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Autore: ___Ace    21/02/2015    2 recensioni
Nella Francia del XVIII secolo, più precisamente durante il corso del 1789, ogni tipo di potere immaginabile era riposto unicamente nelle mani della monarchia assoluta, a detta dei nobili e del sovrano, per diritto divino. I cittadini avevano sopportato tanto per molto tempo, senza mai lamentarsi e continuando a seppellire vittime di quelle ingiustizie. L'avversione dei sudditi francesi non aveva fatto altro che crescere e inasprirsi di giorno in giorno.
C'era, però, qualcuno pronto a combattere: un gruppo di persone che agivano nell'ombra e che lottavano per i loro ideali di giustizia ed uguaglianza. C'erano i Rivoluzionari, desiderosi di cambiare le cose e di liberare la Francia una volta per tutte.
Genere: Avventura, Romantico, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai | Personaggi: Ace/Marco, Ciurma di Barbabianca, Rivoluzionari, Sabo/Koala, Un po' tutti | Coppie: Eustass Kidd/Trafalgar Law, Rufy/Nami, Sanji/Zoro
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Liberté, Égalité, Fraternité.
Sept.

 

Il bel tempo si stava lentamente stabilizzando, regalando a Parigi delle bellissime giornate soleggiate e abbastanza calde da permettere ai cittadini di uscire e fare lunghe passeggiate presso le piazze e nelle vie brulicanti di mercanti e gente presa dalla vita frenetica e dagli impegni. Le carrozze erano tornate a scorrere per le strade con il rumore delle ruote e degli zoccoli dei cavalli; i pittori dipingevano attimi che sarebbero rimasti indelebili sulle tele; alcuni musicisti di strada rallegravano l’atmosfera che si respirava e le botteghe erano aperte a tutti. Piccoli attimi di buonumore erano evidenti nei visi di chi era più spensierato, o di coloro che semplicemente vivevano appieno le giornate senza rancori e rimpianti, evitando di pensare alla paura e alla tensione generale; il profumo di varie delizie usciva a tratti dai forni o dai negozi di alimentari, invogliando soprattutto i bimbi a mettere qualcosa sotto ai denti; lo scrosciare delle acque della Senna faceva da sottofondo al brusio frenetico che si alzava dalle vie e il sole illuminava quella giornata all’apparenza normale.
L’unica cosa che stonava con tutto ciò, purtroppo, erano gli ufficiali che facevano le ronde mattina, giorno e sera, controllando che tutto fosse in ordine e che non ci fosse nemmeno una virgola fuori posto.
Per il resto, tutto era sempre lo stesso, così come Notre Dame, le Palais de Justice, Versailles, Place des Vosges, le Quartier Latin e, naturalmente, Montmartre.
Il quartiere non godeva di una bella fama, considerato un luogo dove solo i disperati mettevano piede e mal visto dai religiosi e dalla gente con la puzza sotto al naso. Nessuno poteva immaginare, invece, l’originalità che vigeva da quelle parti. Persone senza un passato che trovavano una casa, uomini e donne senza speranza che trovavano lavoro o un posto dove stare e dove sopravvivere, giovani e vecchi che volevano dimenticare le loro origini e ne avevano la possibilità. C’era un po’ di tutto, tra cui un vecchio mulino dall’aria antica, ma non decadente, dato che la baracca era tenuta in piedi e gestita da una donna forte e con un pugno di ferro che faceva impallidire molti uomini.
Si chiamava Madame Dadan e gestiva quello che era diventato un locale molto frequentato dagli sbandati, alcolisti e disperati, gente persa, spiritata, quella con l’anima in fiamme. L’edificio non era grandissimo, ma era abbastanza da permettere alla padrona di fornire, oltre che ristoro, anche l’opportunità di assistere a qualche spettacolo da quattro soldi, inscenato dalle ragazze che lavoravano per lei come aiutanti cameriere e, a volte, come prostitute.
Dadan non era cattiva, non era nemmeno una donnaccia, e le poverette che andavano a chiedere asilo da lei erano tutte ben accette. Non venivano nemmeno costrette a prostituirsi perché la padrona lasciava loro libera scelta, quindi chi decideva di farlo lo faceva unicamente per guadagnare di più, o per piacere personale, o per chissà quale altro motivo. A Dadan, comunque, non importava, bastava solo che lavorassero bene e in maniera professionale, senza troppi sentimentalismi o lamentele. Si premurava che fossero al sicuro e, se qualche malintenzionato alzava le mani, veniva cacciato in pochi secondi dagli addetti alla sicurezza, uomini di cui si fidava.
Era ritenuto il locale del peccato, ma veniva ugualmente frequentato e mai la donna si era trovata in crisi con l’economia. Finché le sue belle ragazze ballavano e si dimostravano disponibili, andava tutto a gonfie vele.
Era lì che viveva Nami, una delle tante figliolette senza padre che le donne che lavoravano lì avevano dato alla luce. Sua madre prima di lei era stata una prostituta e, quando era rimasta incinta, si era riscoperta felice ed entusiasta. Purtroppo, però, a distanza di pochi anni dalla nascita della figlia, si era ammalata di tisi e non ce l’aveva fatta a salvarsi, lasciando nelle mani di Dadan la piccola Nami che, una volta diventata abbastanza grande e indipendente, aveva deciso di restare a dare una mano alla vecchia signora nella gestione del locale occupandosi dell’amministrazione e del servizio ai tavoli, decisa a ripagare l’enorme debito che aveva nei confronti della padrona di casa per averla cresciuta e amata come una di famiglia. A volte i visitatori le scambiavano addirittura per madre e figlia e la rispettavano, timorosi delle ire della signora più anziana.
-Ehi Nami, tutto bene?- si sentì domandare la ragazza, sbattendo le palpebre e risvegliandosi dal torpore in cui era piombata fissando il vuoto davanti a sé.
-Ehm, certo, si.- si affrettò a rispondere all’amica che le stava di fronte, la quale sbuffò divertita prima di girare i tacchi e dirigersi verso il piccolo palco che stava situato in fondo alla sala, riempita con dei tavolini disposti davanti ad esso. -Sbrigati, tra poco apriamo.- la informò, ancheggiando fino alle scalette e salendo sulla piattaforma in legno, facendole un cenno di saluto con la mano e scomparendo dietro le quinte dove, lo sapeva, altre ragazze si stavano vestendo, o meglio, svestendo per lo spettacolo della serata.
Non capiva come le sue amiche riuscissero a mostrarsi quasi senza veli davanti a degli sconosciuti. Certo, la paga era buona e proficua, ma non le sembrava abbastanza per vendersi al miglior offerente. Erano rimaste in poche a non scendere a quei compromessi, per esempio Bonney che lavorava in cucina, o Robin che faceva da levatrice a tutti i marmocchi che giravano da quelle parti. Ad ogni modo, smise di pensarci e prese a pulire alcuni bicchieri che le erano rimasti nel lavello, ripetendosi che non erano costrette e che era una loro decisione di vita.
Non era colpa loro se lei era rimasta un’inguaribile romantica e sognava ancora che Rufy si accorgesse di lei.
Che qualcuno si accorga di me, si ripeté, qualcuno, non Rufy, accidenti!
Era già passato un mese e mezzo da quando aveva ricevuto la notizia della sua carcerazione e da allora non era più riuscita a passare un momento del tutto tranquilla. Si sentiva sempre un po’ tesa e in ansia, preoccupata per la sua salute e per come se la stesse passando tra quelle quattro mura fredde e spoglie, conscia della sua natura travolgente, allegra e sempre irrefrenabile. Rufy non era fatto per stare al chiuso, aveva bisogno di muoversi, di andare in giro, di vivere le giornate al meglio. Chissà come se la stava cavando. Ace era venuto a trovarla e aveva cercato di farla sorridere, svelandole che presto lo avrebbero salvato e che Law era riuscito a parlargli e a dirgli di non preoccuparsi, che presto sarebbe tornato a fare le sue solite scorribande in città e a prendere a calci gli ufficiali.
In ogni caso, però, continuava a non dormire bene la notte e a mangiare meno del solito, anche se insisteva nell’affermare che stava bene e che non era triste. Se ne erano accorti tutti, ormai, che qualcosa non andava, ma non poteva farci nulla se non continuare a sorridere anche se non ne aveva nessuna voglia.
Le mancavano i sorrisi di Rufy, a dire la verità. Lui la faceva sempre ridere a crepapelle, dopo averla fatta arrabbiare. Sapeva sempre come farsi perdonare e lei gli era troppo affezionata per resistergli. Era un disastro su molti fronti, ma era sicura che non le avrebbe mai fatto del male di proposito perché, se c’era una cosa a cui Rufy teneva più della sua stessa vita, quella erano i suoi amici. E ne aveva tanti. E tra loro c’era anche Nami, la quale avrebbe preferito non essere parte della lista se ciò avesse significato offrirle un’opportunità di essere notata in quel modo dal ragazzo.
L’unico problema era che a Rufy certe cose non interessavano, o meglio, non erano di vitale importanza, prima venivano i suoi sogni e poi il resto, quindi, lo sapeva, avrebbe dovuto rassegnarsi. Per un po’ ci era riuscita e aveva provato a farsi passare quell’assurda cotta che l’aveva colpita quando da mocciosi giocavano assieme per strada, ma a sedici anni era tornata a confonderle le idee peggio di prima e da allora non era più riuscita a smettere di amarlo.
La verità era quella e aveva imparato a conviverci: era innamorata e basta.
Sospirò stancamente, rimettendo in ordine le stoviglie con gesti meccanici che aveva fatto fino allo sfinimento.
Perché si era presa una sbandata proprio per quel tonto? Eppure i suoi fratelli non erano affatto male, anzi. Ogni volta che Ace metteva piede nel locale tra le ragazze si aprivano cori di alleluia, per non parlare di Sabo. Quel ragazzo aveva alle spalle una scia di cuori infranti. Non che fosse un dongiovanni, non usava nemmeno le donne per divertirsi, ma nonostante tutto le sue amiche provavano in tutti i modi a portarselo a letto. Arrivavano persino alle mani per accaparrarsi il diritto di passare una notte con lui e ciò, per Nami, era assurdo.
A volte si domandava quante entrate ulteriori avrebbero avuto se Sabo avesse lavorato per Dadan; probabilmente tutte le donne del paese sarebbero accorse per lui.
Erano dei giovanotti d’oro, ma quello che l’aveva colpita e affondata era stato solo Rufy, quello più infantile e disinteressato all’altro sesso, come se il destino avesse voluto farsi beffe di lei.
Una musica leggera si diffuse nel locale e Nami si riscosse dai suoi ragionamenti, rendendosi conto che le porte del locale erano state aperte e che di lì a breve ci sarebbe stato del lavoro da fare. Iniziava un’altra serata fatta di balli, vino, risate e schiamazzi, donne e uomini. La solita routine, insomma.
Si sistemò i capelli raccolti in una treccia ordinata che le aveva fatto Violet quel pomeriggio e poi si lisciò le pieghe della gonna lunga e a balze bianche e arancioni per assicurarsi di essere al meglio e di bella presenza, piazzandosi sulle labbra un sorriso finto e tirato. Anche se non si esibiva e non si mostrava al pubblico, doveva comunque mantenere una certa apparenza, ecco spiegata la generosa scollatura e il corpetto stretto attorno ai fianchi snelli.
A chi voleva darla a bere, Rufy non si sarebbe mai invaghito di una ragazza del genere.
 
*
 
Da un mese a quella parte, Ace e Sabo avevano adottato una nuova routine, modificando quella che era la loro vecchia organizzazione giornaliera e modificandola drasticamente dall’inizio alla fine.
Innanzitutto, entrambi avevano dovuto scendere a patti con l’accettare la nuova alleanza creatasi tra i Rivoluzionari francesi e quelli americani, se così si voleva definirli, sottostando agli ordini di Shanks che aveva introdotto nel circolo degli Imperatori anche il vecchio Barbabianca, facendogli assumere lo stesso titolo suo, di Kaido e di quell’orribile donna che si faceva chiamare Big Mom. Fino a lì nessuno aveva avuto dei problemi, anche se era stato complicato spiegarlo al resto della loro numerosa e rumorosa compagnia. Per l’occasione, Shanks aveva indetto una riunione speciale alla Corte dei Miracoli alla quale avevano partecipato parecchie persone di diverse classi sociali, ovvero i cittadini e qualche esponente della borghesia che aveva voltato bandiera e si era schierato contro la Corona. Il cimitero non era mai stato così affollato da gente viva come quella notte, trascorsa tra dissensi, qualche rissa, silenzio e, alla fine, accettazione della cosa con la speranza di riuscire in quel modo ad ottenere la vittoria decisiva sul Re.
Un altro cambiamento riguardava i loro orari: Ace, certe notti, non rincasava affatto, mentre Sabo, alcune mattine, scompariva dalla città. Nessuno aveva fatto troppe domande, a parte Makino che, presi i due ragazzi da soli e in momenti diversi, si era fatta raccontare per filo e per segno dove andassero e cosa combinassero. Con lei non avevano avuto difficoltà ad essere sinceri e avevano cantato tutta la verità senza imbrogli. Lei, d’altra parte, si era poi divertita un sacco a vedere come avessero mandato Shanks a farsi benedire quando aveva provato a farsi rispettare e a pretendere una risposta per il loro nuovo comportamento.
In poche parole, Ace aveva, incredibilmente, stretto amicizia con parecchi americani che vivevano all’accampamento di Newgate, soprattutto con Thatch, anche se il diretto interessato aveva faticato parecchio prima di trovarsi il moccioso tra i piedi ovunque andasse. I due avevano scoperto di andare perfettamente d’accordo se il minore metteva da parte il suo caratterino scontroso e, soprattutto, se non veniva nominato Marco. Perché Ace aveva si ottenuto la simpatia di quei senzatetto, come li chiamava lui, ma continuava ad odiare terribilmente il fratello di Thatch e si poteva pure dire che il sentimento era reciproco, dato che anche il biondo, ogni volta che vedeva quella faccia piena di lentiggini, girava i tacchi e se ne andava altrove pur di non doversi subire quella peste.
Sabo, invece, aveva tutt’altre compagnie e commissioni da fare.
Anche lui, come Ace, era benvoluto da tutti nell’accampamento, i quali lo avevano conosciuto come un ragazzo gentile e affabile, e perciò erano sempre contenti di vederlo e di parlarci. Sabo, infatti, aveva il dono di essere molto diplomatico e ben disposto verso tutti, perciò non era stato difficile per lui entrare nelle grazie di quella gente. Non era per loro, però, che tre mattine a settimana si alzava prima dell’alba e si recava all’accampamento per l’ora di colazione con un bel cesto ricolmo di pane fresco, qualche bottiglia di latte, alcuni biscotti appena sfornati da Sanji e qualche insaccato che Killer gli rimediava.
Tornare a casa lo aveva aiutato a rimettersi molto in fretta e aveva ripreso a farsi vedere in giro come se non gli fosse mai capitato nulla, accolto a braccia aperte dalla sua famiglia e dai Rivoluzionari. Non aveva comunque dimenticato il debito che aveva con una persona in particolare e, deciso a ripagarla, aveva iniziato a tornare nelle paludi di sua spontanea volontà con la scusa di voler aiutare Koala nel suo lavoro e di dimostrarsi utile per ripagarla del tempo che aveva perso nel curarlo. Se l’era ripetuto mille volte che la accompagnava a cercare erbe curative e medicinali nei paesini limitrofi solo per gratitudine, inoltre, dal momento che erano alleati, era suo dovere assicurarsi del suo benessere, ma gli capitava spesso di sentire la mancanza della ragazza durante il giorno e la voglia di fare una corsa all’accampamento anche solo per vederla lo invadeva per lasciarlo svuotato l’attimo dopo, quando si diceva che non poteva permettersi distrazioni e che non aveva tempo da perdere. Tre mattine bastavano e avanzavano, non di più.
Ad ogni modo, era contento di quei nuovi impegni e a Koala, tutto sommato, non dispiaceva per niente la sua compagnia.
Altro particolare che aveva subito una leggera variazione era l’odio che i due giovani provavano per gli ufficiali.
In quell’ultimo periodo avevano dato inizio ad una serie di zuffe e sabotaggi alle ronde delle guardie, sia di giorno che di notte, coinvolgendo alcuni compagni e non ascoltando del tutto gli ordini di alcuni dei capi della Rivoluzione.
Sabo cercava continuamente di beccare il capitano che gli aveva sparato, rischiando quasi di ucciderlo, mentre Ace ce l’aveva a morte con chiunque indossasse una divisa per quello che avevano subito i suoi fratelli. Non si fermavano mai ed erano propensi a portare a termine la loro causa fino alla fine. Non si poteva di certo dire che non fossero determinati o che avessero paura.
Non importava dove si trovassero, se vedevano un ufficiale, era guerra aperta.
Ecco spiegato il perché della rissa scoppiata in uno dei locali del quartiere malfamato di Montmartre.
Quella sera, Ace aveva per la prima volta permesso a Thatch di accompagnarlo di nuovo in città, ovviamente senza dirlo al vecchio Barbabianca o a Marco. L’unico intoppo era stata la bocca larga del castano, il quale, non appena aveva capito che razza di quartieri avrebbero visitato, non era riuscito a trattenersi e l’aveva sbandierato a metà dei suoi compagni e fratelli, ottenendo così il risultato che tutti si autoinvitarono, implorando Ace di chiudere un occhio e di portarli con sé.
Così, incappucciati, travestiti e zittiti per non dare troppo nell’occhio, avevano percorso le vie basse di Parigi fino a raggiungere il locale di Dadan senza contrattempi, facendo il loro ingresso e attirando l’attenzione dei più curiosi, soprattutto della titolare.
-Sciagurato, cosa ci fai da queste parti?- salutò la donna imponente, osservando dall’alto della sua stazza Ace che si toglieva il mantello e le rivolgeva un sorriso sbieco, oltrepassandola per non stare a sentire le sue lamentele sul suo comportamento poco rispettoso e dirigendosi spedito al bancone dove una bellissima ragazzina dai capelli ramati serviva con pazienza da bere ai clienti.
-Bonsoir, Mademoiselle.-
-Oh, Ace!- sfarfallò le ciglia lei, sorridendogli cordiale e avvicinandosi alla sua postazione. -Tutto bene?- si informò subito.
Il moro annuì. -Certo.-
La vide tentennare un istante, ma alla fine si decise a porre la domanda che le era balzata in mente non appena aveva riconosciuto il ragazzo. -E Rufy?- sussurrò piano, quasi timidamente, ma fingendosi distaccata.
Ace sorrise, tranquillizzandola. -Lo porteremo fuori presto, non temere.-
Nami sembrò rilassarsi, lasciando andare un sospiro di sollievo per recuperare poi il suo solito sorriso e chiedere all’amico cosa desiderasse da bere, avvisandolo anche che di lì a poco sarebbe iniziato un altro spettacolo.
Thatch, nel frattempo, si guardava attorno, girando su se stesso a bocca aperta, e ammirava ogni angolo del locale, o meglio, ogni donna su cui gli capitava di posare lo sguardo. Quello era il paese delle meraviglie e si chiese perché mai Ace non aveva deciso prima di portarlo a fare un giro da quelle parti. Che brutto egoista era stato, aveva tutto quel ben di Dio a portata di mano e non ne aveva mai fatto parola con lui.
Lo individuò al bancone mentre chiacchierava con una bellissima ragazza e decise di approfittare dell’occasione per esporgli il suo fastidio nella speranza di attaccare bottone con quella deliziosa fanciulla. Così lo raggiunse, passandogli una mano sulle spalle e attirandoselo contro, intrappolandolo in una morsa ferrea e scompigliandogli i capelli già disastrati.
-Brutto furbastro.- iniziò a dire con un sorrisetto sadico, -Quindi tu passavi le notti a divertirti senza invitarci.-
-Guarda che- respiro affannato –ti stai sbagliando!- tentò di dire Ace, riuscendo a liberarsi solo dopo che la sua testa fu trasformata in un nido per uccelli.
-Come no, chissà con quante belle donne ti sei intrattenuto mentre noi ci ammazzavamo di se…-
Qualcuno davanti a loro si schiarì la voce ed impedì al castano di finire la frase di origine volgare che aveva iniziato, costringendoli a voltarsi entrambi verso Nami che, un po’ imbarazzata, piazzava sotto ai loro nasi due bicchieri di vino, garantendo che quelli li offriva la casa.
Thatch accettò di buon grado e scolò la bevanda di schiena, deciso a passare una bella serata come non gli capitava da tempo. Certo, anche loro festeggiavano di tanto in tanto, forse molto spesso, ma dovevano stare attenti a non fare troppo casino e a non accendere troppi fuochi. Inoltre, non potevano suonare o cantare, mentre lì sembrava che la musica regnasse sovrana assieme alle ragazze e alle loro gonne con le balze tutte colorate, per non parlare di tutte le grazie che mettevano in mostra. Ne era certo, sarebbe stata un’esperienza indimenticabile.
Il suo animo offeso lasciò presto spazio ad un’indole allegra e vagamente alticcia, considerando la serie di bevande che finì nella mezz’ora successiva, seguito a ruota da alcuni suoi compagni e fratelli che, altrettanto contenti, non avevano perso tempo ad iniziare a fare festa, mentre Ace rimaneva inchiodato al bancone a chiacchierare con Nami.
-Non vai con loro?- gli domandò ad un tratto la rossa, appoggiandosi con i gomiti sul lungo tavolo di legno e inclinando il capo, lasciando che qualche ciocca ramata le sfuggisse dall’acconciatura e le ricadesse ai lati del visetto regolare.
Ace scosse la testa, osservando come i suoi nuovi ed improbabili amici sorridevano senza pensieri, meritevoli di una pausa. -Nah, sai che non mi va molto.-
-O loro non sono il tuo tipo?- chiese la ragazza, indicando un paio di colleghe che si stavano intrattenendo con due uomini dall’aria alticcia.
Ace sbuffò, distogliendo lo sguardo e bevendo un’altra sorsata di vino. -Senti, quando troverò quella giusta allora mi butterò pure io.- disse scocciato, chiedendole poi di portargli un altro giro.
Nami obbedì e lo lasciò stare, conscia di aver toccato un tasto un po’ delicato per lui, anche se era praticamente l’unica con cui ne parlava.
Ace era un bellissimo ragazzo, simpatico, estroverso e per niente timido, ma aveva un piccolo problema: non sapeva esporsi con le donne. Più precisamente, non riusciva a relazionarsi con loro se l’intento era quello di finirci a letto, visto e considerato che con lei conversava tranquillamente ed erano amici da una vita. La cosa strana, in più, era che non si sforzava nemmeno di cercare la compagnia femminile, per cui doveva essere molto impacciato o timido. Le faceva tenerezza a volte, ma aveva smesso di chiedere alle sue amiche di provare a sedurlo perché lui sembrava non subire nessun effetto.
Si strinse nelle spalle e gli versò da bere, sorridendogli incoraggiante per calmarlo e fargli capire che andava tutto bene, che non importava, che non aveva bisogno di trovare una donna se per il momento stava bene da solo.
A notte inoltrata erano tutti ridotti a degli stracci, ma si reggevano ancora in piedi, dando mostra di un grande autocontrollo, anche se alcune ragazze avevano l’aria sfinita e desideravano solo poter andare a letto per dormire e non per lavorare ancora. Thatch si era perso da qualche parte con quella che secondo lui era la creatura più bella del mondo, con dei capelli rosati e l’aria birichina, decisamente adatta a lui, mentre Namiur, Rakuyo e Izou erano stravaccati sulle sedie con dei sorrisi idioti stampati in faccia e l’aria beata. Quello messo meglio era senza dubbio Ace, il quale si decise a schiodarsi dal bancone solo in quel momento, lasciando Nami libera di finire di sistemare il locale per poi chiudere i battenti e buttare fuori a calci chi non era in grado di andarsene con le proprie gambe.
-Forza ragazzi,- li incalzò il moro, appoggiandosi allo schienate di una sedia per non perdere l’equilibrio, -E’ ora di andare a dormire.-
-Ma Ace,- biascicò Rakuyo, soffiando una boccata di fumo e grattandosi i baffi scuri, -Siamo appena arrivati.-
-Esatto, restiamo ancora un po’- protestò Namiur, aggrappandosi al tavolo, faticando comunque a mantenere gli occhi aperti.
Ace si passò una mano sul volto stanco, sbuffando. -E’ tardissimo. Se il vecchio o quel bastardo di Marco vengono a sapere…-
-Scusate, signori, ma stiamo chiudendo.- fece la voce imperiosa di Dadan alle sue spalle. Inizialmente, Ace la ignorò, continuando la sua frase e spiegando ai suoi compagni brilli che era meglio alzare i tacchi, ma qualcos’altro attirò la sua attenzione, mettendolo sull’attenti.
-E’ solo una visita di cortesia. Decidiamo noi quando chiudere.-
Non sentendo nessuna risposta da parte della proprietaria che, solitamente, non si faceva scrupoli per nessuno, il moro si voltò a guardare chi fosse arrivato, trovandosi costretto a stringere i pugni fino a far sbiancare le nocche quando riconobbe le divise di quattro ufficiali nel bel mezzo di una ronda.
Se fosse stato tutto normale, Ace li avrebbe ignorati, conscio di essere ubriaco e di non avere Sabo al suo fianco, l’unico intoppo stava nel fatto che quell’uomo appena entrato stava puntando contro la sua vecchia levatrice un dito ammonitore e ciò non poteva tollerarlo.
In un attimo gli fu alle spalle, le braccia tese lungo i fianchi e l’espressione più seria e minacciosa di cui disponeva, tanto che gli altri tre soldati indietreggiarono di un passo come intimoriti.
-E voi chi sareste per dettare le regole in casa altrui, Monsieur?- domandò freddamente, fulminando il tizio con la divisa e il cappello blu davanti a lui, il quale si voltò a guardarlo, lasciando intravvedere dei capelli rossi e una cicatrice sul mento.
-Ufficiale Diez Drake.- si presentò il diretto interessato, abbassando la mano e fronteggiando Ace. -E questi non sono affari che vi riguardano.-
Il giovanotto sorrise sprezzante. -Oh, mi riguardano eccome, invece.-
L’uomo assottigliò gli occhi, riconoscendo vagamente il volto già noto del parigino. -Chi siete?-
-In città mi chiamano Pugno di Fuoco.- ironizzò il moro, godendo del risultato che diede il suo soprannome. I presenti, per l’appunto, presero a confabulare tra loro, mentre negli occhi di Drake passava un lampo di comprensione.
Allora sorrise, estraendo la spada dall’elsa, pronto a far rispettare la legge. -Un ricercato, dunque.- mormorò.
A quanto pare torneremo a casa tardi, pensò Ace, pronto a combattere.
-Ti concedo di prendere le tue armi,- disse l’ufficiale, mettendosi in posizione di attacco, -Sarebbe uno scontro impari, altrimenti.-
Ace fece come gli era stato consigliato e nel frattempo anche i suoi compagni recepirono il messaggio, alzandosi barcollanti dai tavoli e facendosi avanti per affrontare le guardie, sperando nella loro fortuna sfacciata.
Prima di iniziare, Ace fece un inchino, sorridendo strafottente. -A voi la prima mossa.-
 
*
 
Quando Thatch, con sulle labbra il sorriso più brillante e soddisfatto che avrebbe mai potuto sfoggiare e la cintola dei pantaloni ancora aperta, scese con calma le scale, ancora con la mente in paradiso per ciò che quella ragazza gli aveva fatto, Dio, se ci sapeva fare!, vide il disastro che stava avvenendo in quell’istante, rimase a fissare la scena a bocca aperta, con una mano dentro le mutande a sistemare gli attrezzi e una fra i capelli sciolti.
Non capiva come Izou e Namiur fossero finiti a giocare a carte con due ufficiali e ancora più strano era il fatto che fossero tutti e quattro mezzi svestiti, mentre sul tavolino troneggiavano mozziconi di sigarette, qualche moneta e un paio di calzini. Poco distante, Rakuyo faticava a tenere la testa sollevata sul bancone del bar mentre ascoltava i discorsi che un soldato gli stava facendo, tenendo stretta una bottiglia di alcolico nella mano opposta a quella che usava per spiegare un qualcosa di apparentemente complicato. Sul palco, invece, circondato da un gruppetto di ragazze che facevano il tifo, riconobbe la figura di Ace che, con la faccia piena di lividi, prendeva a pugni uno dei gendarmi francesi con foga, buttandolo a terra e saltandogli addosso per finirlo. La vittima, però, sembrava non essere intenzionata a cedere perché ribaltò le posizioni e rimase un minuto buono a restituire a Ace tutti i pugni che aveva ricevuto in precedenza, riducendo il ragazzo ad uno straccio. Non sapeva da quanto andasse avanti quel delirio, ma era certo che tutti avessero raggiunto il limite massimo di stupidità stabilito. E poi osavano dare dell’idiota a lui!
Si affrettò ad abbottonarsi i calzoni e a scendere le scale di corsa, agguantando una giacca dimenticata su una sedia, quasi sicuro che fosse sua, e fiondandosi sui suoi fratelli, salutando cortesemente i soldati e assicurando loro che avevano vinto e che potevano tenersi addosso mutande e stivali, intimando nel frattempo agli altri di alzarsi e levare le tende. Passò poi ad afferrare Rakuyo per i capelli, facendolo scendere dallo sgabello e offrendo un altro giro all’ufficiale ormai collassato sul banco, finendo per spedire i tre uomini all’uscita, raccomandando loro di non fare ulteriori cazzate mentre andava a salvare il culo al moccioso.
Si fece largo tra le signorine, scusandosi e pregandole di darsi un contegno e di abbassare le gonne e mettere giù i tacchi alti che avevano preso a sventolare nell’incitamento generale, saltando sul palco e buttandosi nella mischia.
Gli ci volle poco per aggrapparsi alle spalle del rosso che stava picchiando Ace e farlo rotolare di lato, soccorrendo il moro che, quasi indemoniato, si metteva velocemente in ginocchio, pronto a rialzarsi, aiutandosi con le mani per mantenere l’equilibrio.
-Tempo di filare, ragazzino!- lo avvisò affannato il castano, trascinandolo per un braccio e ignorando i ringhi selvaggi che provenivano dall’amico, il quale non sembrava affatto d’accordo con lui.
-Non ho ancora finito!- disse infatti, divincolandosi dalla sua presa e balzando verso Drake che, colto alla sprovvista, finì di nuovo con le spalle sul pavimento, percependo le nocche del Rivoluzionario abbattersi sui suoi zigomi doloranti. Certo che quei topi bastardi erano duri a morire.
-Ora basta!- sbraitò Thatch, stanco di quei comportamenti infantili da parte di tutti. Che diavolo, da quando la polizia si comportava in modo così misero? E come potevano loro non mantenere un certo contegno?
-Dio, Ace, che razza di inetto!-
Detto ciò, chiuse le dita fra i capelli scuri del più piccolo ed iniziò ad avviarsi verso l’uscita, obbligandolo a fermarsi e a concentrarsi sul fastidioso dolore che si irradiava sulla cute.
Lo spinse giù dal palco, rimettendolo poi in piedi e poggiandogli le mani sulle spalle per guidarlo verso la retta via, dove i suoi compagni lo stavano aspettando con espressioni sfatte.
Ace sputò a terra, non opponendosi comunque a quella invasione. Sentiva che avrebbe potuto continuare ancora, ma capiva che in quelle condizioni e senza il resto della sua combriccola francese sarebbe stato più difficile. Certo, Thatch e gli altri erano in gamba, ma dovevano mantenere l’anonimato e non dare troppo nell’occhio, perciò era meglio assecondare il castano e andarsene.
Sul palco, invece, Diez Drake si tirò a sedere con fatica, sentendo le braccia fremere, ma non per la rabbia, bensì per la stanchezza. Quel moccioso lo aveva incredibilmente sfinito, tanto era instancabile.
Si passò il dorso si una mano sul labbro rotto, pulendo via un rivolo di sangue e continuando a fissare le due sagome che si allontanavano verso l’uscita, rendendosi conto che da tempo non di divertiva così tanto. Nell’ultimo periodo non aveva fatto altro che condurre ronde a vuoto e a fare sopraluoghi per nulla, annoiandosi a morte. Gli ci voleva proprio un po’ di sano movimento come quello e, ad onor del vero, il ragazzino era stato un degno avversario nonostante l’età e la faccia tosta.
-Ehi, Pugno di Fuoco.- lo chiamò prima che se ne andasse, facendolo voltare verso di sé e rivolgendogli un’occhiata complice. -Per stavolta siamo pari.-
Ace lo fissò per qualche istante con aria seria, ma alla fine gli sorrise sprezzante, alzando il mento in un gesto altezzoso. -La sconfitta brucia, eh?- lo schernì, prima di voltargli le spalle e seguire i suoi amici in strada, non senza beccarsi uno scappellotto sulla nuca da Thatch che, dopo aver rivolto una frase di scuse e promesse di risarcimento a Madame Dadan, chiuse la porta del locale e si affrettò assieme agli altri lungo la via per tornare all’accampamento.
Drake, stupito e vagamente stanco, si massaggiò il capo, scompigliandosi i capelli ramati ridotti a un disastro e guardando i suoi abiti ormai sgualciti di cui restavano solo brandelli. Ci era andato giù pesante e sicuramente i giorni a venire ne avrebbe risentito in gran parte del corpo, ma pazienza. In qualche modo, se l’era cercata.
Si alzò e recuperò la sua camicia, ignorando le occhiate languide di alcune donne senza ricambiarle e non accorgendosi nemmeno di quelle odiose che le ragazze che avevano parteggiato per Ace gli avevano lanciato quando era passato davanti a loro sforzandosi di non zoppicare. Non perse nemmeno tempo a sgridare e a rimettere in riga i suoi uomini, conscio di essersi comportato peggio di loro. Dannazione, quando mai un ufficiale accettava prima da bere e poi faceva a cazzotti per divertimento?
Si accasciò su di uno sgabello, sentendo la pesantezza della giornata gravare sulle spalle e desiderando solamente di essere nella sua piccola stanza per buttarsi a letto e dormire.
A quanto pareva, però, la serata per lui non era ancora finita.
Lo capì quando una ragazza dall’aria poco cordiale sbucò da una porta secondaria situata dall’altro lato del bancone, guardando in giro con aria curiosa e lasciando intravvedere dietro di sé una dispensa e dei fornelli. Probabilmente veniva dalle cucine, ciò spiegava perché non l’aveva ancora adocchiata prima di allora.
Indossava una camicetta marrone sopra ad un corpetto bianco e non troppo scollato, che spariva dentro un paio di pantaloni lunghi e all’apparenza maschili, ma che le segnavano in un modo del tutto provocatorio le lunghe gambe snelle. Certo, Drake era un uomo di legge, ma era prima di tutto un uomo.
-Ho qualcosa in faccia, soldato?- lo apostrofò la giovane, staccandosi dallo stipite della porta e interrompendo la sua ricerca, concentrandosi su quel tizio con una faccia che doveva aver avuto giorni migliori.
Lo vide aggrottare le sopracciglia prima che le rispondesse con un cenno di diniego, facendola accigliare ulteriormente. Odiava quelli silenziosi che non avevano voglia di dare spiegazioni a voce per paura di scomodarsi troppo e quello, oltre a essere un nemico della loro causa, aveva tutta l’aria di avere un carattere antipatico.
-Ti ho fatto una domanda.- ripeté, avvicinandosi e appoggiando le mani sul bancone, chinandosi verso di lui e lasciando che i capelli le ricadessero sulle spalle, ondeggiando sul collo niveo.
Drake, capendo che non l’avrebbe avuta vinta e desideroso soltanto di restare tranquillo, prese fiato per dire un’unica e singola parola. -No.-
-Allora perche mi fissi?- continuò imperterrita e per nulla soddisfatta, sostenendo lo sguardo con l’uomo e sfidandolo ad aprire bocca se solo aveva il coraggio. Non voleva essere trattata come se non esistesse e se solo lui avesse provato ad ignorarla se ne sarebbe pentito. Purtroppo quello era il suo più grande difetto: attaccava gli altri prima di essere ferita a sua volta; era una sorta di atteggiamento di difesa e non poteva farci niente. Anche perché lei gli sbruffoni se li mangiava a colazione.
Sembrava, però, che quel tizio avesse proprio l’intenzione di farla arrabbiare e stava giusto per afferrare un coltellaccio che Nami aveva sbadatamente, e nel suo caso fortunatamente, dimenticato lì vicino, quando venne richiamata sul retro.
-Bonney? Ehi, Bonney! Andiamo, vieni via, lo sai che non puoi stare qui!-
Sentendosi chiamare, la ragazza strinse l’arma nella mano per poi lasciarla andare, digrignando i denti e assottigliando lo sguardo, fulminando l’ufficiale con un’occhiataccia torva prima di lasciarlo solo e tornarsene a passo svelto in cucina, dove la cuoca la attendeva. Sapeva benissimo che meno restava in salone e meglio era, soprattutto per se stessa e per la sua sanità mentale, ma a volte sentiva davvero il bisogno di staccare, di allontanarsi da quelle quattro mura che la tenevano rinchiusa a lavorare ai fornelli. D’accordo, cucinare le piaceva e anche mangiare, non per niente le sue amiche l’avevano soprannominata affettuosamente Pozzo senza Fondo, ma sempre più spesso le capitava di desiderare di vedere cos’altro c’era al di fuori del locale. Era rischioso dopo quello che le era capitato, ma pensava di essere diventata abbastanza forte per provare, almeno, ad ambientarsi nel mondo. Dopotutto, non dietro tutti gli angoli c’erano malintenzionati pronti a stuprare e ad uccidere, no? A dire la verità non lo sapeva e la prima e ultima volta che le era capitato di scoprirlo sua madre aveva perso la vita nel tentativo di proteggerla e lei aveva quasi perso il senno. Fortuna che era stata amorevolmente raccolta dalla strada da una delle ragazze di Dadan e il cibo le aveva dato la forza di riprendersi, oltre alla nuova famiglia che si era costruita. I rapporti col mondo esterno, comunque, erano ragionevolmente andati a farsi benedire.
Perciò non aveva la minima idea di come fare per attaccare bottone con un bel ragazzo come quello che aveva appena visto arrancare fino al bancone dalla finestrella affissa alla porta della cucina. Il suo intento irrefrenabile che le aveva fatto mollare pentole e avanzi nel lavandino era stato quello di uscire e pulirgli quella brutta ferita al labbro, ma alla fine, proprio quando aveva deciso di farsi avanti, non ce l’aveva fatta e non si era sentita per niente tranquilla con quello sguardo addosso che non sembrava esprimere proprio niente.
Così aveva mandato tutto al diavolo e ci aveva rinunciato come sempre, chiudendosi la porta alle spalle e decisa ad andarsene a letto il prima possibile, lasciando le pentole da pulire per la mattina seguente e infischiandosene di beccarsi una strigliata dalla titolare.
Le farfalle allo stomaco potevano venire anche a una strana come lei, dopotutto.
 
*
 
La stanza era buia e l’unica illuminazione fioca che rischiarava un angolo accanto al letto era data da una piccola candela quasi arrivata al limite e dalla sua fiammella tremolante e precaria. L’odore di vino impregnava gli abiti sparsi sul pavimento e, in parte, le lenzuola sfatte. Di tanto in tanto, qualche cardine del giaciglio in legno scricchiolava sotto il peso di chi vi era adagiato, ma nessun altro suono si udiva in quel capanno facente parte di una fattoria appena fuori Parigi. Eccezione fatta per gli animali, non un’anima passava da quelle parti, inoltrandosi nei campi avvolti dalla notte.
Era il luogo perfetto per nascondersi, adatto a mantenere l’anonimato e a permettere a quei due di consumare quel piacere che sentivano ribollire nel sangue ogni volta che si incontravano per caso. Doveva sempre essere l’ultima, ogni notte si ripromettevano che avrebbero dato un taglio a quel peccato, a quella sorta di relazione malsana e sbagliata, ma puntualmente si ritrovavano a scopare in mezzo a paglia e foraggio, incuranti della frescura notturna, della seduta scomoda e dello squallore che aleggiava attorno a loro e ai loro corpi avvinghiati.
Sanji si morse un labbro per non gemere, stringendo un lembo della coperta grezza e logora sulla quale era stato gettato con poca grazia e delicatezza. Quel bastardo, lo sapeva che non avrebbe dovuto accettare quella proposta, consapevole di come sarebbe andata a finire.
Quel giorno Zoro si era presentato al panificio di Zeff prima della chiusura con una scusa che non stava ne in cielo, ne in terra, ma alla quale Sanji aveva voluto credere, seppur con un ghigno ironico stampato in faccia, e aveva accettato di seguirlo per le strade della città, accompagnandolo prima a salutare un paio di amici nel Quartiere Latino, e riprendendo poi la passeggiata muniti di un paio di bottiglie da svuotare, giusto per avere un capro espiatorio da usare per spiegare a loro stessi quello che stavano facendo in quel momento. Doveva sempre esserci almeno una goccia d’alcool nei loro incontri, altrimenti non sarebbero riusciti ad accettare quella cosa. Insomma, entrambi si odiavano da sempre e ciò lo avevano capito tutti ormai. Zoro era un arrogante e un insensibile, patito solamente per la guerra e gli scontri a lame incrociate contro gli ufficiali, mentre Sanji preferiva rinchiudersi in cucina a cucinare per un reggimento o ad adulare belle ragazze. Certo, anche a lui ogni tanto piaceva uscire in piazza a dare man forte ai Rivoluzionari, ma ciò non cambiava il fatto che considerasse Zoro un vero animale, privo di educazione e cervello. Era uno zoticone idiota e ignorante, ecco.
Dovette tapparsi la bocca con una mano. Al diavolo quella testaccia verde e quella sua frenesia, non era un sacco di patate, per cui poteva anche fare un po’ più piano e stare attento a non fargli male. Perché essere sbattuto su quel letto scardinato non gli faceva piacere, neanche un po’, provava solamente ribrezzo e se lo faceva e continuava ad assecondare il compagno era solamente perché aveva bevuto troppo e confondeva la realtà.
Aveva la testa leggera, ma sentiva il pesante martellare del cuore che pareva essere sul punto di esplodergli nel petto, nelle vene e nelle orecchie. I capelli gli ricadevano continuamente sulla fronte, appannandogli la vista, anche se non vedeva male ugualmente per la poca luce. Gli dolevano le braccia perché aveva tenuto i muscoli contratti per troppo tempo ed era certo che l’indomani avrebbe avuto un mal di schiena con i fiocchi dato il modo in cui inarcava la spina dorsale per assecondare Zoro, il quale sembrava determinato a non volerlo lasciare andare.
Si morse un labbro per la disperazione, disgustato da se stesso e dalla sua incapacità di sottrarsi a tutto ciò, ma quella sgradevole sensazione venne presto sostituita da altre, facendo si che si ritrovasse costretto a lasciar perdere i suoi tormenti, di nuovo. Maledizione, quanto si faceva schifo.
-Lascia andare.- si sentì sussurrare, mentre si ritrovava i polsi intrappolati dalle mani forti di Zoro, il quale non desiderava altro che sentire come Sanji gemesse sotto di lui.
E il biondo lo fece, per quanto umiliante fosse, e lasciò andare tutto, riempiendo la stanza di sospiri e mormorii non troppo sommessi, dettati dal momento e dall’annebbiamento che aveva avvolto la sua mente durante l’amplesso, l’ennesimo.
Zoro raggiunse l’apice poco dopo e rimase per un attimo aggrappato ai fianchi sottili di Sanji, lasciandovi impresso il segno indesiderato delle sue unghie e riprendendo fiato, calmando i battiti irregolari e impazziti del cuore, imponendosi un certo contegno e ricordandosi poi di lasciarlo andare, adagiandosi a pancia in su sul letto e guardando il soffitto. Accanto a lui, l’altro ragazzo rimase immobile sul materasso, gli occhi serrati per il vago dolore al fondoschiena e la bocca dischiusa nel tentativo di calmarsi e di ritornare lucido. Non aveva bevuto molto, ma aveva comunque preso qualche abbondante sorsata e ciò bastava come scusa, anche se pessima e non più credibile, ormai. Lo facevano da talmente tanto tempo che si chiedeva come riuscissero a guardarsi allo specchio e a darla a bere a loro stessi. Ma quello era il modo migliore per non affrontare il discorso, per non parlarne e meno chiarivano, meglio era. Lui odiava Zoro, Zoro odiava lui e andava bene. Era tutto normale. Il loro si poteva chiamare scontro fisico per stabilire chi fosse il più forte. Il punto era che nemmeno a quella domanda non c’era una risposta esaustiva. Preferivano comunque lasciare le cose come stavano, calandosi entrambi ogni giorno nell’apparente normalità della loro futile vita.
Le dita dello spadaccino che gli sfioravano la schiena in un gesto quasi dolce, però, non erano per niente normali, tanto che Sanji scattò a sedere come scottato, avvertendo una fastidiosa fitta al bassoventre, e, dopo essersi passato una mano sul viso per scostare i capelli arruffati dalla fronte, assicurandosi di essere in grado di camminare, si alzò per andare alla ricerca dei suoi vestiti, non curandosi della sua nudità. Ne aveva passate troppe per mettersi a fare il pudico.
-Che fai?- si sentì domandare.
-Non lo vedi?- rispose seccamente, afferrando frettolosamente, desideroso solo di andarsene, un paio di pantaloni e scoprendo dopo averli indossati che non erano i suoi.
-Possiamo restare un altro po’.- insisté Zoro, pacato e tranquillo come se niente fosse.
Sanji si accigliò mentre continuava a tastare al buio il pavimento. Cioè, ne voleva ancora? Dovevano essere circa le tre del mattino, quindi era tardi e significava che erano lì da ore. Non aveva voglia di tornarsene in quel buco dove viveva e dormire? Non che lui fosse senza energie, affatto, non era di certo da meno di quel bastardo, ma tutto aveva un limite.
-Aspettiamo che tu ti riprenda, se vuoi.-
Quella scoccata finale, però, non l’avrebbe digerita e non gliel’avrebbe fatta passare liscia. Lo odiava anche per quel motivo, per quelle sue frecciatine malevole, dirette solo a farlo diventare matto, dato che, se qualcuno lo sfidava, non diceva mai di no per principio.
Si voltò a guardare Zoro che, ancora stravaccato a letto, sogghignava divertito, conscio di aver toccato le corde giuste per ottenere ciò che voleva, ed era proprio Sanji quello a cui ambiva.
Il biondo sbuffò, arricciando il naso e ritornando sui suoi passi, appoggiando le ginocchia al materasso che cigolò per inclinarsi fino ad essere faccia a faccia con il ragazzo che detestava quasi come se fosse stato un suo nemico.
-Vaffanculo.- sillabò.
-Oh, ma chiudi il becco.- sbottò Zoro, attirandolo a sé e baciandolo con foga.
Sono ubriaco, pensarono entrambi, lasciandosi andare e ricominciando da capo. Avrebbero risolto i loro problemi il mattino seguente.
 
 
 
 
 
Angolo Autrice.
Buongiorno ^^ state tutti bene?
Ow, io si, alla grande, in questo momento mi sto sentendo super potente, quasi come se tenessi nelle mani il destino delle persone.
Sto scherzando, ma la sensazione è più o meno quella, vi auguro di provarla il prima possibile *risata maligna*
Mio Dio, ho fatto davvero quella cosa con le stelline (**) per favore, dimenticatela. Sono tentata io stessa di cancellarla, ma vado di fretta perché ho una tazza enorme di caffè da bere per superare il resto della giornata. Quindi, iniziamo!
Finalmente è arrivata Nami! Non vedevo l’ora di introdurla, anche perché non l’ho mai presa davvero in considerazione come personaggio e se l’ho citata è stato solo sotto il punto di vista maschile di Zoro perché, ahimé, con lei non trovo tutta questa affinità. Preferisco qualcuno più alla mano come Bonney, parecchio più ‘agra’ si dice dalle mie parti, ovvero qualcuno che vive in mezzo ai campi, molto rude, ecco. Una contadina insomma xD
Scherzi a parte, lei ha una cotta per Rufy che, come vedremo prossimamente, in certe cose è proprio negato, ma portiamo pazienza, l’amore farà il suo corso!
A proposito di donne, bravo Thatch, tu si che hai l’aria di uno che sa il fatto suo, non per niente hai passato una notte di fuoco. Ringraziami, è solo perché mi sei simpatico, ma i guai arriveranno anche per te, fidati.
Poi c’è Ace che, cucciolo, non sa approcciarsi. Io dico che è unicamente perché ha altri gusti, ma lascio che sia lui a rendersene conto. Intanto preferisce una bella scazzottata con gli ufficiali. E che ufficiali, oserei dire!
Era da un po’ che volevo mettere in mezzo Drake, quindi eccolo qua, bello come il sole ** tanto da indurre quella matta di Bonney a uscire dal suo nascondiglio per… minacciarlo e mangiarselo a colazione? Va bene. Probabilmente in giro questo pairing si è già visto, ma io ammetto di non saperne nulla e mi scuso se dovrebbero sfuggirmi di mano i caratteri o le situazioni in cui si troveranno, mlmlml. Ho detto tutto ^^
E poi. E POI.
Si, sono arrivati Sanji e Zoro, contenti? Sono certa che non vi è dispiaciuta nemmeno il contesto in cui si trovavano, mlmlml. Anyway, si odiano, si odiano tanto ma, insomma, sono taaaanto belli. Non so voi, ma volevo rendere Sanji un pochino disperato per la situazione. Gli sta sfuggendo di mano la sua vita, è normale che sia spaesato. Anche a livello sentimentale.
Okay, anche per oggi è tutto, ci si ritrova la settimana prossima ^^
Ringrazio sempre tutti, vecchi e nuovi lettori, e un grazie anche a chi mi lascia il suo parere, siete sempre così simpatiche e gentili :D
 
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Un abbraccione :3
See ya,
Ace.
  
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