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Autore: Rov    04/02/2015    2 recensioni
"Le ombre sono creature sfuggenti, fedeli al proprio padrone che seguono per tutta la vita, dal grembo alla tomba."
Genere: Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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~~L'ingresso del pub risentiva parecchio dell'umidità del vecchio edificio ristrutturato; le piccole increspature della parete sembravano regalargli uno strano effetto decadente, quasi fosse voluto indice di una ricercata tendenza di design.
Sulle scale c'era un gruppo di giovani: chi si lamentava, roteando sul dito le chiavi di una macchina, di aver trovato pochissimo parcheggio e chi coccolava una fidanzata affettuosa permettendole di sedersi sulle proprie ginocchia.
Astrid si fece strada in mezzo a loro con un leggero spintone, scusandosi per la sua irruenza e sfoderando un sorriso. Chiara senti l'aria di fumo pesante, cosa che normalmente non sarebbe stata un problema, ma in quella circostanza le sembrò di soffocare e, quando oltrepassò l'ingresso, si sforzò di cercare con lo sguardo il tavolo dei loro compagni di classe.
Astrid li trovò per prima; si erano sistemati ad una tavola rotonda all'angolo e qualcuno di loro aveva ordinato un drink colorato che sorseggiava tranquillamente con una cannuccia.
Kyle fu il primo a rispondere al loro saluto: indossava una maglietta fintamente sbiadita, con un logo stampato sul petto, e un paio di jeans scuri con una catenella legata al passante della cintura.
"Ci avete messo un po'..." commento Max, mentre giocava con la propria immagine riflessa in uno specchio che abbelliva la parete.
"Lev ha trovato la patente nelle patatine!" commentò Astrid, facendo uno strano sorriso che Chiara non riuscì a cogliere.
Emma portava un paio di pantaloni troppo grandi per lei, infatti continuava ad alzarsi leggermente dalla sedia e a tirarli su, e quando Chiara le sedette accanto le allungò la carta del menu invitandola ad ordinare qualcosa da bere o da mangiare.
"Io ho assaggiato un panino: li fanno buoni!" aggiunse.
"Penso che prenderò un drink."
La serata trascorse piacevolmente; quello non era il genere di pub in cui i baristi iniziavano ad alzare gli occhi al cielo, con aria scocciata, se rimanevi troppo tempo seduto al tavolo, oppure se usufruivi troppo spesso del buffet.
Kyle aveva preso a fare degli strani giochetti piegando un tovagliolo, mentre Max l'aveva intrattenuta per una buona mezz'ora parlandole del campionato e del nuovo colore delle divise della squadra che, a quanto pareva, avevano destato il disappunto di tutti i giocatori perché ritenute troppo effeminate.
Chiara, ad un tratto, portò istintivamente la mano alla tasca ed estrasse il cellulare.
Il cuore le esplose nel petto quando notò che, su quello schermo, immobile da qualche minuto, era comparso un messaggio non letto.
"Luca!" esclamò nella sua testa, ma non disse nulla.
Si sporse dalla sedia su cui era seduta e con un gesto ampio della mano, quasi per scusarsi per doversi assentare qualche minuto, si alzò.
"Dove vai?" domandò Astrid, aprendo leggermente la bocca in una smorfia.
Chiara, per tutta risposta, si voltò mentre si dirigeva verso la porta e fece tintinnare allegramente il telefono nella propria mano.
"Un minuto!"
Si fece strada tra i ragazzi all'uscita e, quando arrivò alle scalette dell'ingresso, si sedette brandendo il cellulare tra le mani con una strana fitta allo stomaco.
Il messaggio in attesa di essere letto era effettivamente di Luca e se ne stava lì, in tutta la sua semplicità, a provocare una grande angoscia; Chiara pensò che quella sua reazione emotiva non fosse propriamente sana, tuttavia si apprestò a selezionarlo con la tastiera per aprirne il contenuto.
"Chiamami." lesse ad alta voce.
Poteva voler dire qualunque cosa: una buona notizia o una cattiva notizia.
E il mal di stomaco peggiorò.
Distrattamente si alzò in piedi e cominciò a comporre il numero di Luca, che ormai sapeva a memoria anche senza bisogno di consultare la rubrica.
"Pronto!" esclamò la voce metallica al di là del ricevitore.
"Dimmi." disse Chiara, rendendosi conto di non aver nemmeno avuto l'accortezza di salutare il suo ragazzo per nome, dopo tanto tempo che si erano negati al telefono.
La sensazione di malessere era troppa per perdere tempo in stupidi convenevoli.
Luca esitò, dall'altro capo, facendo una lunga pausa gravosa.
"Come stai?"
Chiara non seppe che cosa rispondere: forse sarebbe stato meglio dire che stava male, che Luca le mancava e che non vedeva l'ora di tornare a Rilke per stringerlo di nuovo tra le sue braccia; oppure avrebbe dovuto dire semplicemente la verità, aggiungendo con noncuranza che si trovava ad un pub con alcuni compagni di scuola.
Nel dubbio non disse nulla.
"E' da molto che non ci sentiamo."
"Lo so: avevo da fare." commentò lui, inserendo un'altra delle sue pause.
"Senti, ho pensato che sarebbe stato giusto chiamarti per dirti che sto uscendo con una."
Chiara smise di camminare a vuoto davanti all'ingresso del pub: i suoi pensieri andavano ad un telefono che era rimasto abbandonato in borsa per tutti quei giorni, aspettando una telefonata speranzosa; poi si focalizzò irrimediabilmente sul dubbio che aveva istigato Astrid.
"Secondo te sta con qualcun altra?"
La odiò.
La odiò con tutto il cuore, quella strega malefica che se ne stava felicemente seduta sulle cosce del proprio fidanzato a ridacchiare.
Senza farci caso Chiara cominciò a camminare velocemente, spingendosi oltre il parcheggio e animata da un senso di disgusto nei confronti di ogni cosa: verso Nathaniel per averla costretta a trasferirsi, verso i suoi compagni di classe per aver cercato di farle abbracciare quell'apparente felicità illusoria e verso sè stessa per non aver capito nulla.
L'odio dilagò contaminando tutti.
Tutti tranne Luca.
"Chiara, sei ancora lì?" gracchiò poi quella voce metallica oltre il ricevitore, ma sembrò che ad emetterla si trattasse di un estraneo.
"Sì, sono quì."
Tutto l'ambiente circostante iniziò a sembrare piccolo e soffocante, nonostante Chiara si fosse spinta fino dell'uscita del parcheggio.
"Hai capito cosa ti ho detto?" domandò ancora la voce.
Forse era solo questione di aspettare.
Forse la stanza era di nuovo tornata nell'oscurità e nessun tentativo convulso di accendere quella luce sembrava funzionare.
Chiara si domandò se la lampadina si fosse fulminata per sempre e una lacrima le regò il volto.
"Sì, ho capito. Va bene."
Perchè l'aveva detto?
Non lo pensava affatto, non andavano affatto bene! Ma certo, la distanza era difficile e Luca si meritava di avere qualcuno a fianco che gli dimostrasse il proprio affetto.
Era giusto così.
La pausa, quella volta, sembrò così lunga ed estenuante che Chiara provò l'istinto di lanciare il telefono oltre il bordo della superstrada, dove le macchine correvano veloci davanti ai suoi occhi, e lasciare che lì trovasse la sua morte.
Poi Luca parlò di nuovo.
"Va bene." disse.
"Allora, beh... buona fortuna."
Ci fu una nota di esitazione in quel tono, come se gli dispiacesse sinceramente e quella telefonata fosse stata dura perfino per lui: Chiara non si domandò se la fosse immaginata, ma sperò con tutto il cuore che fosse così.
La comunicazione cadde e la luce sullo schermo del cellulare si spense immediatamente.
Equilibrio.
Fu quella la prima parola che balenò nella mente di Chiara: si sentiva come un equilibrista su una corda, sospesa tra una realtà che non voleva accettare e un mondo di illusioni che non le dava alcuna soddisfazione.
Cercò di riprendersi, di farsi forza con il pensiero, ma venne colpita da una sferzata gelida assestata da un'automobile che sfrecciava poco distante.
La superstrada era poco illuminata e, di tanto in tanto, qualcuno passava sulla propria vettura, illuminando brevemente l'imboccatura del parcheggio e il tratto di alberi adiacente.
Chiara pensò di non voler sprecare altro tempo a fingere di trovare interessante la conversazione di Max o a ringraziare Astrid per averla agghindata con quattro dei suoi stracci.
Controllò l'orologio sul display del telefono: era meglio andarsene immediatamente, senza aspettare l'umiliazione di dover essere riaccompagnata a casa da un ragazzo non suo, fratello di chissà chi, mentre Astrid si sarebbe trattenuta fino a tarda notte assieme a Kyle.
Poteva già sentire il sapore dell'umiliazione del giorno successivo; quando quella pettegola si sarebbe avvicinata domandando se il fratello aveva avuto l'ardire o, nella sua ottica, la cortesia, di allungare le mani.
"Voglio andare a casa." sussurrò Chiara, cominciando a camminare a passo svelto costeggiando il bordo della superstrada.
"Adesso."
   
 
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