppo stretto il polso della sua migliore amica, senza accorgersene, come per tenersi inconsciamente ancorato alla realtà mentre quest’ultima sfuggiva tanto inesorabilmente al suo controllo: ci si era aggrappato così violentemente da lasciarle impresso sulla pelle delicata il calco purpureo delle proprie dita.
Di quelle stesse dita colpevoli che la visione gli aveva mostrato sudice di… di sangue…
- Io… mi dispiace…- la voce gli venne fuori strozzata, quasi come se qualcuno gli stesse premendo un cuscino sulla bocca. Era scosso da un tremito incontrollabile e si sentiva come sul punto di vomitare; eccezionalmente, neppure le sommesse, accorate parole di conforto di Mattie bastavano a rassicurarlo. -… non volevo, io non… scusami, non avrei mai, mai potuto… ti ho fatto… oddio, f-fammi… fammi vedere…-
- Non è niente.- minimizzò lei, fissandolo con un misto tra dolore, panico e confusione. Si affrettò a nascondere la lieve abrasione dalla sua vista così rammaricata, cercando di non farsi notare troppo: l’ultima cosa di cui lui aveva bisogno era di sentirsi in colpa per un graffio tanto insignificante, eppure sembrava proprio che non riuscisse a smettere di giustificarsi. - Sei stato assorbito da una specie di trance, non eri più in te… piantala di preoccuparti, non sono mica di marzapane, io, e… e poi…- la frase le morì in gola, perché Nick le aveva appena impedito di ritirare la mano, trattenendola nuovamente tra le sue, stavolta con tutta la tenerezza di cui un essere umano potesse essere capace.
Mattie, interdetta, lo vide abbassare dolcemente il capo, poi avvertì qualcosa di soffice sfiorarle l’incavo del polso, là dove un invisibile orologio di rossore le segnava ancora la carne: con le labbra dischiuse, il giovane le toccò il polso in un bacio impercettibile, per poi ingoiare un singhiozzo di acuta contrizione tra i denti:
- Perdonami.-
Mattie si sentì come se il sangue avesse smesso di circolarle nelle vene: le parve che fosse stato attirato tutto verso il centro del suo corpo, dalle parti del cuore, il quale pompò con un’irruenza inaudita tutta la propria afflizione ed il proprio desiderio proibito. Quel gesto così sconsiderato e supplice, che un Nick più lucido e razionale, forse, non avrebbe mai compiuto con tanta spontaneità, per poco non la fece scoppiare in lacrime. Perché era chiaro come il sole che non era soltanto a lei che il figlio minore di Hayley Labonair stava chiedendo un’assoluzione.
- T-tu… tu non faresti mai del male ad una mosca… io lo so, lo so…- bisbigliò la bionda, allungando l’arto libero per lasciargli una carezza sulla chioma castana e scarmigliata. Se solo avesse potuto appropriarsi di una parte della sua sofferenza, per ridurla, alleviarla e condividerla, così come aveva condiviso assieme a lui l’orrore della visione insanguinata, lei non si sarebbe mai tirata indietro. Nick inspirò a fatica ma rimase chino in avanti, probabilmente per non farsi vedere in faccia mentre serrava le palpebre, distrutto. Alla Lockwood parve quasi di essere ancora in contatto con la sua mente per mezzo di un qualche sortilegio, perché era assolutamente certa di sapere ciò che gli stava passando nei pensieri in quell’istante: - Chi era quella ragazza con i riccioli scuri?- gli chiese in un sussurro stentato, con un’audacia di cui non si riteneva capace.
Nick non osò guardarla e se ne restò muto, rannicchiato sul posto, come un bimbo senza madre, senza speranza, abbandonato a se stesso nel buio.
- Ho visto anch’io le immagini che la transizione ha riportato in superficie.- proseguì Mattie, cauta, discreta. - Forse non avrei dovuto ficcanasare, ma non ho potuto evitarlo. So che si tratta di un tuo ricordo, del peggiore della tua esistenza… beh, a quanto pare ti sta dando la caccia. E ti porterà alla pazzia prima che tu te ne accorga, se non troviamo il modo di fermarlo subito.- lui non fiatò e seppellì ancora più a fondo la faccia contro le proprie ginocchia. La Lockwood si domandò che aspetto dovesse aver avuto da piccolo, quando la tragedia aveva cominciato a segnarlo e ad insinuarsi con una scia infinita di cicatrici sotto la sua pelle, imprimendo la violenza nel tracciato del suo destino. - Dimmi chi era, dimmi che cosa le è successo. Forza, apri quella bocca e parla. Sfogarti potrebbe sottrarre un po’ di territorio al contagio, perciò... dobbiamo almeno tentare.- gli scosse piano una spalla, invitandolo a piegare da un lato il viso ancora seminascosto, fino a solleticarle le nocche con un ciuffo di capelli. - Stammi bene a sentire: chiunque fosse questa lei, qualunque cosa sia accaduta nel tuo passato oscuro e tenebroso, qualsiasi incidente sia capitato… non cambierà mai ciò che tu sei per me. Mai. Tu sei…- lo sentì fremere, come se avesse appena trattenuto un singhiozzo, o forse era stata proprio lei a non respirare per un istante di troppo: -… sei la persona migliore che io conosca. E non m’importa di nient’altro, capito?!- quando lui le rivolse finalmente un’occhiata furtiva ed incredula, Matt si ritrovò a sorridergli incoraggiante, una linea luminosa che le scavava due fossette nelle gote rotonde. Annuì: - E’ così. Perciò sputa il rospo e piantala, per una buona volta, di fare il lupo solitario.-
 
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Le labbra sottili di Nick si arricciarono in una strana smorfia di malinconia quando lei ebbe pronunciato quelle ultime due parole con un’inconsapevolezza tale da farlo sentire ancora più meschino, più inadeguato.
- Ricordi quando ti ho detto che non saresti mai diventata una di noi?- le bisbigliò, con un pizzico di rammarico nella voce arrochita dallo sforzo di mettere insieme le parole più giuste. - Che non avresti mai e poi mai attivato il gene da Licantropo che hai ereditato da tuo padre e che ti rende schiava della fame e della febbre alta durante ogni plenilunio, incombendo da qualche parte nel tuo animo, dormiente, in attesa di essere risvegliato?- Mattie fece un ipnotizzato cenno d’assenso e lui inspirò a fondo, ogni parola un macigno: - Ti ho fatta infuriare parecchio, ma non era una mera proibizione, la mia. Era piuttosto una speranza.- alla luce fioca della luna sorgente, i suoi tratti sembravano scavati nella perla; Mattie non si era mai sentita così attratta e, allo stesso tempo, così terrorizzata dagli eventuali esiti di un ‘’discorso serio’’, perlomeno da quando Caroline non l’aveva fatta sedere sul divano del salotto di villa Lockwood, annunciandole solennemente di aver compilato di proprio pugno l’iscrizione della figlia al famigerato gruppo di cheerleaders del liceo, mandandola in crisi esistenziale per il resto dell’adolescenza: - Per trasformarti in un Lupo Mannaro completo, dovresti agire come una creatura non umana, compiendo cioè l’atto più nefando che possa esistere al mondo. Dovresti…- un muscolo si contrasse nella mascella del giovane, evidenziando per un istante la sua forte e allo stesso tempo vaga somiglianza con il fratellastro. -… tu dovresti prendere una vita.-
La biondina avvertì la tremenda parola, ‘’uccidere’’, riecheggiare tutt’intorno e diffondersi come un gas velenoso ispirato a forza, poi fece per alzare una mano verso la sua stessa bocca spalancata, per coprire la propria espressione sgomenta. Per un momento, si sentì una perfetta idiota: aveva desiderato così tanto due paia di zampe pelose e due adorabili orecchie a punta, capaci di udire qualunque vibrazione da una distanza sorprendente, senza sapere, senza immaginare quale potesse essere il prezzo atroce di quella magia. La benda umida d’aceto che teneva appoggiata sulle cosce scivolò inavvertitamente per terra e lei, tutta impacciata, si chinò subito a raccoglierla e a risciacquarla.
Quando si rimise composta, si ritrovò a fissare il carbone nero delle iridi di Nick, ancora ardenti, seppur fiaccate da tutto il dolore che quella confessione doveva avergli appena smosso nel profondo.
- E’ ciò che hai fatto anche tu, non è così?- soffiò Mattie, decisa. Non era più curiosa o spaventata; non aveva più paura di sentire una risposta affermativa, né desiderava che quel silenzio incerto si prolungasse all’infinito per tenere nascosa in eterno la verità, di qualunque natura essa fosse: voleva soltanto capire, per poi ripartire da quel punto, senza recriminazioni o futili piagnistei. Avrebbe lottato più strenuamente di prima per aiutare l’amico, per difenderlo, fungendo da scudo contro ogni nemico. La sua missione non era cambiata, la sua fedeltà non aveva vacillato d’un millimetro. Nick glielo lesse chiaramente nello sguardo d’oceano, che non l’avrebbe abbandonato, un istante prima di annuire in risposta, con un unico, lapidario cenno positivo. Lei, a quel punto, inspirò fino a sentire i polmoni indolenziti, poi si limitò a tamponare la fronte lucida di sudore del figlio di Elijah con la stoffa morbida del bagnolo, senza smettere di guardarlo dritto negli occhi: -... com’è successo?-
- In tutta onestà, io… non l’ho mai saputo.- quella risposta inaspettata spiazzò così tanto la ragazza che la garza sospesa tra le sue dita rischiò di sfuggirle nuovamente dalla presa; Nick incassò quello shock più che legittimo apparentemente senza batter ciglio, conscio di quanto potessero essere suonate assurde le sue parole: - Non ho idea di chi sia quella poveretta perché non ho mai vissuto quel ricordo prima di qualche minuto fa. Non ha senso, lo so, eppure è proprio così… tu devi credermi. E’ come se ogni cosa fosse riemersa dopo essere stata rimossa dalla mia mente da una magia potentissima, da uno strano incanto che ha cancellato temporaneamente alcuni specifici frammenti della mia memoria, come se non si fossero mai verificati. A quanto ne so, succede lo stesso anche durante la trasformazione in vampiro: tutte le compulsioni subite si annullano ed i nostri ricordi ci vengono restituiti per intero nel corso del processo di cambiamento. Certo, la scena mi era in qualche modo familiare, ma non potrei rievocare niente di diverso da quello che hai appena visto anche tu. Non per il momento, almeno.- la voce gli si spense come una fiammella inghiottita da un brusco alito di vento. - Ho scoperto da solo quale fosse la causa scatenante della Licantropia. Rebekah non ha mai voluto approfondire troppo l’argomento e, quando ho cominciato le metamorfosi nelle notti di luna piena, Prince era già scappato via, chissà dove. Ero completamente fuori controllo. All’inizio non volevo credere a ciò che avevo appreso; per quanto mi sforzassi, non riuscivo proprio a rassegnarmi all’idea di aver ammazzato qualcuno. Era impossibile che l’avessi fatto senza rendermene conto e, soprattutto, senza riuscire a ricordare nulla. I conti non tornavano, ed io mi tormentavo senza sosta, alla disperata ricerca di una spiegazione, di una scusa. Così ho cominciato a pensare che, forse, quella faccenda del Lupo Mannaro era accaduta semplicemente perché doveva… e basta. Forse ero il figlio di un’Alfa, l’erede, dunque per me non era necessario avere la coscienza compromessa dal sangue per sviluppare determinate abilità… questa teoria ha reso giusto un po’ più sopportabili le mie disgrazie, ed io mi ci sono aggrappato con tutte le forze, fino a convincermi che fosse l’unica verità possibile. Fino ad oggi, ero convinto di non avere nulla di cui rimproverarmi.- si prese la testa tra le mani tremanti, scuotendola lievemente. Nel suo tono ardeva qualche sparuta scintilla d’un sorriso amaro come fiele, quando finalmente riprese: - Sono stato un illuso ed un vigliacco. Mi sono lasciato cullare da una comoda bugia per non diventare matto, ma è evidente che non c’è stata nessuna eccezione, per me. E’ così… è proprio come temevo.- la consapevolezza gli azzannò l’anima mentre un nuovo attacco di convulsioni rischiava di fargli perdere l’equilibrio sul posto, riempiendogli la bocca di un sapore acre, metallico, nauseabondo. Mattie fissò con terrore un alone d’inchiostro annerire le labbra contratte del suo migliore amico, e qualche vena farsi più sporgente e bluastra sotto il fragile rivestimento della sua pelle tiratissima. - Sono… sono davvero un… io sono un… assassino…-
- Non puoi sapere com’è andata, non puoi.- lo interruppe immediatamente Mattie, con la gola in fiamme, come se avesse appena smesso di respirare fumo, zolfo e caligine. – Forse questo è soltanto ciò che Sophie vuole farti credere per far sì che tu prenda parte al suo esercito il più in fretta possibile… chissà, persino prima del mio sacrosanto spuntino di mezzanotte. E’ fuori come uno stendino del bucato, quella là, te lo dico io. Magari il siero tossico dell’Ombra sta manipolando i tuoi ricordi, approfittando dei pezzi mancanti, per indebolirti, per farti sentire il mostro che non sei...- nessuno dei due parve convinto di quella versione, ma le pupille cupe di Nick si rischiararono appena, commosse da quel tentativo così goffo di rassicurarlo. - Dobbiamo scoprire cos’è accaduto sul serio quella volta, così potrai accettarlo senza che nessuno schifosissimo maleficio ci ricami sopra con lo scopo di farti crollare.- il cuore le turbinò rapido nello sterno, pronto all’azione, poi lei socchiuse risolutamente le palpebre: - E si dà pure il caso che io abbia una vaga, ma proprio vaghissima!, idea di chi possa essere stato a mettere lo zampino dietro questa tua fantomatica compulsione.-
- Mio fratello.- il sospiro sfinito del figlio di Elijah venne fuori così flebile che la Lockwood si ritrovò a pensare di esserselo soltanto immaginato, quasi come un’eco evanescente del medesimo sospetto che le attanagliava l’intuito già da qualche minuto. - Sfruttando il suo potere da vampiro Originale, si sarà preso la verità, è scontato... ma non riesco proprio ad immaginare per quale ragione possa avermi fatto questo.-
‘’Ho cercato di cancellare dalla mente di Kayla Stone ciò che sapevo l’avrebbe tormentata fino all’ultimo dei suoi giorni, ma non è stato comunque abbastanza.’’
‘’E’ stato più per spirito d’immedesimazione che per compassione, ma ho cercato comunque di salvarla dagli orrori della sua stessa memoria.’’
- Lo scoprirò io, per te. Adesso cerca… ecco, cerca solo di riposare.- a quel punto Nick annuì debolmente, sentendo il velo dello stremo calargli sulle ciglia, poi si lasciò scivolare all’indietro, con la schiena sul materasso e la testa dolente che trovava finalmente il suo appoggio nell’incavo più soffice del guanciale; Mattie non poté fare altro che rimboccargli silenziosamente addosso un lembo del lenzuolo bianco, notando suo malgrado quanto il colorito del ragazzo fosse divenuto al confronto, più che candido, ormai praticamente trasparente. - Andrà tutto bene, coraggio. Ci sono io, qui, accanto a te. Non lascerò che ti facciano altro male… ci penserò io, ad investigare… sono sempre stata imbattibile nelle maratone de ‘’La Signora in Giallo’’, lo sapevi?! Si tratterà soltanto di percorrere il crimine al contrario: dato il colpevole, troverò… beh, tutto il resto.-
Gli diede un buffetto, poi, con immane sforzo di volontà, distolse lo sguardo annebbiato da lui, alla ricerca di una distrazione qualunque, di un po’ di coraggio, e percorse senza troppa attenzione le buffe pareti della Capanna: era chiaro che Prince avesse la passione per l’arte, vista e considerata la quantità abnorme, quasi imbarazzante, di meravigliose tele appese dappertutto, sui muri.
Ispezionandole una alla volta, la biondina pensò che, a meno che non avesse svaligiato un museo internazionale o non avesse soggiogato qualche novello Leonardo a dipingere per lui notte e giorno, l’unico artista possibile celato dietro tutti quei capolavori dovesse essere proprio il figlio di Klaus, ed avvertì una punta d’invidia nei confronti di quello che era un talento a dir poco indiscutibile: qua e là erano sparsi degli schizzi di notturni da sogno, spennellati equamente di stelle e di ombre, alternati a vari bozzetti assolati pieni di spighe tremolanti, così realistiche ed aguzze da perforare l’iride stessa dell’osservatore, quasi fossero spine di rose appassite nel vento, o diamanti grezzi ancora tutti da levigare. Tra gli affreschi di tutti quei posti incantevoli, intrappolati per l’eternità in delle cornici di legno intagliato con cura, spiccava l’unico dipinto che non aveva nulla a che fare con la natura paesaggistica; si trattava di un ritratto umano, un’armonia perfetta di sfumature tracciate su un foglio di carta roseo e consunto, con l’ausilio di un carboncino.
Era l’ovale di un viso femminile, giovanissimo e dolce, e, Mattie lo intuì all’istante, anche stranamente, assurdamente familiare: lunghissimi capelli nero pece che incorniciavano una delicata fronte a forma di cuore; due grandi, languidi occhi dorati dalle ciglia folte e ricurve verso l’alto; labbra piene atteggiate ad un mezzo sorriso misterioso, attraverso il quale si scorgevano dei dentini piccoli e bianchi, forse con una leggera, impercettibile imprecisione scavata tra gli incisivi.
La Lockwood si drizzò immediatamente, turbata, gettando le gambe oltre il materasso e facendo attenzione a non disturbare il sonno già agitato di Nick, poi si avvicinò piano al quadro, con la fronte aggrottata dalla concentrazione: dove diavolo aveva già visto quella faccia adolescenziale, che non dimostrava più di sedici anni?
E perché Prince l’aveva immortalata, assegnandole un posto d’onore tra le altre opere che parlavano solo di ambienti e di miraggi perduti?
La risposta giunse spontaneamente quando lo sguardo trafelato della figlia di Caroline si soffermò sul collo da cigno della fanciulla sconosciuta, decorato dal filo scuro e sottile di una collana: la catena terminava in un ciondolo a forma di ‘M’, lo stesso che era apparso nella visione del minore dei Mikaelson, adagiato sul petto esangue della prima vittima di quest’ultimo.
- Monique.- lesse Mattie senza fiato, issandosi a fatica sulle punte dei piedi per scorgere l’invisibile dedica tracciata sul lato destro del quadro, poco sopra la firma svolazzante del principe. La bocca le si era asciugata così tanto che pronunciò il resto dell’intitolazione con la sensazione di avere la lingua impastata di sabbia: - Monique… Monique Deveraux.- *
 
***
 
Prince se ne stava chino in avanti con le dita saldamente intrecciate sotto il mento, senza dire una parola. Era seduto sul divano di pelle fredda del suo salotto, la schiena ricurva come impegnata a sostenere il fardello di millenni di sofferenze, ed era talmente immobile che Sheila avrebbe potuto facilmente scambiarlo per una statua, se solo non avesse notato quanto intensa fosse la danza delle fiamme del caminetto riflessa nelle sue iridi di smeraldo torbido. A contatto con il palmo serrato di una delle mani del ragazzo, stretto con tale spasmo da incidere nella carne una ferita superficiale ma non per questo meno pungente, era nascosto un piccolo pendente aguzzo ed alfabetico, lo stesso che lui esibiva costantemente al collo ormai da anni, quasi come un monito… come un ricordo:
 
___ Flashback ___
 
- Perché ti ostini a resistermi?!- quando aveva riaperto gli occhi impiastrati di lacrime, sale e sudore, il piccolo, inesperto Prince aveva visto un altro sguardo balenare nel proprio, ed aveva capito che Sophie doveva averlo riportato al presente dopo uno svenimento, con l’ausilio della stessa magia con cui, fino ad un istante prima, l’aveva torturato fino a fargli perdere i sensi. Seccata, la strega lo aveva afferrato con violenza per i capelli, in modo da tenere il suo viso ancora infantile sollevato all’altezza del proprio ghigno perverso, poi gli aveva alitato in faccia tutta la propria insoddisfazione, mentre il simbolo dannato sul petto di lui diventava un tizzone incandescente, sempre più insopportabile. Non era stata una giornata felice o promettente per l’addestramento, quella: il figlio di Klaus aveva appena avuto il primo assaggio di certe creature mostruose chiamate ‘’Ombre’’, contro le quali era stato mandato a combattere senza protezione, come un gladiatore disarmato catapultato in un’arena colma di belve feroci, pronto per la carneficina o per il pubblico ludibrio. Le risate beffarde di Shane, in effetti, miste ai loro ringhi disumani, gli graffiavano ancora i timpani, anche ora che quegli esseri abominevoli erano stati rinchiusi nelle loro celle di sicurezza, dove sarebbero rimasti in attesa, in agguato, almeno fino all’allenamento successivo: - Non capisci?!- lo aveva scosso la sua aguzzina, irritata dalla sua disattenzione. - Tu ed il mio piano siete una sola cosa dal giorno stesso in cui sei nato. Mi servirai per l'eternità, che ti piaccia oppure no, perché non c’è altro scopo alla tua esistenza, se non la distruzione. Sei la mia macchina di morte personale, l’unica di cui posso servirmi per annientare il Piccolo Corvo… devi soltanto unirti a me, lasciare che io t’insegni. Devi… donarti… a me. Insieme, domineremo il mondo, in questo Lato e nell’Altro. Cosa rispondi?-
Prince, radunando con una mirabile nonchalance tutte le forze che aveva in corpo, le aveva scoccato un ampio sorriso insanguinato, fulgido ed assolutamente inquietante su quei tratti così raffinati da cherubino… poi le aveva cordialmente sputato addosso.
 
Ciò che era accaduto subito dopo quel suo gesto tanto sconsiderato era riassumibile con un’ondata travolgente e caotica di un dolore sfrenato quanto crudele, conclusasi col suono cigolante di una porta sbattuta e con quello ferroso ed unto di una serratura scattata per rinchiudere in gabbia e in totale isolamento tutta la sua aspra ribellione, fino all’arrivo di Rebekah, che sarebbe rimasta all’oscuro di tutto… come ogni maledettissima volta.
 
E così Prince era rimasto intrappolato a lungo in quella specie di tugurio cencioso in cui le SS lo avevano segregato per punirlo, con le mani legate, la schiena appoggiata alla parete gelida e la maglia sudicia strappata su uno Stigma che continuava a pulsare, mentre una trapunta d’oscurità fittissima lo avvolgeva implacabile, inconsistente, eppure terribilmente asfissiante.   
Con una lentezza esasperata, le grida stridule, bavose ed assordanti delle Ombre bloccate nelle prigioni adiacenti alla sua erano sfumate in un silenzio dapprima singhiozzante, poi, di colpo, tombale. Il principe si era rannicchiato su se stesso come un gatto acciambellato, digrignando i denti per evitare che battessero dal freddo, mentre il suo corpo minuto e spossato cercava di non bramare troppo l’unica cosa che, lo sapeva, avrebbe potuto dargli un po’ sollievo; Sophie, di recente, aveva incominciato a premiarlo, dopo le sue migliori prestazioni: qualche volta gli aveva somministrato una specie d’intruglio profumato di erbe ed aromi, capace di lenire gli effetti più devastanti del Marchio. Naturalmente, non aveva perso occasione di ricattare Prince a proposito di quel rimedio temporaneo dalla ricetta impossibile da intuire, minacciandolo di sospendere il trattamento ogni qualvolta lui avesse osato sfidarla.
Il ragazzino aveva scosso il capo nel buio, terrorizzato ma senza un briciolo di rimorso; di certo, dopo essere insorto in quel modo così impertinente al cospetto della megera, sarebbe stato schiavo delle atrocità più cupe per tutto il resto della serata, ma le avrebbe sopportate tutte a testa alta, colpevole, ma per nulla pentito.
Come previsto, senza farsi attendere troppo, dietro le sue palpebre serrate avevano iniziato a comparire con orribile nitidezza i volti dei suoi genitori, il loro disprezzo, la loro delusione e la vacuità senza vita dei loro occhi un tempo tanto amati, poi Prince si era sentito divorare timore cocente di perdere se stesso una volta per tutte... fino a quando, inaspettatamente, era accaduto.
Il portoncino sprangato della cella si era dischiuso pian piano, lasciando che una goccia di luce biancastra si spandesse a macchia d’olio tra la polvere alta sul pavimento, e qualcuno si era fatto strada all’interno, prima di richiudersi furtivamente l’uscio alle spalle.
Lui aveva subito notato che non c’era stato alcuno schiocco ad accompagnare quell’ingresso misterioso, nessuna chiave rigirata più volte nella toppa.
Che strano.
Prince non aveva permesso alle illusioni di far breccia tra le sue ciglia temporaneamente abbagliate: chiunque fosse appena entrato in quel carcere desolato, non avrebbe di certo potuto o voluto salvarlo. Eppure c’era un qualcosa di diverso, lì intorno: ad avere un passo così fragile e felpato non erano né quella viscida di Sophie né quel gradasso patentato del Professore. Si udiva piuttosto di un’andatura lieve come una brezza, come se si trattasse di piccoli piedi nudi a contatto con le piastrelle.
Dopo aver percepito la presenza della sconosciuta creatura un po’ troppo vicina a sé, cieco nella tenebra di nuovo assoluta, lui aveva avvertito il Marchio ardere come un attizzatoio, bevendo a grandi sorsate la sua prostrazione per ingigantirsi e rafforzarsi.
Quale orrore avrebbe dovuto affrontare in duello, adesso?
Che cosa volevano fargli, ancora?
- Sta’ fermo… così è peggio.- lo aveva rimproverato inaspettatamente una vocina giovane, intercettando i suoi bruschi e goffi movimenti mentre lui cercava di sfuggirle, di divincolarsi; era un tono femminile e assai sommesso, quasi confortante, come quando il riverbero della spuma di mare si ode da molto lontano. - Ci metterò un attimo.-
Quando lui aveva avvertito il gelo metallico di una lama vibrare a contatto con i propri polsi, era stato sul punto di mettersi a urlare, ma un taglio deciso aveva tranciato di netto le corde strette dolorosamente attorno ad essi, giusto in tempo, prima della sua esplosione.
Prince era rimasto sbigottito: non soltanto la misteriosa estranea l’aveva lasciato illeso, ma l’aveva appena liberato.
- Ecco fatto… va meglio?- c’era un profumo leggero di spezie e fiori, di biancospino e menta, lì vicino, e lui aveva annusato avidamente l’aria circostante, sentendosi quasi rinato grazie a quella fragranza. Con un tintinnio di ciotole di ceramica, la nuova arrivata gli aveva versato dell’acqua fresca sui graffi che le funi gli avevano procurato, poi gli aveva spalmato una strana pomata benefica sulle ferite, disinfettandole. Come per magia, le escoriazioni si erano riassorbite completamente, lasciandogli la pelle intonsa e rinvigorita. Imbambolato, lui aveva battuto in fretta le palpebre, nel tentativo di scorgere qualche particolare fisico della sua ignota benefattrice, ma aveva potuto notare solo il bagliore lucido delle sue gigantesche iridi dorate, così simili a quelle di una gatta che Prince si sorprese non poco nel vederle solcate da una normalissima pupilla tonda e non verticale e felina, come invece si sarebbe aspettato. Quando la creatura aveva intercettato quell’occhiata, un calore indescrivibile si era diffuso attorno al collo e alle gote di lui, come fossero state investite da un’improvvisa ventata bollente. - Ti starai chiedendo chi sono.- aveva bisbigliato la voce, come trattenendo un breve sorriso consapevole: - Posso fartelo vedere, ma devi promettermi che mi lascerai spiegare e che non penserai subito male di me. Non sono un pericolo per te, te l’assicuro. Nel nome di Luinil.-
Lui non aveva fiatato; non aveva proprio nessuna voglia di fare né tantomeno di ascoltare giuramenti, specie dopo aver distrutto gli ultimi brandelli di fiducia che Elijah aveva riposto in lui nella botola, e non si sarebbe di certo fidato di una sconosciuta senza faccia né nome solamente perché gliel’aveva chiesto con quel tono di zucchero. Senza indovinare la sua diffidenza, però, lei aveva smesso di cospargere i suoi polsi con gli unguenti odorosi di poco prima ed aveva sollevato le proprie dita sottilissime, delicate, muovendole con destrezza a mezz’aria, come se stesse suonando un bizzarro, ipnotico strumento invisibile, proprio sotto il naso del figlio di Klaus.
- Allora… sei pronto?-
Dal nulla più completo era scoppiata una tenue scintilla, un guizzo simile a quello provocato dall’accensione di un fiammifero, poi una vivace fiammella si era accesa nel palmo aperto dell’estranea, senza scottarle la pelle, ma bruciando sinuosamente tra il suo volto esitante e quello di colpo impenetrabile di Prince, fino a rischiararli entrambi:
- Io sono…-
- … una STREGA!- tremando incontrollabilmente, lui aveva emesso un sibilo furibondo che l’aveva spaventata e colta alla sprovvista, concedendogli un vantaggio di pochi secondi appena, sufficienti all’azione; il principe aveva individuato abbastanza in fretta ciò che cercava, sfruttando sia il lampo del fuocherello magico appena invocato che i frutti del duro corso di sopravvivenza sperimentato con la Deveraux: aveva afferrato il curvo pugnale dal manico d’osso che giaceva per terra lì accanto e, guidato dalla disperazione, dalla paura e dal ricordo ancora troppo fresco e straziante di ciò che aveva visto accadere ai suoi genitori proprio a causa di un incantesimo, si era avventato di peso sull’intrusa, sulla strega, brandendo contro di lei lo stesso coltello che era stato usato poco prima per slegarlo.
Rotolando, lottando, atterrandola ed ansimando per lo sforzo di racimolare tutte le energie necessarie a prevalere, Prince aveva sollevato iroso l’arma sopra la propria testa, tremante, mentre la ciotola con la pomata fatata andava in mille pezzi ed un groviglio di lunghissimi riccioli neri si apriva come un sipario davanti a lui.
Aveva appena caricato l’affondo, quando la fiamma ancora sospesa nell’atmosfera aveva illuminato a tradimento un volto a forma di fragola a pochissima distanza dal suo… quello di una fanciulla.
 
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Poteva avere all’incirca la sua età o poco più, e la sua pelle sarebbe stata ambrata anche sotto il latteo riflesso lunare. Aveva gli occhi color miele circondati da lunghe ciglia ricurve e spalancati in una smorfia di vago spavento, e somigliava così tanto a Sophie Deveraux da far intuire senza difficoltà l’esistenza di un’intima parentela tra loro.
Tuttavia, cercare di mettere a paragone i loro volti era semplicemente folle, blasfemo, quasi come il voler accostare l’immagine di un rovo a quella di un fiore in boccio.
- Chi sei, tu? Sei per caso sua figlia? La figlia di Sophie? Che cosa vuoi?- le aveva ringhiato Prince, premendole la lama sulla gola e seguendo una gestualità feroce che non si riconosceva affatto ma che avrebbe dovuto imparare ad affinare, se non voleva restarci secco. Il petto della giovane aveva continuato a sollevarsi e ad abbassarsi affannosamente, coperto da una veste sottile come una camicia da notte, e quel movimento frenetico le aveva lasciato scivolare da un lato il ciondolo che portava al collo: era una ‘M’ di ossidiana che, vista da una diversa angolazione, pareva richiamare molto da vicino la stessa sagoma lineare dello Stigma che il principe, già da diverso tempo, portava impresso a fuoco sul cuore. - Parla!- aveva insistito lui, impaziente, mentre minuscole gocce di sangue scuro spuntavano oltre il profilo più tagliente del pugnale. Il semplice vederle zampillare gli aveva scatenato dentro un cruento moto di nausea che sperava lei non avesse notato: - Altrimenti ti… io ti…-
Davanti a quella sua palese esitazione, sembrava che l’espressione nervosa di lei si fosse addolcita parecchio: al cospetto di quel fare tanto minaccioso quanto inconcludente, la sconosciuta pareva assolutamente convinta che lui non le avrebbe fatto alcun male. Prince, schiumante d’indignazione davanti a tutta quella calma, si era sentito davvero in colpa nel beccarsi a considerare in qualche modo graziosi i tratti della ragazzina, così malsanamente simili a quelli del demonio che aveva brutalmente assassinato la sua famiglia:
- Voglio soltanto aiutarti, Prince Henrik Mikaelson.- aveva sussurrato lei, socchiudendo le palpebre fino a gettare finissime ombre scure sui propri zigomi d’avorio. Il suo indice timido aveva spostato un brandello di stoffa sfilacciata dallo sterno teso di lui, poi, con estrema cautela, aveva tracciato il contorno seghettato del simbolo dello Stigma Diaboli in tutta la sua lunghezza. - Se mi lasci andare, ti spiegherò come ho intenzione di liberarti dal peso di questo Marchio e perché... per ora sappi soltanto che non esiste sortilegio al mondo che non possa essere infranto.- mentre la guardava attonito, rapito e confuso, oltre che palesemente tentato dalla speranza trasudata da quelle parole, il principe non aveva trovato il coraggio di sottrarsi alla lievissima carezza con cui lei lo stava ancora sfiorando: - La tua battaglia contro ciò che di terribile mia zia sta scatenando in questo mondo è anche la mia… e quella della mia gente. Non tutte le streghe del Quartiere Francese sono come Sophie… ‘’presso di noi, chi soffre a causa dell’Espressione potrà sempre trovare conforto.’’- sotto lo sguardo glaciale ma insistente di Prince, l’ambra perlacea delle gote della ragazzina si era fatta purpurea e lei aveva tormentato il suo amuleto tra le dita per smorzare la soggezione: - Oh, a proposito, non mi sono neanche presentata… il mio nome è Monique.-
______  _____
 
- A che cosa accidenti ci può servire la mappa di… cosa?! Del Quartiere Francese di New Orleans?!- sbottò piccata la figlia di Bonnie dalla cucina della Capanna, rivolta a William, il quale stava srotolando su un tavolo, di buona lena, con una vena di concentrazione scavata al centro esatto della fronte, un rotolo di pergamena che ritraeva fedelmente la pianta cittadina di N.O., come se fosse la cosa più logica e necessaria del mondo. - Heilà? Non stavamo cercando un antidoto introvabile per impedire la transizione di Nick?! CHE STA SUCCEDENDO?! PERCHE’ QUESTO CAMBIO DI PROGRAMMA PROPRIO ADES…?-
- Falla smettere di blaterare, Doge.- ordinò Prince dal nulla, bruscamente, continuando a fissare il camino senza degnarsi di voltare le spalle verso gli altri due. - O sarò costretto a pensarci io stesso, e sai già che non sarà divertente.- Sheila udì la minaccia micidiale contenuta nel tono apparentemente pacato del principe serpeggiarle fin nelle ossa, ma fu solo quando la mano tiepida di Will si fu posata sul suo polso che si impedì di rispondere con rabbia a quella gratuita provocazione.
- Non oserà toccarti.- le bisbigliò il cameriere del Grill, per rassicurarla, facendole segno di aiutarlo a lisciare il lenzuolo di carta che era quella mappa, giusto per distrarla un po’. - Il piano che abbiamo intenzione di attuare praticamente da quando ci siamo conosciuti e che è forse l’unico sistema possibile per salvare suo fratello non può essere realizzato se non con l’aiuto di una strega completa, ed io sono totalmente fuori uso, così lontano da casa mia e dalle tombe dei miei avi.- con gran sorpresa della Bennett, gli occhi scuri di William lampeggiarono emozionati, come tunnel investiti da un faro intermittente. - Per il momento, tu sei l’unica che può aiutarci con l’Incanto di Localizzazione che ci occorre.-
- Ma di che parli?! Che significa ‘’per il momento’’? E che cosa stiamo cercando?!- ansimò Sheila, sbattendo freneticamente le palpebre gonfie, senza capire. Il ragazzo moro rivolse un’occhiata furtiva dalle parti di Prince, cioè fissò a lungo la sua schiena ostinatamente ingobbita, come alla ricerca di un permesso; Eve, che intanto se ne stava accucciata sul tappeto, accanto al maggiore dei suoi protetti, come un gigantesco cane da guardia pronto a staccare a morsi la testa di chiunque avesse osato arrecare altra pena al principe, allungò il muso verso quest’ultimo ed urtò col naso umido il suo pugno ancora ermeticamente chiuso sul ciondolo di Monique; scosso da quella carezza d’avvertimento, il figlio di Klaus trasalì, come rinsavito, e lasciò andare d’impeto la ‘M’, giusto in tempo per rendersi conto che, rapito dai suoi ricordi funesti, aveva finito col trafiggersi la carne in profondità, fino a farla sanguinare.
- Troveremo il sepolcro di Luinil.- rispose lui dopo essersi ricomposto, con voce apra, osservando senza troppo interesse le mezzelune slabbrate delle sue ferite richiudersi sul palmo, lasciandolo di nuovo intatto. - Ecco cosa.- senza più esitare, si rizzò in piedi come in un flessuoso passo di danza, poi si mosse spavaldo verso Willy, estraendo dalla tasca due frammenti di pergamena dall’aria decrepita e rinsecchita e porgendoglieli come se fossero un tesoro inestimabile. Sheila non ebbe difficoltà a riconoscerli: erano i due pezzi della Profezia che lei e Demetra avevano trovato in Biblioteca, la notte in cui Nick aveva quasi rischiato di farle ammazzare da tre manigoldi. Sfiorato da quel pensiero, le parve quasi che il cuore le si stesse accartocciando nel petto: quanto aveva odiato quel bel ragazzo misterioso, per averle deliberatamente messe in pericolo, mentre ora avrebbe dato qualunque cosa pur di vederlo salvo dal suo atroce destino! - La formula che deve pronunciare è incisa qui.- quando Doge ebbe afferrato la Profezia che gli stava porgendo, Prince si sfilò la catenina dal collo: sulla spessa ossidiana del ciondolo erano incisi dei simboli bizzarri, come delle lettere svolazzanti, che formavano una specie di codice.
‘’Où tu fuis? A pouvoir la trouver. Yonn souri nan zeb.’’
La Bennett notò che Prince sembrava parecchio restio a lasciare andare il pendente e che si sforzava anima e corpo di tenere gli occhi roventi inchiodati su William, rivolgendo a lei la stessa attenzione che avrebbe potuto dedicare ad una pianta grassa posata sul piano cottura:
- Spiegale solo ciò che è necessario sapere per visualizzare il posto il prima possibile. Non abbiamo tempo da perdere, perciò fa’ che si sbrighi.- dopo avergli intimato queste parole, implacabile nella sua aria austera ed inquietante e terribilmente bellissima, il biondo si voltò e scomparve dalla loro vista in un batter di ciglia, mentre la porta dell’ingresso da lui stesso spalancata per dileguarsi in giardino si richiudeva alle sue spalle con un secco boato, lasciando entrambe le streghe da sole, con un’Eve affranta in mezzo a loro. Sheila si sforzò di non apparire troppo confusa o allucinata e tenne sospesa tra le dita la collana che William le aveva appena consegnato, la quale continuava a dondolare placidamente, tracciando dei minuscoli semicerchi a mezz’aria:
- Sembrava che si stesse strappando il cuore a mani nude, mentre se la levava.- osservò la ragazza, quasi inudibile, tanto era rimasta impressionata.
- Gli è stata regalata da una persona… da una persona che adesso non c’è più.- chiarì il cameriere, cupo, posando la Profezia in una ciotola di ceramica e cospargendola poi di quella che sembrava sabbia nera, dal fortissimo odore di zolfo e di sale. - Questa ragazza si chiamava Monique ed era, proprio come me ed i miei genitori e come la stessa Sophie, prima di esserne scacciata, una strega del Quartiene Francese di New Orleans. Ma era anche molto, molto più di questo: in quella città, nel tracciato mistico del suo territorio, da troppo tempo perché possa essere quantificato, esiste un antichissimo Consiglio di Streghe votate alla magia bianca, all’esercizio del bene comune e al culto degli Antenati. Il primo tra tutti gli avi, capostipite simbolico del loro culto, è il mitico Re Salomone, dal quale la leggenda di Luinil e quella della Pietra della Resurrezione sono nate. Monique sarebbe stata, per dignità di nascita, la futura Custode di questo cerchio ristretto e sacro di fattucchiere, il cui scopo supremo è il mantenimento dell’equilibrio della Natura e la lotta contro ogni suo abuso o perversione, nonché il mantenimento di un segreto vecchio quanto Silas e Qetzsyiah stessi.-
- Intendi dire l’ubicazione del sepolcro della Stella Azzurra?- ipotizzò la Bennett, la bocca socchiusa, interdetta dallo stupore.
- E, soprattutto, di ciò che vi è nascosto all’interno.- confermò William, gravemente. - Per millenni, si è narrato che sarebbero giunti sulla terra due Prescelti, due garanti della stabilità eternamente presente tra il mondo dei vivi e quello dei morti. Due controparti, identiche eppure opposte, una vittima sacrificale ed un suo nemico naturale, destinati a scontrarsi e a ribaltare l’ordine stesso dell’universo, consegnando ad una sola persona il suo dominio incontrastato. Presso le spoglie della donna veramente amata da Silas, in una bara irrintracciabile che è poi divenuta un tempio protetto da potentissimi sortilegi d’invisibilità, giacerebbe l’unica arma in grado di compiere correttamente il sacrificio rituale necessario ad attivare il Lapislazzuli Stellato: una spada. La Piuma Nera.- Will prese fiato, scrutando attentamente Sheila ed accorgendosi del suo colorito che andava impallidendosi col passare dei secondi, come il cielo notturno straziato dai primi raggi dell’alba. - Quando il bellissimo ed angelico spirito di Luinil apparve a Salomone per consegnargli la Pietra, si tramanda che egli, per trattenerla un attimo ancora accanto a sé, si aggrappò ad una delle sue ali, strappando via da esse un’unica piuma infuocata. Bagnata dalle lacrime del sovrano, quest’ultima si solidificò, fino a divenire tagliente come un pugnale di magnifica fattura. Quest’arma, proveniente dal cielo, si dice che sia in grado disintegrare anche il sortilegio oscuro più potente, restituendogli l’antica luce ed assorbendo dentro di sé ogni singola traccia di tenebra.- la figlia di Bonnie si rese improvvisamente conto di essersi pesantemente appoggiata ad un angolo del tavolo, come per reggersi in piedi.
- Perciò… volete trovare questa spada e sfruttarla per annientare il veleno d’Ombra che si vuole impossessare dell’anima di Nick?- chiese, incerta se sentirsi terrorizzata o sollevata da quella possibilità. - Oh mio dio, potrebbe sul serio… funzionare?!-
- Se c’è una sola medicina al mondo che possa ancora salvare quel ragazzo, è contenuta nella lama della Piuma Nera.- mormorò Will, abbassando la testa e scuotendola, fino a farsi dondolare il cappellino di lana grigio sulla sommità del capo. - Ma ad un prezzo a dir poco spaventoso. Anche una volta rintracciato, per essere aperto, il sepolcro avrebbe bisogno di una dose di sangue da parte di entrambi i Prescelti, versata direttamente sulla statua di una grossa Clessidra scolpita sul mausoleo. Da quel momento in poi, la Spada comincerebbe ad usare una parte dell’oscurità assorbita nei secoli, e sarebbe finalmente utilizzabile per gli scopi di Sophie, la quale ha marchiato sia Prince che Demi per renderli eguali, ed ora non aspetta altro che veder compiuto il suo progetto di morte, resurrezione e strapotere. Nell’istante stesso in cui offriranno il loro sangue in cambio della Piuma, entrambi i loro destini saranno segnati. Ed il loro tempo limitato.- Eve emise un ringhio sommesso di repulsione, poi d’impotenza. - La povera Monique conosceva la volontà del Consiglio a tal proposito e voleva che fosse rispettata, anche a costo di impedire alla sua stessa zia di realizzare il proprio folle piano. Per questo si alleò con Prince e gli spiegò quale fosse la ragione nascosta dietro l’ossessione di Sophie per i due pezzi perduti della Profezia di Salomone, i quali erano l’unico mezzo per giungere alla tomba sacra e, di conseguenza, all’arma del sacrificio. Gli fornì l’Incantesimo degli Anziani mediante quel ciondolo che ora tu reggi e gli fece promettere che sarebbe stato proprio lui, un giorno, a trovare la pergamena… per distruggerla.- Sheila guardò di sfuggita il vaticinio maledetto, come per assicurarsi che fosse ancora lì, poi tornò a rivolgere tutta la propria attenzione su uno sfinito cameriere del Grill: - Solo così facendo, infatti, avrebbe potuto strappare la vittoria a Sophie, una volta per tutte.-
- E ora lui ha cambiato idea?- la voce incerta e trepidante di Mattie emerse da un angolo semibuio vicino all’imboccatura del corridoio, facendo capire che aveva seguito il discorso standosene in disparte, senza dare nell’occhio agli altri tre. - Mancherà alla parola data e metterà in pericolo la sua stessa vita, nonché la possibilità di compiere la vendetta su cui ha lavorato per anni ed anni… ed anni?!-
‘’E’ suo fratello.’’ sussurrò la voce materna della Licantropa Labonair in un recesso della sua coscienza, come se questo bastasse a far svanire ogni dubbio. Nel minuscolo cortile alberato attorno alla Capanna risuonò di colpo un ruggito roboante, come di una moto appena accesa nella notte, poi Sheila sbirciò curiosa fuori dalla finestra, con la ‘M’ della piccola Deveraux che le sfiorava l’indice, assieme all’unico altro ciondolo ancora appeso al filo di cui il principe si era privato con tanta riluttanza: una conchiglia malandata, la stessa che il biondo aveva raccolto da bambino nei pressi del fiume accanto alla casa ancora intatta di Hayley ed Elijah, azzuffandosi capricciosamente con Nick per ottenerne il possesso e conservarla così. Come un simbolo di loro. ‘’E non importa quali siano stati i loro problemi in passato o quanto la vita li abbia potuti allontanare nel tempo: per un vero Mikaelson, la famiglia viene prima di tutto il resto.’’ Eve era talmente commossa che, per un lungo istante intinto di disperazione, orgoglio e tenerezza, desiderò poter evadere dalla prigionia della propria forma animale, anche solo per potersi lasciar andare ad un pianto liberatorio: ‘’Sempre e per sempre.’’
 
***
 
Elena rimase muta ed assorta ad ascoltare il suono delle braci morenti rimaste ad ardere tra la cenere nel camino del Pensionato, poi scostò una ciocca castana dal viso immobile di Stefan, ancora profondamente addormentato nel sonno livido della morte temporanea, il capo posato sulle sue ginocchia ed il resto del corpo ciondoloni sul divano.

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Jeremy e Bonnie erano tornati a casa Bennett già da un pezzo, anche loro spossati dopo le infinite disavventure della giornata, ed erano saliti nell’auto di lui tenendosi per mano e facendosi coraggio l’un l’altra, come una coppia di sposi. Elena accarezzò delicatamente la tempia del marito con le nocche, mentre l’anello nuziale incastonato sul suo anulare fremeva appena, ricordandole senza pietà tutte le volte in cui anche Stefan era stato la sua ancora di salvezza, la sua roccia incrollabile, la persona a cui aveva donato se stessa con un giuramento di amore eterno, e con l’aiuto della quale aveva disegnato l’ideale di una famiglia meravigliosa che adesso non era altro che un cumulo fumante di polvere e rottami e segreti... e dolore.  
- L’ho conciato proprio male, non è così?- la voce ironica di Damon vibrò nelle vicinanze, tenue come un frullo d’ali, ed attirò con un sussulto l’attenzione di Elena dalle parti della rampa di scale che il vampiro stava scendendo con passo apparentemente baldanzoso, di ritorno dal piano superiore. - Beh, non posso dire, in tutta onestà, che non se lo sia un po’ merit…- gli bastò incrociare lo sguardo torvo della Gilbert per sollevare pigramente le mani in un obbligatorio segno di resa, poi si esibì in una smorfietta colpevole, giungendo finalmente a calpestare il parquet del salotto. -… dunque.- tossicchiò, sforzandosi di non mostrarsi troppo scortese. - Per quanto tempo sarà ancora… ecco, insomma, hai capito… un non-morto… bello che morto?!-
- Bonnie dice che tra qualche minuto dovrebbe già riaversi.- rispose Elena, stringendosi melanconicamente nelle spalle ma apprezzando comunque il vago tentativo di Damon di mostrarsi interessato alla sorte del fratello a cui lui stesso aveva fatto saltare metà delle vertebre solo poche ore prima. - So bene che non è il massimo, ma vorrei che a tenerlo d’occhio fossi tu, almeno per un po’…- balbettò la vampira, sfilando cautamente le gambe che fungevano da appoggio al capo inerte di Stefan e sostituendole con un guanciale. -… nel frattempo io… ecco, vorrei… vorrei provare a…-
- E’ una pessima idea.- la interruppe Damon, prima ancora che finisse di parlare. Lei lo fissò mentre si arrestava deciso davanti a lei, come una barriera interposta tra la sua persona ed i gradini che l’avrebbero condotta al primo piano, le braccia incrociate sul petto e l’aria seria, grave. Non aveva una bella cera, neppure sotto la luce dorata delle lampade del Pensionato: le ossa finissime dei suoi zigomi sembravano volergli squarciare la pelle diafana ed ombre di tensione e tristezza gli scurivano le palpebre. - E’ a pezzi, ha bisogno di dormire, di una tregua, e, più di ogni altra cosa, di non farsi vedere nello stato in cui effettivamente è. E’ una tosta, ma non abbastanza da rivivere la scena nella foresta per la seconda nello stesso giorno.- il maggiore dei due Salvatore abbassò la fronte per un istante, prima di tornare a guardare la madre di Demetra, con un sospiro ragionevole: - Forzare le cose non funzionerà.-
Elena restò senza parole per un lungo momento d’indignazione, vergogna ed indesiderata consapevolezza, poi si premette una mano sulla faccia, inspirando profondamente contro di essa per calmare il tremore che l’aveva improvvisamente attraversata:
- Mi odia, vero?- esalò, rivolta a Damon come a nessun altro in particolare, soffocando a fatica sul calice del proprio palmo sudato quel dubbio tanto atroce ed insistente. Lui la fissò muto e turbato, una ruga di dispiacere tra le sopracciglia, mentre lei si imponeva di tenere sollevato il volto verso il soffitto, per impedire alle lacrime che già le allagavano gli occhi di rotolare giù, rivelatrici. - Demi, lei… l-lei mi odia…-
 
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- Non ti odia affatto.- la contraddisse il vampiro, scuotendo la testa ed allungando le dita verso il gomito di lei, istintivamente, come se volesse posarle addosso qualche briciola di conforto; Elena non trasalì visibilmente a quel contatto ma avvertì tutti i tendini guizzarle dentro, come elettrizzati, in una reazione epidermica talmente forte da sfiorare la soglia della sofferenza fisica. La cioccolata fondente delle sue iridi si tuffò nell’oceano febbrile di quelle di Damon, e lui si ritrovò a confessarle a fior di labbra, quasi come se non potesse trattenersi oltre: - Non ti odia più di quanto non potrei mai farlo io.-
- Dovresti.- fece lei, con un filo di voce spezzata, il cuore che le martellava impietoso nella giugulare, come se avesse appena smesso di correre, o come se sapesse che, in realtà, non avrebbe mai smesso di farlo per davvero. - Dovresti odiarmi.- il singhiozzo incastrato nella sua gola si attutì in un fruscio di abiti quando, con un gesto esitante ma necessario al mantenimento del suo autocontrollò, lei si liberò dalla presa di Damon, rivolgendogli la schiena ed allontanandosi leggermente.
- Perché?- la provocò lui, seguendo ogni suo singolo movimento con un’occhiata rovente, infuocata dal bisogno di risposte quanto dalla delusione insopportabile di vederla andare via da sé per l’ennesima volta, senza essere nella posizione di poterla fermare. - Per non avermi dato retta quando ti dicevo che dire la verità a Demi il prima possibile sarebbe stata la cosa più giusta per lei?- il suo tono era duro, ma celava lo sfogo impronunciabile delle angherie, delle paure e delle angosce subite durante quella giornata maledetta, e in quegli ultimi mesi a Mystic Falls, e in tutti quegli anni trascorsi come un vagabondo per il pianeta, senza casa, senza famiglia, senza l’amore… senza sua figlia. - Perché dovrei odiarti, Elena? Per aver portato in grembo la mia bambina mentre non c’ero, e per averla cresciuta col tuo spirito ed il tuo coraggio, cosicché io potessi amarla?- la Gilbert non si girò, ma le sue spalle minute ebbero un fremito convulso, represso con estrema difficoltà, mentre Damon non desisteva: - Perché?! Perché porti al dito la fede di un altro uomo… di mio fratello? Perché lo hai scelto e perché lo ami, perché lui ama te, e perché Demi vi considererà sempre i suoi unici, veri genitori, nonostante tutto?-
- PERCHE’ SAREBBE TUTTO PIU’ FACILE!- urlò lei, finalmente pronta a fronteggiarlo, le unghie quasi affondate nelle gote, tanta era stata la disperata, cocente vemenza di quella dichiarazione. Damon la scrutò interdetto mentre lei respirava affannosamente, l’eco del suo stesso fiato corto, del clamore assordante nel suo petto:
- Cosa?- le chiese, impaziente, con gli occhi sfavillanti come stalagmiti di ghiaccio al sole. - Che cos’è che sarebbe più FACILE?!-
- GUARDARTI.- esplose Elena, con la voce acuta intrisa di struggimento, vera come non lo era mai stata di recente e come forse non credeva di poter essere mai più. - Respirarti vicino, fare finta che non conti niente, che non sto impazzendo, che non sono spezzata a metà dalla tua sola presenza… sarebbe più semplice lottare al tuo fianco per uno scopo comune, e persino nascondere il terrore di morire solo perché vorrebbe significare doverti perdere di nuovo…- lui non osò spostare un muscolo, impietrito da quelle parole, mentre vedeva il sangue di lei affluirle sui lineamenti e pulsarle nelle vene, ardente, mandandola in ebollizione come pochissime altre volte aveva avuto la dolce tortura visiva di ammirare. - Se tu mi odiassi, Damon, se tu ne fossi realmente capace… io non dovrei più sentirmi così.-
- Colpevole?- Elena non capì come potessero le parole di Damon essere state pronunciate così vicine alla sua bocca tremula: distinse solo un guizzo d’incorporea velocità sfrecciare silenziosamente fino a lei, poi il profilo di Damon, la morbidezza scultorea dei suoi tratti e la perfetta armonia del suo collo e delle sue spalle la sovrastarono, invadendo totalmente il suo campo visivo. Ed il suo profumo di passato e di presente, di proibito e di voluttà, di nostalgia e di fiamme crepitanti si mescolò al suo ossigeno, mentre scorgeva riflesso in due specchi ribollenti d’acqua cristallina ciò che di lì a poco sarebbe accaduto, e non ne aveva che il fervore:
- Incompleta.- e fu allora che Damon la baciò.
 
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Spingendosi in avanti con uno slancio che l’avrebbe fatta cadere all’indietro, se lui non l’avesse stretta saldamente a sé, cercò l’oblio di quelle labbra tanto amate premute sulle proprie, e le sentì schiudersi piano sotto di esse, simili ai petali umidi di una rosa in boccio. Il calore vellutato della loro passione si confuse con la foga delle dita intrecciate ai capelli ed il sapore del sale sulla lingua, poi Elena si sentì travolta dalla fiumana setosa e bollente della memoria e, da dietro le proprie palpebre serrate e sognanti, vide sfilare il Porticato di casa Gilbert, dove Damon le aveva rubato il loro primo vero bacio, ed il motel di Denver, là dove entrambi avevano ceduto al desiderio incontenibile di viversi.
E la danza dei loro brividi assomigliava oramai sempre di più a quella sensuale ed un po’ impacciata che li aveva portati, tanti anni prima, a fare l’amore in quello stesso salotto familiare, per assaggiarsi, per possedersi, per ricordare l’uno all’altra quanto fosse giunto il loro momento, e quanto fosse dannatamente giusta ogni singola carezza…
- Questo è quanto ti odio, Elena.- ansimò d’un tratto Damon al suo orecchio, mentre lei rovesciava appena la testa, i polpastrelli immersi nella stoffa della camicia sulle spalle di lui e il corpo squassato dalle sue stesse sensazioni, dalle sue colpe, dalla scarica violenta di gioia mista ad autodisprezzo che la stava annichilendo, trascinandola inesorabilmente alla deriva. - Questo… è quanto voglio che sia facile, per te, dimenticarmi.- senza traccia d’aria nei polmoni, lei provò a mormorare qualcosa, qualsiasi cosa di senso compiuto, ma un lamento soffocato riecheggiò fino a loro dal divano, assieme ad uno strofinio di cuscini contro la spessa pelle che ne rivestiva l’imbottitura.
- E’ sveglio.- soffiò Damon atono, accennando a Stefan, il quale aveva ancora gli occhi chiusi ed un’espressione di fastidio stampata sul viso, ma era sempre meno esangue con il trascorrere degli istanti. Le pupille velate di Elena rimasero vitree, come assorte nella contemplazione del vuoto più assoluto, poi una goccia argentata le piovve dalle ciglia fino al mento, là dove il pollice del vampiro la raccolse, asciugandola. Dopo di che, non ci fu bisogno di parlare: Damon rimase all’ombra dell’arco che separava la rampa dal centro esatto del soggiorno, quasi volesse fondersi con le mura e l’arredamento, e lei raggiunse il minore dei Salvatore, per assistere al suo ritorno in vita. Mentre quest’ultimo si rimetteva a sedere a fatica, tutto arruffato, stravolto e disorientato, Damon lo udì chiedere che cosa fosse accaduto, se Demi fosse salva e se Rebekah fosse stata sconfitta, ed immaginò le smorfie di orrore, d’ira e di sollievo dipinte ad intermittenza sul suo viso, mentre veniva a sapere ciò che Demetra aveva scoperto e ciò che la crudele Originale aveva ottenuto in cambio della sua sadica rivelazione. L’ultima cosa che intuì prima di svanire nell’oscurità più fitta della Pensione fu un casto abbraccio tra i due coniugi, poi sentì Elena che tirava su col naso, e Stefan che le sussurrava frasi di cupa consolazione contro il collo, mentre i singulti di lei crescevano d’intensità, fino ad affievolirsi gradualmente, trasformandosi poi in un sonno prostrato, estenuato, che forse le avrebbe dato l’illusione di un po’ di quiete, mentre nel suo sterno covava l’ennesimo segreto, inconfessabile, incastrato tra ciò che lei era in realtà e ciò che invece aveva tentato di essere, senza il minimo successo, per sedici lunghi anni di apparenze.
 
***    
 
Demi si chiuse alle spalle la porta del bagno con uno schiocco sordo, senza preoccuparsi di essere troppo discreta: aveva sentito l’eco delle voci di sua madre e di Damon al piano di sotto, rimbombare indistinte ma piuttosto alterate, e non le pareva che si fossero fatti poi troppi problemi a tal proposito. Si passò distrattamente una mano tra i capelli lisci e spettinati, profumati di mirtilli dopo una doccia bollente che non era servita a rilassarla, poi accese una lampadina ambrata posta sul comò della propria stanza: non aveva voglia di essere investita da una fonte di luce più potente, specie se artificiale: voleva starsene un po’ per conto proprio, magari dormire come un ghiro, oppure essere una particella di polvere sparsa tra le mastodontiche pile di libri scolastici ammucchiati sulla scrivania, o, ancora, fingere una normalità che le mancava, che non le sarebbe mai stata restituita per intero.
Rabbrividì, come se un alito di vento gelido le avesse fatto accapponare la pelle, poi si girò istintivamente verso la finestra della cameretta, per assicurarsi che non ci fossero spifferi, e si rese improvvisamente conto che la sottile tenda rosa che decorava le imposte stava danzando bellamente, come il lenzuolo di un fantasma, e che la serratura era stata sbloccata, lasciando uno spazio di apertura tra il vetro ed il davanzale non indifferente.
‘’Ma che diavolo…?!’’ Demi si avvicinò circospetta e gettò un rapido sguardo fuori, in cortile, perlustrando i cespugli e lo spiazzale deserto accanto al garage, avvolti nel laccio uggioso della notte: non c’era nessun movimento tra le foglie, a parte quello della brezza che le faceva palpitare ritmicamente, né alcuna mostruosità in agguato, pronta a sbucare per fare del male a lei o a chiunque amasse. Con un sospiro gonfio di tensione allentata, lei richiuse la finestra e pensò che forse avrebbe dovuto semplicemente smetterla di essere così paranoica e darsi una mossa, infilandosi al più presto sotto le coperte e seppellendo il prima possibile, in un angolo remoto della propria mente, ogni genere d’ansia o di dispiacere, almeno per un po’, almeno fino all’alba del giorno dopo…
Risoluta, tornò sui propri passi e lanciò un’occhiata sfuggente allo specchio mobile di fronte a lei, adagiato sulla cima del cassettone della biancheria, poi cominciò a sfilarsi la vestaglia che aveva indossato poco prima, per non rischiare di morire di freddo subito dopo la doccia; quando la stoffa le fu scivolata morbidamente giù dalle spalle, scoprendo un’ampia porzione della sua diafana pelle nuda, la giovane si sporse appena in avanti, rovistando caoticamente nel cassetto dei pigiami per tirarne fuori uno a caso, purché morbido e tiepido, da indossare per conciliare il sonno.
- Quello rosso.- gongolò dal nulla una voce pratica ed esperta dietro di lei, come se nulla fosse. - E’ di gran lunga il più sexy, tesoro.- uno strano ed inedito alone scuro vibrò nella semioscurità, proprio sotto gli occhi sbarrati di Demi, facendo la propria comparsa anche nella lastra riflettente dello specchio, quasi come se volesse salutarla; poi lei si girò di soprassalto, trattenendo a stento uno stridulo grido di terrore che, ben presto, si tramutò in un sibilo furente: spalmato come il burro su una considerevole fetta di pane tostato, le braccia dietro la testa ed i piedi a penzoloni sui lati del materasso, c’era un ragazzo biondo e riccioluto, con la carnagione d’oro che creava un gradevole contrasto tra sé ed il bianco accecante del suo sorriso dispettoso, come quando una conchiglia di madreperla si scopre abbandonata sulla sabbia croccante.  
- OH MIO DIO.- scandì la Salvatore, orripilata, chiudendo con una brusca gomitata il cassetto e riafferrando al volo la propria camicia da notte, cercando di limitare i danni del suo corpo fine e delicato esposto praticamente quasi per intero allo sguardo compiaciuto di quel principe infiltrato. - OH. MIO. DIO!-
- SUVVIA, ormai abbiamo un certo tipo di confidenza, tu ed io.- minimizzò lui, ironico, ammiccando maliziosamente. - Non mi offendo mica se mi chiami semplicemente Prince.-
- Dimmi che è un incubo.- esalò lei, appoggiandosi con la schiena al muro, come per non rischiare di scivolare lunga distesa per terra, una volta che le sue pulsazioni avessero smesso di pomparle alluvioni d’adrenalina dritte nelle arterie. - Ho un assoluto bisogno di sentire queste parole.-
- Lo è per forza.- commentò il figlio di Klaus, con un’alzata di spalle. - Sono ancora tutto vestito!-
- TU.- ringhiò Demi, inudibile, con gli occhi che mandavano lampi cerulei mentre le gote erano oramai così paonazze da poter essere tranquillamente individuate nella penombra.
- CHE COSA SEI VENUTO A FARE, QUI?! COME TI E’ SALTATO NEL CERVELLO DI… E DA QUANTO… D-DA QUANTO TEMPO SEI LI’ A…?!-
- … a godermi lo spettacolo?- completò Prince al suo posto, sfacciato. Lei si sentì prudere le mani dalla voglia malsana di prenderlo a schiaffi su quel suo viso da arrogante senza speranza di redenzione ma non si azzardò a fare un solo passo verso il letto, dal cui soffice giaciglio lui si stava comunque sollevando, fino a rimettersi in piedi. - Da un bel po’, in effetti. Sono i vantaggi di essere vampiro solo per un terzo, sai… agli abomini della Natura non occorre neanche essere invitati ad entrare. Nuove regole.- lo ammise con nonchalance, mentre la spada color zaffiro che aveva utilizzato durante lo scontro con le Ombre gli sbrilluccicava al fianco, poi prese ad avanzare lentamente nella direzione della Salvatore, ogni lembo di pavimento conquistato simile ad un provocatorio soffio di vento calato sulle braci mai sopite del meccanismo difensivo di lei. - Voglio solamente chiederti un favore, comunque. Se sarai tanto gentile con me da non fare troppe lagne, non sarà necessario usare alcun genere di… persuasione.-
- Se ti avvicini ancora d’un millimetro, mi metto ad urlare.- lo avvertì Demi, minacciosa, indietreggiando alla cieca fino ad appiattirsi completamente contro la parete ghiacciata, e ricevendo in risposta un’occhiata teatralmente scettica:
- Oh, andiamo… se avessi voluto, l’avresti già fatto.- la rimbeccò il biondo, con il labbro inferiore arricciato in una smorfietta insopportabilmente sicura di sé. Lei si mordicchiò a sangue l’interno della guancia, punta sul vivo da quell’osservazione. Quel ragazzaccio era imprevedibile, oltre che astuto e terribilmente pericoloso; se avesse chiamato aiuto, Damon si sarebbe di sicuro precipitato a soccorrerla, e le cose non sarebbero finite bene, per lui, o per i suoi genitori, ancora così provati dallo scontro frontale avuto con Rebekah quel pomeriggio. Tentare di comprendere la ragione nascosta dietro la visita di Prince era il modo più semplice di cavarsela senza conseguenze troppo cruente, e toccava soltanto a lei risolvere il problema.
In fondo, aveva promesso a se stessa che, d’ora in avanti, se la sarebbe sempre sbrigata da sola.
- Parla.- gli sillabò infatti poco dopo, sporgendo fieramente il mento, mentre le sue iridi celesti rimanevano fisse in quelle del ragazzo, sostenendone tutta l’ammaliante intensità. Il giovane, un po’ spiazzato da quell’impeto d’inaspettato coraggio, piegò leggermente il capo da un lato, scrutandola con estrema curiosità da sotto le ciglia dorate. Proprio non riusciva a capire per quale motivo si fosse incantato, ma c’era qualcosa in quello sguardo adamantino che gli ricordava da vicino se stesso all’inizio di tutto, la propria caparbietà e le proprie disgrazie, e che lo faceva fremere dai ricordi.
- Lascia perdere quel pigiama, stanotte non ti servirà. Verrai via con me. Subito.- le disse in un sussurro, cogliendola totalmente di sorpresa. Demetra inarcò un sopracciglio, sbigottita, senza sapere bene come reagire davanti all’assurdità di quella proposta, se con una stretta allo stomaco o con una grassa, sonora, isterica risata.
- Tu sei tutto matto.- constatò, facendo schioccare forte la lingua. - Sei completamente, irrimediabilmente andato.-
- Già. E da un bel po’, pure.- convenne Prince, orgoglioso, liquidando con un rapido gesto della mano quell’osservazione che non gli era sembrata troppo offensiva, anzi, in realtà l’aveva lusingato quasi fosse un complimento. - MA ciò non significa che io non faccia sul serio, tesoro.- facendole l’occhiolino, approfittò del suo stupore per allungare le dita verso di lei, scostandole una minuscola ciocca di capelli dietro l’orecchio, come se fosse un suo mero diritto: avvertì la seta nera della chioma della sedicenne scorrergli lentamente sui polpastrelli e la osservò scoprirle un angolo del collo, quello su cui si poteva adocchiare a stento l’impronta dello Stigma, poi socchiuse la bocca, in attesa, fino a quando lei non si accigliò, facendo un gesto irritato ma tremante per liberarsi:
- Quando Nick verrà a saperlo, ti ucciderà.- gli intimò, agitata e sprezzante, inspirando a fondo dalle narici dilatate.
- Che tu ci creda o meno, è proprio per il suo bene che verrai con me.- spiegò il principe, fatalista. Demi si sentì sbiancare dalla preoccupazione, mentre si rendeva conto di quanto la sua facoltà di scelta fosse limitata ad una formalissima illusione: dal tono che il biondo aveva appena utilizzato, sembrava chiaro che l’avrebbe caricata in spalla in ogni caso, anche a costo di rapirla mentre era strillante e scalciante. Avrebbe portato comunque a termine il proprio ignoto progetto, e, se le stava chiedendo il ‘’permesso’’, era soltanto per cercare un compromesso tra l’inevitabile e la seccatura che sarebbe senz’altro derivata dal suo costringerla a fare qualcosa che non le andasse a genio.
- Dove?- bisbigliò allora la ragazza, deglutendo, senza però abbassare la testa. Il sorriso che ricevette in cambio di quella domanda fu simile al fulgore accecante di una cometa che incendia il cielo, ed il suono delle parole che seguirono fu il corno suonato prima di un’epica battaglia ancora tutta da combattere:
- A New Orleans.-
 
 
 
 
 
 
 
 
***********
 
 
 
 
 
 
 
 
 
ECCOMI QUA.
YEAH, IT’S ME.
AND I’M ALIVE.
BEH………………. PIU’ O MENO. #LOL
Innanzitutto vorrei scusarmi con tutti voi, miei adorati, per questo VERGOGNOSO, inaudito ritardo. E’ stato un periodo davvero molto difficile della mia vita, intessuto di mille problemi, ma anche di gioie e di tanti episodi che mi hanno segnata profondamente, destabilizzandomi. Uno di essi mi ha impedito per lungo tempo di affrontare come avrei voluto e dovuto la tematica della sofferenza fisica di Nick, e mi ha portata a posticipare di tanto l’aggiornamento, fino ad oggi.
Non è stato un capitolo semplice, assolutamente: ho sentito addosso la pressione delle mie stesse aspettative, perché ho cominciato a raccontare questa storia partendo da una paternità segreta e da un amore rimasto immutato nonostante la distanza, i segreti ed il tempo trascorso, ed in questo decisivo momento della vicenda volevo rendere al meglio l’essenza di tutto questo, trattando il Dametra, il Delenametra ed il Delena come davvero MERITAVANO di essere trattati.
Spero tanto di esserci riuscita, ma soltanto le vostre recensioni potranno tranquillizzarmi a tal proposito! J
Un pezzo de ‘’Il Diario di Demi Salvatore’’, questo, che apre lo scenario su tematiche del tutto nuove: che cos’altro di terribile è nascosto nel passato di Nick? Qual è stato, nel tempo, il vero ruolo di Monique Deveraux e quali rapporti intercorrevano tra lei e Prince, prima della morte di lei? Riusciranno lui e Demi a recuperare la Piuma Nera, viaggiando verso la Lousiana, e a quale prezzo salveranno la vita del figlio di Elijah dalla transizione? Vi avevo già annunciato che il mio principino sarebbe stato il motivo grazie al quale la storia avrebbe preso una piega diversa… in questo passaggio ho gettato le basi per rendere possibile tutto questo.
Fatemi sapere che cosa ne pensate, anche se non me lo meriterei per la troppa attesa… spero di essermi fatta perdonare! <3
Grazie per la pazienza e per la fedeltà… devo un abbraccio soprattutto a tutti quelli che si sono ''presi cura di me'' in questo periodo d’assenza, inviandomi moltissimi, bellissimi messaggi privati per mostrarmi il loro supporto.
Siete i migliori lettori del mondo.
Un bacione e alla prossima…
Evenstar75 <3
 
 
 
 
 
 
 
 
 
  
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