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Autore: Horror_Vacui    21/02/2015    4 recensioni
Primo settembre, Londra, stazione di King's Cross, binario nove e tre quarti.
Come sempre, anche in quel giorno, la vita dava dimostrazione della sua crudele indifferenza allo scorrere del tempo e alle persone che erano state strappate via dal giardino del mondo.
Il sole continuava a sorgere, il vento a soffiare forte, la pioggia a cadere incessante, mentre a soli pochi mesi di distanza si era consumata la tragedia della Seconda Guerra Magica.
Il dolore avviluppava nelle sue spire scure le anime scucite dei superstiti, mentre i cuori sanguinavano per le ferite inferte dalle perdite subite.
Eppure eccoli lì, riuniti sul binario che aveva sancito il loro ingresso nel mondo degli adulti, gli studenti che avevano combattuto quell'ultima battaglia, pronti a concludere il percorso iniziato insieme anni prima, inconsapevoli della nuova minaccia che si profilava all'orizzonte.
Genere: Mistero, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Blaise Zabini, Draco Malfoy, Ginny Weasley, Harry Potter, Hermione Granger | Coppie: Draco/Hermione, Harry/Ginny
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Da Epilogo alternativo
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Capitolo 2. Anime fragili


Il treno frenò stridendo forte sui binari e quando le porte si aprirono gli studenti scesero sulla banchina come un rumoroso sciame d'api. Il castello li attendeva nella sua maestosa imponenza e, se ispirava fiducia e protezione a chi lo vedeva per la prima volta, non si poteva dire lo stesso per coloro che vi facevano ritorno. Il ricordo della feroce battaglia, come una nube nera carica di poggia, oscurava la luce di tutti gli anni passati insieme tra le mura della scuola.
Draco Malfoy, fermo in piedi accanto al suo baule, sentì un tremito attraversargli le viscere.

Aveva paura.
Irrazionale terrore di varcare la soglia di Hogwarts e trovarli in attesa del loro arrivo, avvolti nei cappucci neri e con le facce coperte dalle maschere.
Accese un sigaretta, ostentando la gelida calma che gli era sempre stata richiesta. Cosa ne sarebbe stato di lui? Si sentiva perso, spogliato del suo ruolo e privato di una base solida su cui poggiarsi.
Azkaban era un luogo di non ritorno per i mangiamorte. Solo ai maghi canterini era concessa la libertà, ma una volta usciti di prigione le possibilità di restare vivi erano infinitesimali.
Pansy e Theodore non avevano fatto domande quando l'avevano visto arrivare e gli si erano accodati come un tempo, in religioso silenzio. A differenza degli altri due compagni, Blaise sembrava aver percepito il suo malessere e non gli aveva tolto gli occhi di dosso per tutta la durata del viaggio.
I loro genitori erano stati più furbi e previdenti,  li avevano tenuti lontani dalle riunioni e dalle missioni ufficiali, evitando così di comprometterli. Per quanto potente potesse apparire il Signore Oscuro, l'unico a credere ciecamente alla sua ascesa era stato Lucius. Si era esposto fin dall'inizio, trascinando tutta la famiglia Malfoy nel baratro, senza pensare alle conseguenze, senza piani di emergenza. Aveva messo a repentaglio la vita del suo erede, di sua moglie, ed ora entrambi pagavano lo scotto di quelle azioni sconsiderate.
Suo padre era ancora a piede libero, fuggito subito dopo la morte di Voldemort, mentre Narcissa era stata ritenuta complice di ogni efferatezza compiuta dal marito.
Il pensiero di sua madre, rinchiusa in una cella a marcire, mentre le altre mogli dei mangiamorte si godevano gli agi dei loro palazzi, gli fece salire la bile in gola. 
Respirò a fondo l'ultima boccata di fumo e gettò la sigaretta a terra. Aveva affidato a quel mozzicone i suoi tormenti e lo pestò per metterli a tacere.
«Draco, dobbiamo andare» la mano grande e leggera di Blaise gli si posò sulla spalla. 
Guardò le dita lunghe e scure di traverso, ma non degnò il loro proprietario di una risposta. Erano le prime parole che qualcuno gli rivolgeva quella mattina e scoprì di non sentirne la mancanza.
Il dialogo era sempre stato un gioco pericoloso e non aveva voglia di iniziare una partita contro il suo avversario più temibile, l'unico in grado di scovare e recidere i suoi nervi scoperti. Si sarebbe chiuso in un bieco mutismo piuttosto che cedere.
Riprese a camminare, mantenendo un'andatura lenta e rilassata, nonostante il cuore minacciasse di esplodergli in petto. Blaise era il suo migliore amico, gli aveva fatto visita ad Azkaban ogni mese nell'unico giorno che gli era concesso e fino ad allora si era fidato di lui, come fosse sangue del suo sangue, ma da quando era stato rilasciato temeva che tutto fosse cambiato. La fiducia riposta in Blaise vacillava, insinuata dal dubbio, ed era certo che il sentimento fosse reciproco.
Ricorda Draco, se vuoi sopravvivere non fidarti di nessuno. Mai.
Quelle parole gli risuonarono in testa come un monito gridato dall'alto impossibile da ignorare. 
Nel frattempo erano arrivati alle carrozze e, alle occhiatacce risentite di Blaise, si unirono quelle colme di sdegno e ostilità degli altri studenti, scoccate come dardi avvelenati nella loro direzione.
Irrilevanti, pensò.
Vide i thestral, attaccati alle vetture scure, mentre brucavano l'erba scuotendo di tanto in tanto le ali carnose.
Dovrei spedire un biglietto di ringraziamento a mio padre per lo spettacolo, si disse, disgustato.

*

Il litigio tra Harry e Ginny era iniziato a metà strada, lui aveva urtato per caso il succo di zucca che lei teneva in mano, rovinando per sempre il suo “grazioso maglioncino color crema”. 
Arrivata sulla banchina, Hermione aveva preferito lasciarli indietro a risolvere la questione. Purtroppo, però, quando era da sola diventava più difficile tenere insieme i cocci. Pensieri terribili le occupavano la mente, intrecciandosi in una serie infinita di riflessioni sterili di cui non riusciva a liberarsi. Aveva detto addio alla sua vita babbana, ai suoi genitori, per non metterli di nuovo in pericolo, ma non avrebbe mai pensato di dover rinunciare all'ennesimo pezzetto di cuore.
Ron non era stato più lo stesso dopo la morte di Fred. Per quanto si sforzasse di pensare al futuro, a loro due insieme, felici in un piccolo appartamento al centro di Londra a condividere ogni momento, sapeva in partenza che era una stupida illusione. Le premesse portavano su una strada completamente diversa ed era sempre più difficile credere il contrario, tuttavia aveva continuato ad alimentare la fiamma della speranza nutrendola di bugie.
Erano passati solo due mesi dalla fine della guerra e in un giorno di fine luglio Ron era tornato alla Tana dopo un viaggio a Londra, il volto accigliato e le spalle basse. Non avrebbe mai dimenticato l'ostinazione con cui il suo ragazzo continuava a guardarsi la punta delle scarpe, né la sensazione di gelo che le aveva accarezzato la schiena facendola tremare. Odiava i silenzi di Ron, non portavano mai a nulla di buono e così l'aveva rimbeccato, gli aveva urlato contro, nel solo modo che conosceva per mascherare le lacrime... e allora lui aveva parlato, le spalle di nuovo dritte e negli occhi una straordinaria determinazione.
Sospirò torcendosi le mani e mordendosi le labbra.
Resisti, Hermione.
Il senso del dovere le diceva che era indispensabile per lei, nuova Caposcuola, presenziare alla cena di benvenuto, ma il corpo le urlava di correre veloce ai dormitori, dove nessuno avrebbe assistito al triste spettacolo di Hermione Granger che crollava a pezzi.
Aveva indugiato un po’ fuori, non badando alla fiumana di persone che si dirigeva in Sala Grande, così quando si decise ad entrare la trovò quasi al completo.
Non badò molto al brusio che accompagnò il suo ingresso, ma si diresse impacciata al tavolo dei Grifondoro. Calì e Lavanda richiamarono la sua attenzione e prese posto accanto a loro, pronta a dover ignorare una quantità spropositata di frecciatine.
«Ma dov'eri finita?!» la voce di Harry la fece sobbalzare. Non lo aveva visto, troppo presa dal nascondere alle compagne di casa la propria angoscia, eppure lui era lì davanti a lei, da solo.
«I-io avevo bisogno d'aria» disse con poca convinzione «E Ginny?»
Harry abbassò lo sguardo e prese a giocherellare nervoso con le posate.
«Aveva bisogno d'aria anche lei» sospirò senza aggiungere altro.

Il Cappello Parlante aveva cantato la sua canzone, gli studenti del primo anno erano stati smistati e dopo l’ultimo ragazzino ci fu una pausa. Un silenzio carico di aspettative si protrasse per minuti interminabili, finché la professoressa McGranitt, nuova preside di Hogwarts, si avvicinò al pulpito dorato. 
Harry provò a deglutire più volte senza successo. Guardò la McGranitt e non poté fare a meno di pensare a Silente, ai suoi occhi che si spegnevano dietro l'alone verde della morte e al suo corpo che precipitava nel vuoto. 
Il succo di zucca gli parve troppo arancione e le posate troppo scintillanti, si mosse sulla panca come fosse coperta di spine e serrò i pugni sotto il tavolo.
Vide davanti a sé Severus Piton, con gli occhi lucidi e il sangue che a fiotti sgorgava dagli squarci sul petto. Aveva sacrificato tutto per proteggerlo e lui l'aveva ripagato con odio e rancore.
Che ingrato.
All'improvviso i suoi compagni di casa erano troppo vicini e l'aria nei polmoni troppo poca. Hermione gli tese una mano attraverso il tavolo e lui si appigliò a quelle dita fredde, mentre la preside si accingeva a parlare.
«Miei cari ragazzi, sono lieta di dare il benvenuto ai nuovi studenti che quest’anno si apprestano ad iniziare un lungo e prospero percorso di crescita personale; spero che impegnerete tutte le vostre energie affinché possa essere il più proficuo possibile. Ci aspettiamo grandi cose da voi! E un bentornato a chi questa scuola ha già visto crescere. Se uno tra i periodi più bui della storia è giunto al termine è anche grazie a voi, che siete rimasti e avete difeso tutto il mondo magico dalle insidie delle arti oscure. Grazie!» la McGranitt finì così per commuoversi tra gli applausi scroscianti di tutti gli studenti, alzatisi in piedi per rendere omaggio alla scuola e a loro stessi. 
Il discorso, però, non era ancora terminato.
«Bene!» batté le mani «Passiamo alle novità. Accogliamo il nuovo professore di Babbanologia, il signor Brett Dukes!»
L’uomo si alzò di scatto facendo stridere la sedia e rovesciando il calice addosso al professor Vitious. Chiedendo mille volte scusa si sistemò gli occhialetti sul naso e fece un goffo saluto alla Sala, caduta nel silenzio. 
Il signor Dukes era un uomo sulla trentina, capelli castano scuro ed occhi blu acciaio, abbastanza alto, il suo fisico faceva pensare a tutto, tranne che fosse un tale imbranato da non riuscire a mettere un piede davanti all’altro senza combinare un disastro. 
La preside lo guardò sconcertata, ma per superare il momento di catastrofico imbarazzo invitò gli studenti ad applaudire. Presentò poi la nuova professoressa di Trasfigurazione, la signorina Green, una donnetta anziana dall’aspetto severo, che storse la bocca in una smorfia più simile ad un ghigno che ad un vero sorriso.
Un posto restava vuoto. 
«Il Ministero ha deciso che quest’anno non ci sarà un insegnante di Difesa contro le Arti Oscure» a queste parole esplose un coro di voci, sussurri e lamenti.
«Silenzio!» gridò la preside, aiutata da un Sonorus.
«Dicevo, non un insegnante bensì un’intera squadra di Auror! Vi presento Matthew Turner, capo-squadrone della settima divisione!» disse indicando l'entrata con un ampio gesto della mano.
Un ragazzo poco più che venticinquenne, impettito e con le mani incrociate dietro la schiena raggiunse la McGranitt. Sembrava che la divisa gli fosse stata cucita addosso tanto era impeccabile, senza nemmeno una grinza, i capelli mossi erano tenuti in perfetto ordine dal gel, mentre dagli occhi chiari non trapelava nulla. Lasciò correre lo sguardo per tutta la sala e poi si soffermò a guardare un tavolo in particolare, quello dei Serpeverde.
Draco sentì le viscere torcersi quando quegli occhi grandi e sporgenti fecero una breve sosta nei suoi. L'adrenalina si diffuse dalla pianta dei piedi fino alle mani in un doloroso tremito.
Strinse il tovagliolo mentre il desiderio di fumare una sigaretta pungeva in fondo alla gola secca.
Matthew Turner con passo solenne si diresse al centro della sala.
«Buonasera ragazzi!» tuonò «Il Ministero ha ritenuto necessario fornirvi un'istruzione adeguata ai tempi, dunque, da quest'anno e per sempre, noi Auror ci occuperemo di insegnare a voi, che siete il nostro futuro, come
sopravvivere. Rivoluzioneremo il modo di intendere Difesa contro le arti oscure! Il corso includerà i principi base della lotta corpo a corpo, della scherma e di tiro con l’arco. Sarete protagonisti di vere e proprie simulazioni di situazioni ad alto rischio, perché il Ministero ritiene obsolete lezioni affrontate solo su base teorica» appariva calmo, tuttavia il modo in cui si alzava sulle punte dei piedi alla fine di ogni frase, tradiva un certo nervosismo.
«Ci sono domande?» chiese agli studenti.
L'istinto spinse Draco a rivolgere lo sguardo verso i Grifondoro, alla ricerca di una ben conosciuta testa piena di ricci, nella convinzione che la mano di Hermione Granger fosse già puntata al cielo. Rimase deluso e allo stesso tempo sorpreso nel vederla china a contemplare il vuoto di fronte a sé.
«Mi scusi,» una vocetta squillante spezzò il silenzio inquietante della sala «mi chiamo Brenda Sullivan e frequento il quarto anno, appartengo alla casa Corvonero e vorrei sapere il motivo di questo cambiamento. Credo che le attività da lei prese in considerazione siano cose da auror e credo che dovremmo essere liberi di scegliere dopo la scuola se praticarle o meno.»
Brenda Sullivan, una ragazzina alta come uno gnomo e magra come un elfo domestico, il volto nascosto da uno grosso paio di occhiali e la lingua lunga tipica delle ragazze Corvonero. Nonostante passasse gran parte del suo tempo sepolta sotto montagne di libri in biblioteca, non spiccava di certo per qualità, ma era conosciuta da tutti in quanto dotata di un talento naturale nel mettere i puntini sulle i. Non le sfuggiva nulla, la vista da talpa era compensata da un udito eccellente e da uno spirito polemico senza rivali, che la cacciava spesso nei guai.
Molti studenti, incoraggiati da quell'intervento le diedero manforte e lei gonfiò il petto, per la prima volta non derisa ma appoggiata dai compagni. Peccato che quel momento idilliaco non fosse destinato a durare.
Matthew Turner scattò in avanti e, aggirandosi tra i tavoli come un lupo famelico in cerca della preda, riprese a parlare: aveva buttato via la maschera.
«Se pensate... se siete convinti che sia tutto finito, ho una brutta notizia per voi!» urlava come un sergente davanti alle reclute, enfatizzando ogni parola e muovendosi a scatti, le mani dietro la schiena e un sorriso largo e finto, in netto contrasto con gli occhi spiritati.
«Viviamo un momento particolare, quello degli strascichi, quello dei rimasugli, quello dei ratti di fogna da spedire ad Azkaban!» gridò e poi batté un piede imprecando.
«Signor Turner!» lo rimbeccò la preside con tono duro, ma lui alzò una mano per tranquillizzarla, asciugandosi con l'altra la saliva agli angoli della bocca.
«Per eventuali chiarimenti mi troverete nell’ufficio destinato al professore di Difesa» un leggero cenno della testa e l’auror prese posto al tavolo degli insegnanti, indifferente al vociare generale.

La cena non era durata più delle altre volte, ma a lei era sembrata lunga e noiosa come non mai.
Auror a parte.
Sapeva che anche Harry la pensava allo stesso modo, lo capiva dalle occhiate piene di sconforto e dal modo in cui giocava con il cibo nel piatto senza mangiarlo davvero. 
Dal canto suo ogni singola portata era priva di attrattiva e aveva mandato giù solo un piccolo budino al cioccolato.
Erano stati un trio per ben sette anni e ognuno di loro era un elemento importante a cui non era possibile rinunciare. Prese a torturarsi il labbro inferiore nel tentativo di trattenere le lacrime di nostalgia che le inumidivano già le ciglia. Distolse lo sguardo dal proprio tavolo e per caso incrociò quello dell'ultima persona che avrebbe voluto vedere. 
Occhi grigi circondati da segni scuri e malsani le restituirono un'espressione inquieta. Draco Malfoy sussultò, come colto in flagrante, e lei si sentì profondamente turbata da quel contatto.
L'ultima volta che aveva visto il suo viso era sulla Gazzetta del Profeta, una foto grande in prima pagina, accompagnata da un articolo al vetriolo in cui, dopo una breve parentesi sul processo che aveva stabilito per lui il carcere a vita, ci si chiedeva cosa avesse indotto i giudici a far cadere le accuse per effettiva mancanza di prove. Harry lo aveva letto con attenzione durante il viaggio in treno, ma era certa che non ne avesse parlato per non far agitare Ginny.
Un'altra conversazione che avrebbero dovuto tenere in privato.
Guidata da una forza superiore alla sua stessa volontà, si mise ad osservarlo con attenzione. Era lui, il perfetto miscuglio genetico di due delle famiglie purosangue più importanti di Londra, capelli chiari e morbidi che ricadevano leggeri sulla fronte, occhi grigi e pelle diafana, eppure le sembrava 
diverso, quasi irriconoscibile. Ricordava lo sguardo fiero e tagliente, il mento alzato e la bocca piegata in un ghigno sardonico, una sfida al mondo circostante, troppo piccolo, troppo infimo e miserabile per tenere testa all'Ultimo Discendente, il Principe delle Serpi.
La spavalderia adolescenziale era scomparsa assieme a quel ghigno e al suo posto Hermione percepiva qualcos'altro. Il Draco Malfoy che conosceva non avrebbe sussultato, no, lui l'avrebbe guardata con disprezzo e disgusto. E invece era lì, continuava a guardarla con aria smarrita, le mani intrecciate davanti alla bocca come stesse pensando a qualcosa di molto importante.
Sostenne quello sguardo stanco senza batter ciglio, incapace di comprende persino le sue stesse azioni, finché i mantelli degli studenti, che si alzavano per la fine della cena, non le coprirono la visuale e ciò che vide dopo fu un posto vuoto: era andato via. 

La sua nuova stanza era una singola, privilegio riservato ai soli Caposcuola, e ringraziò mentalmente se stessa per essere stata sempre costante e diligente. Non avrebbe avuto la forza necessaria per ascoltare pettegolezzi, risatine e pianti notturni.
Infilò il pigiama, pronta a mettersi a letto, quando due colpi alla porta la fecero sobbalzare. I muscoli in tensione e i nervi a fior di pelle, afferrò la bacchetta e la puntò di fronte a sé.
«Chi è?» chiese, provando a non sembrare troppo esasperata, ma l'unica risposta che ottenne furono altri colpi concitati. 
Ricopriva una carica importante e non sarebbe stato poi così strano trovarsi di fronte ad un nuovo prefetto in difficoltà, ma ormai aveva perso la battaglia con la paranoia.
Spezzò il colloportus e quasi le venne un colpo quando Harry, ancora in divisa, emerse da sotto il mantello dell'invisibilità. Il cuore le salì in gola, trasformando l'urlo in un singhiozzo spaventato, ma l'amico fu veloce e la spinse dentro la stanza, richiudendosi la porta alle spalle. 
«Harry! Che diamine stai combinando?!» esclamò in preda ad una crisi isterica, ma lui sembrava non sentire, impegnato a lanciare incantesimi di protezione.
«Hermione,» sospirò affranto, dopo aver insonorizzato la camera «ho asciugato tutte le tue lacrime, ascoltato tutte le tue lamentele, subìto i tuoi sbalzi d'umore...» si sdraiò sul letto accanto a lei, che nel frattempo si era seduta a braccia conserte «...e adesso sono venuto a riscuotere!» picchiettò una mano sul materasso invitandola a stendersi.
«E va bene,» sospirò lasciandosi andare all'indietro «che hai combinato?»
«Io? Perché dovrei aver combinato qualcosa?»
«Harry, lasciatelo dire, sei una vera schiappa nel rapporto di coppia.»
«Sì, è vero, ma stavolta non ho fatto nulla, giuro!» si difese.
«Ah, no?» sentì il sopracciglio sollevarsi fino a raggiungere l'attaccatura dei capelli.
«No! Io sto solo cercando di...» fece una pausa ed Hermione alzò gli occhi per poterlo guardare in volto «...io voglio vivere una vita normale, capisci? Per quanto mi è possibile, s'intende.»
«Lo vogliamo tutti» percepì un'ombra addensarsi sul cuore ripensando al sorriso di Ron.
«Ginny sta soffrendo per la morte di Fred, ma c'è dell'altro. Non si dà pace pensando al figlio del professor Lupin e più passo del tempo con lei, più mi rendo conto che mi ritiene il diretto responsabile» infilò le dita sotto gli occhiali per strofinare le palpebre in un gesto a cui Hermione era abituata.
«Credevo avessimo già stabilito che non è colpa tua. Sai, è storia vecchia, comincia a puzzare di stantio» disse pizzicandogli il fianco.
«Lei non mi ha mai accusato direttamente...» lasciò cadere il discorso.
«Hai provato a parlarle?» chiese la ragazza in tono paziente.
«Certo che sì! Non ha voluto» disse tra i denti «e, prima che tu dica altro, il bernoccolo che ho sulla fronte ne è la prova!»
Hermione si puntellò sui gomiti e notò il grosso rigonfiamento rossastro sulla fronte dell'amico.
«Fa male?» gli chiese trattenendo le risate con scarso successo.
«Oh, Hermione, sai che amo un po' di sano dolore fisico! A volte sono costretto a provvedere da solo al mio piacere, mi capita di sbattere la testa al muro o punirmi come fossi un elfo dom...»
«Ok, ok» lo fermò mettendogli una mano sulla bocca «ho capito!»
L'amicizia è un'anima sola che vive in due corpi, lo aveva letto in un libro una volta, ma non ricordava chi fosse l'autore, quel che però sapeva, in quel preciso istante, era che lei e Harry stavano diventando così simili da assumere gli stessi atteggiamenti senza neppure rendersene conto.
Negli ultimi tempi erano acidi, fragili e incazzati neri, ma anche tristi e giù di corda, in una giostra di diverse emozioni che si alternavano seguendo una logica tutta loro.
Riuscivano a capirsi al volo, bastava uno sguardo. Con Harry era tutto semplice e immediato, il dolore e la fatica di un rapporto instabile erano un brutto ricordo ed era facile mettere da parte le preoccupazioni. I problemi iniziavano quando dei fratelli dai capelli rossi entravano nelle loro vite, mettendole a soqquadro e lasciandoli poi da soli a riordinare i pezzi.
«Harry, forse dovresti lasciarle del tempo per riflettere...»
«Ma lei non vuole del tempo per riflettere!» la interruppe balzando in piedi «Mi vuole sempre vicino e allo stesso tempo sembra non sopportare la mia presenza» la guardò negli occhi attraverso le lenti storte e piene di impronte.
«Cosa vuoi sentirti dire?» 

Harry iniziò a girare per la stanza, si passò più volte le mani tra i capelli e alla fine prese in braccio Grattastinchi, accarezzandolo come una furia mentre il povero gatto cercava di divincolarsi senza successo.
«Metti giù il gatto, adesso» scandì piano, parola per parola, sillaba per sillaba, ma lui non la stava più ascoltando, troppo preso dal flusso dei suoi pensieri.
«Io non lo so. Dimmi che ho qualche speranza di vederla di nuovo sorridere. Dimmi che è solo un brutto momento e che prima o poi passerà. Non posso perdere anche Ginny» Grattastinchi scivolò via dalle braccia finalmente molli e arrendevoli del ragazzo.
Vedere Harry sconfitto e ferito, 
ancora una volta.
Non avere le risposte che lui stava cercando, 
ancora una volta.
Si sentiva impotente. Avrebbe dovuto dire qualcosa, qualsiasi cosa, ma riuscì solo a restituirgli un volto afflitto e un silenzio fin troppo pesante. 
Aveva fallito, 
ancora una volta.

   
 
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