Harry Potter, diciotto anni appena
compiuti e già eroe del mondo magico, sentì il
freddo pizzicargli le guance mentre il respiro gelido appannava le
lenti degli occhiali. Camminava tra la folla stringendo la mano
guantata di Ginevra, lo sguardo sfuggente e la testa pesante.
L'orrore della guerra non lo aveva ancora abbandonato, un'ombra oscura
lo avvolgeva assorbendo tutte le sue energie. Dopo un primo momento di
sollievo, aveva dovuto fare i conti con la scia di morte lasciata dallo
scontro. Era come se i granelli di felicità, che riteneva la
vita gli avesse riservato, fossero finiti per sempre. Aveva sentito per
notti intere l'alito della follia sul collo, ma la sua mente era stata
temprata dalla tragedia e aveva retto il colpo.
Persino il rapporto con Ginevra era mutato, distorto dal dolore e dal
senso di colpa. I mesi passavano e loro si allontanavano sempre di
più, come barche alla deriva sospinte da due correnti
contrarie. Ogni volta che la guardava rivedeva il volto esanime di
Fred, le lacrime di Arthur e l'immobilità di Molly. Lei non
era solo la sua ragazza, era l'ennesimo componente della famiglia
Weasley che rischiava di mettere in pericolo.
Nessuno osava più dargli del paranoico, ma poteva leggere
l'accusa e il risentimento in fondo a quegli occhi fiordaliso.
«Harry, a che pensi?» gli schioccò due
dita sulla guancia, mentre un sorriso appena accennato le piegava le
labbra screpolate.
«A niente...» disse lui massaggiandosi il volto.
«Sicuro? Stai bene? Vuoi che...»
«Sì, sto bene» rispose seccato,
passandosi la mano libera tra i capelli.
Ogni giorno la stessa domanda e come sempre la stessa risposta giungeva
puntuale, senza possibilità di replica. La ragazza
s'irrigidì infastidita, ma la discussione non era ancora
terminata.
«A quanto pare sì...» riprese a
camminare più veloce, staccandosi da lui con uno strattone
sdegnato.
Avrebbe tanto voluto condividere con Ginny i pensieri che lo
affliggevano, ma sapeva che dopo aver aperto il vaso di Pandora niente
sarebbe stato più come prima e quel sottile filo che li
teneva uniti si sarebbe spezzato.
«Smettila, la gente ci guarda» disse a denti
stretti.
La vide corrugare la fronte e arricciare le labbra, nel tentativo di
trattenere le lacrime che già luccicavano agli angoli degli
occhi.
«Cosa vuoi che me ne importi?!» disse prima di
voltargli di nuovo le spalle e correre via.
Harry sospirò, guardando la chioma rosso fuoco sparire
inghiottita dalla folla, e maledisse mentalmente la sua
impulsività.
Le corse dietro, schivando un gruppo di ragazze e saltando oltre un
grosso baule, ma lei non accennava a fermarsi. Si fece largo tra una
madre, intenta a stritolare la figlioletta in un caldo abbraccio, e un
grosso paiolo poggiato a terra da un viaggiatore distratto. I suoi
riflessi erano migliorati, ma non al punto da riuscire a schivare il
ragazzino che gli si parò davanti in cerca di un autografo.
Già leggeva i titoli dei giornali: “Eroe del mondo
magico investe e schiaccia studente del primo anno”. Molto
comico se non si fosse trattato di lui, ma di un altro eroe. Tipo
Batman.
*
Il freddo della solitudine la fece
rabbrividire, Hermione lo sentì penetrare fino a gelarle le
ossa e si strinse di più nel mantello. Chiuse gli occhi e
fece un respiro profondo per scacciare via i pensieri. Non era il
momento di lasciarsi andare, proprio quando molte paia di occhi
attendevano impazienti un segno di debolezza.
Si sentiva sola e frastornata. L'abbandono di Ron, che aveva preferito
diventare Auror piuttosto che seguirla, e la totale distruzione della
propria vita babbana, avevano scosso le fondamenta su cui poggiava la
sua intera esistenza.
Le notti erano insonni, i giorni deludenti e asfissianti e lei un po'
alla volta stava diventando l'interprete di se stessa.
Aveva sbagliato a far affidamento su poche persone credendo che non
l'avrebbero mai lasciata, ma forse quella era la vita, pochi attimi di
luce e anni bui alla ricerca del più piccolo bagliore.
Per fortuna c'era ancora Harry. Le serate di Grimmauld Place erano
inondate da fiumi lacrime e fazzolettini ma, nonostante avesse
terminato per tutta la vita le riserve di parole di conforto, non si
era mai tirato indietro.
Harry era la costante in un mare di incertezze ed Hermione temeva
l'inevitabile momento del distacco. Il dopo-Hogwarts non le sembrava
più così allettante come prima, quando ogni cosa
era al suo posto, cuore compreso.
Guardò per l'ennesima volta l'orologio e scoprì
che Ginny e il suo amico erano in mostruoso ritardo. Alzò
gli occhi al cielo, incapace di trattenere uno sbuffo seccato e decise
di salire sul treno: tra i suoi piani non rientrava la morte per
assideramento.
Aveva già messo un piede sul
primo gradino, quando una serie di rumori la fecero sobbalzare. Non
sapeva cosa fosse successo, ma molte persone stavano correndo nella
stessa direzione, tra queste parecchie ridevano e si scambiavano
battute, cosa che la convinse a non prendere a cuore la faccenda. Vide però un gruppetto
venirle incontro, in senso contrario al resto della folla. Quando si
avvicinarono ebbe un tuffo al cuore: superbia, eleganza e una chioma
biondo platino.
Draco Lucius Malfoy era appena giunto al binario nove e tre quarti, le
valigie nascoste in chissà quale tasca del mantello nero. Al
suo seguito riconobbe Blaise Zabini e l'odiosa Pansy Parkinson a
braccetto di Theodore Nott.
In un'altra vita quella sarebbe stata la situazione perfetta per dare
inizio ad uno scontro, ma era storia vecchia. Malfoy le
passò accanto senza nemmeno averla notata, molto
più simile al fantasma di sé stesso che al
prepotente ragazzino che le aveva fatto crescere i denti.
La fine della guerra li aveva resi consapevoli del fatto che, da quel
momento in poi, avrebbero potuto vivere da persone
“normali”. Tuttavia qualcuno non riusciva a
coglierne il lato positivo.
Pansy Parkinson, l'unica a non aver perso la propria aura di
superiorità, la guardò disgustata per il tempo di
un battito di ciglia.
Certe abitudini erano dure a morire.
L'aria all'interno del treno era carica
del profumo di pelle dei sedili e dei dolci che la solerte signora
trasportava sul suo piccolo carrello. Ad Hermione venne spontaneo
pensare a Ron e quasi lo vide mentre s'ingozzava di cioccorane,
scoprendosi a rimpiangere persino quel dettaglio insignificante.
Cercava davvero di non pensare a chi le aveva fatto battere
così forte il cuore, ma non c'era nulla che l'aiutasse,
anzi, si sentiva a tratti vittima di un complotto. L'universo sembrava
fosse impegnato a ricordarle che Ronald non sarebbe stato al suo fianco
quell'anno e probabilmente nemmeno in quelli a venire.
Aveva visto Malfoy andare a sinistra, perciò si diresse a
passo di carica dalla parte opposta, in cerca di uno scompartimento
vuoto e accogliente. Sbirciò all'interno di uno scomparto e
si affrettò a nascondere il viso dietro il libro che aveva
in mano: Luna e Neville sedevano uno accanto all'altra, mano nella
mano. Rabbrividì al pensiero di cosa sarebbe accaduto se
fosse entrata là dentro, ossia sguardi imbarazzati, frasi di
circostanza e il goffo tentativo di nascondere una dirompente
felicità. Proseguì oltre, arrivando quasi alla
fine del treno, ma non c'era traccia di Harry e Ginny. Aveva perso le
speranze anche di trovare un luogo solitario, quando vide i suoi amici
dentro l'ultima carrozza.
Ginny, il volto arrossato dal freddo e forse dal pianto, guardava fuori
dal finestrino con il viso appoggiato ad una mano. I capelli rossi e
lisci catturavano la luce grigia proveniente dall'esterno.
Harry, seduto accanto a lei, leggeva il quotidiano con le braccia
poggiate sul tavolino di fronte a sé. Hermione non
poté fare a meno di notare gli occhiali storti sul naso e un
bernoccolo rosso sul sopracciglio destro. Un'altra abitudine di cui non
sentiva la mancanza.
Si avvicinò con passo felpato alla coppia, notando la
brutale differenza con quella che aveva osservato solo pochi attimi
prima. Prese posto di fronte a Harry e biascicò un
'buongiorno' poco convinto.
«Hermione!» esclamò Ginny con enfasi
«Harry, hai visto che è arrivata?»
chiese assestandogli una gomitata tra le costole.
Il ragazzo tossicchiò tenendosi il fianco «Dov'eri
finita? Ti abbiamo cercata
dappertutto.»
«Dov'ero finita io? Vi stavo aspettando accanto alla terza
colonna» ricacciò indietro il veleno. Aveva
già un gatto, non voleva adottarne altri tre.
Ginny poggiò con studiata lentezza le mani sul ripiano,
stendendole fino a raggiungere quelle di Hermione
«L'appuntamento era davanti al terzo vagone,
cioè molti metri più avanti.»
Lo disse con calma, scandendo bene ogni singola parola e guardandola
dritta negli occhi, proprio come faceva quando voleva spiegare qualcosa
a Luna Lovegood.
«Grazie, la prossima volta che avvertirò il
bisogno di sentirmi una svitata sarai la prima a cui manderò
un gufo» due, tre gatti, magari una decina, li vedeva
già appollaiati sul suo divano... ne sentiva già
la puzza.
Da quando Ron era andato via i loro rapporti si era raffreddati, in
parte perché Ginny appoggiava la scelta del fratello e in
parte perché Hermione passava molto tempo da sola con Harry.
Vedere qualcosa di scabroso nel rapporto tra lei e il suo migliore
amico sembrava essere un vizio di famiglia.
Harry si schiarì la voce spruzzando disagio da ogni poro.
«Ragazze...ehm... ecco...»
«Qualcosa dal carrello, ragazzi?» la voce della
signora giunse provvidenziale a salvarlo da quella situazione spinosa.
«Cioccolata!» le guardò ancora una volta
«Molta cioccolata, tanta cioccolata...»
tirò fuori dalle tasche decine di galeoni pronto a svuotare
il misero carrellino di tutte le provviste a base di cacao.