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Autore: La Matta    18/02/2015    5 recensioni
Per oltre cinquemila anni Niphredil è stata al fianco di sire Thranduil, condividendo i suoi giorni e comandando il suo esercito, ma dopo la caduta di Erebor il suo animo è divenuto irrequieto. La consapevolezza di aver ordinato la ritirata, senza soccorrere il popolo nanico, la porta a lasciare il Reame Boscoso per raggiungere gli esuli ed aiutarli nella ricerca di una nuova patria. Così, mentre il Nemico prepara la sua vendetta ed un'antica avversaria risorge dalle proprie ceneri, hanno inizio le peregrinazioni di Niphredil di Eryn Galen.
Genere: Generale, Guerra, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Balin, Gloin, Nuovo personaggio, Thorin Scudodiquercia, Thranduil
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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niph14

Capitolo Quattordicesimo

Aspettando la guerra

 

 

Thranduil beve un lungo sorso di vino, prima di sollevare lo sguardo su Luinil. La comandante ad interim rimane ferma, davanti al trono, con le mani ordinatamente raccolte in grembo.

- So che le tue pattuglie hanno catturato degli esploratori nemici. Orchi, mi è stato riferito – pronuncia infine il re, posando il calice – che cos'hanno detto, sul motivo della loro venuta qui? –

Luinil scuote il capo: - non molto, mio signore, se si escludono vuote e vaghe minacce. –

- Sarebbe un errore grossolano, sottovalutare il nemico – sospira Thranduil, sollevando una mano, come per fermare una replica – non dico di prestare cieca fede ai suoi vaneggiamenti, ma neanche di rimanere sordi alle sue insinuazioni. –

Luinil s'inchina, rigidamente: - sarà fatto, mio signore – garantisce – interrogherò di nuovo il prigioniero. –

- Luinil – la trattiene Thranduil, alzandosi con grazia dal trono – sembri turbata. –

La giovane china il capo, distogliendo lo sguardo da quello del suo re: - io… - esita -… ho solo timore di commettere uno sbaglio, mio signore… e non comprendo la ragione che ha spinto degli orchi tanto lontano dalle loro terre. Il prigioniero mi è parso animato dalla sete di vendetta, eppure non è stata la gente di Eryn Galen a combattere ad Azanulbizar, né sulla Brughiera Arida. –

Thranduil tace per qualche istante, sfiorandosi la tempia come nel tentativo di ghermire un pensiero: -  la Brughiera Arida? – domanda poi – è da lungo tempo che il sangue degli orchi non imbratta la brughiera. Le loro roccaforti sugli Ered Mithrin sono intatte, come lo è il loro dominio sul monte Gundabad. –

- Mio signore – Luinil tentenna – sono certa di quello che ho udito. Il prigioniero proclamava d'essere sopravvissuto ad Azanulbizar. E parlava di una lei, che non aveva incontrato la morte sulla Brughiera. –

Thranduil inarca un sopracciglio, perplesso: - una lei. Ne sei certa? –

- Sì, mio signore. Perché, per te queste parole hanno un senso? –

Il re sospira: - sono propenso a ritenerle il delirio di uno stolto – replica. Riprende il calice, ma si bagna appena le labbra nel vino, senza riuscire ad assaporarlo -… ad ogni modo, intensifica la sorveglianza sui confini. Ordina che si controllino le difese e che le guarnigioni vengano rafforzate. –

- Sì, mio signore –

- E, Luinil – Thranduil inclina il capo, con un pallido sorriso: - stai facendo un buon lavoro. –

La giovane s'inchina di nuovo, mentre un vago rossore le imporpora le guance ed un sorriso le incurva le labbra sottili. Mormora un ringraziamento imbarazzato, poi prende congedo.

Thranduil la guarda uscire dalla sala e ripensa a quando non era altro che una bambina, una piccola elfa che si nascondeva sotto il mantello di Niphredil. 

Sospira, poi torna a concentrarsi sulle parole del prigioniero. Una nemica. Una nemica inseguita fino alla Brughiera Arida e poi fuggita, scomparsa nell'oblio per interminabili anni.

Stenta a credere che si tratti dello stesso Serpente a cui lui e Niphredil hanno dato la caccia, tanto tempo addietro, eppure il solo pensiero che la bestia possa essersi ridestata, possa, in qualche maniera, essere sopravvissuta alle terribili ferite ed aver recuperato la propria ferocia gli causa una profonda inquietudine.

Rammenta il suo fuoco lambire il Reame Boscoso, ricorda la battaglia con cui gli elfi silvani le hanno opposto resistenza, frustrando la sua ira e depredandola della sua energia. E ricorda l'ultimo scontro, il combattimento in cui ha quasi perso Niphredil, ricorda la furia cieca della bestia, il rombo assordante del suo ruggito.

 

Gli orchi sono raccolti, sul grande spiazzo davanti alle antiche rovine.

Un silenzio innaturale regna sovrano, un intero esercito attende, trattenendo il fiato.

Erag, una sagoma confusa in quell’orda inquieta, non riesce a distogliere lo sguardo dalla densa oscurità che il Drago ha eletto come sua dimora. Si sente fatalmente attratto dal potere della creatura e, al contempo, una parte di lui gli grida di voltare le spalle al monte Gundabad, disertare e fuggire, perché una vita col fardello dell’umiliazione è pur sempre meglio di una morte atroce.

Poi, lentamente, con il volto ancora coperto da una rozza fasciatura, Sinag emerge dalle tenebre.

- Il tempo della vendetta – esordisce il comandante, con la sua voce roca e gutturale – è giunto. Un’avanguardia stanerà coloro che sono scampati alla morte a Dimrill Dale e li attirerà in una trappola. Lì verranno accerchiati e sterminati, dalle lame affamate delle vostre armi e dal fiato rovente del Drago! –

Uno scroscio di acclamazioni riempie le rovine, grida esaltate si levano fino al cielo plumbeo.

Erag estrae la spada e la alza, inneggiando al suo comandante assieme agli altri soldati. La verità è che non ce la faceva più, ad aspettare. Ogni giorno, ogni ora di sonno o di veglia che li ha separati dalla vendetta, è stata un’angoscia insopportabile. Ha avuto la percezione fisica delle energie dei suoi compagni d’arme che si affievoliva, si stiracchiava, pressata dalla rabbia, dall’incertezza e dalla perpetua tensione, nell’aria.

Sa che tutti hanno atteso con ansia questo giorno, il giorno in cui ha inizio la marcia, il cammino della rivalsa, che li porterà a bagnarsi nel sangue dei nani.

Sinag solleva le braccia, imponendo il silenzio.

- Preparatevi, uomini – ordina – perché, dopo i nani, sarà il tempo degli elfi, ed il nostro Signore si ergerà vittorioso sulle ceneri del loro regno! –

Richiamato da un bisogno inesplicabile, Erag distoglie lo sguardo dal volto del suo comandante e lo rivolge al buio, alle sue spalle. Fra i resti di pietra e le colonne spezzate, dove l’oscurità diventa più fitta, per un istante intravede il muso del Drago.

Forse è un delirio, un parto malsano della sua mente logorata, ma gli sembra di scorgere, nel barlume fioco dell’occhio sfregiato della bestia, una luce divertita, come di chi pregusta un diletto a lungo atteso.

 

Niphredil raccoglie un rametto e lo getta fra le fiamme del falò, che arde in un cerchio di pietre.

Rimane sempre incantata, quando guarda le lingue di fuoco danzare ed intrecciarsi, splendendo e tremando.

I nani sono riuniti in assemblea da ore. Dalla grande sala fuoriesce il brusio dei loro discorsi, una melodia altalenante, fatta di profondi silenzi e di scoppi di grida.

Niphredil accarezza il suo ciondolo, seguendo con le dita le linee delicate della gabbia d'argento.

Come in ogni minuto di quiete, si domanda cosa stia accadendo, ad Eryn Galen. Socchiude gli occhi e prova ad immaginare le sentinelle darsi il cambio davanti alle maestose porte, i soldati addestrarsi nei cortili, scoccando frecce che fendono l'aria con lievi sibili. Immagina Galion che controlla le cantine, Elros che conta le chiavi delle celle delle segrete. Vede Luinil negli alloggi del comandante, che cerca di riordinare le scartoffie che si accumulano sulla scrivania, con un sorriso rassegnato sulle labbra.

E, naturalmente, pensa a Thranduil, ed è un pensiero che le riempie il cuore di una gioia malinconica, malata di nostalgia. Cerca di sorridere, dicendo a sé stessa che i tempi delle peregrinazioni volgeranno al termine, che presto Thràin decreterà la via da intraprendere e che, dopo quella decisione, lei potrà calcolare i giorni, computare le ore che la separano dal suo compagno.

Stringe più forte le palpebre e, nella quiete della sera, rivolge cautamente il pensiero ad Erebor.

Il ricordo di quel giorno di morte e di sangue ancora la rattrista, ma il dolore non le serra più il petto come gli artigli di una belva. Si è affievolito. E' un memento, non più una tortura.

Improvvisamente, le porte della sala si spalancano e, con un alto vociare, i nani escono. Hanno tanto da commentare, riflettere, organizzare, gesticolano animatamente e già abbozzano progetti per il futuro.

- E' bello avere un vero obbiettivo – sta dicendo Dìs, quando raggiunge l'elfa.

Thorin e Dwalin annuiscono, mentre Balin sembra pensieroso.

- Dovremo attraversare l'intero Minhiriath – commenta, accarezzandosi la barba – ma poi, una volta oltrepassando il Brandivino, dovremmo essere al sicuro. –

- Al sicuro? – indaga Arin, confuso – che pericoli pensi ci attendano, lungo il Verdecammino? –

- Spero nessuno, ragazzo – lo conforta il nano, allungandogli una rassicurante pacca sulla spalla – ma sarebbe sbagliato illudersi che il nostro viaggio termini con un'allegra scampagnata. –

- Io dico – interviene Glòin, sedendosi sulla panca accanto a Niphredil – che è una strada inutilmente lunga. Perché dobbiamo viaggiare per così tante miglia, quando avremmo potuto fermarci ben prima del Brandivino? -

- Se si trattasse della scelta del luogo per un semplice accampamento – replica Balin – potrei anche trovarmi d'accordo con te. Ma noi dobbiamo scegliere il posto migliore per stabilirci, e questo deve avere dei requisiti. Trovo che ci sia della saggezza, nel consiglio di Angus, e che edificheremo una lieta dimora sugli Ered Luin. –

- Così – dice Niphredil, sollevando il capo – avete deciso. Ci dirigeremo verso gli Ered Luin. –

- E, una volta lì – riprende Balin, posandole una mano sul braccio – faremo una colletta per regalarti il destriero più rapido del decumano, perché tu possa fare ritorno alla tua casa. –

Niphredil sorride, intenerita, mentre Glòin borbotta qualcosa dal suono molto simile a "che cosa ci trovi poi in quella cupissima foresta, io non lo capirò mai."

 

I giorni successivi scivolano via come foglie sull'acqua di un ruscello.

I nani si affaccendano fra i preparativi, Thràin ed i suoi consiglieri tracciano il percorso più favorevole, mentre Angus si assicura di fornire tutto l'aiuto possibile, dalle scorte alimentari alle erbe mediche.

Lavorano instancabilmente fino al calare delle tenebre, poi mangiano, scambiandosi aneddoti e raccomandazioni con voci tonanti e, alla fine, si coricano esausti.

Per la prima volta da che ha memoria, anche Thorin riesce a godere di un vero sonno. Nessun incubo lo riporta ad Erebor, costringendolo alla veglia con immagini angoscianti.

Eppure l'ultima notte prima della partenza non riesce a dormire.

Nessuna preoccupazione in particolare s'insinua fra i suoi pensieri, ma la sua mente è irrequieta.

Si alza e, in silenzio, lascia l'edificio e s'incammina, sotto la luce splendente della luna piena. E' alta nel cielo e brilla come puro argento, accarezzando le tenebre con i suoi raggi.

Quasi senza accorgersene, si trova davanti alla baracca dove dorme Niphredil. Intravede la sagoma dell'elfa dalla finestra spalancata, la sua folta chioma di fili d'oro.

Sembra profondamente addormentata, il suo viso è rilassato nella quiete del sonno.

Thorin scuote la testa e sta per volgerle le spalle quando un dettaglio richiama la sua attenzione. Assicurata con un filo alla cintura della guerriera, ordinatamente riposta su una bassa cassapanca, c'è una piccola custodia di cuoio, decorata con dei caratteri elfici.

L'istinto di Thorin si sveglia all'improvviso, di soprassalto, e lo spinge inesorabilmente verso la soglia dell'edificio. Lui si fida di Niphredil. Non pensa più alla sua razza, ma al suo sorriso, alle sue storie, al tono assorto della sua voce, ai suoi occhi verdi come smeraldi e limpidi come ghiaccio.

Si fida, eppure non riesce a fermarsi.

Oltrepassa la soglia e, trattenendo il respiro, oltrepassa il giaciglio dell'elfa.

Quando le sue dita toccano la custodia di cuoio, un guizzo di rimorso lo fa esitare. Ha come il presentimento che, se porterà a termine ciò che ha iniziato, tutto cambierà. Non per forza in meglio.

Thorin sbatte rapidamente le palpebre, mentre Niphredil, nel sonno, si scioglie in un sorriso, poi si stringe nelle spalle ed estrae il messaggio dalla custodia.

 

Mentre Thorin spiega il messaggio e lo legge, Niphredil sta sognando.

Sta sognando un ricordo. Nell'abbraccio della notte, la mente dell'elfa torna indietro, indietro a quand'era ancora un semplice capitano, un ufficiale addestratore con il cuore libero del fardello di ogni responsabilità.

 

Era nel giardino della reggia. Si teneva le mani sulle palpebre, oscurando il mondo circostante, eppure percepiva nitidamente i suoni, il leggero scalpiccio di piccoli piedi sul manto erboso.

- Sto venendo a prenderti! – aveva annunciato.

Aveva spalancato gli occhi e si era voltata, di scatto, trovandosi di fronte a Sire Oropher.

- Sono lieto di vederti così impegnata, mia diletta – aveva sorriso il re, scuotendo il capo – avrò il piacere di leggere il tuo rapporto entro la fine di quest'era? –

Niphredil aveva cercato una replica adatta, qualcosa che suonasse come una scusa plausibile senza essere necessariamente una menzogna, ma uno squittio divertito l'aveva interrotta

- Tana per Niph! – aveva gridato un piccolo elfo biondo, correndo fuori dai cespugli, fino ad una colonna. Si era appoggiato alla pietra decorata, ansimando, con un sorriso di puro entusiasmo negli occhi, e si era voltato verso di loro – nonno, vuoi giocare con noi? –

Oropher aveva riso e, con due lunghi passi, aveva raggiunto il nipote.

- Oh, quindi sei tu a distrarre il mio capitano, eh, Legolas? – aveva chiesto, prima di baciarlo dolcemente sulla fronte.

Niphredil era rimasta in disparte, ad osservarli, finché una mano non le si era posata sulla spalla.

- Grazie, meldë nîn. – aveva sussurrato la voce di Thranduil, mentre l'elfo le accarezzava il braccio

- Per cosa? - aveva chiesto Niphredil, piegando la testa con un sorriso interrogativo

- Per il tempo che passi con Legolas. –

Lei aveva sorriso, poi aveva afferrato Thranduil per le mani: - vieni a giocare con noi, mio principe – aveva detto, trascinandolo fuori da sotto l'ombra del colonnato.

Legolas si era voltato, attirato dal rumore, ed i suoi occhi si erano illuminati

- Papà! – aveva gridato, correndo verso di lui e gettandosi fra le sue braccia.

Oropher li aveva raggiunti e, prima di concentrarsi di nuovo sul nipote, aveva sorriso a Niphredil e, senza parlare, aveva sillabato: - Hannon le (*)–

 

 

 

-- La Coda!

(*) amica mia

(*) grazie

 

Incredibile a dirsi, un altro capitolo di Niph è arrivato puntale!

Che dire, ne sono abbastanza soddisfatta, finalmente si cominciano a smuovere un po’ le cose (già, io lo so che avreste preferito altri sei mesi di sbaruffoni epici Tàri/Sinag, però, ehy, the fanfic must go on!) e Thorin… beh, lo sapevate che prima o poi l’avrebbe scoperto, no?

 

Altro? Ah sì, scusate se sembra che ogni capitolo venga pubblicato con un front diverso. Non è che non so decidermi, è che scrivo su un pc (il mio poeticissimo catorcio portatile che risale al primo anno delle superiori), ho il testo definitivo su un altro e, fino a qualche settimana fa, pubblicavo da un altro ancora. Quindi… sono confusa, ma da ora dovremmo rimanere con questo carattere e – se capisco come senza causare danni – risistemerò i capitoli vecchi.

                                                            

Come al solito, grazie mille per esser giunti fin qui e a presto!

 

- La Matta -

 

 

  
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