Serie TV > Il Trono di Spade/Game of Thrones
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Autore: Phoenix394    05/02/2015    10 recensioni
Sansa Stark aveva sempre immaginato che la sua vita sarebbe stata bella come quella di una ballata. Aveva sognato che al suo matrimonio ci sarebbero stati fiori, abiti sfarzosi ed un bellissimo principe pronto a giurarle amore eterno. Sarebbe stato tutto meraviglioso... o almeno così credeva. Perché dai sogni ci si risveglia sempre ed il suo, di risveglio, non poteva essere più burrascoso.
Adesso, mettere un piede davanti all'altro era difficile quasi quanto riuscire a respirare. Perché colui che la stava attendendo all'altare non era un principe dall'armatura scintillante pronto a giurarle amore eterno e felicità, ma un Mastino. Ed il suo nome era Sandor Clegane.
[Storia scritta a quattro mani]
Genere: Angst, Erotico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Sandor Clegane, Sansa Stark, Un po' tutti
Note: Otherverse, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Triangolo
Capitoli:
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Persefone


 

Non riusciva a credere di averlo fatto. Aveva mandato a farsi fottere il re, la Guardia Reale e la città intera. E che soddisfazione immensa era stata quella! Sarebbe scoppiato a ridere per l'espressione amareggiata e incredula di Joffrey, se la paura non avesse preso dimora nelle sue membra sconfiggendo la baldanza.
Nel cuore della mischia aveva mietuto una vita dopo l’altra, impavido e rabbioso, mulinando lo spadone senza tregua e senza indugio. Quando tuttavia il fuoco aveva cominciato a divorare i soldati, Sandor Clegane aveva rischiato di morire. Ottenebrato dal suo più aspro ricordo, dal suo unico meschino terrore, era rimasto immobile mentre un uomo in fiamme gli rovinava addosso. Se poche ore prima gli avrebbero giurato e spergiurato che l’intervento di quel mercenario – quel Bronn – gli avrebbe salvato il culo, il Mastino si sarebbe fatto una grassa risata di scherno. Eppure, così era stato.

Voltando le spalle a tutto e dopo aver masticato le sue belle imprecazioni ad ogni entità che minacciava di trattenerlo in quella carneficina, Clegane se la squagliò e portò con sé soltanto l'otre di vino. Il suo unico e più vecchio amico, tuttavia, non gli stava donando il conforto in cui aveva sperato. Più beveva e più si sentiva sperduto alla deriva di un incubo. Dove poteva andare mentre là fuori la battaglia infuriava? Quale oscurità gli si sarebbe presentata priva di mostri?

Ogni vicolo della città era nel panico, lui era appena diventato un disertore e la Fortezza non sarebbe più stata la sua dimora. Dove cazzo poteva ripararsi? Stava accadendo tutto così rapidamente, in maniera confusa e a dir poco folle. L'adrenalina e l'alcol non gli avevano dato la prontezza di stabilire un piano per la salvezza. Il suo mondo traballava e crollava e rideva di lui. Sandor si precipitò su per le scale rischiando di cadere e spezzarsi l'osso del collo. Doveva raggiungere il Fortino di Maegor. Doveva lasciare la città, doveva portarsi via l'uccelletto, doveva... doveva...

Prese a spintoni chiunque gli si parasse davanti e si addentrò nelle mura del castello. I suoi passi riecheggiavano lungo i corridoi bui, mentre la fioca luce delle torce proiettava ombre semoventi sulle pareti di pietra. La mano sinistra di Sandor tremava, stretta attorno alla caraffa di vino, la destra si faceva largo a tentoni come a spazzare il buio in cui avanzava. Spalancò la porta della stanza di Sansa con un calcio ma lei, sfortunatamente, non era lì. Sarebbe mai tornata? Dov'è che venivano chiuse le donne durante la battaglia? Tentò di ricordarlo ma era troppo frastornato per riuscirci.

Senza pensarci caracollò verso il letto, lasciandosi cadere sul materasso. "Uccellino" pensò, chiudendo le palpebre pesanti. Fu solo allora che si accorse di come i rumori dello scontro gli arrivassero attutiti. Il verde dell'altofuoco, invece, filtrava dalla finestra quasi vivo quanto lo era là fuori.
 
Non sapeva quantificare il tempo in cui era rimasto lì a giacere. Non sapeva nemmeno dire se si fosse addormentato o la sua fosse stata una condizione di incoscienza ad occhi aperti. Poi la porta si aprì e lei era con lui. Sansa. I suoi capelli brillavano sotto i bagliori di giada ma lui non si mosse, restò acquattato nel buio. Tacque, osservando come lei studiava ciò che accadeva fuori dalla finestra. Solo quando la ragazza arretrò verso il letto, Clegane si sollevò silenzioso come un'ombra e la catturò nella sua presa, tappandole la bocca affinché non urlasse.

Quel piccolo, sinuoso corpo si dibatteva debolmente contro il suo, e tutto ciò che otteneva in cambio era una trappola più stretta. «Uccellino, sapevo che saresti venuta.»

Il respiro di Sansa si fece concitato, Sandor lo sentiva scaldargli la mano in rapidi sussulti. «Se urli, ti uccido.» disse, minacciandola in un rantolo mentre le liberava cautamente la bocca. La stretta attorno al polso, però, restò salda com'era. «Ho perso la battaglia, uccellino.» vomitò quelle parole intrise di tristezza, consapevole – perfino nell’ubriachezza - del totale fallimento della propria esistenza. «Me ne sto andando.» Non credeva che quel giorno sarebbe mai arrivato. Fino a quel momento si era figurato una vita al servizio dei Lannister; una vita triste, certo, ma per lui lo sarebbe stata in ogni caso.

«Andando?» fu la domanda di Sansa nel cercare di divincolarsi. Niente da fare. La presa di Clegane era una morsa di ferro. «E dove?»

«Lontano da qui. Lontano dai fuochi. Fuori dalla Porta di Ferro, immagino. E poi da qualche parte a Nord.» disse il Mastino, l'angolo bruciato della sua bocca che a tratti si contraeva. «Io potrei tenerti al sicuro» ansimò, più serio che mai, «Tutti quanti hanno paura di me. Nessuno ti farà mai più del male. Se lo faranno, io li ucciderò.» Non era una promessa, quella, ma una fiera constatazione. Non ricevette risposta alcuna, così attirò a sé la giovane con uno strattone, tenendosela così vicino da poter sentire il battito forsennato del suo cuore.

«Sarò al sicuro qui. Stannis non mi farà del male» disse alla fine lei, sguardo basso, le lunghe ciglia che le sfioravano il viso.

«Guardami» ringhiò lui, frustrato dall’incapacità di Sansa di sostenere la furia nei suoi occhi. E lei, timorosa delle conseguenze, obbedì. Tutto di lui la faceva rabbrividire: Sandor non aveva alcun dubbio a riguardo. Si comportava ancora da sciocca bambina piena di sogni, quanto ci sarebbe voluto perché capisse? In una notte come quella, intessuta di orrori e grida, di ferro e sangue, il Mastino avrebbe voluto strapparle dal cuore la sua fottuta ingenuità. «Stannis è un assassino; i Lannister sono assassini; tuo padre era un assassino; tuo fratello è un assassino e anche i tuoi figli, un giorno, lo saranno. Il mondo è costruito da assassini… quindi farai meglio ad imparare a guardarli in faccia.»

Poi la tirò violentemente per un braccio, facendola roteare su se stessa e gettandola sul letto. Da quella prigione - lui che torreggiava su di lei in tutta la sua imponenza - la piccola Stark non sarebbe riuscita a liberarsi. Squittì di terrore quando il Mastino, snudata la daga in un sibilo, gliela puntò alla gola. L’uomo la guardava dritto negli occhi, due laghi placidi le cui acque adesso si agitavano per il freddo metallo che le toglieva il respiro; si abbeverò presso quelle acque del Nord, attingendone come un dannato in cerca del perdono, o come un uomo in fiamme in cerca del sollievo.

Dopo quello che parve un tempo interminabile, Sansa osò parlare, con la sicurezza di una lepre bianca immobile nella neve. «Voi non mi farete del male», sussurrò, e nel silenzio innaturale della stanza la sua voce riecheggiò simile a un urlo.

Sandor sentiva le braccia tremare impercettibilmente sotto il proprio peso da ubriaco. Un piccolo movimento brusco e la lama sarebbe affondata nella gola di Sansa. «Canta. Mi devi una canzone, uccellino. Florian e Jonquil o- o quel cazzo che ti pare ma canta.» le ordinò con voce raschiante.

Lei era così bella... Così delicata... E lui aveva voglia di distruggerla, di fotterla, di rubarle tutto quello che le era rimasto: la sua verginità. Poteva portarsi via almeno quella. Poteva vincere il suo trofeo quella notte, l'ultima immensa e agognata soddisfazione prima di fuggire come un cane sciolto. Sì, gli sembrava un'ottima di idea. Ci si aggrappò con la disperata prepotenza di chi ha troppo vino in corpo e nulla da perdere.

La voce della giovane era flebile, assottigliata dalla paura, ma cantò davvero. L'ultima canzone che il Mastino si sarebbe aspettato di sentire.

"Gentle Mother, font of mercy,
save our sons from war, we pray.
Stay the swords and stay the arrows,
let them know a better day.
Gentle Mother, strength of women,
help our daughters through this fray.
Soothe the wrath and tame the fury,
teach us all a kinder way."

 
Quale meraviglia… Come faceva, come ci riusciva? Quel cinguettio strozzato si sciolse come balsamo sulle ferite di Sandor, toccando corde che lui aveva dimenticato di possedere. Fu liberatorio come un lungo acquazzone dopo la siccità. La guardava, splendida sotto di lei, con le guance arrossate, piccola eppure già donna, così perfetta e così buona, così... pura. Il cuore palpitante di Sandor si aggrovigliò e si accartocciò, ed il suo volto si bagnò di lacrime. Cosa gli aveva fatto, quella fanciulla del Nord? Cosa aveva spezzato o riedificato in lui perché riscoprisse il valore eterno e umano del pianto? Gettò lontano la daga ed il metallo tintinnò gelido sul pavimento. Fu come se ogni cosa avesse perduto senso all'improvviso per acquistarne uno nuovo, come se lui non fosse stato mai il Mastino del re, come se lei non fosse stata mai altro che sua, sua, sua. Era sua, la voleva sua. Ma non poteva farle del male, no. Era stato un folle a crederci. Neppure da ubriaco marcio avrebbe osato. Lei era... troppo. L'unica cosa che fu in grado di rubarle fu un bacio. Si abbandonò fra le labbra di lei, liberando tutto ciò che di inespresso li univa. La bocca di Sansa non era mai stata accarezzata a quel modo così passionale, così onesto. Con sua sorpresa, lei non lo respinse. Clegane tremava fin dentro il nucleo più profondo del proprio essere, le vene che pulsavano nell’estremo tendersi del desiderio.

Le urla dei soldati mandati a morire sotto le mura esplosero in un boato più alto. C’era una guerra là fuori, lui aveva deciso di fuggire, e le stanze di lady Sansa non erano un rifugio in cui potersi trattenere a lungo. In un esile barlume di lucidità, pur afflitto dai capogiri, il Mastino si staccò da lei e Sansa sembrò rinvenire dal torpore in cui era caduta con la stessa irruenza con la quale ci si risveglia da un incubo.

«Uccellino...» disse lui, rubandole un ultimo sospiro. Rigido come una lastra di marmo, Clegane si sollevò dal letto. Le sue grandi dita erano malferme, le sue guance viscide di sangue e di qualcos’altro che non era sangue. Se ne stava andando, doveva salvare la pelle. Eppure lasciare lei lì, confusa e boccheggiante, era un dolore che non avrebbe mai pensato di provare. Neppure se ne accorse, ma fece scivolare la mano fino alla tasca dei calzoni inzaccherati di fanghiglia e lasciò che il palmo si aprisse a mostrare il luccichio dell’argento che custodiva. Aveva tenuto con sé la catenina durante la battaglia e d’improvviso desiderava che lei lo sapesse; non l’avrebbe mai venduta, non ci avrebbe mai ricavato una ricca bevuta o puttane vogliose. Piuttosto, era pronto a morire stringendola fra le dita. La ripose nuovamente e, a testa china, era ormai deciso a svanire nell’oscurità.

«Fermatevi!» gridò Sansa, contro ogni aspettativa. Il Mastino, senza neppure riflettere, obbedì. Le gambe si erano semplicemente fermate. I suoi occhi grigi adesso erano fissi su di lei, ancora lì per accarezzare da lontano quel viso di bambola segnato da una qualche repentina realizzazione. «Vi prego» sussurrò lei, con voce rotta dall’emozione. «Vi prego non… non lasciatemi».

Sandor cercò di mettere ordine fra i propri pensieri, per una volta. Doveva allontanarsi, la corte non era più un posto per lui; l'avrebbero imprigionato e condannato da disertore, se fosse rimasto. Aveva ancora sulle spalle la cappa bianca della Guardia Reale, tutta insozzata di sangue. Quel pezzo di stoffa era uno sberleffo, una gran presa per il culo; un simbolo che aveva acconsentito a vestire ma che aveva tradito. Era tanto diverso dallo Sterminatore di Re, in quel momento? L'onore non significava niente se non si è disposti a sopportarne il peso fino in fondo. In quello, Ned Stark, il padre dell'uccellino, era stato un uomo diverso ed esemplare. Sandor diede uno strattone deciso e, lacerando la stoffa, si strappò via il mantello dalle spalle. Aveva chiuso col bianco. Salire in groppa a Straniero e correre senza voltarsi indietro, ecco cosa c'era da fare.

Istintivamente decise di lasciare a Sansa l'ultimo brandello della sua dignità e gettò la cappa ai piedi del letto. Lei gli aveva donato quella catenina, lui non aveva meglio per lei che una cappa logora e macchiata di sangue. Uscì senza dirle altro.

Brancolò a lungo su e giù per i corridoi, ancora stordito dal vino e dal bacio. Un turbinio di emozioni lo strattonava con violenza, conducendolo senza sosta sull'orlo della pazzia. La voce dell'uccellino gli si era conficcata in testa. "Vi prego, non lasciatemi" l'aveva implorato lei, ancora abbarbicata sul letto. Quel letto, il letto che era stato loro per pochi attimi. Colto da un conato di vomito, Sandor si piegò su se stesso, tirando fuori alcol e bile. Si lasciò cadere in ginocchio sul pavimento di pietra. Da una feritoia filtrava la luce smeraldina dell'altofuoco, la battaglia non era ancora giunta al termine.

Si prese il viso fra le mani, affondò le unghie nella carne, soffocò il grido di un uomo disperato. Doveva prendere una decisione. Sarebbe morto. Sarebbe morto da coglione se fosse rimasto; un ordine di quel reucolo ed un'intera vita di diligente servizio non gli sarebbe valsa a niente. Eppure lei gli chiedeva di non abbandonarla, di non lasciarla sola in quell'orrida tana di leoni, dov’era pronta a venire sbranata. Si interrogò a lungo, forsennatamente, su quale fosse la scelta migliore.
Quando capì quello che doveva fare, serbava in sé perfino più dubbi di prima. Com'era possibile che lei fosse diventata più importante della sua stessa vita? Presto, doveva trovare un posto in cui nascondersi. In culo tutti, sarebbe rimasto. Sfidò il destino e si rialzò, cercando una via d'uscita. Sporgendosi oltre quel baratro, un uomo saggio non avrebbe visto che la fine, ma il Mastino era ubriaco e pazzo, di vino e di le
i.


 
 
La battaglia delle Acque Nere era stata vinta dai Lannister. Le truppe di Stannis, dopo aver conquistato Capo Tempesta, avevano raggiunto Approdo del Re ed assediato le sue terre. Durante l'attacco, Sansa aveva passato tutto il suo tempo a piangere e pregare, timorosa all'idea di morire o di essere stuprata da qualche invasore. Quella notte il Mastino era giunto da lei, la sua enorme ombra scura stagliata contro il verde smeraldo dell’AltoFuoco, e ricordava ancora perfettamente il momento in cui le sue labbra ruvide e crudeli si erano premute sulle sue. Le aveva rubato una canzone e un bacio, lasciandole nient’altro che una cappa bianca insanguinata, e Sansa lo odiava per questo.

Nonostante lei lo avesse supplicato di restare, umiliandosi come mai prima di allora con nessuno, lui era andato via. Lo odiava, e allo stesso tempo lo capiva: era il fuoco la sua paura più grande, lei lo sapeva. E il fuoco, la scorsa notte, era ovunque: nel cielo, sugli alberi, nel suo cuore. Se persino lei, che era rimasta fra le mura del palazzo per tutto il tempo, aveva avuto paura, non osava immaginare ciò che il Mastino doveva aver provato.
Quando Dontos, la mattina seguente, le aveva detto che i Lannister avevano vinto, Sansa era piombata in un’angoscia persino più devastante di quella contratta la notte prima. Joffrey era ancora vivo, dunque, così come tutti i Lannister ed i loro alleati, e lei non poteva fare nulla per cambiare le cose. Stringendo i pugni lungo i fianchi, si disse che Ditocorto aveva avuto ragione: la vita non è una canzone. Nella realtà, i mostri vincono.

Quella mattina il cielo era limpido, il sole piacevole e l'aria fresca. Sembrava che nulla fosse accaduto la notte precedente, quasi gli dèi avessero deciso di farsi beffe di tutto il dolore e la morte che avevano seminato. Con il cuore a pezzi, Sansa si rivestì e si fece acconciare i capelli dalle sue ancelle in completo silenzio. Dopo un po’, un paggio giunse a comunicarle che Joffrey aveva un annuncio importante da fare e che lei doveva essere presente.

"Un'altra umiliazione", fu il suo primo pensiero, e d’istinto strinse la stoffa della sua veste con fervore. "Quale colpa mi sarà attribuita stavolta?".

Accompagnata da Shae, si diresse verso la Sala del Trono: le si prospettò dinanzi Joffrey, tutto vestito di porpora ed oro, stravaccato a braccia conserte sul Trono di Spade. Al suo fianco vi erano la Regina Cersei, Tywin Lannister e sir Ilyn Payne, la Giustizia del Re. Con una fitta di tristezza, Sansa pensò che non avrebbe mai più rivisto il Mastino. Si sistemò fra gli spalti della corte, le dita che tamburellavano nervose sulla sua coscia ed il cuore in gola. L’avrebbe fatta denudare come l’ultima volta? Sansa pregò gli dèi di risparmiarle quella crudeltà. Questa volta non ci sarebbe stato il Folletto a salvarla, né il Mastino a coprirla con la sua cappa bianca. Un brivido le salì lungo la schiena e, con la coda dell’occhio, scorse Joffrey puntare i suoi occhi acquosi su di lei. Si costrinse a sorridergli accondiscendente e ad abbassare lo sguardo, mentre la rabbia e la paura le facevano prudere le mani. Lo odiava. Lo odiava con tutte le sue forze. Odiava le sue labbra tanto simili a vermi, le sue dita ossute e lunghe, il suo sorriso perverso e quei suoi orribili occhi verdi. Oh, come avrebbe voluto che fosse morto durante la battaglia! Ma questo era impossibile, perché Joffrey non era neppure sceso in battaglia, di questo lei ne era certa: era troppo vigliacco per combattere davvero, sapeva solo dare ordini e far agire gli altri al suo posto, nascondendosi fra le sottane di sua madre quando il pericolo diventava imminente.

Ad un tratto, Joffrey si schiarì la gola ed iniziò col suo discorso di formale routine. Sansa sapeva cosa sarebbe successo dopo: avrebbe donato delle terre o dei titoli nobiliari a chiunque gli aveva fornito aiuto durante la battaglia, poi avrebbe sancito nuove alleanze e infine declassato – o ucciso – chiunque gli avesse disubbidito in qualche modo. Tra questi, Sansa ne era certa, vi sarebbe stata anche lei: Joffrey l’avrebbe fatta picchiare per i crimini contro la Corona commessi da suo fratello, proprio come l’ultima volta.

Rimase ad ascoltarlo per un tempo che parve infinito, finché un nome in particolare attirò la sua attenzione, facendola sussultare.

«Sandor Clegane della Casata Clegane», urlò uno dei paggi. Nella sala presero a sibilare un centinaio di voci, tutte cattive e piene di sdegno. Sansa le udiva bene eppure, allo stesso tempo, non ne sentiva neanche una. Era come se il tempo si fosse fermato assieme al suo cuore e alla sua mente. Non era in grado di formulare alcuna parola, di respirare persino. Qualcosa dentro di lei scalpitava ed il suo cuore batteva così forte da sentirne il rimbombo nelle orecchie. Non ci credeva… non ci credeva! Il Mastino, lo stesso Mastino che l’aveva salvata dalla rivolta della folla, che le aveva asciugato il sangue dal labbro quando sir Meryn l’aveva schiaffeggiata e che l’aveva baciata… era proprio lì, a pochi passi da lei. Dunque era rimasto... ma perché? Forse lo avevano catturato prima che potesse fuggire, non c'era altra spiegazione.

I suoi dubbi vennero ben presto colmati quando udì le altre parole del paggio. «Siete accusato di tradimento nei confronti della Corona, di aver infranto il Vostro giuramento di Guardia Reale e di aver rivolto al Vostro Re ingiurie tali da meritare la forca. Cosa avete da dire al riguardo?».

Lui rimase in silenzio, i suoi occhi crudeli che vagavano per la sala del Trono, e quando il suo sguardo incrociò il suo, grigio contro azzurro, Sansa si sentì avvampare. Per un istante, un breve, pericolosissimo istante, fu tentata di corrergli incontro, chiedergli perché fosse rimasto, che in questo modo sarebbe andato incontro a morte certa e che lei non aveva mai voluto questo, ma le parole erano come incastrate in gola e l’unica cosa che riuscì a fare fu avvicinarsi maggiormente alla balconata dello spalto davanti a lei, protendendosi verso di lui. Ad un tratto il Mastino distolse lo sguardo, serrò la mascella e la sua voce bassa e prominente riecheggiò forte nella sala.

«Così è stato. La battaglia ha disorientato i miei sensi, ma ho combattuto finché non ho creduto di vedere la fine e ho agito in maniera avventata.».

Attorno a lei, cortigiane e lord e nobili iniziarono a parlottare fra di loro, chi con aria sconvolta e chi con finti sorrisetti di circostanza di chi la sapeva lunga. Sansa li odiò tutti, dal primo all’ultimo, e li odiò ancora di più quando si rese conto con angoscia che per il Mastino non c’era più niente da fare, che le sue parole erano inutili e che Joffrey lo avrebbe fatto decapitare ugualmente proprio com’era accaduto per suo padre. Strinse i pugni così forte da graffiarsi i palmi delle mani, le lacrime che le pizzicavano la gola all’idea di dover perdere anche lui. Poi, Joffrey parlò.

«Silenzio!», disse, e la l’intera sala tacque. Non sembrava divertito, ma neppure angosciato. Era semplicemente nervoso. Dopotutto, il Mastino era stato il suo fedele cane da guardia dacché lui era nato, in un qualche modo era persino normale che fosse amareggiato. “Forse adesso capirai che se persino chi ti ha visto crescere ha finito con l’odiarti, allora sei tu il problema”, pensò Sansa, ma sapeva già che non sarebbe successo. «Il Primo Cavaliere del Re, lord Tywin Lannister, prenderà la decisione in merito al tuo fato al posto mio, Clegane».

Sotto gli occhi stupefatti e increduli di tutta la platea, Tywin Lannister si alzò dal proprio scranno e proferì, con tono solenne ed asciutto: «In ginocchio, Clegane. Il tuo re ha deciso di mostrare la sua misericordia e concederti la grazia, a fronte dei servigi resi con ineccepibile fedeltà per tutti questi anni. Non sarai più un cavaliere della Guardia Reale, ma è pur vero che hai guidato l'assalto con intrepido vigore e questo non può passare in secondo piano: il regno ha bisogno del tuo pugno di ferro. Bada, Clegane: che non esiti più, o tutto ciò che ti viene concesso quest'oggi ti sarà tolto.», lord Tywin fece una pausa, sul suo viso scavato dall’età si dipinse un mezzo sorriso. Per una frazione di secondo Sansa fu certa che avesse guardato dalla sua parte, ma presa com’era dall’euforia per la grazia concessa al Mastino non vi badò più di tanto. Poi lui prese di nuovo la parola. «Il Re è inoltre capace di grande generosità anche con chi ha perso la retta via: alla luce dei conflitti con il Nord e delle rivolte da parte di Robb Stark, a giudizio del Concilio Ristretto non sarebbe né conveniente né saggio per Sua Maestà sposare la figlia di un uomo decapitato per tradimento. Ragion per cui, per il bene del Regno, i consiglieri di Sua Maestà hanno chiesto di mettere da parte il fidanzamento con Sansa Stark a favore di un altro fidanzamento con lady Margery della Casa Tyrell, nostra alleata. Tuttavia non possiamo permettere di perdere il Nord, e poiché la tua Casata è di dominio dei Lannister e sir Gregor non può prender moglie poiché deve adempiere ai suoi obblighi da Cavaliere, sarai tu a farlo. Consideralo come un modo di ripagare il tuo debito, Clegane».

Nella sala piombò un silenzio di marmo. Sansa sperimentò la più totale assenza di emozioni. Era come se il mondo intero fosse stato messo in pausa. Poi, tagliente come un fulmine, il panico la travolse dalla testa ai piedi. Guardò la Regina in cerca di risposte, aspettandosi che le dicesse che si trattava solo di uno stupido scherzo, ma il sorriso diabolico dipinto sulle sue labbra voluttuose le fece capire che non lo era affatto e che Tywin Lannister l’aveva davvero data in sposa al Mastino.

«Cosa?» Era assurdo il modo in cui la sua stessa voce fosse tanto lontana. La testa le girava e Sansa non riusciva a capire. Perché? Era… era assurdo! I sussurri sconvolti della corte le giunsero alle orecchie e all’improvviso Sansa si accorse che tutti gli sguardi erano su di lei. Volle parlare, chiedere spiegazioni, fare qualsiasi cosa, ma la sua bocca era secca e le parole non volevano uscire.

«Dunque, cane, cosa ne pensi? Preferisci la ragazza Stark, o il cappio al collo?» Domandò Joffrey, un sorriso sardonico dipinto sul volto. All’improvviso Sansa comprese il vero motivo di tutto questo: non era per trarne dei profitti. Joffrey la stava dando in sposa al Mastino solo per umiliarla. Sapeva che per una lady del suo rango andare in sposa a qualcuno di una Casata insignificante come quella dei Clegane sarebbe stata considerata un’umiliazione senza precedenti, e sapeva anche che il Mastino non la amava e di certo pensava pure che l’avrebbe picchiata una volta che sarebbe divenuta sua moglie, considerata la sua indole violenta. Stava facendo tutto questo per il suo sadico gusto di vederla soffrire!

La risposta del Mastino non tardò ad arrivare. «Sarà un onore per me, Vostra Maestà», disse, inchinandosi al suo cospetto.


«Bene. Perché la cerimonia del vostro matrimonio si terrà fra tre giorni, esattamente una settimana prima del mio matrimonio con lady Margaery. Sei lieto del giocattolo che ti ho regalato, cane? Mi sarai ancora infedele?!».
«Mai più, Vostra Grazia».
Joffrey si protese verso di lui, gli occhi assottigliati in due fessure verdognole. «Bene. Perché la prossima volta ti ucciderò. Puoi andare, cane».

Sandor mormorò qualcosa che Sansa non riuscì ad udire. Poi si alzò, si inchinò e fece per andarsene, concludendo lì la questione. Se per lui era considerata conclusa, però, lo stesso non poteva dirsi di lei. Il suo sguardo corse su quello del Mastino e vide che non la guardava. Proprio come prima, era come se lei non esistesse, come se non fosse appena stata promessa a lui. Lo odiò per questo. Lo odiò con tutta se stessa. Perché aveva accettato? Perché non aveva detto qualcosa… qualsiasi cosa per impedire quell’unione? Il ricordo delle sue labbra ruvide che si premevano sulle sue le sfiorò la mente e Sansa sentì un nodo all’altezza del cuore. Avrebbe davvero dovuto diventare sua moglie? E a lui stava davvero bene? “Non che abbia avuto scelta, dopotutto”, le ricordò una vocina nella sua mente, e Sansa si sentì a disagio. No… era assurdo. Lei non poteva sposarlo. Lui non la amava, solo l’altra notte le aveva puntato un pugnale alla gola!

Con la mente piena di domande, corse via dalla Sala del Trono. Doveva parlare con lui. Lo avrebbe convinto a fuggire da Approdo del Re e così il matrimonio sarebbe stato annullato. Corse con così tanta fretta che quando andò a sbattere contro il petto di Ditocorto fu in procinto di perdere l’equilibrio e rovinare a terra, e così sarebbe stato se lui non l’avesse trattenuta.

«Lady Sansa», sussurrò lui, corrucciando la fronte. «Stai tremando».
«Lord Baelish…», la voce di Sansa era ridotta a poco meno di un sussurro. «I-Io… stavo cercando il Mastino, lui—».
La sua fronte si corrucciò. «Lui è appena stato promesso a te come tuo marito. Posso capire il tuo dolore, piccola. Nessuno vorrebbe un mostro del genere come compagno… anche se, a conti fatti, sarebbe senza dubbio migliore di un certo Lannister, non ti pare?».

Sansa ci pensò su. Ditocorto aveva ragione: il Mastino valeva mille volte Joffrey. Lui non era crudele come lui: l’aveva salvata tante volte, questo lo ricordava, e non le avrebbe mai fatto del male. E forse era proprio per questo che voleva impedire quell’unione: il Mastino non aveva mai amato nessuno in quel senso, e se lo avessero forzato ad amare uno stupido uccelletto dalle ali spezzate come lei  avrebbe certamente finito con l’odiarla, e lei questo non lo voleva.

«Lord Baelish, io...».

Petyr le prese le braccia fra le mani e le sorrise. «Chiamami Petyr, Sansa», disse. Sansa si sentì improvvisamente a disagio e desiderò trovarsi ovunque fuorché lì con lui. Si sentiva nuda sotto il suo sguardo, proprio come la prima volta in cui lo aveva incontrato. «Ascoltami: tua madre era per me come una sorella, e per l’affetto che provo per lei ti assicuro che ti porterò lontano da qui. Ora che non sei più la futura moglie di Joffrey non dovrebbe essere un problema, ma devi essere pronta a seguirmi in ogni momento. Non vuoi sposare Sandor Clegane, non è così?».

Al pensiero di poter finalmente tornare a casa, il cuore di Sansa ebbe un fremito e rispose d’istinto, senza pensare. «No. Non voglio essere data in sposa a nessuno, nemmeno al Mastino!».

Sul viso di Petyr Baelish si designò uno sguardo pieno di soddisfazione e i suoi occhi si puntarono verso qualcosa dietro di lei. Sansa si voltò e si trovò improvvisamente davanti a Sandor Clegane, alto e possente come una roccia. Ebbe l’impulso di correre da lui, di dirgli che avrebbe fatto di tutto pur di non costringerlo ad un’unione che sicuramente non desiderava, ma poi notò l’espressione del suo volto e le parve di ricevere una stilettata al centro del cuore.

Il Mastino non disse una parola, ma non ve ne fu bisogno. I suoi occhi parlavano. Con orrore, Sansa capì che aveva sentito tutto.
 
 
 
 - Note delle Autrici. 


1) Ho scelto come titolo "Persefone" perché, come il mito racconta, ella è stata obbligata a sposarsi contro la sua volontà. 

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Salve! :)
Scusateci per l’immenso ritardo, ma alla fine ce l’abbiamo fatta ad aggiornare! Yeeeee! 
Finalmente si entra nel “vivo” della storia... e naturalmente Sansa ne ha già comminate una delle sue. =_=’’ Speriamo che il capitolo possa esservi piaciuto, vi ringraziamo davvero di cuore per il seguito che state dando alla storia, per ogni dolcissima recensione che avete lasciato e per l'entusiasmo che dimostrate. Grazie, grazie e grazie mille ancora!.
Se vi va, passate anche dalle nostre altre ff sempre su Sansa e Sandor. :)

Harmony394: Safe&Sound - http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=2914068&i=1


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Grazie mille ancora. Al prossimo capitolo! ^^

 
   
 
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