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Autore: Acinorev    16/02/2015    10 recensioni
"«Respiri, quando sei con lui?»
Lo ami?
«Non azzardarti ad usare contro di me le mie stesse parole», lo ammonì Emma, facendo aderire un po' di più la sua schiena alla parete fredda. Stringeva i pugni per scaricare su di essi tutta la tensione, perché non voleva mostrarla: ormai era migliorata moltissimo nel confinare e nascondere le proprie emozioni, fino a riuscire ad ingannare persino se stessa.
Harry le si avvicinò ancora, appoggiando l'avambraccio destro accanto alla sua testa e piegandosi lievemente verso di lei. Le stava respirando sul viso. «Rispondi».
Emma serrò le labbra in una linea dura, come a voler sigillare dentro di sé le parole che fremevano per uscire.
«Respiri?» ripeté lui a bassa voce.
Lo ami?
«Sì».
No.
Harry inspirò profondamente e si inumidì le labbra con un movimento lento: sembrava dovesse compiere un ultimo sforzo per ottenere ciò che più bramava. E quello sforzo si riversò in una semplice domanda.
«E con me? Respiri, quando sei con me?»
Mi ami?"
Sequel di "Little girl", della quale consiglio la lettura per poter capire tutto al meglio.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Harry Styles
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Little girl'
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Capitolo venticinque - Nobody like that

 

Piangersi addosso non era mai stata una sua prerogativa, qualcosa di cui andare fiera. Aveva sempre trovato inutile e deleterio il crogiolarsi nei propri problemi in attesa di una soluzione: sempre, anche quando non riusciva a fare altro ed era costretta ad assumere l'atteggiamento che tanto criticava.
Era ora di smetterla.
Harry l'aveva ferita e lei lo aveva allontanato, scappando dal problema e logorando i propri pensieri intorno a mille debolezze: non avrebbe più continuato ad esercitare un ruolo così passivo. In fondo, se disprezzava tanto l'Emma che era diventata, toccava solo a lei fare qualcosa per rinnovarsi e rinforzarsi: nessuno avrebbe potuto farlo al posto suo, nessuno avrebbe potuto smuoverla senza una sua predisposizione al cambiamento.
Per questo motivo, la mattina dopo chiese ad Harry di raggiungerla all'università, una volta terminate le lezioni: non voleva più fuggire dalle proprie ferite, ma affrontarle apertamente ed accettare qualsiasi conseguenza.
 
 
 
L'auto di Harry era parcheggiata dall'altra parte della strada, in ombra dal sole pallido di ottobre: Emma la raggiunse a passo svelto, stringendo con una mano la cinghia della propria borsa e sistemandosi i capelli vagamente arruffati per l'umidità. Il suo cuore scalciava nella cassa toracica, intimorito dalla sua determinazione: le ordinava di tornare indietro, di proteggersi.
Salì al posto del passeggero sbarazzandosi di un sospiro silenzioso: prima ancora di posare gli occhi su Harry, sentì il suo profumo accoglierla con prepotenza, ricordandole che l'ultima volta che l'aveva percepito erano ancora tra le stesse lenzuola.
Si schiarì la voce e si inumidì le labbra, stringendosi le mani sul proprio grembo: quando si voltò nella sua direzione, con una forzata decisione, lo trovò ad osservarla seriamente. Il cipiglio sulla sua fronte leggermente accentuato e la bocca serrata, forse nel tentativo di non parlare troppo presto. Era ovvio che presagisse qualcosa di strano, di minaccioso, ed era altrettanto ovvio che fosse spazientito dal silenzio di Emma e dal modo in cui l'aveva ignorato per più di dodici ore: non tentò di salutarla, né di avvicinarsi per imitare almeno pallidamente l'intimità che solo un giorno prima avevano condiviso.
Per pochi istanti nessuno parlò, sottolineando una tensione sbilanciata e non compresa da entrambe le parti. Poi, Harry girò la chiave nel cruscotto ed il motore si accese placidamente.
«No», lo fermò Emma, prima che lui potesse inserire la marcia. «Restiamo qui», lo informò: non era stato un invito, ma un metterlo al corrente di una decisione irremovibile. Non aveva intenzione di allontanarsi con lui e di litigare chissà dove – perché sarebbe sicuramente successo: preferiva rimanere in quell'esatto punto, dove la sua determinazione non aveva tempo per dissolversi.
Harry corrugò la fronte e mise a tacere la propria auto, con gesti lenti. La scrutava con un'espressione confusa, ma anche irritata dal non capire: era stranamente preoccupato.
Lei inspirò a fondo ed ignorò i brividi sulle braccia. «Perché non mi hai detto di aver fatto sesso con Lea?» chiese soltanto, senza distogliere lo sguardo dalle sue iridi: nonostante fosse piuttosto doloroso, non voleva perdersi nemmeno una loro sfumatura, nulla che avrebbe potuto aiutarla in quella discussione.
Il viso di Harry si rilassò, come scoperto della sua maschera: schiuse le labbra e per un istante si voltò a guardare fuori dal finestrino. Quando tornò su di lei, si passò una mano tra i capelli. «È stata lei a parlartene?» ribatté, serrando la mascella per un'irrequietezza improvvisa e fastidiosa. Evidentemente avrebbe preferito che quel particolare scomodo fosse rimasto un segreto.
Una minuscola e timida parte di Emma aveva sperato in una reazione oltraggiata, in una pronta smentita di quell'accusa tanto ingiuriosa: si era soltanto illusa e, anche se aveva cercato di dare poco peso a quella remota possibilità, non poté negare una vaga delusione. Dall'altra parte, il ricevere una conferma indiretta la colpì meno profondamente di quanto avesse immaginato: aveva passato gran parte della notte precedente e delle lezioni universitarie a cercare di metabolizzare quella nuova verità, quindi non poteva esserne ferita in misura maggiore. Restava solo il dolore di sentire la voce di Harry avvalorare le sue azioni.
«Sì», confermò, estraniandosi da quei pensieri. «Almeno lei ne ha avuto il coraggio».
Lui assottigliò gli occhi, teso. «Credi che l'abbia fatto per paura?» le domandò, incredulo.
Emma non sopportava la sua aria spavalda, seppur minata da un mite timore. «Cosa? Scopartela, o fingere di non averla nemmeno toccata?» sbottò quindi.
Il respiro di Harry si fece più profondo. «Io non ti ho tradita», scandì lentamente, come a ricordarle un particolare non indifferente, come ad ammonirla per le parole future.
«In un certo sì, l'hai fatto», lo contraddisse. Combatteva per mantenere la calma, per impregnarsi della forza che sapeva di avere ma che non riusciva a sfruttare come un tempo: la percepiva e voleva solo che fosse sempre più facile raggiungerla.
«In un certo senso?» ripeté lui, corrugando la fronte e spostandosi sul sedile per poterla fronteggiare meglio. «Di che stai parlando?»
Emma inspirò profondamente e si morse un labbro nervosamente. «So perfettamente che tu e Lea siete andati a letto prima che tra noi succedesse di nuovo qualcosa, so che non posso avanzare nessuna pretesa su questo e so che, anche se odio il fatto che tu sia stato con lei, non è una cosa che posso rimproverarti», cominciò, parlando velocemente per l'inquietudine. In fondo, in quel periodo era lei la prima ad allontanare Harry, a chiedere spazi che evidentemente lui aveva compensato con un'altra, anche se solo per una volta: sarebbe stata un'ipocrita nell'obbligarlo ad una fedeltà platonica. «Ma non è questo il punto, non capisci? Il punto è che tu mi hai presa in giro: mi hai fatto credere che tra voi non fosse successo niente, che fossi io quella troppo gelosa. Mi hai mentito».
«Non ti ho mai mentito», precisò Harry, iniziando ad alterarsi. «Ho solo omesso qualcosa c-»
«Che razza di scusa è?» lo interruppe bruscamente. «Credi che detto così suoni meglio?»
«No, credo che potresti almeno sforzarti di chiedermi perché io l'abbia fatto!»
«Che bisogno c'è di chiederlo? È ovvio che stavi agendo nei tuoi interessi, e solo per nascondere qualcosa che sapevi avrebbe compromesso le cose!»
Harry si accigliò e si ritrasse impercettibilmente, stringendo il volante con la mano destra. «È davvero questo che pensi?» domandò a bassa voce, macchiando il suo tono di risentimento.
«Cos'altro dovrei pensare?» perseverò Emma, osservandolo con attenzione. «Ti stavi impegnando così tanto per riavvicinarti a me, perché mandare tutto all'aria? Perché dirmi che sì, ti eri divertito a farti Lea chissà dove? Perché rischiare di allontanarmi?»
«Perché?» la imitò lui, abbozzando un sorriso incredulo ed irato. «Non meriti nemmeno una risposta», sibilò, muovendosi per recuperare ed accendere una sigaretta.
Emma respirò il fumo aspro e serrò la mascella, confusa ed incapace di concentrarsi per ragionare lucidamente: sentiva solo il bisogno di spingersi oltre ogni limite dettato dalla sua paura, di dire tutto e subito per non tralasciare niente, di insistere fino a non averne più le forze. «Invece me ne devi una», lo provocò, ricordandogli i suoi doveri ed i propri diritti.
Harry non la guardava più: abbassò il finestrino quel poco che bastava per sporgere la sigaretta al di fuori e far cadere della cenere, poi si leccò le labbra secche ed inspirò di nuovo. «È vero», iniziò piano, «ho pensato che ti saresti incazzata nel sapere di Lea».
Lei aprì la bocca per infierire, per reclamare la ragione, ma fu anticipata. «Ma non è questo il motivo per cui non ti ho detto niente», continuò Harry, con gli occhi fermi sul cruscotto. Aspettò una manciata di lenti secondi prima di riprendere. «L'ho fatto per te. Per quello che mi avevi detto di Miles».
Emma trattenne il respiro e rabbrividì intensamente, paralizzata da quelle parole.
«Pensi che dopo tutto quello che mi hai raccontato, dopo aver pianto di fronte a me, sarebbe stato facile dirti con tranquillità di Lea?»
C'era un certo tepore, in quei significati masticati dall'orgoglio, un calore rassicurante: Harry aveva cercato di proteggerla, di non farle ricordare situazioni che voleva dimenticare. Nonostante anche lui sapesse che il suo non poteva essere considerato un vero tradimento, aveva tentato di evitare qualsiasi analogia.
Ma non era abbastanza.
«Così hai pensato di fare di peggio?» sussurrò lei, con gli occhi che reclamavano un contatto visivo, un contatto che non tardò ad arrivare. Harry la accontentò con rabbia e stupore.
«Di peggio?» ripeté sprezzante. «Ho cercato di-»
«Avresti dovuto dirmelo in ogni caso, soprattutto dopo le cose che ti ho raccontato!» lo interruppe Emma, alzando la voce e chiudendo gli occhi per un paio di istanti. Il suo petto si muoveva velocemente, per manifestare la sua reale irrequietezza.
Silenzio.
«Avresti dovuto essere sincero», continuò flebilmente, tornando a guardarlo: le iridi blu che si sbarazzavano di parte della loro imperscrutabilità. «Invece sei riuscito a farmi sentire di nuovo-» Si interruppe per nascondere una debolezza, per serrare le labbra e deglutire parole dolorose.
Harry la osservò con un'espressione tesa. Dispiaciuta. «Non volevo», disse soltanto. Il timbro roco a coprire i respiri di entrambi.
Emma colse quelle poche sillabe come ciò che di più simile ad una scusa avrebbe mai potuto ottenere: le accettò, ma non riuscì a cibarsene, ancora troppo diffidente. Abbassò lo sguardo.
«Emma», la richiamò lui, alzandole delicatamente il viso con due dita sotto il mento. «Non volevo», ripeté nei suoi occhi, cercando disperatamente di convincerla.
Lei indietreggiò di poco, fino ad interrompere il contatto con la sua pelle ed i ricordi delle sue carezze, consigliandogli di ritrarsi di conseguenza. «Io te l'avevo detto», mormorò. «Ti avevo detto di avere... Paura», precisò, facendo una pausa per riconoscere la vergogna di quei sentimenti che aveva iniziato ad odiare. «E queste cose non mi aiutano».
Harry dovette cogliere qualcosa di sospetto nei suoi occhi, perché si premurò di ammonirla. «Stai esagerando», disse stoicamente, gettando la sigaretta mezza consumata dal finestrino.
«Sì, forse sì. Forse faccio più pena di quello che dovrei o che vorrei, ma le cose stanno così», affermò, in parte infastidita dal suo tono distante. «Non ne posso più di dare tanto e di dover tornare indietro subito dopo. Con Miles ho dato tutto e-»
«Non azzardarti a paragonarmi a Miles», la interruppe duramente.
Lei lo ignorò. «Gli ho dato tutto e lui mi ha ripagata tradendomi, per di più senza nemmeno un motivo. Tra me e te le cose sembravano andare finalmente meglio, ma poi vengo a scoprire che anche tu mi hai mentito».
«E vorresti mettere a confronto le due cose?» la rimproverò, indignato dalle sue parole.
«Sì, perché vorrei solo della dannata onestà!» rispose, alzando nuovamente la voce a causa della frustrazione. «Vorrei potermi fidare di nuovo fino in fondo di qualcuno, invece quando ci provo sono costretta a pentirmene!»
«Quindi cos'hai intenzione di fare?» la provocò, con aria di sfida. «Scaricarmi solo perché ho cercato di non farti soffrire? Cercare qualcuno di assolutamente perfetto che non sbagli mai? Be', mi dispiace per te, ma non esiste nessuno del genere».
Emma lo guardò con una vena di rancore: sapeva che Harry aveva ragione, che era assolutamente ridicolo essere così timorosa di rischiare, e sapeva che faceva bene a metterla di fronte alla realtà delle cose, ma non riusciva ad accettare il suo tono. Come una bambina, avrebbe voluto solo... Lui doveva solo consolarla.
Non stava cercando di scaricarlo, stava cercando di pregarlo di non sbagliare: voleva una rassicurazione, voleva che lui capisse in che guaio si fosse cacciato immergendosi nelle sue debolezze senza nemmeno chiedere permesso, voleva che la guardasse negli occhi e che le promettesse di non farlo più, di impegnarsi.
«Grazie», disse soltanto, serrando i pugni. «Ora devo andare», aggiunse in un soffio, aprendo velocemente lo sportello. E mentre Harry borbottava un «Sì, vai», lei si allontanò con il cuore traboccante di rabbia e delusione.
 
 
 
Appena entrò in casa, sentì la necessità di urlare a pieni polmoni e poi di uscire ed urlare di nuovo: doveva essere uno scherzo del destino, per di più di cattivo gusto, perché trovava terribilmente assurdo che Dallas Butler fosse comodamente seduto sul divano del proprio salotto, a chiacchierare amorevolmente con i coniugi Clarke.
«Emma, ti stavamo aspettando!» la salutò Constance, alzandosi dalla poltrona ed invitandola ad avvicinarsi con un cenno della mano, mentre le sorrideva apertamente e con curiosità.
«Sei in ritardo», le fece presente Ron, senza scomporsi più di tanto: probabilmente stava valutando la situazione, impegnandosi a mantenere un certo educato contegno nonostante sapesse che sua figlia e quel ragazzo avevano perso di vista la loro amicizia.
Lei sospirò sonoramente, indispettita, ma lo ignorò. «Che ci fai tu, qui?» domandò bruscamente a Dallas, osservandolo con le braccia incrociate al petto. Lui si era voltato nella sua direzione, distendendo le labbra sottili in un sorriso cauto ed interrotto dalla familiare cicatrice all'angolo destro della bocca. I suoi occhi cerulei la guardavano come se non avessero mai smesso di farlo, come se avessero ancora il diritto di capirla: brillavano della stessa spensieratezza che l'aveva affascinata, della stessa vitalità che poi aveva interposto delle distanze.
«Sono venuto a trovarti», le rispose, passandosi una mano sul capo rasato e sul collo magro: sembrava abbronzato, o forse erano solo i suoi ricordi ad essere sbiaditi.
«Non si usa più avvertire?» sbuffò Emma, voltandosi per appendere la giacca al suo posto e per masticare delle imprecazioni.
Constance la rimproverò a bassa voce per i suoi modi scortesi, ma non si trattenne oltre: afferrando Ron per un braccio e costringendolo a seguirla, si diresse in cucina per lasciare soli i diretti interessati. Emma li osservò con le mani sui fianchi e le labbra increspate dal nervosismo: intravide Fanny nascosta nel corridoio, che si ritrasse velocemente non appena si accorse di esser stata scoperta.
«Se ti avessi avvertita, probabilmente saresti rimasta fuori casa tutto il giorno pur di non vedermi», sospirò Dallas, alzandosi in piedi ed assumendo un'espressione più morbida, forse pentita. «O saresti partita per il Venezuela e avresti cambiato nome in Consuelo», aggiunse con un sorriso.
Lei non lo ricambiò. «Sì, probabilmente l'avrei fatto», confermò con fierezza. Non era esattamente il momento adatto per scontrarsi anche con lui.
Dallas si fece più serio, forse consapevole del muro di distanza con il quale doveva confrontarsi: si aggiustò il maglioncino nero e si inumidì le labbra, guardandosi intorno. «Possiamo parlare?»
«Solo se hai qualcosa di intelligente da dire, altrimenti non sprecare nemmeno energie: la mia giornata fa già abbastanza schifo senza il tuo contributo», rispose Emma, senza muoversi.
Lui annuì ed inspirò a fondo, come sollevato dall'aver ricevuto una possibilità. «Andiamo di sopra?» propose, indicando le scale con un cenno del capo.
Emma corrugò la fronte per la libertà che si era preso, decisa a non concedergli nulla, ma dovette riconoscere che l'idea non era priva di fondamento: i suoi genitori stavano sicuramente origliando tramite il legno chiaro della porta della cucina. Acconsentì con uno sbuffo e si diresse velocemente verso la propria meta: con Dallas a pochi passi da sé, sentì Fanny sgattaiolare nell'ombra per non farsi vedere. Alzò gli occhi al cielo e si impose di non pensare.
Percepiva il suo profumo e non riusciva a riconoscerlo: era così diverso da quello che l'aveva cullata anni prima, estraneo. La discussione con Harry l'aveva debilitata, ma in qualche modo la consapevolezza di essere in procinto di intraprenderne un'altra era in grado di distrarla: Dallas riusciva ad aiutarla anche non direttamente, anche nel peggiore dei modi.
Quando entrarono nella stanza di Emma, ancora disordinata e con il letto disfatto, Dallas la afferrò per un polso e la attirò a sé: se la strinse contro respirando sul suo collo, facendole trattenere il respiro per un corpo che non era più abituata a toccare. Lei spalancò gli occhi e si irrigidì, incapace di realizzare ciò che era appena accaduto o di ricambiare l'abbraccio.
Si dimenò con tutte le sue forze, obbligandolo a lasciare la presa. «Che diavolo ti prende, si può sapere?» sbottò, indietreggiando di un paio di passi ed osservandolo con incredulità: doveva essere impazzito, se pensava di poterla escludere dalla sua vita per poi ricomparire all'improvviso ed imporle un contatto simile.
Gli occhi di Dallas si mostrarono feriti, incerti. «Ci ho provato», sospirò, stringendosi nelle spalle con aria arresa.
Aveva voglia di tirargli un pugno.
«Hai un minuto per dire quello che devi», lo avvertì, sistemandosi i capelli su una spalla. Il suo gesto l'aveva scossa, l'aveva costretta a ricordare gli innocenti abbracci con i quali si erano aiutati a crescere, gli stessi che l'avevano lasciata più debole e sola. Non poteva che armarsi di tutta la propria determinazione per difendersi.
«Ok», sussurrò Dallas, come per accettare la sfida. «Sono stato un coglione e mi manchi, Ruth non sa che ti ho cercata, ma io sono venuto lo stesso», spiegò velocemente.
Emma assottigliò gli occhi e si morse l'interno di una guancia, valutando le sue parole. «Sono stato un coglione e mi manchi», lo scimmiottò con una smorfia. «Da quale commedia hai rubato questa battuta?»
«Emma-»
«No!» lo interruppe, alzando una mano per suggerirgli di non avvicinarsi. «Non ti credo nemmeno un po', lo sai? Non credo nemmeno lontanamente che tu abbia sentito la mia mancanza in tutto questo tempo, perché altrimenti non mi avresti messa da parte così facilmente! E ti presenti qui, pretendendo chissà cosa, quando hai appena ammesso che la tua preziosa Ruth non sa nemmeno delle tue intenzioni! È evidente che le cose non siano cambiate, quindi cosa vuoi? Riavvicinarti a me e tenere di nuovo la nostra amicizia segreta? Dio, Dallas!» si sfogò, gesticolando.
«Voglio rimediare ai miei errori», precisò lui, senza alzare la voce. Lo sguardo serio e deciso.
«E come? Commettendo di nuovo gli stessi?» indagò lei, senza capacitarsi di come non potesse rendersi conto della situazione paradossale. «Io non me ne starò di nuovo in disparte, mentre tu giochi a fare il bravo fidanzatino! Scordatelo!»
«Glielo dirò», promise Dallas, facendo un passo avanti. Lei ne fece uno indietro. «Glielo dirò e stavolta non le lascerò-»
«Non le lascerai farti il lavaggio del cervello?» lo interruppe di nuovo, urlando un po' di più. «Lei sarà anche una stupida, ma sei stato tu a darle ascolto. Sei stato tu a trattarmi come se fossi la persona più insignificante del mondo. Sei stato tu ad allontanarmi e a dimostrarmi quanto poco fossi importante ai tuoi occhi! Chi mi dice che non lo farai di nuovo? Che non appena lei si mostrerà gelosa ed incazzata, tu non deciderai di sparire un'altra volta? Dimmi, hai già pensato ad un nuovo nome con cui salvarmi in rubrica? Hai già pensato ad un posto dove incontrarci senza che lei lo sappia?»
Non riusciva nemmeno a controllare le parole che pronunciava: i suoi pensieri erano talmente caotici ed insistenti, da trovare il modo di manifestarsi senza sottostare ad un ordine razionale. L'instabilità di Emma, già minacciata da Harry, era stata attaccata da un altro dolore: era difficile sopportare tutto il carico senza perirne.
«Lo so, ho sbagliato, ma è proprio per questo ch-»
«Hai sbagliato?!» La sua voce le imponeva di inveirgli contro, senza dargli tempo per ribattere: ogni sua parola era un incentivo a continuare, una provocazione al suo autocontrollo. «Sei stato un immenso stronzo, che è diverso!»
«Cristo, Emma, lasciami parlare!» sbottò lui, frustrato. «Sto cercando di scusarmi!»
«E allora fallo!» gridò lei, spintonandolo con le mani sul suo petto. Si guardarono negli occhi respirando velocemente, cercando di comprendersi oltre i torni alterati. «Fallo», ripeté Emma, più flebilmente ed abbandonando le braccia lungo i propri fianchi. «Perché te ne sei andato senza nemmeno una parola», sussurrò.
Dallas schiuse le labbra e le sue iridi si fecero più comprensive, più colpevoli. Lentamente, come per paura di essere respinto, appoggiò le mani sul suo collo e lo riscaldò con i propri palmi. Lei sussultò, ma non si allontanò. «Lo so», disse piano. «Lo so, e mi dispiace».
Emma serrò la mascella e sentì gli occhi bruciare appena.
«Mi dispiace tanto», ripeté Dallas, avvicinandosi per sfiorarle la fronte con la propria. Lei abbassò le palpebre, per fare chiarezza in ciò che stava percependo, ma se ne pentì subito dopo: standogli davanti, resistendo alle sue parole, si era accorta di quanto si sentisse diversa nell'affrontarlo. Dallas era scomparso dalla sua vita quando lei poteva ancora riconoscerla come tale, piena di tutta la sua euforia instancabile e della sua forza indiscussa: l'aveva lasciata quando era ancora intera. In quel momento, non poteva nemmeno immaginare cosa covasse sotto quegli occhi riluttanti, non poteva sapere delle sue debolezze e dei suoi timori: in qualche modo, Emma gli era immune. Si sentiva libera di osare un po' di più, sfruttando il vantaggio di essere sconosciuta ai suoi occhi almeno per certi aspetti: poteva fingere ancora, almeno fino a quando lui non si fosse accorto dell'inganno.
«Non credere che parole del genere bastino», gli disse, continuando a non rifiutare le sue mani su di sé: le erano mancate.
Dallas scosse la testa, piano. «No, però un po' aiutano», le rispose, accennando un sorriso fugace.
Emma si inumidì le labbra e strinse i pugni per obbligarsi a non accarezzarlo. «Io non mi fido di te», gli ricordò.
«Lo so».
«Sì, lo sai, come sai di aver sbagliato, eppure l'hai fatto lo stesso».
«Tu dovresti sapere quanto sia facile sbagliare quando si tratta di una persona che si ama».
«Io non ti ho mai messo da parte», precisò, rimediando alla sua velata accusa.
«No», confermò Dallas in un sospiro, allontanandosi dal suo volto quanto bastava per spostarle dalla fronte una ciocca di capelli. «Tu non l'hai mai fatto».
Quelle parole, impregnate di un affetto mal celato, la portarono a cedere spazio ad un'emozione più tenera e malleabile: non sapeva se sarebbe mai riuscita a perdonarlo, almeno fino in fondo, ma le era impossibile ignorare i suoi tentativi di rimediare. Provava ancora un infinito risentimento, ma non poteva non considerare tutto il resto.
«Mi manchi davvero, Emma», riprese Dallas. «Può sembrare una frase fatta, ma non lo è. Voglio solo... Mi sono pentito di essermi comportato in quel modo, ma voglio rimediare».
La sua pretesa la indispettì: fece un passo indietro e si liberò del contatto che la stava soggiogando, alzando il mento per darsi una maggiore dignità. «Che tu voglia non significa che ci riuscirai», gli fece presente. «Non ho intenzione di perdonarti molto facilmente, non ci riuscirei nemmeno volendo».
«Mi lascerai provare?»
«Fai quello che vuoi, Dallas», esclamò Emma, «ma sbaglia un'altra volta e giuro che ti ammazzo».
Lui sorrise apertamente, ammorbidendo i tratti adulti e rendendoli più simili a quelli di un quindicenne vivido nei suoi ricordi: tornò ad abbracciarla di slancio, baciandole una guancia più volte.
«Piantala», lo rimproverò lei, nascondendo l'ombra di un sorriso.
«Hai detto che posso fare quello che voglio», le ricordò Dallas, ignorando i suoi tentativi di liberarsi dalla sua stretta.
«Non scherzare», lo ammonì, arrendendosi lentamente. «Sono ancora arrabbiata con te».
«Vuol dire che ci tieni», le sussurrò all'orecchio, come svelandole un segreto.
Emma gli pizzicò un fianco solo per reagire in qualche modo, ma dovette cessare qualsiasi resistenza: con esitazione, gli circondò il busto con le braccia ed appoggiò il viso sul suo petto.
Non lo avrebbe perdonato facilmente, certo, ma poteva almeno ringraziarlo per essere tornato a prenderla. Per averci provato.
 
 
 
«Kent?»
«Tuo fratello è stato qui, oggi».
«Aspetta, non sento niente: la ricezione in questo posto fa schifo».
«Mi senti?»
«Adesso sì».
«Ho detto che tuo fratello è venuto a casa mia, oggi pomeriggio».
«Devo organizzargli il funerale o sei riuscita a risparmiarlo?»
«È ancora vivo, per sua fortuna».
«Peccato».
Emma sorrise alla luce del tramonto che filtrava nella sua stanza, raggomitolata nel letto.
«Be', se non l'hai ucciso, cosa è successo?»
«Quello che doveva: ovviamente ha ammesso di essere stato un coglione, ovviamente io ho urlato, lui mi ha chiesto scusa ed io gli ho detto che comunque dovrà sudare per farsi perdonare».
«E con Ruth cosa farà?»
«Ma voi due non siete fratelli? Non parlate mai? Comunque mi ha assicurato che questa volta sarà diverso: stento a credergli, ma... Vedremo, immagino».
«Vedremo».
«Sai? Anche se è fondamentalmente uno stupido, mi ha fatto piacere che mi abbia cercata».
«Hm».
«Insomma, almeno ha smesso di mandarmi i saluti tramite te e ha riconosciuto i suoi errori».
«Già».
«È assurdo che io gli voglia ancora bene nonostante tutto, vero?»
«È assurdo che tu gli voglia bene, punto».
«È che la sua presenza mi... Non so, Pete, sono persino riuscita a distrarmi da tutta la storia di Harry».
«Il magico Dallas...»
«Pete?»
«Che c'è?»
«Non sarai geloso?»
«Di chi?»
«Di Dallas».
«Io?»
«Sì, tu».
«Quando smetterai di dire cazzate del genere?»
«Non so... Il tuo tono sembra più annoiato del solito, quindi ho pensato che forse ti dia un po' fastidio non essere più l'unico Butler della mia vita».
«Piantala di ridere e di dire stronzate!»
«Va bene, ok. Ma sappi ch-»
«Devo andare, ciao».
Emma sorrise di nuovo, stringendosi il cellulare al petto ed immaginando il viso di Pete contrarsi per orgoglio ed arrossire. Qualsiasi suo ulteriore pensiero, però, fu stroncato da un leggero bussare alla porta. «Chi è?» domandò, mettendosi a sedere.
«Io», rispose Fanny a bassa voce.
«Vieni, entra», la invitò Emma, stupita da quella visita inaspettata.
Sua sorella aprì la porta lentamente, aggrappandosi alla maniglia come per trarne del coraggio: teneva lo sguardo basso e le labbra strette in una linea dura. Non si capiva se le sue guance fossero rosse per l'imbarazzo o per la luce calda del tramonto.
«Che succede?» domandò Emma, insospettita dal suo comportamento così cauto.
Lei non rispose.
«Fanny?» la richiamò dopo qualche istante. «Hai combinato qualche guaio?»
L'altra scosse vigorosamente la testa, continuando a rimanere accanto alla porta. Sembrava estremamente indifesa, con i capelli folti che le coprivano in parte il volto.
«Ti ricordi quando mi hai parlato dei ragazzi?» domandò Fanny, senza guardarla.
Emma spalancò gli occhi e fu invasa da un brutto presentimento. «Sì?»
«Ecco, mi hai detto che sono fastidiosi ed egocentrici. E poi hai blaterato qualcosa su quando escono e non tornano-»
«Sì, ricordo», la interruppe, in modo da non riprercorrere quella sfuriata involontaria ed imbarazzante.
«Volevo chiederti... Quel ragazzo che è venuto oggi... Anche lui è così?»
Emma trattenne il fiato e per poco non rise fragorosamente: si limitò a sorridere a labbra chiuse e ad immaginare la sua sorellina alle prese con una cotta clamorosa. «Ti piace Dallas?» le domandò, mentre ogni suo comportamento si rendeva più facilmente interpretabile.
Fanny raddrizzò la schiena e sbarrò gli occhi, ancora più rossa in viso.
L'attimo dopo, era già scomparsa in corridoio.
«Dovrei dirlo a Pete», commentò Emma tra sé e sé, continuando a sorridere ed abbandonandosi sul cuscino sotto di sé.




 


Hola!
Scusate il ritardo, ma a parte impegni personali ho avuto alcune difficoltà con il capitolo! Passo subito ai commenti:
- Harry/Emma: stavolta è proprio Emma a cercare un confronto, in modo da riscattarsi. Come lei stessa dice, è inutile rimproverarsi di una debolezza se poi non si fa niente per contrastarla. La loro discussione si tinge di toni un po' più calmi rispetto ad altre volte, ma spero che vi siate fatte un'idea di ciò che è realmente accaduto: forse potete immaginare perché Harry abbia reagito così, e sapete perché Emma se ne sia andata. Cosa ne pensate? Vi aspettavate un litigio in piena regola? Io non ho sentito la necessità di descriverlo, mi sono immaginata tutto in modo molto più soft, anche se con le solite dinamiche che coinvolgono Emma ed Harry: in ogni caso, se non riuscite a capire fino in fondo la reazione di Harry, sarà lui stesso a spiegare tutto!
- Dallas/Emma: FINALMENTE ahhaha Moltissime mi hanno chiesto di farlo rientrare in scena, senza sapere che io l'avevo già in programma EHEHEH Altrimenti non avrei nemmeno nominato la sua presenza in città :) Dallas prende in mano la situazione e si presenta direttamente a casa di Emma: ovviamente i suoi tentativi di chiedere scusa sono un po' banali, nel senso che in situazioni come queste non si può fare altro che iniziare così e poi dimostrare le cose passo per passo. Voi credete che riuscirà a farsi perdonare? Due paroline su Emma: all'inizio gli riversa addosso tutto il suo rancore, ma poi si scioglie un po'. Vorrei precisare che non è perché abbia accettato davvero le sue scuse, ma solo perché Dallas è comunque stata una persona importantissima per lei ed il fatto che si sia reso conto dei suoi sbagli, o almeno che stia provando a dimostrarlo, le fa piacere. Inoltre, essendo già abbastanza provata per Harry, non ha proprio tutte le energie per opporsi davvero.
- Pete/Emma: Pete geloso sarà sempre il mio preferito ahhahaha
- Fanny/Dallas: che dire? hahah Anche lei è stata colpita dal suo fascino!!

Spero che il capitolo vi sia piaciuto e che mi farete sapere le vostre opinioni! Ormai manca pochissimo alla fine della storia (OH MAMMA), vi avverto!
Grazie di tutto, as usual!!

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Un bacione,
Vero.

 
     
  

 
  
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