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Autore: Terre_del_Nord    26/11/2008    24 recensioni
Sirius Black e la sua Nobile Casata; gli Sherton e la Confraternita del Nord; l’Ascesa di Lord Voldemort e dei suoi Mangiamorte; gli Intrighi di Lestrange e Malfoy; le leggende di Potere e Sangue risalenti a Salazar Slytherin. E Hogwarts, i primi passi dei Malandrini e di chi, Amico o Nemico, condivise la loro Storia. UNA STORIA DI AMORE E DI GUERRA.
Anni 70. Il Mondo Magico, alle prese con Lord Voldemort, sempre più potente e feroce, farà da sfondo dark a storie d'amicizia per la vita, a un complicato rapporto tra un padre e i suoi figli, a vicende di fratelli divisi dalle scelte e dal sangue, a storie d'amore romantiche e avventurose. Gli eventi sono narrati in 1° persona da vari personaggi, canon e originali. "Nuovo Personaggio" indica la famiglia Sherton e altri OC.
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HABARCAT (Chap. 1/20) *** ORION (Chap. 21/24) *** HOGWARTS (Chap. 25/39) *** MIRZAM (Chap. 40/52) *** STORM IN HEAVEN (Chap. 53/62) *** CHAINS (Chap. 63/X) *** FEAR (Chap.97/) ***
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VINCITRICE 1° TURNO "Harry Potter Final Contest"
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Genere: Avventura, Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: I Malandrini, Mangiamorte, Nuovo personaggio, Regulus Black, Sirius Black
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Malandrini/I guerra magica
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'That Love is All There is' Questa storia è tra le Storie Scelte del sito.
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That Love is All There is

Terre_del_Nord

Slytherin's Blood

Habarcat - I.009 - Amicizia

I.009


Severus Snape
Spinner's End, località sconosciuta - giov. 25 febbraio 1971

    "Corri! Corri! Prendilo!"
    “Sbrigati, Sam, ci sta scappando!”
    “Ora lo blocco io!”

Sentii la "manona" di Eddy Thompson che mi ghermiva il retro del misero cappottino, tirò e udii il rumore inconfondibile della stoffa della fodera che si strappava. Mia madre mi avrebbe rimproverato, me lo meritavo: sapevo quanto costava la stoffa, e quanti pochi soldi ci restavano. Ma in quel momento dovevo scappare, o sarebbe stata la fine per me, se mi avessero raggiunto. Non l'avevo fatto apposta, non me l’ero cercata, io non me la cercavo mai, eppure anche quel giorno, appena era suonata la campanella della pausa pranzo, i soliti prepotenti mi avevano preso di mira, mi avevano accerchiato e, oltre a farsi beffe di me, come sempre, avevano cercato di picchiarmi. Io non l’avevo fatto apposta nemmeno quando Roger Templeton mi si era gettato contro, cercando di tirarmi un pugno in faccia, ma stranamente i lacci delle sue scarpe si erano annodati tra loro ed era caduto con un tonfo sordo in mezzo alla neve: in quel frangente ero scappato, mentre i teppistelli venivano investiti dalle risate di tutti i ragazzini del cortile. Anche i suoi: un timido sorriso aveva illuminato per un attimo la mia ennesima giornata buia. Era quello che mi capitava sempre, se Lily Evans era presente.
I cinque bulli non l'avevano presa affatto bene e a quel punto, per riportare in alto il proprio nome, avevano dato inizio al gioco più popolare della scuola elementare di "Hollies Way": "Caccia al ragnetto" detta anche “Caccia al gufetto". Mi chiamavano così dal primo giorno di scuola, per via del mio aspetto malatino, capelli neri e untuosi, colorito pallido, per non dire giallastro, fisico da moscerino, abiti sempre inadatti, o troppo grandi o troppo corti. E le cose erano peggiorate ulteriormente quando fu evidente che ero il più bravo della classe. Correvo: m’intrufolai tra il cortile e il capanno del custode, sentii le voci avvicinarsi, saltai la recinzione, camminai sul muretto, superai anche quello e mi ritrovai finalmente fuori dalla scuola. Misi ancora più urgenza nelle mie gambe e voltai l'angolo: mia madre mi avrebbe punito, la maestra l'avrebbe informata che ero scappato e, soprattutto, stavolta avevo perso anche la cartella con tutto quello che c'era dentro. Eppure non era proprio il caso di tornare indietro, dovevo tenermi alla larga per quel giorno, tra l’altro non era la prima volta che capitava, sapevo a cosa andavo incontro. Rallentai, fino a fermarmi, non avevo più fiato, mi piegai a metà, le mani sulle ginocchia, a bocca aperta, sperando di raccattare più ossigeno che potevo: fu allora che mi saltarono addosso, quei maledetti si erano mossi, silenziosi e rapidi, tagliando per il sottopasso. Che stupido a non averci pensato io! Mi misero subito sotto, di sicuro mi avrebbero rotto di nuovo il naso e incrinato qualche costola, Eddy era una balena, a dieci anni pesava già oltre ottanta kg: era di questo che si pavoneggiava sua madre nel quartiere, soprattutto quando incrociava la mia. Il pugno arrivò alla faccia ed io presi a contare nella mia mente, avevo scoperto che pensando ai numeri, a volte, mi estraniavo a tal punto da me stesso da non percepire più come mio il corpo che veniva pestato. 1, 2....Non dovevo piangere. 3.... 5.. non dovevo...

    "Brutte canaglie che state facendo! Mariniamo la scuola eh! Andiamo a rubacchiare in giro? Ora chiamo la polizia!”

Jeffrey Coltrane uscì dal suo negozio di idraulica all’angolo e li mise in fuga, brandendo il vecchio fucile da caccia che aveva ritirato fuori da quando, per quattro volte di seguito, dei giovinastri gli avevano depredato il magazzino. Era un burbero misantropo, con una fosca nomea, sembrava che avesse ammazzato due persone da giovane e solo grazie al buon cuore del vecchio padrone del negozio aveva da decenni quel posto, prima da garzone poi da gestore. Quando mi vide al suolo, immobile, mi raccolse su, prendendomi per il bavero, poteva sollevarmi con una mano sola: a me, da sempre, da quando mia madre me ne aveva parlato la prima volta, ricordava un gigante.

    "Ah, il figlio di Prince... sei strano proprio come tua madre, eh?"

Mi diede una pacca sulla schiena e mi portò dentro, mi versò una tazza di brodo caldo e un'aletta di gallina. Mi guardò mangiare con una strana espressione, sembrava quasi che mi misurasse.

    “Non ho di meglio, a te servirebbe carne vera, ma vedi d mangiare almeno questo o quelli là son capaci di spezzarti la schiena.”

Rimasi a mangiare in silenzio anche due patate e una carota, mi versò un’altra scodella di brodo, poi si alzò, andò nel retro e tornò con un fiascone di acqua ossigenata.

    “Non ho di meglio!”

Mi strofinò energico sul sopracciglio pesto, bruciava come l'inferno. Infine, sempre di mala grazia, mise un cerotto, dandomi l’aspetto di un "ragnetto corsaro".

    “Vedi di tenerti alla larga da quelli, Prince, altrimenti, prima o poi, qualcuno chiamerà i servizi sociali e tua madre non avrà più nemmeno te.”

Mi rivolse uno sguardo profondo. Si diceva che la sua sventura fosse iniziata proprio perché la sua famiglia era troppo povera e l’avevano affidato ad un istituto da cui era scappato, dandosi poi alla macchia per anni, crescendo come un selvaggio. Lui non poteva sapere che io non ero destinato a niente di tutto ciò: io avevo la scuola di magia di Hogwarts, a cui ero iscritto dal momento della mia nascita, da bravo mago...

    “Nessuno mi porterà via da mia madre!”
    “Certo, certo, figliolo, nessuno… a parte Dumbledore!”

Lo disse in un soffio, e a me quasi cadde la tazza di mano, mi sembrò che mi facesse l'occhietto con aria burbera.

    “Come ha detto?”
    “Nulla! Ora vattene e dammi retta, tieniti lontano dai guai, settembre non è poi così lontano, no? E se ti trovassi ancora nei pasticci con quelli là, portali fino da me, che ci penso io! Quando passi da queste parti, puoi fermarti per una tazza di brodo, o per guadagnare qualche soldo aiutandomi in negozio, non ho più venti anni e tu almeno non staresti per strada!”

Era ormai il primo pomeriggio, in quel mentre entrarono un paio di clienti, mi squadrarono in malo modo, sapevo benissimo che avevamo una cattiva nomea nel quartiere, a causa di mio padre sempre ubriaco, che perdeva un lavoro dopo l’altro, ma non sapevo perché se la prendessero anche con la mamma: lei si faceva gli affari suoi, non dava fastidio a nessuno, non era come certe madri che per procurarsi soldi... Non aveva mai fatto nulla che potesse indurre chicchesia a dubitare di noi, di cos'eravamo davvero… Eppure, quei maledetti babbani ci deridevano, ci isolavano... ci odiavano. Uscii per strada, mi guardai attorno, i miei aggressori erano ormai spariti da un pezzo, per fortuna era una giornata rigida e ventosa, secca, col sole gelido che ormai iniziava a scendere dietro al rudere della vecchia ciminiera. Niente pioggia. Camminavo, solo, lungo i binari della ferrovia, arrampicandomi sui terrapieni ancora innevati, guardavo la città che si dispiegava come una lumaca pigra lungo le rive del fiume. Ormai la giornata scolastica era conclusa, potevo avviarmi lentamente verso Spinner’s End, per quel giorno nessuno a casa si sarebbe accorto della mia fuga, con un pò di fortuna avrei potuto persino nascondermi in camera fino al mattino dopo, nessuno avrebbe notato subito quei lividi. Finii col restare fuori a bighellonare, sperando di non incontrare di nuovo i bulli e riuscire a trovare qualche buona scusa da raccontare alla mamma. Per lo meno da qualche settimana sembrava che mio padre nemmeno mi vedesse. Non più, dopo quella notte, in cui mi aveva fatto un occhio nero perchè avevo difeso la mamma. Ero certo che l’amico di mia madre c’entrasse qualcosa con lo strano torpore di mio padre, ma lei non m diceva nulla, anzi s’incupiva ogni volta che gliene parlavo: le avevo chiesto perché quel mago era stato da noi, perché non ci aiutava se era davvero nostro amico, perché non chiedevamo a lui quello che ci era necessario. Fu l’unica volta che mia madre mi diede uno schiaffo, ricordandomi che i Prince non chiedono l’elemosina a nessuno, e di scordarmi anche di aver visto quell’uomo quella mattina. Sapevo, però, che, da quel giorno, quasi tutte le settimane, il mercoledì veniva da noi una donna dai capelli rossi, che s’intratteneva in casa per un paio d'ore e di cui mia madre si rifiutava di dirmi qualsiasi cosa. Ero certo che si trattasse di una Sherton, avevo visto le sue mani tatuate, sbirciando, non visto, dal corridoio quando era arrivata, subito prima che mia madre chiudesse a chiave la porta che dalle camere immetteva nel soggiorno.
Fin da piccolo la mamma mi aveva raccontato di Hogwarts, la scuola di magia, mi aveva fatto leggere i libri d pozioni e di erbologia ed era stato su uno dei suoi libri che avevo letto per la prima volta quel nome, Alshain: non capivo perchè l'avesse scritto, sapevo solo che era una stella della costellazione dell’Aquila, e non conoscevo nessun uomo che portasse un nome del genere. Mia madre mi parlò del suo compagno di scuola solo molto tempo dopo: era un mago della sua stessa età, era stato il più forte cercatore di Quidditch della scuola nel periodo che vi avevano studiato, ed anche uno dei ragazzi più ambiti, proveniente da una delle più nobili e antiche famiglie Serpeverdi del Nord. Non aveva delle foto di Sherton, perciò avevo fantasticato a lungo sul suo aspetto e sulle leggende che circolavano su quella famiglia, legata a Salazar stesso fin dalla notte dei tempi.
Avevo fantasticato anche sulla mia vita: come sarebbe stata se mia madre avesse sposato un altro mago, e non un babbano come mio padre? Vedere quel famoso mago, quella mattina, in casa nostra, mi aveva aperto il cuore, era la prova che presto la mia vita sarebbe cambiata, che Hogwarts era reale e aspettava solo me.

    “Attento a non cadere di sotto!”

Mi voltai di scatto e quasi caddi sul serio: Lily Evans era lì, ai piedi del terrapieno con i suoi magnifici occhi verdi e quella nuvola di capelli simili a seta rossa, sotto un cappellino di lana color panna: una fata che irradiava ovunque un’aura di bellezza e magia. Era già bellissima a dieci anni e immaginavo come sarebbe stato un giorno vivere accanto a lei, meravigliosa come la strega che faceva visita a mia madre. Sua sorella era poco lontana e ci guardava storto.Cercai di darmi un contegno e scivolai con quello che era il massima della mia grazia, ovvero ben poca; con sollievo vidi che reggeva la mia cartella. Non ci potevo credere! Mia madre non avrebbe dovuto vendersi quel poco che aveva per ricomprarmi i libri! E, soprattutto, Lily Evans pensava tanto a me, da togliermi da quel pasticcio e venirmi addirittura a cercare!

    “Questa è tua…”

La ringraziai con un cenno, e m misi a guardare dentro, c’era proprio tutto.

    “Ti fa tanto male?”

Con la mano sollevò una ciocca dei miei capelli, scoprendo il livido incerottato.

    “No, non è nulla”

Le scansai ruvido la mano, con la solita voce saccente. Mi morsi il labbro pieno di vergogna: Merlino, perchè uscivo sempre così dannatamente spocchioso con lei, che era l’unica persona che si mostrava sempre gentile e meravigliosa con me?

    “Vai a casa? Se vuoi, ti accompagnamo”
    “No Evans, allungheresti la strada per niente e non m pare il caso…”

Vidi lo sguardo sempre più risentito e acido di sua sorella: no, non era proprio il caso. Lily si avvicinò al mio viso e mi sussurrò piano con una volce dolcissima e ridente. Quasi svenni.

    "Io sono una strega, Severus, posso fare qualunque cosa… l’hai detto tu!”

Tirò fuori un righello dalla cartella e sotto gli occhi atterriti di Petunia si mise a fendere l’aria, ridendo aggraziata, simulando al tempo stesso la stoccata di un fiorettista e il morbido movimento di polso con cui, secondo mia madre, si doveva muovere la bacchetta.

    "Per la strada potresti raccontarmi di Hogwarts, no? Hai già ricevuto la lettera? Sono così curiosa, lo sai? Chi pensi verrà a parlare con imiei genitori della scuola?”

M'investì con mille parole, di cui capii appena le prime tre, ero in un mondo tutto mio, in cui esistevano solo quegli occhi, quella risata e quella voce melodiosa.

    "Severus?"

Divenni porpora, lei rise della mia faccia mortificata e sua sorella si incupì anche di più, camminando dieci passi avanti a noi, come se portasse un palo alla schiena, tanto era dritta e scocciata. Da quando l’anno prima, mentre giocava con Petunia, avevo fatto irruzione nel parco definendola una strega, Lily Evans aveva mostrato interesse per me. Lei, l’unico essere umano al d fuori d mia madre. Mentre sua sorella non poteva vedermi, come quasi tutti gli abitanti di quella insulsa cittadina di provincia. Non che mi importasse di Petunia e di cosa pensavano i babbani come lei. Io ero felice, non potevo crederci! Avevo osservato Lily varie volte per la strada, mentre s avviava a scuola, l’avevo persino seguita e spiata spesso, soprattutto nel parco, rischiando più volte di essere scoperto e per questo perseguitato anche di più, ma alla fine avevo capito: dopo un' attenta analisi, mi ero reso conto che non erano i miei occhi a sbagliarsi, nè la mia mente a sperare. No. Lily Evans era davvero una strega, lei era come me. Poco importava se, come diceva mia madre, lei era solo una sangue sporco. Lei era come me. Saremmo partiti insieme per Hogwarts, saremmo entrati insieme nella casa d Salazar e la mia vita sarebbe finalmente cambiata, basta con le umiliazioni, i pestaggi, la miseria. Basta con la schifosa vita da babbano di mio padre, io sarei stato un mago, e la cosa migliore d tutte, avrei avuto la piccola Lily accanto a me.

    “Lo sai che la prossima settimana arriverà il circo? Ci saranno anche le giostre! Vuoi venire insieme a noi?"

Ero convinto di vedere le stelline nei suoi occhi verdi, non sapevo come facesse, ma ogni cosa che guardava o toccava, sembrava illuminarsi come le vetrine dei negozi a Natale. Ma io non potevo andare alle giostre, anche se avrei voluto, non avevo i soldi.

    "Dai, dai Severus, dimmi di sì! Sarà bello, vedrai!"

Risalimmo lungo il pendio del terrapieno e avanzammo verso il fiume, mi aveva preso per mano, era morbida e calda, e il suo buon profumo m inebriava, dandomi una volta tanto l’aspetto radioso tipio di un bambino di undici anni. Si stava ormai facendo buio, eravamo arrivati sul ponte, di fronte al parco, bastava attraversarlo per entrare nella mia via, a Spinner's End.

    "Allora verrai con me Sev?"

Petunia pistacchiava nervosa i piedi sull'asfalto, di là del ponte le luci della mia casa m avvisavano che stavo per andare incontro a un brutto quarto d'ora.

    "D'accordo, Evans!"

Lily iniziò a saltellare contenta, m gettò le braccia al collo e mi stampò un bacio sulla guancia, poi disse qualcosa che non capii, tipo "a domani" o "ciao": io nn sentivo più niente, solo il caldo umido d quelle labbra sul mio viso, la mia faccia in fiamme, il cuore a mille. Attraversai volando il ponte, qualsiasi cosa fosse successa, ormai non importava.
Lily Evans mi aveva dato un bacio.


***

Meissa Sherton
Amesbury, Wiltshire - sab. 27 febbraio 1971

Il parco era nuovamente nascosto sotto una coltre di soffice neve ed io stavo da sola in prossimità del laghetto ghiacciato, a pensare; era l’ultimo giorno “inglese”, l’indomani saremmo partiti. Non sapevo perché mio padre avesse deciso di anticipare di due settimane il nostro rientro in Scozia, tra l’altro era stato anche annullato il mio viaggio con la mamma e Wezen in Irlanda, sarebbe partito solo Mirzam, al nostro posto. Sembrava che da qualche settimana si fosse inasprita una specie di guerra tra babbani in quelle terre, e mio padre non voleva che corressimo rischi inutili: i Llywelyn, la famiglia di mia madre, abitava da nove secoli a sud/est di Doire, in un piccolo villaggio fondato nella notte dei tempi, lungo il fiume Foyle. Fissavo i miei pensieri, disegnando con un bastoncino delle figure geometriche sulla neve: ero entusiasta e al tempo stesso spaventata, avrei iniziato prima i preparativi per Habarcat, con papà, a Herrengton. Per quanto mi sforzassi di immaginare, non riuscivo a farmi un’idea del tipo di prove che mi attendevano.

    “Ciao.”

Mi voltai, Sirius Black era di fronte a me, con un mantello blu scuro e l’aria beffarda. Di colpo la giornata si fece fosca. Tornai ad occuparmi delle greche che stavo disegnando: l’ultima volta che ci eravamo visti… era meglio non ripensarci più… sentii il suo solito passo baldanzoso sulla neve soffice e mi misi subito sulla difensiva.

    “Che cosa vuoi Black? Non sono più in vena di sopportare i tuoi patetici scherzi, ti avverto!”
    “Volevo parlarti, prima che partissi.”

Si avvicinò ancora un pò. Tornai a guardarlo, con l’aria omicida delle migliori occasioni.

    “Io non ho nulla da dirti, Black, e non mi interessa sentire quello che vorresti dirmi tu. È meglio se torni dentro, al caldo, da tuo fratello e tutti gli altri!”
    “Regulus è rimasto a casa, ieri ha avuto un piccolo scontro con la mia... bacchetta. È stato tuo padre a dirmi dove potevo trovarti…”

Gli sfuggì un ghigno perfido. Io non sapevo cosa mio padre ci trovasse in quell’idiota, però, con quella frase, Sirius aveva trovato il modo sottile e vigliacco per dirmi che dovevo ascoltarlo per forza. Incrociai le braccia al petto e lo guardai, desiderosa che quella farsa finisse presto e mi lasciasse finalmente in pace. Fu allora che notai che teneva qualcosa sotto il mantello: mi preparai al peggio, ma ero sollevata di essermene accorta in tempo, forse non potevo evitare l’inevitabile, ma almeno non gli avrei dato la soddisfazione di vedermi spaventata.

    “Non so quali diavolerie tu abbia architettato stavolta, Black, ma ho visto che hai nascosto qualcosa là sotto.”

Volevo sembrare decisa, ma mi accorsi di avere una sfumatura supplichevole nella voce, e me ne vergognai. Sirius, con faccia annoiata, aprì appena il mantello mostrando un sacchetto di cioccorane.

    “Giusto, il mio regalo di arrivederci per te, principessa, per renderti più dolce il viaggio, e convincerti a perdonarmi, se vuoi”.

Ero rimasta sorpresa, pensavo che questo non fosse da Black, non mi sembrava il tipo da chiedere perdono, ma preferivo non abbassare la guardia, anche l’ultima volta sembrava intimidito e indifeso, e invece...

    “Non le hai avvelenate, vero?”

Lo guardai sospettosa, facendo capire che non mi vendevo per tanto poco e non mi fidavo affatto di lui.

    “Soddisfatta?”

Rispose ridendo, porgendomi il sacchetto con malagrazia dopo averne mangiate un paio e aver finto di rimanere avvelenato all’istante, strabuzzando gli occhi e strappandomi un sorriso, per quanto era buffo; poi si diresse verso il laghetto, in silenzio. No, Black non era come tutti gli altri, aveva chiesto scusa, aveva fatto un’offerta, a modo suo, e ora stava a me decidere. Non era il tipo da genuflettersi per ottenere il mio perdono, e forse meritava di ottenerlo proprio perché non era un patetico “molliccio” come tanti che avevo incrociato, che tremavano davanti al nome d mio padre.

    “D’accordo Black, Ti posso concedere un’altra possibilità, anche perché non voglio che tu mi rovini l’estate, quando verrai a Herrengton. Se non mi farai altri stupidi scherzi, avrai il mio perdono pieno, alla fine dell’estate.”

Mi sorrise mentre mi prendeva la mano che gli avevo offerto, la sua presa era energica, ma anche gentile: il patto era sancito, mi chiedevo se avesse tanto onore da rispettare l’impegno.

    “Ti va di giocare a scacchi magici con me?“
    “No, non mi piacciono gli scacchi, io non sono come mio fratello.”

M diede le spalle e si mise a fissare il laghetto ghiacciato. Certo che era proprio strano!

   
Ti prenderai un malanno, se resti qui, tra poco riprenderà a nevicare! Non importa se non vuoi giocare con me, ma ti conviene seguirmi. Se passiamo da quella porta saremo subito al riparo".

Gli indicai la porta a vetri del salone che usavamo d’estate, posto sotto la mia camera, acconsentì, probabilmente solo perché la neve già cadeva sempre più fitta. Vidi che mi seguiva incerto.

    “Sei sicura di potermi invitare?”
    “Io non sono come te!”

Ghignai e me lo lasciai dietro mentre salivo la scala, correndo stranamente felice. Sirius non aveva mai visto quella parte della villa, era stato sempre e solo nelle stanze aperte agli ospiti durante le feste e i ricevimenti: la scalinata che portava alle stanze padronali assomigliava oggettivamente a quella di Grimmauld Place, con appesi alle pareti tutti quei ritratti di maghi e streghe del passato che seguivano il passaggio e bisbigliavano dietro a quanti si avventuravano lungo i gradini, ma confrontando il tutto con la casa dei Black, ad Amesbury c’era molta più luce e un maggiore senso di calore e intimità. Arrivati in cima alle scale, i miei pensieri su quale fosse l’elfo più orrido che avevo intravisto esposto a Grimmauld Place furono interrotti: Sirius sembrava rimasto inebetito davanti al ritratto di mia nonna, Ryanna Meyer, una strega dai capelli corvini e gli occhi d’acciaio, che lo guardava con aria severa e altezzosa. Sembrava rimasto senza fiato.

    “Chi è la donna del ritratto?”.
    “Dovresti riconoscerla, è Ryanna Meyer, la mia nonna paterna”.
    “Merlino, Meissa, le assomigli tantissimo!”

Non riusciva a staccarle gli occhi di dosso, estasiato. Sorrisi, timida: lui non poteva saperlo, ma dicendomi una cosa simile mi aveva fatto un complimento enorme, perché nella nostra famiglia e nelle terre del Nord la bellezza di mia nonna era ancora leggendaria.

    “Andiamo dai, prima che qualcuno ci veda per le scale.”
    “Allora stiamo davvero infrangendo qualche regola di casa Sherton, principessa! Che dici? Sarò all’altezza della sala delle torture di tuo padre?”

Mi fece un occhiolino, complice, ed io trattenni a stento un’altra risata mentre aprivo la porta e mi affrettavo ad entrare, chiamai subito Kreya. Sirius mi seguì curioso e si ritrovò nella mia stanza dei giochi, che assomigliava a una gigantesca casa delle bambole, in cui i colori pastello, soprattutto il rosa e il giallo chiaro, dominavano su tutto.

    “Lo sapevo, ecco la prova che sei una bambola animata! Qual è il tuo angolino?”.
    “Sei sempre il solito villano, sei proprio senza speranza!”.

Gli voltai le spalle fintamente offesa, rivolgendogli a bassa voce un paio d insulti giocosi in gaelico, fingendo di prendermela con me stessa per essermi illusa.

    “Non vale, Sherton lo sai che non conosco lo scozzese, non mi provocare!”

Mi guardava innocente, ma ero sicura che avesse capito che stavo giocando, forse conosceva abbastanza del mio dialetto da capire che non l’avevo affatto insultato. Divenni rossa, Merlino, cosa stavo facendo? finsi di non averlo sentito, gettai il cappotto su una sedia, e mi rivolsi a Kreya.

    “Se cercano Sirius digli che sta giocando qui con me, l’ho invitato altrimenti diventava un pupazzo di neve!”

Lo guardai deridendolo, poi congedai l’elfa con tono autoritario e Sirius trattenne a stento una risatina di scherno.

    “Cos’hai da ridere adesso ? Ti sembra una cosa tanto divertente?”
    “No, è che... Se lo dicessi io, invece di rassicurarsi, si materializzerebbero tutti quanti in camera mia in un attimo!”
    “Certo, tu sei un criminale degno delle prigioni di Azkaban!”

Risi acida e gli diedi le spalle.

    “Ah davvero? E tu cosa saresti? Se m’ hai invitato nelle tue stanze benchè mi consideri adatto a Azkaban, sei già folle d’amore per me, è questa la verità! Immagino quanto sarà contenta mia madre quando glielo dirò!”.

Rise sarcastico e io divenni color peperone, non sapevo se di rabbia, di paura o di vergogna.

    “Quale amore, Black?! Ho dato ospitalità a un reietto, che stava morendo di freddo nel mio giardino!”

Mi voltai a guardarlo con aria di sfida, mentre Sirius, appoggiato ancora alla porta della camera, rispondeva con occhi sempre più divertiti. Merlino… che stavo facendo? Una volta avevo visto Rigel comportarsi così con la figlia di Emerson e Mirzam l’aveva poi preso in giro per giorni dicendo che ci aveva “flirtato”! Ormai di color rubino, mi avvicinai alla libreria, dandogli le spalle, se l’avessi guardato ancora non sarei più stata capace di parlare.

    “Vuoi vedere l’album del Quidditch o sei talmente “inutile” che non ti piace nemmeno quello? Preferisci tenere su la porta, Black?”
    “L’album del Quidditch di tuo padre?”

Annuii e Sirius smise di fare immediatamente l’idiota, si tolse il mantello, stranamente entusiasta, lo buttò su un’altra sedia, avendo cura di togliere la bacchetta che dal giorno del compleanno, benché non potesse usarla, teneva sempre con sé: trattenne di nuovo un sorriso perfido ripensando, probabilmente, che il giorno prima non aveva fatto molta attenzione mentre giocava con la bacchetta davanti a Regulus. Gli feci segno di sedersi mentre io provavo a salire sulla sedia per prendere l’album, su un ripiano, troppo alto.

    “Aspetta!”

Sirius si avvicinò, salì sulla sedia al mio posto, si sporse sulla mensola e indicò il libro, io annuii e lui lo prese. Balzò dalla sedia, e con un inchino mi consegnò il libro.

    “Al tuo servizio principessa!”

Non potei fare a meno di ridere.

    “Non c'è nulla da ridere, Sherton! Quando voglio sono davvero un Black, ricordatelo!”

Mi fece l’occhietto. Cosa Merlino voleva dire? Ricordai che la mamma, parlando con mia zia, diceva sempre che i Black facevano scuola, per eleganza e galanteria: avevo già notato che i figli di Walburga erano sempre perfetti rispetto a molti nostri coetanei, ma non avevo mai considerato che fossero due Orion Black in miniatura. E di Orion Black si diceva che fosse stato uno dei più famosi dongiovanni di Hogwarts, ai suoi tempi, anche più di mio padre. Sirius si mise ad ammirare l’album di papà, in cui erano raccolte alcune foto di quando era il cercatore di Serpeverde a Hogwarts: notai che si soffermò su una foto in cui festeggiava la vittoria con Orion, papà reggeva la coppa e Black la sua scopa. Sirius aveva un’aria strana, era sparita la sua proverbiale aria canzonatoria, sembrava quasi triste.

    “Sirius? Va tutto bene?”
    “Cosa? Ah sì, sì, certo, sto benissimo, se tu sei accanto a me, mia dolce principessina!”

Mi prese la mano e me la baciò, io la ritrassi attonita, non capivo quegli sbalzi d’umore.

    “Smettila Black, io non sono una di quelle frignanti ragazzine inglesi che frequenti a Londra!”. 
    “Salazar, sei già gelosa Sherton? Dimmi di sì e ti giuro che non guarderò mai più in tutta la mia vita un’altra ragazza, giuro!“

E fece il segno del giuramento magico sul suo petto.

    “Quanto sei scemo! Volevo solo dire… che …”
    “Che?"

Salazar, in che situazione mi ero messa, e ora cosa gli dicevo? Sirius mi guardava con un'aria strana, non capivo più se era davvero interessato o si stava preparando a ridere, per come m ero messa nel sacco da sola.

    “Perché sei così triste? Perché la foto dei nostri genitori t ha spento il sorriso?”
    “E perché dovrei dirlo a te?”

Il sorriso radioso gli sfiorì subito sulle labbra e rimase un attimo pensoso, come quel pomeriggio sotto al platano.

    “Perché se vuoi posso essere un’amica per te….”
    “Cosa ti fa credere che io ne abbia bisogno, Sherton?”

Stavo per rispondergli male, picchiarlo anche, perché se continuava così, forse mi sarei messa a piangere. Perchè doveva essere così odioso anche adesso che gli parlavo col cuore in mano?

    “Perché tu mi hai seguito quel giorno nella neve, senza nemmeno sapere chi fossi, perchè hai avuto paura per me, pensando che mi fossi ferita. Rigel mi ha detto tutto. Sarai anche pazzo e scemo, Black, ma … io nn dimentico.”
    “Forse... se avessi saputo che eri tu…."

Mi guardò divertito, a me salirono le lacrime agli occhi.

    "No, scusa, non è vero. Mi sono preoccupato davvero quel giorno. E sono stato davvero fiero di te, quando li hai messi in riga… Sai, penso sarà un’estate entusiasmante per noi, Meissa, perchè io ti dimostrerò di meritare il tuo perdono e tu ... diventerai mia amica.. Ci stai?”
    “Sì. Ci sto.”

Mi guardò, serio, ma presto la luce giocosa ebbe la meglio e non potemmo evitare di ridere come mai avevamo fatto finora.

    “Comunque, Sherton, non credo m vedrai spesso a Herrengton, conto di andare in giro per boschi con tuo padre e i tuoi fratelli, lascerò che sia Regulus a frignare attorno alle tue gonne!”

Rise di nuovo.

    “Tu per i boschi di Herrengton, Black? Merlino! Devo ridere? Tu ti perderai già nel cortile, altro che boschi! E poi ti illudi che mio padre porti a zonzo voi, lasciandomi a casa? Tu non hai proprio capito nulla di quello che ti aspetta, Black, quest’estate mio padre ti rimetterà in sesto quel tuo cervellino malato! Ecco quello che ti succederà!”
    “Vogliamo scommettere, Sherton?”
    “E cosa vorresti giocarti, Black?”

In quel momento, Kreya si materializzò nella stanza ormai satura della nostra strana complicità, facendoci sussultare: dovevamo scendere, i suoi erano pronti per ritornare a Grimmauld Place; Sirius mi diede la mano, col suo solito sorriso radioso.

    “Sai, Mey, magari mi sto sbaglaindo, ma ho la sensazione che qualsiasi cosa accadrà, io e te saremo amici per sempre!”

Il momento zuccheroso passò subito, lui mi diede un bacio sulla mano e mi guardò strano, io gli lanciai uno dei miei soliti sguardi di sfida: tornammo rapidamente ad essere noi stessi, in silenzio seguimmo Kreya fino nel salone dove ci aspettavano i suoi genitori. Mi spaventò, come sempre, l’aria compiaciuta con cui m guardò Walburga, ma stavolta c'era qualcosa di nuovo che mi rendeva allegra. Sirius Black era stato sincero, e di certo saremmo diventati buoni amici.



*continua*



NdA:
Ringrazio quanti hanno letto, hanno aggiunto a preferiti/seguiti/ecc, hanno recensito e/o hanno proposto/votato questa FF per il concorso sui migliori personaggi originali indetto da Erika di EFP (maggio 2010).

Valeria



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