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Autore: Vicarious10    25/01/2015    1 recensioni
Durante il matrimonio dei suoi più cari amici, Sonic non avrebbe mai pensato che la minaccia più grande che avesse mai affrontato stava per incombere sulla sua vita. Lui e i suoi compagni di avventura si ritroveranno ad essere impotenti per la prima volta nella loro vita di fronte alla guerra più grande di tutte. L'unica speranza risiede nell'aiuto di un misterioso alleato, l'unico in grado di prevedere le mosse del nemico.
La battaglia per la sorte di Mobius sta per cominciare.
Uniti o divisi, niente sarà più come prima.
Genere: Avventura, Azione, Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro Personaggio, Sonic the Hedgehog, Un po' tutti
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
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3.
Alle prime luci dell’alba

 

 Dimmi qual è la cosa a cui tieni di più..
Brucia questo posto. Tutto e tutti.
..affinché io possa strappartela.
I miei amici..
Non puoi uccidermi.
..la mia famiglia!
Abbi cura di te, fratello.
Devi fermare questa guerra.
Stanno arrivando.
Fermala prima che cominci.
Sono qui.

 La testa gli doleva più di prima. La sentiva così pesante da non riuscire ad aprire gli occhi. Tutte quelle voci rimbombavano fortissimo nella sua mente, tutte insieme e in ordine del tutto confuso.
Riuscì comunque a riconoscerle dalla prima fino all’ultima. Gli sembrava di aver rivissuto tutta la sua vita dall’inizio fino a quel momento. Riuscì ad aprire gli occhi, accorgendosi di stare ancora tremando come una foglia. Sentiva il cuore battergli così forte da dargli l’assurdo timore che potesse esplodergli il petto. La vista era ancora molto offuscata, ma percepiva di non essere più nella stanza con Sonic.
Questa dove si trovava ora era decisamente più piccola, senza nessun tipo di mobilio se non un piccolo letto accanto a lui. Trovandosi sdraiato in modo scomposto sul pavimento, pensò che lo dovevano averlo steso lì mentre era svenuto. I suoi occhi si abituarono lentamente, costatando definitivamente di essere da tutt’altra parte rispetto a prima. Era una minuscola cella, la cui unica entrata era protetta da una strana luce viola. Si affacciava verso altre stanze del medesimo tipo, protette da luci dello stesso colore.
Tirò un sospiro di sollievo, poiché gli era andata meglio di quanto si aspettasse.
Doveva essere la base del G.U.N. nei pressi di Emerald Town. Non era un bene che si trovasse lì, ma almeno non lo avevano già spedito in qualche carcere di massima sicurezza chissà dove su Mobius.
Tirandosi faticosamente su, Cable si sedette sul letto, appoggiando la schiena al freddo cemento della parete. Non lo avevano creduto, era andata esattamente come si aspettava.
Pensò che forse era riuscito a convincere Sonic, ripensando al suo sguardo mentre cercava di spiegare cosa stesse accadendo, ma non aveva nessuna certezza al riguardo. Se avesse avuto cinque minuti in più, se non gli avessero quasi spaccato la testa per mandarlo a nanna.. se non fosse stato per lui..Shadow the Hedgehog.
L’arma perfetta.
La forma di vita definitiva.
Per lui era una leggenda, uno di quegli esseri unici al mondo ed irripetibili. Trovarselo di fronte gli fece uno strano effetto, come se stesse rivivendo uno di quegli assurdi sogni sui racconti di..
-Silver.. perdonami..-
Sospirò quelle parole mentre abbassava il capo, sentendo un enorme sconforto infettarlo dall’interno.
Non era riuscito a convincerli, indipendentemente da chi fosse la colpa. Che ore erano? L’alba era già sorta?
Non lo sapeva, ma un barlume di speranza gli diede la forza di pensare positivo.
Se loro avessero già fatto la loro comparsa avrebbe visto o quanto meno sentito un gran via vai di soldati.
Emerald Town poteva essere a 250 Km di distanza, forse anche un po’ di più, ma quella era l’unica base abbastanza vicina ad Angel Island da essere contattata in caso di emergenza.
Forse è per questo che l’avevano portato proprio lì, magari era riuscito in parte a convincerli del pericolo imminente. Qualunque fosse il motivo, poco importava al momento.
Doveva riprendersi in fretta dal sonno per prepararsi ad uscire da quella cella. Non era arrivato fin lì per rimanere a guardare mentre distruggevano il suo mondo.
Non gli avrebbe permesso di vincere ancora una volta.

Ad un migliaio di Km di distanza dalla sua prigione, Cable the Cat non immaginava di non essere l’unico ad essersi svegliato in quel momento.
Coperta dal caldo lenzuolo del suo nuovo letto, la principessa Sally Acorn sentì una lieve brezza percorrerle il volto. Il suo sonno fu così leggero da permettergli di svegliarsi quasi subito, aprendo lentamente gli occhi. Accanto a lei vi era un posto vuoto, poco a soqquadro rispetto al suo.
Alzando gli occhi, vide la finestra del suo balcone aperta, scorgendo una figura affacciata alle ornate ringhiere del palazzo intento a guardare immobile il sole levarsi lentamente in cielo. Con addosso solo un sottile pigiama di seta, la ragazza si avvicinò a piedi nudi verso l’uscio della finestra aperta, guardando il suo amante assorto in chissà quali pensieri.
Non era poi così difficile per lei capire quali fossero.
-Qualcosa mi dice che non hai dormito, vero?- disse richiamando a sé la sua attenzione.
Antoine D’Coolette si girò verso di lei, sforzandosi di mostrargli un sorriso sereno.
-Non volevo svegliarti, scusami-
-Non importa. Perché invece non mi  dici a cosa stai pensando?-
Quando fu abbastanza vicina, Sally si lasciò andare ad un affettuoso abbraccio, inspirando il profumo di suo marito.
-Non serve che ti risponda, è facile scoprirlo..-
Dopo essere tornati nella loro residenza, Antoine cercò di svagare la mente per concedersi un sonno di fuga da quello che sarebbe dovuto essere il giorno più bello della sua vita.
A svegliarlo fu un sogno del tutto inspiegabile, fatto di immagini e suoni mai visti e uditi prima. Era come se delle strane ombre lo stessero osservando da molto lontano, dandogli un senso di inquietudine ed insicurezza. Ricordò soprattutto una voce femminile, del tutto differente da quella di sua moglie o delle sue amiche.
Era come una strana cantilena, o una filastrocca per essere più precisi. Una di quelle che si cantano ai bambini per farli addormentare.
Sally interruppe i suoi pensieri con un tenero bacio sulla guancia, riportandolo fra le sue braccia.
-Cosa pensi che dovremmo fare?- chiese lei.
Esitò un attimo prima di rispondere, sforzandosi di non trapelare niente riguardo quell’assurdo delirio onirico nella sua testa.
-Forse dovremmo andare alla base da Sonic e gli altri, magari giusto per sentirci più sicuri-
-Credi alle sue parole, quindi?-
-Io credo che ci sia qualcosa che non va, è l’unica cosa di cui sono assolutamente certo. Abbiamo visto così tante cose in questi anni da non doverci stupire se si parla di viaggi nel tempo. Tu?-
Dopo aver ricambiato il bacio, Antoine prese il volto di Sally fra le sue mani, osservando i suoi meravigliosi occhi castani.
Era turbata quanto lui.
Se avesse ragione?
Questa era la domanda che voleva porgli. Tuttavia, le parole gli morirono prima ancora di risalire per la sua gola, decidendo che forse era meglio cambiare argomento.
-Non voglio parlare di questo. Siamo sposati da un giorno e mi sembra assurdo aver passato la luna di miele a capire se un gatto mai visto prima venga davvero dal futuro o meno- disse decisa.
Sperò che il ragazzo non si accorgesse del suo disagio, cercando di distogliere lo sguardo dai suoi occhi indagatori.
-Magari questa notte andrà meglio- commentò lui con sorriso.
Questa volta era uno sincero, venuto fuori dal profondo amore che sentiva verso di lei.
Rimasero abbracciati per un po’ mentre le prime luci dell’alba annunciavano l’inizio di un nuovo giorno.

Nella cameretta di Cream the Rabbit, una riccia rosa stava dormendo seduta su una sedia. Quando riprese lentamente conoscenza, vide la sua amica più giovane riposare beatamente rannicchiata fra le lenzuola.Dopo essersi strofinata gli occhi, diede uno sguardo all’orologio sul comodino accanto a lei.Erano appena scoccate le sette e dalla finestra vide le prime luci del sole illuminare la stanza.
Aveva dormito per circa due ore dopo aver raccontato tutto a Cream. Mentre la guardava riposare, Amy Rose pensava a quanto fosse speciale per loro. Più che dal punto di vista della squadra era sul piano di amicizia quello a cui si riferiva. Per loro era ancora troppo piccola per entrare a far parte dei Freedom Fighters, nonostante abbia dimostrato una innata capacità nel combattimento. Era troppo ingenua e troppo buona per stare in prima linea con loro, per questo preferirono aspettare che crescesse. Era anche per questo motivo che l’avevano mandata alla base ieri sera, quando loro dovevano dirigersi all’ospedale con Cable. Sospirò profondamente ripensando a lui, sentendosi ancora più confusa di quanto non lo fosse prima. Il suo organismo pretendeva che si stendesse nel suo letto per sprofondare di nuovo in un sonno tormentato, ma il suo corpo si diresse fuori dalla cameretta della sua amica, chiudendosi in bagno per darsi una svegliata. Indossava ancora il suo abito da damigella, ormai sgualcito e privo della sua lucentezza. Lo sfilò senza preoccuparsi del fatto che costava un occhio della testa o che aveva passato più di tre ore insieme a Sally e le altre a sceglierlo. Mentre si concedeva una doccia fredda per togliersi di dosso il torpore del sonno, pensava a cosa avrebbe dovuto fare non appena avesse varcato la soglia della porta del bagno. Svegliare tutti ed esclamare “Sveglia! È mattina e il sole splende!” non le sembrava la cosa più adatta. Avrebbe di sicuro fatto la figura della demente.
Come avrebbe dovuto affrontare quella situazione? Appena tutti si sarebbero riuniti, ci sarebbe stato un abissale silenzio fino alla fine di.. cosa?
Di quella mattina? Di quella giornata?
Dopo essersi asciugata indossò il suo solito vestito rosso, sentendosi più comoda e a suo agio nei suoi vecchi panni. Lo trovava buffo, ma era l’unica cosa di cui era veramente certa. Varcata la porta, decise di cominciare la giornata con una tazza di caffè. Come colazione era misera, ma non avrebbe voluto mangiare o bere nient’altro dopo di quello. D’altronde, erano le sette del mattino, probabilmente era l’unica già sveglia nella base, potendo permettersi di stare in santa pace senza i battibecchi con Ron o Sonic. Quella convinzione, però, venne spazzata via quando varcò la soglia della cucina.
Seduto di fronte al tavolo, un riccio ancora in abito elegante teneva la testa nascosta fra le sue mani. Di fronte a lui c’era una foto malridotta dall’aria molto vecchia.
-Sonic..- disse Amy avvicinandosi a lui.
Il ragazzo non diede segno di risposta, costringendo Amy a scuoterlo lievemente per la spalla.
Quell’inquietante silenzio fece preoccupare la ragazza, che posò gli occhi sulla fotografia cercando una spiegazione al comportamento del suo amico. La riconobbe fin da subito come il ricordo del compleanno di Tails, quando andarono a festeggiare su una spiaggia a South Island. Non riuscì a spiegarsi perché mai era così rovinata come se fosse l’unico sopravvissuto ad un incendio.
-Era nella tasca della sua tuta..-
La ragazza si girò verso Sonic, notando lo sguardo stanco di chi non aveva chiuso occhio nemmeno per un secondo.
-Cosa? Di chi parli?- chiese titubante.
-Cable.. ha detto che nei suoi vestiti avrei trovato qualcosa di mio.. quella foto- spiegò rivolgendo un breve sguardo all’oggetto della sua insonnia.
Amy sgranò gli occhi, guardando nello stesso punto di Sonic.
-Sveglia gli altri- disse alzandosi dalla sedia -Dobbiamo andare ad Angel Island-

 

Tastando i muri della sua piccola cella, Cable era deciso a non aspettare un minuto di più. Con o senza di loro, doveva tentare di fermare i suoi nemici prima che cominciassero la loro opera. Ci doveva essere sicuramente un magazzino di aerei pronti a decollare in quella base. Ne avrebbe preso uno senza farsi accorgere e si sarebbe diretto il più in fretta possibile sull’isola fluttuante dall’echidna rossa che rispondeva al nome di Knuckels. Stando a quanto gli avevano detto, lui era uno degli esseri più forti di Mobius e guardiano del Master Emerald. In qualche modo, avrebbe dovuto convincerlo che quei mostri sarebbero arrivati lì dare inizio al suo incubo..
No, non doveva pensarlo. Riportare alla mente le conseguenze del suo probabile fallimento lo avrebbe reso troppo instabile e nervoso da farsi catturare dai soldati del G.U.N..
Avvicinatosi ad un angolo della stanza, sentì con il palmo della mano una leggera vibrazione. Mentre sorrideva, capì di aver trovato ciò che cercava. La barriera viola che gli bloccava l’uscita era alimentata dal generatore principale, collegato ad esso tramite degli spessi tubi di rame che percorrevano tutte le celle. Se avesse interrotto il flusso di elettricità, avrebbe avuto la strada spianata almeno per il momento. Chiuse la mano destra in un pugno, lasciando che i suoi artigli uscissero dai suoi innesti. In presenza dei nemici, di fronte ad ogni difficoltà, quelli erano i suoi unici compagni che non lo avrebbero mai abbandonato e che lo avrebbero seguito fino alla morte. Chiuse gli occhi e digrignò i denti, consapevole dell’ennesimo dolore che stava per subire.
Poco importava per lui: niente lo avrebbe mai fatto soffrire quanto quello che gli avevano già fatto.
Affondò con un colpo secco i suoi artigli nel punto esatto dove si trovava il tubo, sentendo una scarica elettrica colpirgli tutto il braccio. Avrebbe voluto urlare per diminuire in minima parte la sofferenza, ma non poteva farsi scoprire dai suoi carcerieri. Il silenzio assoluto era l’unica richiesta che doveva rispettare per compiere la sua missione. Tirò via il braccio, sradicando un piccolo pezzo di cemento dalla parete. Il dolore scomparve lentamente, sentendo il suo stesso organismo provvedere da solo alle cure. Ringraziò quel suo particolare dono come aveva già fatto altre volte, dando poi un occhiata al varco della sua cella. La barriera non c’era più e non sentiva nessun rumore provenire al di fuori della stanza. Senza esitazione, Cable uscì da lì, dando un veloce sguardo intorno a lui. Pensò di nuovo di essere stato fortunato, perché quelle celle non erano adatte a contenere esseri come lui o altri dotati di chissà quale potere. Erano perlopiù usate come “residenza provvisoria”, se così potevano essere definite dai vari residenti. Percorse il corridoio alla sua destra, scorgendo l’ombra di qualcuno camminare di fronte a lui di spalle. Bloccatosi bruscamente, fissò il soldato senza fare il minimo rumore. Evidentemente era riuscito a non farsi sentire, beatificando qualsiasi santo lo stesse proteggendo da lassù. Si avvicinò con passo fermo al mobiano armato solo di un fucile d’assalto. Appena fu abbastanza vicino e più che sicuro che il colpo sarebbe andato a segno, il gatto allargò le braccia e strinse il soldato in una morsa. Lo sentì divincolarsi con tutta la forza che aveva mentre stringeva con il braccio sinistro il suo collo. Lo tenne stretto fino a quando non smise definitivamente di muoversi, segno che aveva perso definitivamente i sensi. Rimase per poco a guardarlo incosciente: il casco gli copriva il volto, non riuscendo di conseguenza a capire di che specie mobiana fosse, ma dalla sua stazza ipotizzò che fosse un po’ più giovane di lui. Non gli piacque affatto farlo, ma non aveva altra scelta. Non poteva ucciderlo, ma non poteva nemmeno lasciarlo dare l’allarme a tutti i suoi commilitoni. Superò il suo corpo, continuando a procedere spedito senza sapere dove stesse andando esattamente. Da quello che sapeva su quel tipo di base pensò che dovesse trattarsi di un avamposto specifico per la tutela ed il controllo delle città circostanti. Quindi non era una delle principali, il che significava che non doveva essere molto grande e che la pista di lancio doveva essere ad un piano superiore. Si trovò di fronte all’ascensore, assicurandosi che nessuno stesse scendendo da lui. Non poteva prenderlo, non era così stupido da commettere un errore simile, ma doveva trovare il modo di salire. Posò gli occhi sul muro alla sua sinistra, trovando una mappa dell’edificio. Il suo obiettivo era a sei piani sopra di lui, proprio come aveva pensato. Dall’immagine su quel muro capì che la base aveva una forma a torre, la cui parte più alta corrispondeva agli alloggi degli agenti e all’ufficio del comandante. Un bip dell’ascensore fece trasalire Cable.
Che lo avessero scoperto?
Non vedeva telecamere di nessun genere intorno a lui, quindi era poco probabile. Doveva essere un semplice controllo di routine e forse i soldati sarebbero stati al massimo due o tre. Comunque sia, doveva trovare un nascondiglio per non farsi beccare, o sarebbe dovuto ricorrere ai suoi artigli per uscirne, mietendo irrimediabilmente delle vittime. Il display sopra le porte dell’ascensore segnalava che erano a quattro piani sopra di lui. Dovette quindi ricorrere a mascherarsi, spogliando il soldato che aveva messo al tappeto per poi nasconderlo in fretta dentro la sua cella. Alla fine scoprì che era un coyote dal pelo marrone chiaro. Fece in tempo a mettersi il casco quando sentì dei passi provenire alle sue spalle.
Due soldati gli apparvero davanti, vestiti esattamente come l’altro.
-È l’ora del cambio. Puoi tornare agli alloggi- disse uno dei due con tono amichevole, quasi come se lo conoscesse.
-Grazie..- rispose cercando di mascherare la propria voce.
Sentì il cuore battergli poco più forte del normale, sperando che non lo sentissero respirare assiduamente da sotto quello scomodissimo casco.
Entrato nell’ascensore premette il pulsante relativo all’ottavo piano. C’erano addirittura piani che partivano dal -1 in giù, ma non era una cosa poi così assurda. Era comunque un base militare, attrezzata o meno che fosse, e doveva tenere gli occhi bene aperti. Quando l’ascensore si fermò lentamente e le porte si aprirono scorse finalmente la sala di decollo. Il pavimento era segnato con vari simboli relativi alle manovre da eseguire per le reclute, mentre su entrambi i lati vi erano parcheggiati dei jet con un solo posto per il guidatore. In fondo non c’era alcuna parete, mostrando un lunghissimo paesaggio verdeggiante e un sole che si levava in cielo indisturbato. Era molto più piccola di quanto immaginasse, ma non era un dettaglio per nulla rilevante. Si avvicinò agli aerei, notandone uno che sembrava essere il più sofisticato. Probabilmente non era mai stato nemmeno utilizzato ed era ancora nuovo di zecca. Si tolse bruscamente il casco dalla testa, gettandolo noncurante a terra. Mentre si toglieva quella scomodissima tuta, notò che non c’era nessuno. Non sentiva niente se non il suo stesso respiro, accennando ad un sorriso in segno di vittoria.
-Dove pensi di andare?-
Una voce fredda e calma provenne dalla direzione dell’ascensore. Si bloccò, sfilandosi lentamente l’ultimo guanto del soldato a cui aveva rubato i vestiti. Riconobbe immediatamente quella voce, così pacata e leggermente cupa da sembrare quella del gatto. Si girò lentamente verso di lui, osservandolo in una posa dritta e composta. Quella fortuna che precedentemente lo aveva baciato era ormai lontana dalle sue braccia, lasciandolo alla mercé dell’agente Shadow the Hedgehog.
-Sapevo che non mi sarei dovuto rinchiudere nella mia stanza in attesa di ordini- riprese il riccio nero squadrandolo con sufficienza dalla testa ai piedi.
Cable odiava quel tipo di sguardo, soprattutto in un momento cruciale come quello.
-Non amo i giri di parole, quindi sarò breve. Arrenditi senza protestare e lascia che ti riporti in cella-
La minaccia di Shadow non turbò minimamente il gatto, rimanendo anche lui fermo e sull’allerta al suo posto.
-Tu non capisci. C’è molto più in ballo di quello che credi. Se non ci muoviamo, Angel Island..-
-Risparmiati la tua patetica storiella sul viaggio temporale, con me non attacca- lo interruppe bruscamente l’agente del G.U.N..
-Non ti sto prendendo in giro. È la verità- protestò Cable.
-Sai, ne ho sentite di balle in vita mia e la tua è sinceramente la più fantasiosa. Ora la sceneggiata è finita, però. Arrenditi ora e non ti farò troppo male-
Shadow fece qualche  passò in avanti senza staccare gli occhi dal suo interlocutore. Cable faceva lo stesso senza però muovere un muscolo.
-Silver mi ha parlato molto di te. Mi raccontava di come eri forte e deciso nelle tue avventure con Sonic e di quanto fossi saggio nelle situazioni più critiche. Evidentemente si era sbagliato di grosso su di te: sei solo un presuntuoso che non si accorge di cosa sta per accadere- preso dalla rabbia, il gatto tirò fuori quel discorso stando attento a scandire bene ogni parola. Voleva che le sentisse forte e chiaro.
-Tu non sai niente di Silver, impostore- controbatté il riccio senza scomporsi.
-So che lui era l’unica persona che consideravi davvero un amico e non un rivale come Sonic e gli altri-
Quelle parole sembrarono stupire Shadow, che inarcò il sopracciglio incuriosito.
Come faceva a saperlo? Non lo aveva mai rivelato nemmeno a Rouge. Che stesse bluffando?
-Te la sei studiata bene la parte- commentò sarcastico.
-Non è un maledetta recita, è la verità. E se non ci muoviamo subito passerai i tuoi ultimi giorni a contare i cadaveri delle vittime- rispose Cable.
-Sto iniziando a stancarmi. Costituisciti o dovrò passare alle maniere forti- sibilò il riccio nero al limite della pazienza. Non avrebbe atteso un secondo di più.
-Non voglio combattere con te, io sono dalla tua parte. È questione di minuti: vieni con me ad Angel Island o levati dalla mia strada-
Quella richiesta suonò irrimediabilmente come un minaccia per Shadow, che sorrise divertito a tutta quella spavalderia.
-Poveraccio.. credi seriamente di poter competere contro di me?-
Le mani del riccio vennero avvolte da una strana elettricità, un segno che Cable colse quasi a malincuore. Una parte di lui non voleva arrivare a quel conflitto, ma un’altra parte, il suo lato da guerriero, desiderava quel confronto più di ogni altra cosa al mondo. Combattere contro quello che per lui era un idolo era un’occasione più unica che rara. Cacciò quei pensieri con rabbia: non aveva tempo per quel combattimento. Tuttavia non fece in tempo a parlare quando, con una velocità sovrannaturale, Shadow gli lanciò contro una saetta apparsa nella sua mano. Fece ricorso a tutta la sua prontezza per evitarla, facendo un balzo verso destra. Alzò gli occhi verso il riccio, lanciandogli uno sguardo pieno d’odio.
-Hai commesso l’errore più grosso della tua vita, amico- sibilò stringendo i pugni.
La forma di vita definitiva lo osservò estrarre i suoi artigli, sentendo un leggero rumore metallico.
-Non sai con chi hai a che fare, gattino. Torna nella tua lettiera- lo canzonò Shadow.
Cable mostro un sorriso di sfida, mettendosi in posa come se stesse aspettando una prima mossa da parte del riccio.
-Spiacente, riccio. Stai per scoprire che sono il migliore in quello che faccio, ma, purtroppo per te, quello che faccio non è piacevole-

Da secoli ormai, la razza degli echidna viveva ai piedi della loro terra natale: Angel Island. Dopo una guerra durata più di cento anni fra loro e i dingo, gli antenati di Knuckels crearono Echidnapolis, un’imponente città sede degli Antichi Saggi e di tutte le testimonianze scritte della storia di Mobius. Vantava forse la più grande biblioteca del mondo, aggiornata e controllata ogni anno tramite degli stretti controlli. Nel frattempo, invece, l’isola fluttuante era rimasta la sede del Master Emerald e la meta del più grande flusso di pellegrinaggio del pianeta. Non tutti potevano avere l’opportunità di visitare quel luogo e di questo Knuckels era felice. Cresciuto solo con la madre, l’echidna rossa aveva adempito al compito dei suoi antenati fin da quando era solo un ragazzino, troppo inesperto ma coraggioso al punto tale da affrontare chiunque osasse anche solo pensare di mettere le mani sullo smeraldo gigante. Una cosa che amava di quel luogo era soprattutto l’isolamento da tutto e tutti. Il silenzio e la quiete di Angel Island non avevano pari in nessuna altra zona del mondo. Per lui quello era un paradiso incontaminato e doveva rimanere tale. Avere tra i piedi troppa gente lo innervosiva, per questo voleva sempre rimanere da solo. Fino a qualche tempo prima ai pellegrini era concesso visitare quel luogo più volte durante il corso degli anni, ma dopo l’ultimo attacco del Dr. Eggman per prendere possesso del Master Emerald le cose cambiarono. Ora la visita era concessa a tutti solo una volta all’anno, sotto stretta sorveglianza di Knuckels e della sua squadra. Era un gruppo composto da sei dei più valorosi soldati del suo popolo, scelti direttamente da lui sotto richiesta dei saggi, in modo tale da proteggere lo smeraldo anche quando lui non era presente. Un altro cambiamento drastico fu la costruzione del tempio intorno alla piramide dove vi era posto l’oggetto. Ora aveva un aspetto più simile ad un luogo di culto di quanto non lo fosse mai stato. L’entrata portava ad un anticamera ornata ai lati dalle statue di tutti i precedenti guardiani, tutti antenati dell’echidna. Vi era anche quella di suo padre, Locke, caduto proteggendo lo smeraldo dalle grinfie del Dr. Julian Robotonik durante le Grande Guerra. Più di una volta nel corso degli anni Knuckels si era ritrovato a desiderare che fosse ancora vivo, che lo avesse cresciuto e addestrato sotto i suoi occhi, che potesse vedere l’orgoglio del suo popolo rafforzarsi giorno dopo giorno. Era un desiderio impossibile da realizzare, questo lo sapeva bene, ma in cuor suo sapeva che un giorno lo avrebbe rincontrato. Quando tutto sarebbe finito, lo avrebbe visto venirgli incontro, tendendogli la mano per portarlo in un posto migliore. Sognò spesso quella scena, quasi sempre subito prima di svegliarsi. Quella volta non fece eccezione.
Knuckels the Echidna aprì gli occhi, sentendo il sole baciarlo come ogni mattina. Si era addormentato ai piedi della piramide al cui vertice vi era lo smeraldo. Come già detto, venne costruito un edificio intorno ad esso. Vi era solo un’enorme apertura circolare sul soffitto per far passare i raggi solari. La posizione in cui si era addormentato era scomoda, sentendo la schiena piuttosto dolorante. Mentre si massaggiava le spalle, volse lo sguardo verso il portone di fronte a lui. Era mattina, ma niente sembrava essere andato storto. Se qualcuno si fosse addentrato nel tempio, i soldati lo avrebbero certamente fermato. Se invece quel qualcuno si fosse direttamente intrufolato nella stanza del Master Emerald, il leggero sonno dell’echidna si sarebbe certamente interrotto. Era tutto come lo aveva lasciato prima di dormire. Fece per alzarsi, quando un rumore arrivò alle sue orecchie. All’inizio gli sembrò così impercettibile da pensare di essersi sbagliato, che fosse solo un brutto scherzo giocatogli dalla sua mente ancora annebbiata dal sonno.
Un’enorme boato precedette la violenta apertura del portone, facendolo trasalire per lo stupore.
Una figura spaventosamente alta stava in piedi di fronte a lui, con una mano impegnata a tenere per il collo uno dei soldati. Scorse dietro di lui gli altri cinque, stesi a terra immobili e con l’armatura sporca del loro stesso sangue.Tornò immediatamente ad osservare lo sconosciuto, squadrandolo incredulo dalla testa ai piedi. Doveva essere una lince, pensò, ma aveva delle caratteristiche fisiche mai viste prima in uno della sua specie. Oltre ad essere alto, possedeva un fisico possente, coperto da una pelliccia nera. Era il doppio di lui, ma la cosa che lo intimorì di più fu il suo volto. Aveva delle orecchie lunghe e appuntite e dei freddi occhi di una tonalità viola scuro. Lo fissava con sguardo sgranato, incutendogli una leggera sensazione di paura.
Dopo qualche attimo, Knuckels lo vide sorridere, mostrando un’orrenda dentatura affilata.
-Sai, i tuoi soldati non sono stati granché. Mi hanno molto deluso- la sua voce era bassa e cupa da sembrare quasi distorta -Solo questo piccoletto è sopravvissuto, ma solo perché tu lo vedessi-
L’echidna riconobbe il soldato come Korg, il più giovane tra di loro. Addosso aveva solo qualche pezzo della sua armatura, mostrando enormi quanto dolorosi lividi su tutto il corpo. Il suo braccio era girato in maniera del tutto innaturale, mentre le sue gambe sembravano non avere più un osso. Respirava a fatica per il dolore mentre un rivolo di sangue gli colava dalla bocca.
Alzò lo sguardo verso Knuckels, mostrando un’immensa vergogna e disonore nei suoi occhi.
-Knuckels.. perdonami..-
Non appena smise di parlare, la bestia che lo aveva ridotto in quello stato completò l’opera, colpendolo con inaudita violenza dritto in faccia. Quando abbandonò la presa, il suo corpo cadde silenziosamente a terra con gli occhi ormai rivolti verso l’alto.
-Tu.. chi diavolo sei!?- ruggì il guardiano stringendo i pugni.
Il sangue gli ribolliva nelle vene, sentendo la paura lasciare il posto all’odio e alla rabbia.
-Il mio nome non è così importante, amico. Dicono che sei il più forte di tutti.. perché non me lo dimostri?- rispose quello che per Knuckels era un mostro.
-Hai osato introdurti nella mia casa.. hai ucciso i miei soldati.. chiunque tu sia, la pagherai cara per questo!- disse digrignando i denti.
Lo sconosciuto dalla pelliccia nera inarcò la testa senza smettere di sorridere. Tese il braccio verso l’echidna e, con un gesto, lo invitò a farsi avanti.
-Perché non vieni qui e non cominci subito?-

  
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