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Autore: Thingsthinker    30/01/2015    3 recensioni
La nostra era una famiglia normale, più di tante altre. Il fatto che le foto del matrimonio, in salotto, raffigurassero due uomini invece che un uomo e una donna, non ci sembrò mai importante. Perchè in fin dei conti non lo era.
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Una volta vidi un gruppetto di maschi sospingere una bambina ridacchiante verso Evald.
"Mettile una mano sotto la gonna, dentro le mutande." gli dissero "Sennò sei frocio."
Frocio. Fu la prima volta che sentii quella parola. Non l'ho mai dimenticata.
Evald si rifiutò. Gli dissero che i suoi padri gli stavano insegnando la frociaggine. Lui rispose che gli insegnavano il rispetto per le persone: in quel momento, in contrasto con la frase appenta pronunciata, Evald picchiò i bambini.

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I genitori di Anette e Evald sono due uomini.
Qualsiasi normalità è una normalità felice, finchè non incontra la normalità degli altri.
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Diversi Futuri Presenti'
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  LA FAMIGLIA NORMALE

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DI ANETTE E DI EVALD; E DI COME IMPARARONO A CONVIVERE CON SE STESSI.


La nostra era una famiglia normale, più di tante altre.
Io - Anette -, Evald, papà Fabian, papà Glenn.
Il fatto che le foto del matrimonio, in salotto, raffigurassero due uomini invece che un uomo e una donna, non ci sembrò mai importante. Perchè in fin dei conti non lo era.
Le dinamiche della nascita mia e di Evald ci furono chiare fin da quando riuscimmo a comprendere termini come "omosessuale", "fecondazione", "prestito".
Il prestito che venne compiuto - per ben due volte, a distanza di un anno - fu quello della pancia di Helene, una cara amica dei papà che viveva in America. 
Che Helene fosse una donna venticinquenne, contraria all'amore e alle relazioni fisse, con una grande fede nel sesso occasionale, quello lo scoprimmo dopo.
All'epoca io avevo otto anni ed Evald nove, e già capire quello che ci stavano dicendo ci pareva complicato. 
La cosa, più o meno, era andata così: dapprima papà Fabian aveva inviato per posta ad Helene un minuscolo Evald che lei aveva messo nella sua pancia e aveva fatto nascere nove mesi dopo, quando i genitori lo erano andati a prendere.
L'anno dopo papà Glenn aveva inviato una piccola me ad Helene, e proprio come per Evald, mi erano venuti a prendere nove mesi dopo.
In realtà Helene non era la nostra mamma: era una comune amica di famiglia, che ci chiamava una volta al mese e ci mandava tanti baci attraverso la cornetta del telefono.
Quella nostra famiglia, a noi sembrava più che normale.

I problemi cominciarono quando Evald cominciò la prima media. Il fatto che i nostri genitori fossero due uomini non ci mise molto a venire a galla. I suoi compagni di classe, ragazzini spietati dotati di una cattiveria lucida che è propria di tutti gli undicenni, cominciarono a ricoprirlo di parole pesanti, a sbeffeggiarlo. Dapprima scherzarono, Evald tentò di riderci su. Poi la cosa si fece pesante: venne escluso, nessuno parlava con lui, lo additavano.
Io frequentavo l'ultimo anno di elementari, lui la prima media. Le nostre scuole avevano il cortile in comune. Una volta vidi un gruppetto di maschi sospingere una bambina ridacchiante verso Evald.
"Mettile una mano sotto la gonna, dentro le mutande." gli dissero "Sennò sei frocio."
Frocio. Fu la prima volta che sentii quella parola. Non l'ho mai dimenticata.
Evald si rifiutò. Gli dissero che i suoi padri gli stavano insegnando la frociaggine. Lui rispose che gli insegnavano il rispetto per le persone: in quel momento, in contrasto con la frase appenta pronunciata, Evald picchiò i bambini.
Tutti. Era mosso da una furia cieca, li spintonava, li gettava a terra, tirava calci. Uno si ruppe il naso, cadendo mentre correva via. Per la prima e ultima volta, ebbi paura di mio fratello. Ma corsi da lui e lo abbracciai stretto, la fronte all'altezza del suo cuore: potevo sentirne i battiti accellerati, il sangue fluire impetuoso nelle vene.
Evald cambiò scuola, la prima di tante.

Per dimostrare a qualcuno - forse a se stesso - il suo essero maschio, un vero maschio, Evald cambiò radicalmente. 
Divenne volgare, impetuoso, impulsivo: la sua camera - come la sua mente - sembrava il risultato dell'esplosione di una bomba atomica in miniatura. Le litigate con i nostri genitori - che c'erano sempre state - durante la sua adolescenza raggiunsero livelli mai visti. Una volta accusò nostro padre Glenn di essere "una checca senza spina dorsale", e ricevette il primo ceffone della sua vita.
Ma fu una settimana dopo che mi preoccupai davvero. 
Mi scappava la pipì e corsi in bagno senza bussare. Spalancai la porta ed entrai, la chiusi alle mie spalle. Poi mi voltai.
Appoggiato al lavandino, gli occhi grigi fissi su di me attraverso lo specchio, c'era Evald.
E dipinta sul volto aveva la colpa del sangue vermiglio sul lavandino, la vergogna della lametta che giaceva a terra, il tentativo di coprire il dolore con altro dolore.
Non gridai, dovetti sopprimere l'ulrlo nelle profondità del cuore - ancora oggi, qualche volta, sento che è rimasto lì. 
Mi avvicinai a lui, tamponai il taglio con la carta igienica, aprii la finestra e lanciai di sotto la lametta, piangendo. Aprii il rubinetto e lasciai correre l'acqua gelida per lavare via il sangue e il dolore.
Fissai Evald, così simile a me negli occhi chiari, nei capelli biondi; i nostri nasi erano diversi, come la linea delle sopracciglia. Aveva un volto più affilato del mio, più attraente, la durezza dello sguardo lo rendeva quasi cattivo, pronto a difendersi. Ma in quel momento mi sembrò così spaventosamente debole, quasi che il vento che entrava dalla finestra avesse potuto spezzarlo. La chiusi.
Io piangevo, avevo un anno e dieci centimetri meno di lui, ma lo abbracciai e lui sembrò restringersi per entrare nelle mie braccine esili di quattordicenne.
- Non l'ho mai fatto. E' la prima volta, io... -
- So che non lo è. Vedo i tagli quando ti cambi la felpa e faccio finta di niente, perchè ho paura. A toglierti tutto questo sangue ti toglierai anche l'anima. -
Mi guardò, lessi negli occhi chiari una profonda ammirazione.
- Non lo farò più, Anette, te lo giuro. -
Non so dire, ora, se gli credetti; forse mi aggrappai ad una esile, fittizia speranza bianca, splendente nel buio soffocante che stava risucchiando Evald.

Per me, la mancanza di una figura femminile fu altrettanto dolorosa.
Quando mi vennero per la prima volta le mestruazioni fui così imbarazzata da non dirlo a nessuno per due giorni e a girare con una palla di carta igienica nelle mutande, poi fui costretta a dirlo alla mia amica, che mi accompagnò a comprare degli assorbenti.
Quando i miei papà lo seppero, si dispiacquero e mi fecero un lungo discorso sul fatto che a loro potevo dire e chiedere qualunque cosa, e bla bla bla. Ma si sa, i discorsi non servono mai a migliorare le cose.
Mi piaceva fare shopping con mio padre Fabian, poi mi accorsi di tutte le altre ragazze con le loro mamme dai tacchi alti. Non mi era mai sembrato strano, ma cominciò ad esserlo.
Molte cose cominciarono a non rientrare più nella normalità.

Posso dire che a salvare la mia famiglia, in quegli anni, fu in parte Marlene.
Marlene che veniva da una famiglia allargata di cinque figli in totale, entrambi i genitori risposati due volte, una famiglia moderna di larghe vedute.
Aveva un anno più di me e, a sedici anni, diventò la mia figura femminile di riferimento.
Aveva l'età di Evald e, a sedici anni, si innamorarono.
E anche se quell'amore non durò per sempre, salvò Evald. Lo convinse di essere maschio abbastanza, buono abbastanza, coraggioso abbastanza. Lo convinse che poi, alla fine, non doveva essere niente all'infuori di se stesso. 
Quell'amore sbiadì le cicatrici rosse sui polsi di mio fratello, e forse grazie alla sua forza di volontà, forse grazie alle mie preghiere recitate piangendo, non comparvero mai più. 

Con la fine della nostra adolescenza arrivò la consapevolezza di quanto fosse relativo l'essere normali. E capimmo anche che preferivamo non esserlo.
Imparammo ad amare la diversità e ad ignorare l'ignoranza, poichè è l'unica cosa che essa merita. 
Ci volevamo bene ed è tutto ciò che conta, in una famiglia.
Quindi, alla fine, la nostra era una famiglia normale, più di tante altre.


 
 

QUESTA STORIA FA PARTE DELLA SERIE "DIVERSI FUTURI PRESENTI".
PERSONAGGI E TUTTO IL RESTO SONO PROPRIETA' DI
stardust312, ME.
Se mi lasciate un commentino mi fate tanto piacere :3
Alla prossima!
  
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