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Autore: Rov    26/01/2015    1 recensioni
"Le ombre sono creature sfuggenti, fedeli al proprio padrone che seguono per tutta la vita, dal grembo alla tomba."
Genere: Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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~~Chiara rimase fuori dalla porta dell'aula che le avevano indicato alla segreteria. Superò l'atrio traboccante di studenti che biascicavano stralci di lezioni o commenti su qualche puntata di un reality show, andato in onda il giorno prima, e percorse silenziosamente il lungo corridoio dalle finestre arrugginite.
Prima di entrare, lanciò uno sguardo di sfuggita all'interno della classe: gli studenti erano relativamente in pochi, più donne che uomini, a costatare dal colore delle loro cartelle, perlopiù impegnati a fare capannello alle spalle di un ragazzo che disegnava qualcosa alla lavagna.
Fu proprio in quel momento che Chiara decise di allungare il primo passo e di oltrepassare l'uscio.
Una ragazza che e se ne stava a testa bassa, a fissare un libro sul proprio banco, alzò immediatamente lo sguardo e le sorrise.
"Ciao!" esclamò alzandosi in piedi.
Dopo quel saluto, anche gli altri ragazzi si girarono nella direzione di Chiara e lei, istintivamente, fu presa da una strana sensazione  di tremore allo stomaco. Abbozzò un sorriso, immaginandosi che probabilmente quell'accoglienza era dovuta al fatto che un insegnante avesse già avvisato i suoi compagni che si sarebbe presentato qualcuno di nuovo, quella mattina.
"Io sono Chiara." disse facendosi scivolare lo zaino giù dalla spalla e appoggiandolo precariamente contro il muro.
"Emma, piacere!" esclamò la ragazza che inizialmente l'aveva salutata e le allungò la mano, in segno di benvenuto, dopo essersi sistemata un piccolo fermaglio tra i capelli.
Chiara si sentì sollevata da quell'accoglienza, soprattutto perché anche gli altri compagni le si avvicinarono per presentarsi, o semplicemente per fare qualche domanda. Il secondo a cui si rivolse era un ragazzo altissimo, dalla corporatura scarna che lo faceva assomigliare a un lungo manico di scopa.
"Tu devi essere forte a basket." commentò Chiara, quando si accorse che doveva leggermente alzare il capo per guardarlo negli occhi. Indossava una camicia per metà bloccata dalla cintura dei pantaloni, e per l'altra metà sbrindellata e lasciata pendolare a lungo il fianco.
"Puoi chiamarmi Max." rispose quello ridendo, mentre faceva scoparire la mano di Chiara nel suo palmo gigantesco.
"Cestita." specificò.
"Visto? L'avevo detto!"
Doveva trattarsi di una persona piacevole, probabilmente un bonaccione, di quelli che non si fanno problemi con nessuno e non si lambiccano troppo il cervello per passarti un compito di matematica senza qualcosa in cambio.
Dopo la presentazione di Max, si fece avanti una coppia di ragazze dai lineamenti affilati ed esili: la prima aveva il viso piuttosto lungo e un paio di orecchie di cui doveva vergognarsi parecchio, dato che erano nascoste dai capelli scuri, ma comunque sbucavano leggermente con le punte troppo sporgenti; la seconda invece era rimasta più in disparte, con un paio di occhiali dalla montatura rettangolare e un lucidalabbra color ciliegia.
"Io sono Astrid." disse quella con la faccia lunga.
"Piacere di conoscerti."
Chiara rispose allungando la mano e aspettandosi che anche la ragazza accanto a lei pronunciasse una qualunque frase di circostanza per introdurre il proprio nome; tuttavia non lo fece.
"E' da molto che sei qui?" continuò Astrid.
"Una settimana scarsa."
"Ah, e da dove vieni?"
"Prima stavo a Rilke, non so se lo conosci. È circa a quattrocento kilometri da qui."
A quel punto la ragazza con gli occhiali starnutì, portandosi entrambe le mani alla bocca.
"Salute!" si apprestò ad esclamare Chiara, facendosi passare una ciocca di capelli dietro l'orecchio.
L'altra bisbigliò un sommesso "Grazie" e si scusò per non essersi presentata: le disse di chiamarsi Fiona e di essere stata una volta a Rilke con la sua famiglia, in campeggio.
"Beh, è un bel posto!" commentò alla fine.
La campanella dell'inizio delle lezioni si fece strada nelle orecchie dei presenti, e ciascuno prese posto più o meno ordinatamente sul proprio banco. Chiara non aveva ancora fatto in tempo ad osservare l'aula: si trattava di un grande stanzone che ospitava all'incirca una ventina di banchi e una di quelle lavagne bianche su cui si scrive con i pennarelli.
Su una delle pareti c'era una bacheca di sughero come quella che aveva in camera sua e dalle finestre non si intravedeva altro che un piccolo strato erboso in lontananza, con qualche albero ad intervallare il panorama.
"Io dov'è che mi siedo?" chiese poi rivolgendosi ad Emma, che era rimasta vicino a lei per tutto il tempo.
"Penso che ci sia un banco libero vicino a Kyle."
Detto questo, Emma indicò un ragazzo dai capelli bruni, leggermente impastati di gel e appiccicati alla nuca, che incorniciavano un viso dai lineamenti marcati. Aveva una di quelle mascelle squadrate e un orecchino d'argento al lobo destro con cui giocherellava con due dita della mano.
Effettivamente era vero, accanto a lui c'era un banco vuoto, e Chiara non esitò ad avvicinarsi domandando se potesse appoggiare il suo zaino proprio lì.
"Fai pure." commentò lui, sistemando il proprio bomber nero sul sedile della seggiola.
"Kyle, piacere. Scusa se non sono venuto a presentarmi, ma non amo un granché la calca."
Chiara scosse la testa, scrollando le spalle, come per fargli capire che un saluto più o meno ufficiale non aveva assolutamente alcuna importanza.
Si sedette sulla seggiola scolorita e guardò negli occhi il ragazzo con cui probabilmente avrebbe dovuto condividere il banco per tutto il semestre: sembrava un tipo a posto, non uno di quelli che avrebbe iniziato a chiederle il numero e a tampinarla per qualche relazione che non avrebbero mai svolto insieme.
Astrid, seduta al banco innanzi a loro, si girò e gli lanciò un sorriso che lui ricambiò.
"E' il mio ragazzo." commentò lei a quel punto, in un'affermazione che Chiara non percepì se si trattasse di una semplice informazione o piuttosto un avvertimento.
Buono a sapersi! Tanto lei, a Rilke, un ragazzo ce l'aveva già.
Le venne voglia per l'ennesima volta di estrarre il cellulare dalla tasca e controllare se avesse ricevuto una chiamata persa, o anche semplicemente un messaggio da parte di Luca  ma, mentre la sua mano corse lungo il cappotto, nell'aula entrò un uomo magro che stringeva tra le mani una valigetta e un libro di matematica.
"Quello è il signor Ransom." le bisbigliò Max, che si trovava a un paio di banchi di distanza, all'ultima fila, con voce soffocata.
Kyle a quel punto fece una risatina con il naso.
"Non serve che si memorizzi il suo nome: ti basterà ricordare che è uno stronzo."

A pranzo erano tutti piuttosto stanchi e affamati.
Il signor Ransom aveva assegnato una serie di esercizi per il giorno dopo e si era lamentato per una buona parte della lezione del fatto che nessuno degli altri docenti lo avvisasse mai in caso dell'inserimento di un nuovo allievo all'interno della classe.
"Sarà necessario che ti sottoponga da un test per sondare la tua preparazione."
A chiara, quella notizia, non era suonata particolarmente minacciosa: la matematica le era sempre piaciuta, molto più della storia o della letteratura, perché le permetteva di non pensare. Quegli esercizi non avevano un'interpretazione personale, e per questo erano facili: erano quello che apparivano e non sognavano di essere nulla di più.
Se davvero quel discorso poteva avere un senso, significava che i numeri erano felici.
Dopo l'ora di matematica era stata la volta della signora Mallard, l'insegnante di applicazioni artistiche. Era una donna di mezz'età, con una di quelle pettinature cotonate che la faceva assomigliare ad un alveare di cui, tuttavia, lei era molto fiera; lo si intuiva dal modo in cui se la aggiustava durante la lezione.
Aveva uno strano modo di parlare, con una erre arrotata molto marcata e un piccolo mugugnare che si insinuava alla fine di ogni frase, ogni qualvolta faceva una pausa.
Il signor Perry, invece, era il docente di letteratura ed entrato in aula salutando Chiara con la mano e dandogli il benvenuto al liceo di Hoppertaff.
Il primo ufficiale della giornata.
"Spero che questa gentaglia ti abbia fatto una buona accoglienza!" esclamò per concludere, infilando la mano nella ventiquattrore alla ricerca di un libro.
Stavano leggendo il Macbeth di Shakespeare, una delle opere preferite di Chiara: narrava la storia di un uomo che, a seguito di una profezia, scopre che diventerà re di Scozia. A quel punto, spinto dalla bramosia della moglie, decide di non aspettare la morte del re ma di ucciderlo di sua mano e di fare lo stesso con il suo migliore amico.
"Personaggio affascinate, non trovi?" domandò Kyle, alla fine della lettura guidata del capitolo, quando tutti si alzarono per recarsi alla mensa.
"E' buono, ma allo stesso tempo malvagio. Sente il peso dell'onore, ma anche quello della vergogna."
Chiara annuì, rimettendo tutto il proprio materiale all'interno della cartella.
"Se ti va puoi mangiare al tavolo con noi!" esclamò quel punto Astrid, intromettendosi nella conversazione e appollaiandosi sul banco di Chiara.
"Oh, si! Certo!"
Così l'avevano tutti accompagnata alla mensa, uno stanzone immenso dove c'erano una serie di tavolini stipati e un bancone per le cibarie.  Max le indicò uno vicino alla finestra.
"Noi di solito ci mettiamo quì."
Preseo tutti un piatto dietetico che comprendeva di fagiolini, pomodori e della carne assieme ad una ciotola di spaghetti fumanti.
"Allora..." disse Astrid mugugnando, non appena presero posto al tavolo.
"Cosa fai per divertirti?"
Tutti rivolsero a Chiara un'occhiata rapida e curiosa, per poi concentrarsi nuovamente sui loro piatti.
"Beh, qui non faccio nulla di speciale. Quando stavo a Rilke a volte uscivo con i miei amici, o perlopiù stavo con il mio ragazzo."
"Ex ragazzo?" domandò poi Fiona, poco prima di addentare una forchettata di pasta.
Chiara si promise di fare attenzione a quello che diceva, sondando le parole e il tono della voce, ondevitare equivoci.
"No, Luca ed io siamo ancora insieme."
Lo disse con voce convincente, sorridendo e tentennando il capo come se fosse una precisazione stupida, ma Atrid le lanciò una strana occhiata guardinga, come quella di un gatto.
"Lo dici come una filastrocca."
"Che cosa vuol dire?"
"Niente, solo che per metabolizzare di essere stata piantata ci vuole del tempo!"
Chiara cerco di allungare una mano verso la bottiglia dell'acqua al centro del tavolo, sforzandosi di continuare a sorridere. Kyle, nel frattempo aveva cominciato a rollarsi una sigaretta, mentre Max smise di raccontargli dell'ultima classifica del campionato di basket.
"E' una storia a distanza." specificò poi a bassa voce, quasi incapace di mentire.
Astrid annuì comprensiva.
"Ti capisco; deve essere un cambiamento grosso."
A quel punto, Emma s'intromise nella conversazione, cambiando discorso: estrasse dalla giacca il volantino di un locale tutto spiegazzato e lo appiattì con cura sul tavolo.
"Che dite? Ci andiamo?"
Max allungò il braccio e avvicinò a sé quel pezzo di carta: ne aveva già visti un sacco in giro per i negozi, affissi qua e là sui pali della luce o sui tronchi degli alberi. Si trattava di un volantino viola dove una stampa fotografica da quattro soldi riportava l'immagine di alcuni ragazzi ad un bancone, mentre scherzavano con un drink in mano. Sullo sfondo si poteva intravedere un'intricata serie di note musicali e qualche scritta a caratteri fluo.
"E' alla vecchia fiera? Non sarà una catapecchia?"
Kyle gli assestò una pacca sulla spalla.
"Che ti importa? È comunque qualcosa di nuovo!"
Fiona si aggiustò gli occhiali sul naso, mentre sorrideva a Chiara con aria radiosa ed eccitata.
"Lo spazio delle fiere era in disuso da un sacco: sembra pazzesco che ci abbiano costruito qualcosa di nuovo! Ti va di venirci, questa sera?"
Chiara osservò brevemente gli altri ragazzi, cercando di studiare i loro volti e le loro reazioni a quella notizia: sembravano tutti piuttosto conviti a dare una possibilità a questo nuovo diversivo, tuttavia lei si irrigidì leggermente. Non poté fare altro che pensare a sua madre, che forse se ne stava ancora in camera da letto, e al fatto che si sarebbe dovuto assicurare che a casa non fosse successo nulla di spiacevole.
Quei pensieri, probabilmente, affollarono la sua mente al punto da rabbuiarla in viso, e da farle assumere una strana espressione, quasi arrabbiata o sconfitta.
"E' che non bevi?" le domandò Astrid.
Chiara scosse la testa, come per allontanare quell'ipotesi.
"No, anzi! Non credo ci siano problemi."
Astrid le rivolse un sorriso radioso, tinto di un color fucsia per via del lucidalabbra.
"Allora, se ti va, puoi venire prima a casa mia a sistemarti; così magari questa sera ti presentiamo qualcun altro!"
Chiara pensò, che dopotutto, un'uscita di svago con qualche compagno di classe non avrebbe fatto altro che farle bene.
Forse sarebbe perfino riuscita a distrarla.
"Bene." proclamò Astrid.
"Allora più tardi ti lascio l'indirizzo."
Ci fu un'altra campanella in lontananza: probabilmente l'ora di pranzo era finita e Chiara si accorse che non aveva nemmeno finito tutto quello che aveva nel piatto. Si affrettò a portarsi alla bocca tutto quello che rimaneva della carne, e avanzò i pomodori.
La mela se la mise nello zaino, mentre gli altri ragazzi iniziarono ad alzarsi da tavola.
"Ah, Astrid?" la chiamò Chiara, notando che la ragazza era rimasta un po' indietro ad aspettarla.
"Per caso, non è che c'è un parco vicino alla scuola elementare?"
L'altra le restituì uno sguardo interrogativo, un po' annerito da una piccola sbavatura della matita nera che le faceva apparire gli occhi più grandi.
"Perchè ti interessa?"
Chiara fece spallucce, gettando i piatti di plastica nel bidone della spazzatura.
"Volevo portarci la mia sorellina più tardi."
Sembra una giustificazione semplice, plausibile e lineare; il genere di informazione normale che una persona, arrivata da poco in una nuova città, avrebbe potuto domandare ad un estraneo qualsiasi.
Astrid scosse la testa.
"Che ne so."

   
 
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