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Autore: summers001    26/01/2015    2 recensioni
Daryl le aveva urlato di uscire fuori, di fuggire per non acchiapparsi altre pallottole. Riusciva a muoversi a stento, ogni muscolo faceva male. Immaginava il metallo freddo e rugginoso del proiettile che le aveva colpito il fianco, farsi strada tra la carne, sporcarsi del suo sangue e incastrarsi nelle viscere morbide. Ricordava il panno bianco che aveva tenuto addosso a lui la prima volta che lo vide, prima ancora di chiedergli il nome. Ricordava la velocità con il quale s'era imbevuto di rosso, ricordava le linee curve del sangue avanzare sulla stoffa, bagnarle la mano, appiccicargliela. Beth non riusciva più a vedere niente. Voleva accasciarsi a terra e se non si sarebbe mai svegliata, tanto male. C'erano suoni in lontananza, suoni che le ricordavano le poche volte che era andata in città. Voci, persone. Parlavano inglese. Mollò la presa sul fianco e cadde sulle ginocchia in avanti. Non riuscì mai a ricordare il momento preciso in cui s'addormentò.
Bethyl, AU.
Genere: Avventura, Guerra | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Beth Greene, Daryl Dixon
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Quando Beth si risvegliò era ancora notte fonda. Aveva i capelli impigliati nel tronco di un albero, la schiena a pezzi, le cosce congelate sul terreno freddo. Scosse la testa e si richiuse nelle spalle prima di aprire gli occhi. Vide Daryl in piedi di profilo, nascosto dietro un albero. Si sporse lievemente e cercò di ascoltare. Sentì dei rumori distanti: passi, voci che parlavano tedesco e ridevano ogni tanto. C'era lo scoppiettiò di un fuoco, voci che diventano sempre più numerose. Erano incitati, fomentati e parevano appena usciti da un pub tutti ubriachi, mentre il resto di loro bruciava cadaveri nei campi di concentramento. Beth alzò gli occhi disgustata verso Daryl. Lui le fece segno con un dito sul naso di non parlare o far rumore. Lei recepì il messaggio e si irrigì, rimanendo assolutamente ferma e di pietra, mentre solo il suo petto si alzava coi respiri.
Daryl aveva passato la vita a star fermo e rigido: prima tra i boschi per cacciare, poi negli ultimi due anni di guerra, dal 1942 al '45. Conosceva l'arte della pazienza. Quando era più giovane il padre, tra uno schiaffo e l'altro se non peggio, gli diceva sempre che sarebbe potuto andare a pesca. Merle sbuffava solo. Merle non avrebbe potuto.
Beth invece non aveva mai vissuto un attimo della sua vita nascosta. Beth era impulsiva. Faceva scelte stupide, come rispondere per prima ad un appello a scuola e finire così interrogata. O scelte stupide più recenti. Respirava di bocca perché sapeva che col naso umidiccio avrebbe fatto più rumore. Stava scomoda e voleva così tanto muoversi e cambiar posizione almeno, solo per un attimo, ma non lo fece.
Ci sono così tante cose che possono infastidire una persona e che si allontanano però con un gesto della mano: una goccia di sudore lungo la tempia; un insetto che camina sulle braccia; la punta di un ramoscello piegato per terra che punge contro la maglietta di semplice cotone; un capello che cade davanti agli occhi, in bocca Se ognuna di queste cose si fosse presentata contemporaneamente resistere una sola volta, per soli due minuti, sarebbe stato facile. Invece quelle una dopo l'altra martoriavano i due. Beth cominciava per di più a sentire la gola secca.
Passò un'eternità prima che quelli se ne andarono a causa di un ordine radio. Daryl calcolò che potevano essere intorno alle cinque ore, considerando i movimenti del sole ed il colore del cielo e delle nuvole. Daryl non era ancora convinto di potersi muovere. Se fosse stato uno di loro ed avesse sentito qualcosa sarebbe tornato indietro a controllare. In più non sapeva dire con certezza che direzione avessero preso. Doveva dargli un po' di vantaggio per speare di non incontrarli di nuovo. Daryl sarebbe rimasto fermo ad aspettare almeno un'altra oretta.
Beth non sopportava più quell'agonia. L'esasperazione cresceva ogni volta che non poteva grattarsi il dorso del naso o il fianco. Quando era sull'aereo che l'aveva portata in Europa, il primo che aveva preso in tutta la sua vita, s'era fatta un piano: avrebbe cercato prima suo padre e poi, vivo o morto, avrebbe cercato sua sorella. Maggie era di qualche anno più grande di lei, molto più bella e molto più intelligente. Maggie aveva chiesto una borsa di studio a Parigi e Parigi gliel'aveva data. Beth era certa che Maggie fino ad allora sarebbe sopravvissuta, suo padre no. Quando Beth si fermava ad aspettare e pensare, ragionava sulle probabilità che sua sorella fosse morta. La statistica non era dalla sua parte e si faceva prendere dalla fretta di sapere. Incolpò Daryl, ancora imbambolato dietro un albero ad aspettare, mentre sua sorella era magari in pericolo chissà dove. Si pulì finalmente le mani dalla terra, scrollandosela dal palmo e strusciandosele sui pantaloni. Allungò le gambe e sentì le ginocchia trovare finalmente sollievo. Non aveva mai creduto che un'articolazione potesse dolore tanto. Si alzò in piedi e finalmente anche la sua schiena ed il sedere tornarono a respirare. Se le facevano male i muscoli non poteva correre, pensò. Rimase ferma qualche secondo, poi decise di muoversi finalmente. Pensava che non aveva tempo da perdere intanto, per cui se era in grado di camminare sarebbe stato sufficiente.
"Dove vai?" chiese lui ancora fermo, stupito dalla sua presa d'iniziativa.
"Se ne sono andati." rispose lei fredda. Si guardò in giro e cercò qualcosa che le potesse essere utile. Raccolse dei sassi più o meno grandi. Meglio che niente.
"Dove vai?" chiese quindi di nuovo lui insistendo, sperando che il punto le fosse chiaro.
"A cercare mia sorella. Te l'avevo detto." disse Beth riempendosi le tasche.
"Tu non vai da nessuna parte." La voce di lui s'era fatta risoluta e non gliel'avrebbe mai lasciata passare. Abbandonò finalmente la sua posizione e s'avvicinò a lei, prendendole un polso con la mano. Era la prima volta, oltre a quella mano che le aveva dato all'inizio, che la toccava. Con le dita riusciva a circondare tutto il polso ed era sicuro che se avesse stretto un po' di più gliel'avrebbe spezzato.
"Cosa?" chiese lei incredula guardandosi il braccio "Fermami." Cominciò a strattonarsi e divincolarsi, troppo orgogliosa per usare l'altra mano e spingerlo via. "Lasciami!" urlò poi, quando i suoi tentativi si rivelarono vani.
Quello che Daryl sentì furono le urla di una bambina viziata. Stese le dita ed aprì la mano. Le sue grida gli avevano dato al cervello e non perché avrebbero potuto scoprilo. "Potrebbe essere morta. " le urlò allora lui, cattivo solo per farle del male, farle pensare che la sua cara sorellina fosse morta.
Beth combatté contro l'impulso di massaggiarsi il polso. Pensò che non l'avrebbe mai fatto davanti a lui. "Potrebbe essere nascosta da qualche parte." Beth era convinta che Maggie fosse viva o almeno doveva sperarci. La speranza era tutto quello che della sua famiglia ormai le era rimasto.
"E come hai intenzione di fare allora?" chiese lui "Eh?" rincarò la dose, per farla sentire stupida, per farla stare buona, perché solo quello Daryl sapeva fare, solo questo aveva imparato da suo padre e da suo fratello. Camminava e parola per parola la spingeva contro un muro.
"Troverò un modo." rispose lei non intimorita. Lo spinse via e si liberò. Si guardò a destra ed a sinistra, cercando di ricordare da dove veniva, dove fosse la Germania e quale fosse la strada più vicina per la Francia. Riconobbe il sentiero che avevano marcato coi passi all'andata e s'avviò nella direzione opposta.
Daryl espirò spazientito dal naso e strinse i denti. Controllò che la pistola che aveva recuperato all'andata fosse incastrata nella cintura e con la sicura e la seguì. "Sto cercando di tenerti viva, non ci arrivi?" provò con un altro approccio, parlandole alle spalle.
Beth si fermò e girò il viso appena. "Non ne ho bisogno. Posso farlo da sola." non che gli avesse chiesto mai il suo aiuto. Quando era partita però non s'era mai immaginata di dover sopravvivere da sola nei boschi. Nel pomeriggio precedente avere quell'uomo, di cui non sapeva niente, con lei le aveva dato però un certo senso di sicurezza, di cui s'era fatta forza e che sperava di poter coltivare anche da sola. "Se mi vuoi aiutare, va bene. Altrimenti va' per la tua strada."
Daryl si arrese. "Dove?"
Beth nascose un sorriso. Riprese contegno e prima cercò di ritrovare la sua voce risoluta di prima, poi decise che non aveva senso e cercò allora di sembrargli solo spontanea. "Parigi." si voltò ed aveva le mani nelle mani davanti al petto. La risposta le uscì solo profondamente ritardata e s'imbarazzò per un attimo, chiedendosi lui cosa avesse pensato allora di lei.
Daryl sospirò. Guardò la tuta bianca e blu ormai diventata color marroncino terriccio.
L'entusiasmo di Beth scemò aspettando una risposta da parte di lui. Si rigirò e s'avviò per ricominciare a camminare.
Daryl la seguì a passo svelto fino ad arrivarle accanto. Allungò una mano e la fermò. Lei si girò e rivide nel suo profilo la donna luminosa dai capelli biondi che gli aveva salvato la vita. Abbassò subito la mano. "Se siamo in pericolo si fa a modo mio. Siamo d'accordo?"
"D'accordo!" disse lei sorridendo.

 

Daryl camminava in silenzio. Teneva una mano alta per allontanare le foglie che piovevano dagli alberi sopra la testa. S'erano fatte ormai gialle ed era quasi tempo che cadessero. Sperò di arrivare nella Parigi liberata in pochi giorni. Presto non sarebbe più stato possibile nascondersi tra gli alberi. Beth sentiva invece un certo disagio in quel silenzio. Beth odiava il silenzio, perché la costringeva a pensare e quando pensava, lo faceva per sua sorella. Teneva la testa bassa, guardava i suoi piedi evitare le foglie camminando, passare solo sul terreno morbido, come aveva fatto le poche volte che era stata in città sulle striscie pedonali, evitando il catrame nero e saltellando solo su quello bianco. Cercò di non attirare però l'attenzione di lui. Ogni tanto alzava la testa per controllare se lui la stesse guardando, ma Daryl non la guardava mai.
La pancia le brontolava sonoramente da un po' quando il sole si fece alto nel cielo. Daryl la sentì e fu la prima volta che si girò verso di lei. Beth abbassò lo sguardo imbarazzata.
"Da quanto tempo non mangi?" chiese lui.
Beth scrollò le spalle. Non aveva tenuto il conto, ma doveva essere dalla mattina precedente. S'era svegliata in una tenda da campo molto presto, prima di ogni altro, affinché chi era insieme in quella missione non pensasse a lei come ad una bambina. Aveva raccolto un tozzo di pane che s'era conservata dalla sera prima, sciolto del latte in polvere in un bicchiere con l'acqua ed affondato poi quattro biscotti ormai rinsecchiti che s'era portata dietro da casa. Quando suonò la sirena aveva a malapena finito di bere: una serie di soldati erano stati colpiti di primo mattino da una bomba, solo alcuni parevano illesi e tanto valeva concentrarsi su quelli. A Beth venne affidato un solo soldato con un'ustione superificiale lungo il fianco destro, che dovette tamponare e coprire, ed una ferita da taglio lungo la testa, che a tratti Daryl ancora si toccava.
"Tu?" chiese Beth di rimando, con la certezza che era lui quello più affamato dei due.
Daryl sospirò. Due sere prima, in trincea, la solita razione di pane e carne in scatola e le vitamine che l'esercito forniva ai suoi soldati. Aveva consumato quella insulsa cena da solo in un angolo sulla sua branda, pensando a suo fratello Merle. Daryl grugnì. "Ti cerco qualcosa."
Beth sorrise. Saltò fuori che Daryl sapeva cacciare. Beth cercò di seguirlo all'inizio, poi si ricordò di quando suo padre le diceva da bambina di stare lontana se non avesse voluto spaventare gli animali. Trovò uno spazio a cerchio abbastanza ampio, circondato da radici sporgenti di alberi. Raccolse alcuni rametti e li agitò. Quando una sottile riga di fumo cominciò ad uscire, soffiò piano ed alimentò il fuocherello che aveva creato con delle foglie, con il quale ci avrebbe bollito l'acqua. Quando Daryl tornò con un coniglio un'oretta dopo rimase sorpreso prima, poi si ricordò che quella era una cosa che sapevano fare anche i bambini.
Dormirono fuori anche quella notte, tra gli alberi. Daryl riuscì a chiudere occhio nel primo pomeriggio solo per un paio d'ore mentre Beth stava di guardia, con la promessa che l'avrebbe svegliato al minimo rumore che avesse sentito. Beth lo guardava dormire e pensava che i suoi capelli erano troppo lunghi e gli nascondevano gli occhi. Sembrava stanco e triste. Sembrava solo e ferito. Sentiva già un certo senso di attaccamento verso di lui. Era l'unica persona che aveva, forse l'ultima che avrebbe mai visto se non fosse riuscita nel suo intento. Era persino gentile a volte a modo suo. Beth sorrise.
Quando più tardi lui si svegliò erano passate solo poche ore. Non riusciva a dormire, non come si dovrebbe. Si alzò e si stiracchiò. Le disse di schiacciarsi un pisolino. Lei protestò all'inizio, lui la prese per le spalle e la costrinse a terra e solo allora lei s'arrese. Era calato ormai il sole e con esso il calduccio si diradava. Faceva un freddo che arrivava fino alle ossa. Beth sognò di essere sulla neve, come il natale di diversi anni prima quando sua madre era viva. Quando si svegliò aveva le maniche lunghe di cotone arrotolate fino agli avambracci e sulla pelle era cosparsa di terra che la scaldava, di certo non ce l'aveva messa lei. Alzò gli occhi e vide Daryl. Pensò di sorridergli come per ringraziarlo, ma lui neanche la guardava. Era così impegnato e pensieroso. Teneva tra le mani qualcosa di scintillante, una catena lunga e un pendaglio piatto come quelli che portava anche lui al collo. Una medaglietta pensò lei. Quando Daryl s'accorse che era sveglia, rificcò tutto dentro una tasca dei pantaloni, lungo le cosce, incrociò le braccia e con gli occhi la spiò di nascosto. Beth sorrise. Più tardi, tra la notte e l'alba ricominciarono il loro viaggio verso Parigi.

 

Verso mezzogiorno il sole s'era fatto alto. Il calduccio bruciava sulla pelle, sfrigolava col sudore appiccicato ai vestiti. Beth non aveva intenzione di lamentarsene, non dopo il freddo che aveva provato quella notte. Gli stivali marroni s'era sporcati di fango ed erba verde spiaccicata. Teneva gli occhi alti e seguiva i capelli dell'uomo, che guidava quella spedizione e le camminava davanti. Daryl teneva sempre le mani lungo i fianchi. Sfiorava camminando con la mano destra la pistola, appesa nella cintura, e con la sinistra un coltello che ricordava avesse già appeso la prima volta che lo vide. Ricordò di non riuscire a stringere bene la fasciatura per il manico dell'arma che gli sporgeva lungo il fianco. Rammentò di aver pensato di toglierglielo e poi che se si fosse svegliato ne avrebbe avuto bisogno e se fosse stata lei ad averne avuto bisogno sapevano dove trovarlo. D'improvviso sentirono un gran vociare, proiettili e tanti piedi che correvano. Cinque o sei paia di stivali colpivano la terra secca, sbriciolavano le foglie, le teste colpivano rami sottili secchi e li spezzavano, lasciando che quello dietro li schiacciasse sotto i piedi. Coprivano rumori più leggeri di scarpe in corsa. Daryl entrò subito in allarme e s'avvicinò a Beth. La costrinse ad accucciarsi in basso con una mano sulla spalla mentre, forzandola a piegare le ginocchia, mentre lei allungava la vista cercando di scorgere qualcosa. Dovette tenerla giù con forza.
I rumori s'avvicinavano. Qualcuno urlava in tedesco. Altri strillavano di paura ed erano più numerosi dei primi. Erano molto più numerosi. Parlavano chi francese, chi italiano. Beth si creò uno spiraglio tra le foglie con le dita. Daryl gliele abbassò, poi cercò di guardare lui stesso da quel buco: una serie di persone, non più persone ma stampelle pensò lui, vestite di bianco e nero a strisce correvano ed arrancavano. Se ne perdeva uno ad ogni passo. Chi cadeva non si rialzava, gli altri scappavano avanti. I tedeschi erano troppo vicini e dopo poco le uniformi nere fecero capolino. Stavano in piedi, in tre di loro, tutti composti. Un cappello a nascondere i capelli biondi. Per quanto potessero sembrare calmi il loro parlare pareva sempre come un urlo arrabbiato. Uno di loro fece segno ad un altro di alzare il fucile e puntarlo lontano. Quello sparò verso il primo in corsa. Beth spalancò gli occhi. Il soldato colpì il secondo. Quell'altro affianco a lui guardava e s'era quasi annoiato. Gli tolse l'arma da mano e cominciò a tirare proiettili alla rinfusa, di continuo. I corpi cadevano uno dietro l'altro, come tanti birilli.
"Oh mio d.." cominciò quasi urlando. Daryl ebbe paura e le siggillò la bocca con una mano. Beth si ribellava contro di lui, respirava a forza, strillava contro la sua mano. Gli occhi le si erano fatti rossi e premevano quasi contro le palpebre per uscire. Ribolliva di rabbia e di sgomento. Lui le fece segno di far silenzio. Beth non poteva. Chiuse gli occhi e cercò di non guardare. Il fucile trombava ancora. La mano di Daryl le stava togliendo l'ossigeno e Beth si sentiva come soffocare. Cercò di respirare col naso. Inspira ed espira. Quando sembrava calma Daryl la lasciò. Continuarono a guardare. Le pallottole affondavano nei corpi e ne uscivano e si affondavano con forza nel terreno. Polvere e terra rampillavano dal suolo. Come se i proiettili avessero attraversato il burro, non persone.
Beth non poteva stare a guardare. Si ricordò della pistola che Daryl aveva sul fianco. Mentre lui osservava tutto, si avvicinò e gliela sottrasse. S'alzò in piedi e cominciò a puntare. Fu così veloce che lui neanche se ne rese conto. La vide solo puntare ad un certo punto alla testa di quel biondino che prima di tutti aveva dato l'ordine e stava uccidendo senza sporcarsi le mani. Quello il più bastardo tra tutti. Intanto gli altri stavano sparando a quelli a terra.
Daryl la prese per il polso, pensò quasi di spezzarglielo. Le tolse la pistola di mano, attento a non farle scivolare il dito sul grilletto, afferrandola con le cinque dita. I tedeschi avevano finito. Non c'era più bisogno di tenerla ferma. E forse non avrebbe voluto. Che si facesse scoprire quella puttana.
Nel boschetto scese di nuovo il silenzio. Come se niente fosse successo. I tre soldati se ne andarono via ridendo. Uno di loro indicava un punto lontano, con le dita faceva segno di una pistola ed uno sparo e rise di nuovo.
Beth corse lungo quella striscia nera, bianca e rossa di cadaveri. Era la prima volta che li vedeva. Scheletrici, avevano la pelle che cadeva dalle ossa come un lenzuolo. Gli occhi erano ancora aperti, con l'espressione della paura cucita sulla faccia, infossati nelle orbite, cerchiati di un nero. Nelle bocche aperte non c'erano denti, le lingue parevano enormi tra la pelle e le ossa. Tutti uguali, come le loro divise. Erano ammucchiati uno sopra all'altro, come una discarica, come spazzatura, come carne da macello in un mattatoio. Il sangue che scorreva dalle ferite macchiava le uniformi e s'ingrandiva e cancellava la trama a strisce: la morte cancella tutto.
Ad un tratto qualcosa si mosse. Beth balzò quasi spaventata. Si girò e vide una mano sollevarsi e cercare di afferrare qualcosa. Beth si precipitò e la prese. Ebbe paura di spezzargliela, ebbe paura di essere stata troppo brusca, ebbe paura di avergli fatto male e non lo meritava.
Un uomo, senza capelli, senza barba, senza consistenza cominciò a parlare. "Fred...do.". Aveva gli occhi vitrei, le labbra secche, la pelle grigia e gialla che quasi se ne veniva via sotto le dita.
"Sì!" rispose lei frettolosa. "Sì, sì, ma guarda, guarda," ed indica verso l'alto con un dito. Aspetto che quello guardasse verso l'alto. L'uomo strizzò gli occhi per vedere meglio. La luce doveva essere troppo forte per lui, pensò. "Sono gelsomini invernali. Sono gialli e bianchi e... Sono bellissimi, non trovi?" Non ebbe il coraggio di riguardare verso di lui. Continuò ad ammirare i fiori, mentre due lacrime le cadevano solitarie lungo le guancie.
L'uomo fece sì con la testa senza emettere un suono. Anche Daryl, che si stava tenendo in disparte, ammirò il paesaggio. Aveva le mani nelle tasche, a disagio. Cercava di evitare lo sguardo di lei a tutti i costi, ma lei non sembrava neanche vederlo.
Beth si fece coraggio ed abbassò gli occhi. L'uomo sorrideva di un sorriso stentato che gli restituiva però un po' di quella umanità persa. "E' tutto okay, è tutto okay," cominciò lei sforzandosi di sorridere insieme a lui "sei a casa ora." Pensò che quelle erano le parole che lei si fosse voluta sentir dire. Si pulì con una mano le lacrime che aveva promesso di non versare più. Le si appiccicò terra e polvere sul viso. Voleva guardare verso il basso, ma un impulso primordiale di paura la fece desistere. Il labbro le tremava. Strinse meglio la mano dell'uomo, si risistemò sulle ginocchia ed abbassò lo sguardo.
"Sei un angelo?" chiese quello. Le sue dita si mossero a scatto un'ultima volta, un movimento improvviso ma estremamente lento.
"I-io n..." balbettò Beth, prima di accorgersi che quello era morto.
Beth tremava dalla rabbia. Strinse la mano di quell'uomo, fino a quando non sentì qualcosa fare crack, allora la mollò spaventata. S'allontanò arrancando al suolo, con le mani appiccicate sulla terra a sporcarsi di marrone e rosso. Si accorse solo allora dell'odore ferroso del sangue e putrido della pelle di quelle persone. Erano già morti. Stavano già morendo, prima ancora di essere sparati. Eppure camminavano, correvano, scappavano, volevano vivere. Beth arrivò ad un albero e s'aggrappò alla corteccia. Sentì un senso di nausea risalirle dalla pancia fino alla gola e all'improvviso bile ed acido mischiarsi nell'esofago, premerle contro l'ugola e la lingua prima di uscire. Si sentì soffocare mentre vomitava. Voleva ansimare e prendere aria. Quello ad Atlanta non gliel'avevano detto. Non le avevano detto cosa succedeva, non credeva fosse vero, non poteva all'ora, all'epoca, a casa. Il resto del mondo non lo sapeva. Se l'avesse saputo, pensava, avrebbe fatto qualcosa.
Aveva visto una pubblicità al cinema una volta, due anni prima, a quindici anni: campi di lavoro, così li chiamavano. Le persone ridevano, leggevano i giornali, i bambini giocavano, avevano cibo a sufficienza. Quella volta rimase sorpresa dal buon cuore allora di quelle persone, nonostante si stesse chiedendo perché quelli non potessero restare nelle proprie case. Sentì mormorii in quella sala quella sera. Suo padre si alzò, le mise una mano sulla spalla raccomandandole di restare lì seduta e raggiunse altri uomini col quale cominciò a discutere vivacemente ed insieme uscirono fuori. A metà di quel film in bianco e nero, Hershel ricomparve sorridendole e le chiese cosa s'era perso. Beth gli raccontò la trama.
Il resto del mondo preferiva non sapere, come quella stupida quindicenne.
Ansimò, urlò e poi si pulì le lacrime.
Daryl le si avvicinò e le porse un pezzo di stoffa che teneva in una delle tasche, la manica di una maglia vecchia, marrone e lanugginosa. Beth alzò gli occhi quando se lo sentì vicino. I suoi occhi corsero da quell'offerta a lui che neanche la guardava. Beth afferrò quella cosa, si alzò piano fino ad essergli davanti e poi la gettò via. Strinse i pugni per trattenersi, mentre tremava. Guardò un attimo in basso per trattenere le lacrime e poi urlò di nuovo.
Si scaraventò verso Daryl coi pugni in alto battendoglielo sul petto, costringendolo ad indietreggiare e trovare un equilibrio. "Perché l'hai fatto?" gli urlò contro "Perché, perché, perché?"
Daryl capiva a cosa lei si stesse riferendo. La prima volta che gli era successo reagì allo stesso modo: rabbia. Davanti a tanta morte ci si può solo arrabbiare. La lasciò sfogarsi. Tenne la testa voltata di lato, perché sapeva che lei l'avrebbe odiato, perché s'era nascosto, perché l'aveva costretta a nascondersi. Le urla, la puzza, il suono dei proiettili aveva fatto male anche a lui.
"Avrei potuto fare qualcosa.", "Avremmo potuto fare qualcosa.", "Dovevamo aiutarli." erano le continue prediche di lei. Si lagnava e piangeva e quella disperazione era insopportabile, perché gli ricordava che lui ci aveva quasi fatto l'abitudine, perché aveva pensato tempo prima di doverci fare l'abitudine per sopravvivere. Si sentì un po' meno un essere umano. Ma non avremmo potuto, pensò invece Daryl. Se l'avessimo fatto... Ed allora tornava a galla l'uomo a cui non fregava niente se non sopravvivere, quello con cui si copriva la faccia. Pensò di nuovo che il coraggio e l'impulsività di lei l'avrebbero portata a farsi uccidere. "Dovresti ringranziarmi." bisbigliò. Sperò che dirlo gli avrebbe fatto sopprimere quella sensazione, quella così familiare che l'accompagnava quando vomitava le prime volte che aveva visto quello schifo; sperò che lo facesse rientrare in quei suoi vecchi stracci nel quale si era identificato negli ultimi mesi, nell'ultimo anno, perché faceva meno male così, perché era così che aveva imparato a sopravvivere da solo.
"Tu sei come loro!! Sei uno di loro!!" Urlò Beth. Stringeva i pugni lungo i fianchi e quando non parlava si forzava di trattenere le lacrime, forse pensando che lui non le meritasse. No, non era un essere umano come lei.
"Cosa ti hanno promesso?" Urlò Beth di nuovo. Si era ricordata di quella famosa volta a scuola, dove ai professori dicevano che se fossero partiti sarebbero ritornati in patria con delle promozioni ed un aumento; agli studenti maggiorenni che sarebbero stati rispettati, pagati; alle ragazze che avrebbero trovato marito tra i soldati. Perché la guerra unisce gli americani, aveva borbottato stupidamente quel giorno, facendo il versetto. "Soldi? La libertà vigilata?" Si chiese cosa ad uno come Daryl, uno su cui aveva visto tanti tatuaggi sulla pelle, che non era più vent'enne da almeno quindici anni, che era senza famiglia ed aveva addosso più cicatrici di tutti i soldati messi insieme, l'esercito aveva promesso per concedergli di servire il paese. Recitò quello stupido slogan a memoria. Voglio te per l'esercito degli Stati Uniti. Quello aumentava ancora di più il disgusto che provava. Sentì di nuovo il vomito pizzicarle la bocca dello stomaco e poi la gola. Beth lo ingoiò giù di nuovo.
Daryl aveva ricominciato a camminare verso quello che sperava essere Parigi quando la sentì accusatoria, si bloccò e si girò a guardarla. Rimase fermo un attimo immenso. Quando si riebbe sbuffò. "Tu non sai niente di me." Si chiese cosa di lui l'aveva portata a quella conclusione. Si chiuse sulla difensiva e la etichettò come la ragazza che non aveva capito niente. Riusciva a piangere un mucchio di persone con cui non aveva mai parlato, ma era pronta a giudicare chi le stava salvando la vita.
"E tu di me!" rispose Beth, non sapendo esattamente cosa significasse. Ragionava in maniera frenetica. Aveva il filo del discorso pronto all'inizio, ma l'aveva perso parlando, piangendo ed urlando."Loro sono morti!"
"So che hai una sorella morta. Ed un padre." Disse lui parlandole da sopra e provò ad allontanarsi di nuovo, ma lei restava impantanata sul posto, terrorizzata forse al pensiero di lasciare quei cadaveri da soli. A Daryl non fregava più un cazzo di Beth. Lei era uno dei porci che l'avevano bastonato come un cane per tutta la vita, uno di quelli con cui aveva imparato a fare la faccia da duro per farsi rispettare, come suo fratello Merle gli aveva insegnato. Il pensiero di Merle fece di nuovo capolino nella sua testa.
"E' viva." La voce di lei fu ferma per una volta. Nessun piagnucolio o labbro tremolante. Maggie era viva. E lo diceva come la gente come lei dice che è pronta la cena. Quella certezza e quelle speranze così forti erano cosa rara ed un po' forse quello ebbe la forza o la gentilezza di calmare la rabbia di Daryl.
"Non se è come te." Provò ancora a stuzzicarla, perché se avesse vacillato, se si fosse commosso solo un attimo, sarebbe crollato e l'aveva visto fare così tante volte e aveva visto morire per vacillamenti, che non s'era mai neanche permesso. L'odore nauseabondo pareva farsi però sempre più esigente di essere sentito anche per lui.
"Ce l'avrei potuta fare, li avrei salvati." Beth era più calma. Era stato il pensiero di sua sorella ad agire su di lei, il pensiero che tutto quello aveva uno scopo.
"Ti saresti fatta uccidere." considerò solo veloce lui.
"E allora? Qual'è il punto di vivere così?"
Daryl strinse i pugni ma servì a poco. Quella puzza. Quella puzza era troppo forte. Diede un calcio ad un albero. Una pioggia di foglie cadde dai rami secchi e coprì il terriccio ed i corpi che ancora stavano accanto a loro. Per tutto quel tempo Daryl aveva cercato di allontanarsi da quei morti, da tutta quella morte. Era il suo modo di farcela: ignorare, sorpassare, fingersi freddo. Daryl, che era ancora fermo in quel posto che puzzava, non poté più ignorare e li guardò. Dall'alto dei suoi stivali ebbe le vertigini. Loro avrebbero dato gli ultimi denti o l'ultima pagnotta per uno solo dei giorni come i suoi. "Non puoi essere seria.". Alla fine tutta quella morte riuscì a sopraffarlo.
"Lo sono, io non voglio..." cominciò Beth e ricordò alla fine il discorso che aveva voluto fare fin dall'inizio. Era cosciente dei rischi, era consapevole delle conseguenze, ma se c'era una sola cosa che suo padre gli aveva insegnato era che... Si fermò quando sentì un singhiozzo. Si girò verso Daryl e lo vide appoggiato con l'avambraccio ad un albero, la fronte sul pugno chiuso, l'altra mano appesa alla spalla. Aveva il viso contratto, le guance chiuse e strizzate con le palpebre, forse qualche lacrima che non riusciva a vedere. Beth si avvicinò cercando di capire.
"Non posso perdere chiunque. Mio fratello... lui..."
Aveva perso un fratello. Aveva perso un fratello, probabilmente in guerra. Daryl non riusciva a raccontarlo, non riusciva a dirlo nemmeno. Beth gli si avvicinò senza pensarci e l'abbracciò. Poggiò la testa sulla sua schiena, senza fregarsene che era sudato o sporco o tutt'e due, e strinse le mani attorno alla sua vita. Daryl si sentì libero di piangere per la prima volta dacché Merle era morto. Beth mosse i pollici in movimenti circolari sulla sua pancia, come per aiutarlo a cacciar via tutto quel dolore. Non lasciò neanche un filo d'aria tra i loro corpi e si agganciò ferma come una roccia. Poggiò le labbra e la punta del naso su quello spicchio di pelle che riusciva a raggiungere sulla nuca di lui tra i capelli scuri. Sentì le sue spalle fare sopra e sotto dai singhiozzi ed allora cominciò ad oscillare cullandolo.
Rimase alla fine ferma con lui fino a quando non fu il tramonto ed i piedi di entrambi dolevano e furono obbligati a camminare di nuovo.

 

Furono investiti da una strana ed irreale quiete. Nessuno dei due parlò lungo il tragitto. Daryl a tratti alzava lo sguardo e sbirciava verso di lei, che invece teneva le mani attorno alle spalle a ripararsi. La luce arancione del sole, filtrata dai rami e dalle foglie, colorata di quel gusto quasi invernale, le faceva splendere i capelli e gli mostrava il profilo della donna che aveva visto la prima volta che s'era svegliato, l'angelo a cui stupidamente aveva pensato. Erano solo occhiate fugaci però e s'assicurò che lei non lo notasse, tornando a guardare a terra e verso i tronchi.
Beth era stanca e si sarebbe fermata ovunque per riposare. Aveva cominciato a puntare da almeno un chilometro uno spioncino di luce biancastra, che aveva pensato potesse forse venire da una vallata in mezzo a quella foresta. Aveva ragionato sul perché potesse essere più sicura quella di un mucchio di alberi prima di proporlo, così da fornire un movente al loro strappo alla regola degli orari, senza doversi mostrare pigra o stanca. Pensando e pensando arrivò fin là e quello che vide la convinse ancor di più a piantar le tende per la notte, senza che avesse importanza quello che lui avrebbe pensato di lei, avventata o non.
Una casupola di legno stava al centro di un prato erboso. Gli alberi del boschetto nel quale si trovavano lo circondavano completamente. Avevano ancora un pizzico del loro naturale vigore foliaceo, diversi da quelli ruvidi che parevano stuzzicadenti che avevano fatto loro da letto. Daryl si guardò attorno pensando che semmai avessero dovuto, fuggire sarebbe stato come muoversi con un tiro al bersaglio appeso alla schiena.
Beth affrettò il passo. Voleva arrivare lì prima che poteva, stare al caldo magari, dormire su un letto o una poltrona. "Potremmo fermarci qui?" chiese prima con esitazione poi con più decisione completando la frase.
Daryl guardò la baracca. Ne aveva viste centinaia come quella. Era sicuro che se fosse entrato e avesse guardato sotto il tappeto ci avrebbe trovato un buco per nascondere qualcuno. Non aveva le fondamenta, esattamente come quella in cui era cresciuto, esattamente come quella dove avrebbe nascosto persone in fuga.
"No, faremmo la fine del topo." disse lui. Daryl si girò verso di lei e vide l'espressione di Beth farsi delusa. "Restiamo fuori." propose, anche se pareva anche a lui una fin troppo magra consolazione.
Beth fece sì con la testa ed abbandonò ogni speranza. Pensò che l'aveva tenuta viva fino ad allora, che aveva tenuto vivo anche sé stesso e che quindi si doveva fidare e fare a modo suo. E poi aveva promesso. Alzò gli occhi verso di lui: stava cercando rametti di legno, tastandoli, assicurandosi che non fossero bagnati, probabilmente per accendere un fuoco. Pochi minuti dopo erano stesi con la schiena contro il terriccio, a riscaldarsi almeno su quel lato, mentre col fianco erano rivolti verso il fuoco. Beth aveva infilato le mani sotto alla schiena per non senir freddo, Daryl invece le teneva nelle tasche deli suoi pantaloni color mimetico. Ogni tanto si sentiva rumore di brontolii di stomaco.
Daryl non sapeva cosa dirle. Guardava in alto e pensava alle stelle. Poi si girava verso di lei e guardava lei alla luce della fiamma e tornava di nuovo alle stesse.
"Il cielo è così pulito." disse lei rompendo il silenzio "Vorrei che mio padre potesse vederlo." Lui si girò a guardarla mentre lei teneva ancora gli occhi verso l'alto "Avrebbe detto che è un dono del Signore, che tutto questo è solo una prova, per ammetterci tutti nel suo mondo."
"Ci credi?" chiese lui. Si portò un braccio sotto alla testa, facendolo a cuscino. S'era agitato in realtà per la confidenza che lei gli aveva fatto. Nessuno gliene aveva mai fatte. Non sapeva come comportarsi. Sentì solo il bisogno di muoversi ed agitarsi e contemporaneamente non farglielo notare ed essere discreto.
"Questo mondo non mi dispiace." drispose piano lei. Non distoglieva gli occhi dal cielo ed era così persa. Era bella persino, con quel suo profilo sognante, l'ingenuità che il mondo aveva conservato tutta concentrata nei suoi occhi.
"Uh-uh" annuì lui, non saendo esattamente cosa dire.
"Ci sono ancora cose che valgano la pena."
Daryl sospirò. Non ne era poi così sicuro.
Daryl continuò a guardare su con lei. "Era a mio fratello che avevano promesso soldi e la libertà"
Lei lo osservò allora interrogativa prima, poi intuì il resto, ma voleva sentirlo. Daryl si rigirò e si trovò con gli occhi di Beth incastrati nei suoi. Capiva che lei voleva sapere di più. Aveva sul viso quell'espressione tra la curiosità e la pietà con cui le persone non-come-lui lo guardavano di continuo.
"Merle... Lui spacciava, si drogava, qualcosa giusto per tirarsi su. A volte me la faceva provare. Salta fuori questo grande affare e non vuole farselo scappare. Dice che è la nostra occasione per lasciare quel posto di merda e che ci saremmo visti a mezzanotte in stazione. Alle undici mi trovo la polizia a casa, alle undici e mezzo l'esercito."
Beth stava per aprire le labbra, respirare prima di parlare, ma ogni tentantivo le morì in gola quando sentì dei passi familiari di scarponi che aveva imparato ad odiare e parole, tante parole, in una lingua che come quegli stivali odiava più di ogni altra cosa al mondo. Beth si rizzò in piedi, in sincronia con quel brivido che le saliva da dietro la schiena fin sotto alla testa, sul collo. Daryl si alzò prima ancora di guardarsi attorno. Calpestò il fuoco che era rimasto e cercò il braccio di Beth per afferrarlo, ma lei era per fortuna già corsa avanti, in quel che rimaneva del boschetto spoglio di foglie e verde.
I soldati tedeschi si avvicinavano, ridevano e chiacchieravano. Un sospiro di sopresa uscì dalle bocche di due di loro, mentre un terzo fischiò come se avesse davanti una bella donna. S'affrettarono ed andarono verso il casolare, proprio come Beth aveva fatto poco più di un'ora prima. E volevano entrare. Proprio come lei voleva entrare. Ed entrarono. Lasciarono ad uno ad uno i fucili davanti all'ingresso, appoggiandoli in equilibrio alla ben e meglio alle pareti di legno.
Respiravano piano nascosti tra i rami. Daryl le fece segno con una mano di star ferma, con un dito poi le indicò prima quelli dentro, poi loro fuori ed il bosco. Voleva aspettare che fossero entrati, che non li vedessero, per poi fuggire. Beth fece sì con la testa. Riaggiustò le scarpe al suolo pensando di dover essere pronta a scappare. Col ginocchiò finì dentro una pozza di fango ed erba. Guardò la terra salirle ed espandersi anche in quel punto sopra alla gamba dei pantaloni bianchi di cotone. Strinse coi pugni dei sottili ciuffi d'erba e poi li mollò, ricordandosi di doversi tenere pronta. Pronta, pronta, pronta.
Finalmente anche l'ultimo entrò. Erano in cinque e proprio il quinto prima di salire le scalette poggiò un fucile contro la parete, lontano dagli altri e corse dentro. Daryl sapeva che quello significava che l'ultimo sarebbe uscito fuori di nuovo di lì a poco per stare di guardia.
Uno scricchiolio partì dalle assi che sostenevano il tutto senza le fondamenta.
Beth pensò: la fine del topo.
"Daryl, tuo fratello." cominciò lei agitandosi, forse per il freddo, forse per l'eccitazione dell'idea che le era appena venuta, oscillando sopra e sotto col busto "Ti manca, vero?" gli chiese girandosi verso di lui con voce curiosamente elettrizzata. Daryl non l'aveva mai detto, ma Beth aveva capito com'era morto e perché lui continuasse a ripeterle che Maggie non ce l'avrebbe potuta fare.
Daryl la guardò, le sembrava quello il momento? Prima le lanciò uno sguardo confuso, poi si girò verso il boschetto aspettando che lei facesse lo stesso per correre via. Lei lo bloccò con una mano sul braccio. Strinse la manica della maglioncino grigio ormai infeltrito. Daryl alzò gli occhi dalla sua mano a lei e scrollò le spalle, dandole così risposta.
"Dovremmo fare qualcosa." suggerì allora lei.
"Cioè?"
Beth sorrise.

 

Beth seguiva Daryl, cercando di imitare il suo passo furtivo, camminandogli dietro sulle punte dei piedi. Daryl afferrò uno dei tanti fucili poggiati al muro di legno della cascina. Lo strinse tra le mani, sentendone di nuovo tutto il peso sulle braccia fino ai polsi. Passò un dito sul metallo freddo. Sorrise pensando a quelli, talmente stupidi, da essersi chiusi in un angolo senza i loro armamenti. Li sentì ridere tra di loro. Beth cercò di smuoverne uno anche lei, ma la fretta le fece urtare con la canna di uno anche quello direttamente affianco e si fermò per non lasciar cadere tutto. Daryl si girò verso di lei in tempo per vedere tutto, lo prese e glielo porse in mano. Beth allora con l'altra ne afferrò anche un altro, questa volta con più decisione. Sorrise a Daryl che le fece un cenno d'assenso. Se li caricarono tutti appendendoseli al collo ed alle spalle, raggiunsero il punto giusto del prato d'erba non troppo lontano né troppo vicino alle finestre. Beth sorrideva. Alzò una canna in aria con le dita puntate sul grilletto e guardò verso Daryl, che aprì fuoco dopo il suo invito. Il cielo calmo e blu scuro si riempì di proiettili e brevi scintille, la notte da silenziosa si fece rumorosa di spari mentre il terreno attutiva il tintinnio dei proiettili che ricadevano.
Sentirono immediatamente rumore provenire da dentro la cascina. Le risa erano finite, adesso qualcuno urlava di un imperioso tedesco.
"Attenzione là dentro!" strillò Beth e lasciò che altri colpi le facessero da eco e richiamassero di nuovo l'attenzione. Daryl la guardò e notò che lei proprio non riusciva a togliersi quel sorriso dalla faccia.
Una finestra sbattè, mandando in pezzi il vetro, calpestrato e sfracellato sotto gli stivali degli uomini che erano ormai affacciati a meno di venti metri di distanza.
"Vaffanculo!" urlò lei. Daryl sparò altri colpi in aria.
Beth lasciò che il fucile le ricadesse addosso, se lo lanciò dietro la schiena, mentre Daryl s'era voltato e la tirava via. E si allontanarono e sorridevano sotto i baffi, a volte guardandosi e ridendo tra di loro.

Ci sono ancora cose che valgano la pena.

 



Angolo dell'autrice
Salve a tutti! 
Chi mi conosce da altri fandom sa che passo la vita sociale di efp a giustificarmi di ritardi e ritardi. Sono qui ora a giustificarmi dopo un mese e venti giorni anche per questa storia, nonostante siate a seguirla meno di una manciata. 
Spero che vi sia piaciuto questo capitolo, che vi stia piacendo la storia in generale. Avevo deciso di farne solo 3 capitoli, ma sono stata investita da un lampo di idee tant'è probabile che la continui. Ma poi si vedrà.
Per il resto vi invito a lasciarmi una recensione, qualunque cosa dovesse esserci sono pronta a fare modifiche. 
Con affetto ed a presto! :*

Ps. il carattere va bene?

 

  
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