Capitolo 7
TERI
Sorrisi per il sollievo, dopo mesi. Ce l’avevo fatta. Avevo
finalmente contattato Mel. Ero spossata e non me ne ero resa conto fino a quel
momento. Contattare la figlia di Atena aveva costituito un obiettivo talmente
fondamentale in quei due mesi da non farmi sentire la stanchezza. Ora che
l’obiettivo era stato raggiunto sentii la fatica investirmi come un carro
armato.
Ludkar accanto a me mi aveva appena fatto una
domanda, ma io non ci avevo prestato attenzione. Ero occupata a interrompere la
comunicazione, altrimenti Ludkar si sarebbe accorto
che avevo mandato una richiesta d’aiuto.
«A chi hai detto scappa?» domandò Ludkar, corrugando
la fronte. Diamine. Dovevo inventarmi qualcosa, e alla svelta. Così finsi una
voce fioca e un’espressione triste. Non che fosse poi così difficile, dopo mesi
lì dentro e dopo aver visto tante tragedie messe in scena dai figli di Apollo.
«A me stessa» mormorai.
«Mi dispiace, tesoro. Ma finché tuo padre non si deciderà a lasciarci un pegno,
un segno che non si riprenderà questo privilegio che ci ha donato, io non ti
lascerò andare. E deve lasciarci anche un posto lì giù, negli Inferi. Siamo
suoi pari, deve trattarci come tali.». Peccato che mio padre fosse morto sedici
anni prima. Ade mi proteggeva, ma non ero sua figlia. Ma annuii. Ludkar sorrise.
«Vedo che ragioni, splendore.». Mi scostò una ciocca di capelli e mi soffiò sul
collo. Rabbrividii mentre la sua mano fredda mi afferrava dai fianchi.
«Ludkar!» gridò qualcuno, fuori dalla cella.
«Oh, proprio ora che cominciavamo a divertirci...». Si strinse nelle spalle.
«Se la caveranno da soli».
«Non ora!» gridò di rimando.
Sentii un altro brivido percorrermi la schiena e cercai di trattenere il
tremito che mi aveva colto il labbro inferiore. Cosa diavolo aveva intenzione
di fare? Sentii i sensi alla massima allerta. Fece per avvicinare il suo viso
al mio.
«Ludkar, è urgente!» urlò nuovamente qualcuno. «Si
tratta dell’arma!»
Ludkar sobbalzò. Poi mi accarezzò lievemente la
guancia e le nostre labbra si sfiorarono. Chiusi gli occhi istintivamente,
ritraendomi appena, ma la sua era una presa di ferro.
«Mi racconterai un’altra volta di questo Leo» soffiò sulle mie labbra, e feci
in tempo a riaprire gli occhi per vederlo sorridere languidamente. Poi aprì la
porta della cella e andò via.
Mi appoggiai sul cuscino della brandina e vi nascosi il viso. Sentivo la gola
bruciare per le lacrime che volevo versare, ma ormai avevo i condotti lacrimali
consumati. Ero stanca di piangere. Mi consolavo all’idea che fossi riuscita a
contattare Mel. L’avevo vista diversa nel messaggio. Era più magra, si era
sfoltita i capelli e i suoi occhi grigi erano più brillanti. Dopo averla vista,
ne sentii ancora di più la mancanza. Mi accoccolai sotto la copertina ruvida e
cercai di spegnere il cervello e dormire.
Ovviamente il mio cervello non la pensava così, e decise di farsi venire tutti
i problemi in quel momento.
Ripensai a come mi ero salvata dalle mani luride di Ludkar.
L’avevano chiamato per qualcosa...un’arma. L’arma che volevano come pegno da
parte di Ade, certo. Ma perché Ludkar si era
affrettato così tanto?
Mi alzai dalla brandina e mi avvicinai alla porta della cella, sperando di
riuscire a captare qualcosa. Sentivo delle voci, ma erano solo bisbigli
indistinti. Mi mancava quasi quel morto vivente di Jasper, il vampiro che avevo
conosciuto qualche mese prima e che aveva un superudito, per quanto idiota
potesse essere. Morto vivente, ma certo! Avrei potuto evocare un’anima e
chiederle di origliare per conto mio. Alla fine, ero sempre protetta da Ade
come se fossi sua figlia.
Poi la realtà del posto in cui ero mi si spiattellò in faccia come una doccia
fredda. Non potevo evocare proprio nessuno. Ero in un’altra vibrazione della
realtà, ero nel luogo tra la vita e la morte.
Ero già esausta per aver chiamato Mel, una persona viva. Figurarsi un morto,
che vuole l’intero McDonald’s per fare la propria apparizione e quello di cui
disponevo io era solo un pezzo di pane raffermo.
Mi aggrappai alla porta della cella, frustrata.
E poi quelle voci si fecero chiare.
«La ragazza ha scoperto il suo lato di Cacciatrice» disse una voce roca. Non
era quella di Ludkar e nemmeno quella di Kolor. Ma non mi era nuova. «È arrivata da poco
all’Istituto, ma il nostro informatore mi ha comunicato che ha cominciato
l’allenamento, anche se non va poi così bene.»
Poi sentii Ludkar parlare.
«Come sarebbe?»
«Le spade angeliche la rifiutano e lei rifiuta le rune».
Non avevo idea di cosa stessero parlando. Rune, spade angeliche, Cacciatori.
Non potevo essere io. Non mi avevano fatto toccare né spade né rune, qualsiasi
cosa fossero. Forse non ero l’unica ad essere prigioniera.
«Va benissimo invece» disse Ludkar.
«Come sarebbe?»
«Non preoccuparti. Va avanti»
«Sta acquisendo più padronanza dell’arco di Apollo».
Spalancai gli occhi. Esisteva solo un arco che poteva avere quel nome. E
apparteneva ad Eles.
In quei mesi forse aveva scoperto questo suo lato da Cacciatrice con spade
angeliche e rune, anche se io non avevo idea di cosa significasse. Conoscevo
solo le Cacciatrici di Artemide, e nonostante non le avessi mai viste, sapevo
che non usavano spade angeliche e tantomeno rune.
«Tra quanto credi sarà pronta?» chiese Ludkar.
«Basterà farle perdere qualcuno a cui tiene particolarmente. E si consegnerà a
noi» rispose la voce roca.
«E chi sarebbe questo qualcuno?»
«Abbiamo già la figlia di Ade»
«Ma il loro legame non è forte come quello che c’è tra la figlia di Ade e la
figlia di Atena. E sicuramente quella ricciolina impicciona non permetterà a
nessuno di consegnarsi per Teri al posto suo. No, ci
vuole qualcuno di più vicino al cuore della super abbronzata.»
«Ora che mi ci fai pensare ci sarebbe qualcuno».
«Non la madre. Non mi azzarderei mai a torturare
una Shadowhunter esperta».
«Già. Maledetti Shadowhunters. Tu
sei stato due settimane in quel Campo. Non ricordi niente?»
«Mh, fammi pensare. Ci
sarebbe questo semidio, James. Anche lui figlio di Apollo e molto affezionato
alla sua sorellina. E a Mel. Oppure Liam, figlio di
Ermes. Ha una cotta seria per Eles.»
«E quale ragazzino non ha una cotta per quella
patetica abbronzatissima?»
«No, e sta proprio qui il bello. Eles sembra ricambiare.»
«Liam, hai detto,
giusto? Bene.»
«Fa' in modo che soffra, ma non ucciderlo fino a
quando Eles non avrà ceduto.» si raccomandò Ludkar.
«Tranquillo, Ludkar.
So come fare».
«Jack, fa' come ti dico e basta. Niente
stronzate».
«Okay, capo».
Sentii una sedia spostarsi. Pensai che fosse l'adrenalina a
schiarire i suoni alle mie orecchie. Dovevo avvisare di nuovo Mel. Dovevo dirle
di avvisare il Campo e soprattutto Liam e James.
«Oh, aspetta Jack! Pensavo che potremmo
incrementare la dose per convincere la piccola semidea a schierarsi dalla
nostra parte. E anche Ade a lasciarci il pegno che vogliamo».
«Certo»
«Allora io ti filmerò mentre ti farai una bevuta
dalla pallidina, lassù. È debole. Farle male sarà facile».
Spalancai gli occhi e mi morsi la lingua per trattenere un
urlo.
«E lei com'è?»
«Molto carina, posso garantirtelo».
«Si può fare anche adesso».
«Bene, allora andiamo».
Un’irrazionale paura mi attanagliò lo stomaco e il respiro accorciarsi. Sentii
nuovamente una sedia scostarsi. Tornai subito sulla branda. Non dovevano
pensare che avessi origliato.
Sentii i passi che si avvicinavano mentre avvertivo lo
stomaco stringersi in un nodo. Sulla soglia comparvero Ludkar
e un altro ragazzo sulla trentina. Aveva i capelli lunghi e castani, ricci. Era
quello che mi aveva buttata nella cella, due mesi prima. Aveva la pelle pallida
come quella di Ludkar e gli occhi azzurri come il
cielo. Era leggermente più basso di Ludkar, ma più
muscoloso. Sarebbe stato anche bello se non avessi saputo cosa stava per farmi.
Volevo evocare dei fiori, come mi aveva insegnato Persefone,
per farli inciampare, ma in quel mondo di cenere era impossibile.
«Ora stai tranquilla, bella. Sarà veloce, ma
intenso». E ridacchiò.
Strinsi la coperta in un pugno.
«No...» mormorai. «Per favore, no».
Fu un istante. Jack si avventò su di me e mi bloccò le
braccia al muro.
«Sarà divertente» mi disse, e respirai il suo
alito puzzolente di sangue, spingendo indietro un conato di vomito.
Mi divincolai, ma evidentemente i Nocturni
erano accumunati da una presa di ferro. Tutte le fortune. Cercai di sferrargli
un calcio, ma il suo corpo sembrava fatto di marmo.
«Ferma, ferma. Hai davvero troppa energia.
Dovrei togliertene un po'». I canini spuntarono scintillanti dalle sue gengive.
In quegli occhi azzurri fu come se rivedessi la mia
vita. Vidi mia zia, che mi aveva accudita per quindici anni. Ricordai quando
scoprii di essere diversa, di avere poteri, al ballo scolastico e inseguita da
un Ciclope. Ricordai quando creai un collegamento empatico con Mel. Rividi Niall, il mio adorabile satiro e migliore amico, i miei
fratelli Gregor e Nico, gli occhi dolci e multicolore di Persefone,
mia madre. Ricordai i baci di Leo, le sue mani calde, il suo sorriso furbo. Era
finita. Le lacrime scorrevano lungo le mie guance. Il mio ultimo pensiero andò
ad Ade, mio padre. Non lo era davvero, ma restava il mio riferimento. Ero
pronta a morire.
Ma nel momento in cui i canini sfiorarono il mio collo
sentii uno strano calore provenire dai miei piedi. Riaprii gli occhi e vidi che
i miei piedi stavano prendendo fuoco.
«Ma che diavolo succed-»
borbottò Jack, ritraendosi. Le fiamme ai miei piedi si alzarono, avvolgendomi
le gambe.
«Le fiamme nel Cinerarium
dovrebbero essere viola...Tutto questo è..».
Le fiamme, invece, erano stupende, come quelle
che Leo faceva spuntare tra le sue mani. Mi era mancato quel colore.
Ludkar tentò di toccare il fuoco, ma non riuscì nemmeno ad avvicinarsi.
C’era come un campo di forza intorno a me. Mi si tapparono le orecchie. Vedevo
i due Nocturni agitarsi e cercare di spegnere quello
che ormai si stava trasformando in un incendio. Io, invece, ero tranquilla. Il
dolore che mi provocava il fuoco non era insopportabile. Preferivo morire così,
piuttosto che dissanguata e torturata. Basta in quel luogo a metà, tra il mondo
della vita e quello della morte. Dovevo andare e appartenere ad uno solo. Alla
fine, la mia vita non era stata così brutta. Raggiungere Ade non sarebbe
nemmeno stato così male. Le fiamme divamparono e fui completamente avvolta in
una colonna di fumo e fiamme.