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Autore: AlfiaH    22/02/2015    3 recensioni
[Destiel/Sabriel/ lievissimi accenni alla DeanXLisa, alla Megstiel e alla SamXRuby - Castiel ispirato alla sua End!Verse - AU]
Dean e Castiel si sono lasciati un anno fa e non si parlano da allora, ma Gabriel ha bisogno d'aiuto e Sam è piuttosto disperato.
Dal testo:
“Vuoi dirmi perché sei qui – perché siamo qui, o devo aspettare che Dio mi conferisca il potere della chiaroveggenza?” sbotta Castiel. È nervoso, nasconde la mano destra in una tasca, spera che smetta di tremare.
“Lo sapresti se ti fossi degnato di rispondere a quel cazzo di telefono!”
[...]
“Ho lasciato anche medicina. Ho mollato tutto quando- Cristo, non sono abbastanza fatto per affrontare questa conversazione”. Castiel preme i palmi sulle tempie, la testa gli sta per scoppiare.
Genere: Angst, Commedia, Fluff | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Castiel, Dean Winchester, Gabriel, Sam Winchester
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessuna stagione
Capitoli:
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C'è chi presta il Giuramento di Ippocrate e chi Cucina Anfetamine
 




“Ti faceva così schifo l’idea di sposarmi, Cas?”
Dean digrigna i denti, lo guarda negli occhi, ma non si aspetta davvero una risposta; la risata di Castiel lo è già di per sé e gli spezza il cuore.
Di nuovo.
Non si è mai sentito così umiliato in vita sua, così patetico e fragile e supido; Dean vorrebbe soltanto scavare una bella fossa, seppellircisi e non vederlo mai più (potrebbe seppellire Castiel ma, come ha notato in precedenza, non può ancora sbarazzarsi di lui).
Ride di lu.
Lo stesso Castiel – Cas – che l’ha guardato con gli occhioni blu spalancati la prima volta che Dean, un moccioso di dodici anni ed un sorriso sdentato, gli ha teso la mano, lo stesso che i bulli prendevano in giro, perché era un secchione e non aveva mai baciato una ragazza, e che lo implorava di lasciar perdere quando Dean li prendeva a calci; lo stesso Cas, che è diventato il suo migliore amico e poi tutto il suo mondo, ora ride di lui e delle sue debolezze come il peggiore degli stronzi. Stronzo ed ingrato.
Cristo, si sente proprio una liceale rifiutata.
 “Lo trovi divertente” soffia lentamente, colmo di rancore. Il cielo si oscura per un attimo; Dean non crede a queste cose ma se ora si mettesse a piovere, non si sorprenderebbe; farebbe giusto in tempo a dire “tanto non può andare peggio di così”, perché è una cosa che va detta in certi casi, quando tutto va male e pensi che l’universo si sia già accanito abbastanza su di te, e invece comincia a piovere, tanto per ricordarti che la vita non farà mai troppo schifo.
Magari, se cominciasse davvero a piovere e scoprisse di trovarsi in uno squallido film d’amore, il dolore che prova sarebbe meno reale.
Ma non lo è, non lo diventa neppure quando Dean chiude gli occhi e li riapre; Cas è ancora lì col suo sorriso stronzo e lui continua a sentirsi un idiota.
 Un idiota per aver passato notti insonni ad organizzare tutto nei minimi dettagli – il luogo, la musica, l’atmosfera. Gesù, Charlie e Backy avevano persino minacciato mezzo ristorante per far esporre gli agapanthus qualcosa campanulatus che erano i fiori preferiti di Castiel. Roba da andare fuori di testa, roba di cui Dean avrebbe fatto volentieri  a meno, perché “farà meglio a dirmi di si perché questa è la cosa più romantica che mi vedrà fare e- Dio, questa non è Taylor Swift, vero?”, e quel grandissimo figlio di puttana non gli ha dato nemmeno la possibilità di provarci, di proporgli una vita insieme – come se Dean avesse avuto bisogno di uno stramaledettissimo pezzo di carta per dimostrargli che si, lo amava, e no, non lo avrebbe mai lasciato.
Ma poteva farlo. Per Cas. Perché Cas si sarebbe sentito più sicuro una volta messo nero su bianco – perché era un idiota a pensare che Dean potesse abbandonarlo, ma Dean lo amava lo stesso.
L’ironia.
È stato Castiel ad andare via. Castiel che aveva bisogno di lui, che non riusciva a dormire se Dean non era al suo fianco, che si preoccupava troppo quando aveva l’influenza.
 Non c’era verso che Dean potesse aspettarsi una cosa del genere.
Non ha avuto nemmeno il coraggio di dirgli che no, era carino da parte sua, ma non voleva sposarlo. Forse non voleva umiliarlo troppo, chi lo sa.
Sa solo che la mattina del due dicembre Cas è uscito mentre dormiva.
Ha lasciato un post it sul frigo per dirgli addio e non è più tornato, non ha risposto alle chiamate, gli ha chiuso la porta in faccia quando è andato a cercarlo, a riprenderselo, a casa di Gabriel e poi ha cambiato stato.
Non l’ha più rivisto, non gli hanno nemmeno rimborsato i fiori.
E quello stronzo ha il coraggio di ridergli in faccia.
Ora, non è che Dean non abbia mai colpito un uomo, un ex troppo invadente, un ubriaco o un tossico o entrambe le cose (l’ha fatto appena la sera prima), ma colpire Castiel gli fa tutto un altro effetto. È liberatorio.
È come sbarazzarsi da un cappio alla gola e tornare respirare dopo secoli e secoli di agonia e frustrazione, improvvisamente consapevoli di poterlo strappare via e sentirsi un po’ più forti, dopo essere stati deboli ed inermi tanto a lungo. Una scarica di adrenalina gli percorre la schiena, Castiel barcolla all’indietro, sanguinante, e Dean si sente meglio di quanto potrebbe sentirsi sfogando a parole tutta la rabbia del mondo. Qualche passante si volta a guardarli e si avvicina, nessuno dei due ci fa caso.
“Dean, aspetta, io-” tenta il moro con gli occhi spalancati, la mano sul labbro spaccato gli trema; gli fa venire voglia di colpirlo di nuovo –  che diritto ha Dean di non dare ascolto al suo corpo?
“Lo trovi ancora così divertente?” ringhia e gli assesta un altro destro in pieno volto; si sente meno vulnerabile, più leggero. Ma Castiel non cade – barcolla ma non molla, no? –, si aggrappa alla sua giacca e lo scuote, come se tentasse di svegliarlo.
“Dean, è tutto così sbagliato” parla velocemente, a corto di tempo, prima che Dean possa spingerlo via. “Ci siamo sbagliati, io mi sono sbagliato. Mi dispiace”.
 “Ah si?” una risata gli raschia la gola, è amara, gli scava nel petto. Se lo scrolla di dosso in malo modo, ancora arrabbiato, e stende le braccia lungo i fianchi, stringe i pugni; la voglia di prenderlo a calci scorre ancora potente dentro di lui, per questo gli consiglia mentalmente di scegliere con cura le sue parole e di non peggiorare la situazione. “Devi essere un po’ più specifico, Cas”.
“Pensavo che l’anello fosse per Lisa!” risponde spalancando le braccia. Questa volta è il cervello di Dean ad essere lento. “Pensavo che fossi innamorato di lei, che volessi una famiglia con lei e Ben, per questo io-”
“Figlio di puttana”, realizza. Finalmente tutto acquista senso.

Lisa che ritorna nella sua vita, Lisa che gli confessa di avere un figlio.

“L’avevi sempre desiderato, Dean, ed eri così felice con loro- Che diritto avevo io di mettermi in mezzo?”

Il rapporto con Castiel che comincia ad incrinarsi.
 
“Lisa è stato il tuo primo amore, è la madre di tuo figlio. Aveva senso. Il modo in cui vi guardavate, il tempo che passavate insieme. Sembrava giusto”, mormora Castiel. Quando Dean fa per rispondere qualcosa, la voce gli esce come un sussurro.
“Ti sembrava giusto” ripete come un automa; non lo sta davvero ascoltando, non ne ha bisogno perché ora tutto gli appare chiaro, anche se non sta affatto meglio.

Ben che lo trascina alle sue partite di baseball, Lisa che gli sfiora la mano quando escono a cena tutti insieme, Dean che cerca di recuperare il tempo perduto con la sua famiglia, con suo figlio – Castiel che tutte le sere lo aspetta alzato e ha gli occhi lucidi perché ha paura di non farne più parte.

“Sapevo che prima o poi ti saresti stancato di me, delle mie insicurezze, dei miei complessi esistenziali, della mia mania di catalogare i libri in ordine di uscita – doveva succedere, prima o poi, e tu mi hai aiutato così tanto ad essere una persona migliore, Dean”.

Dean che non gli chiede mai nulla perché è stanco e non ha voglia di litigare, perché sta organizzando per loro una serata magica e Lisa gli sta dando una mano;
Castiel che trova l’anello e decide di andare via perché Dean non l’ama più.

“Non potevo chiederti nulla di più di quello che mi avevi già dato”.
La voce di Castiel si spezza, e qualcuno deve intervenire per tirarlo via perché Dean sembra avere tutte le intenzioni di strozzarlo.
 
*****

 
“Sam”.
Nell’esatto momento in cui Gabriel pronuncia il suo nome Sam sa che c’è qualcosa che non va, e non ha tanto a che vedere col fatto che non lo chiami mai in quel modo, se non mentre fanno sesso, quanto col tono serio della sua voce; Gabriel sta per fargli il discorso e Sam non è fisicamente pronto a questo. Non lo sarà mai.
“Ti prego, risparmiamelo. Tu non morirai, Gabe”. Non sa da dove arrivi tutta quella sicurezza, ma dirlo ad alta voce, sorprendentemente, non lo spiazza come invece aveva previsto. Al contrario, per un attimo sembra spiazzare Gabriel: la sua mano si stringe appena attorno al lenzuolo e i suoi occhi si sgranano un poco, per poi stringersi in due fessure ambrate. “No, ovvio che no. Ma che razza di discorsi fa?” lo spintona, oltraggiato, e Sam inarca un sopracciglio. Ovviamente non si sposta di un millimetro. “Allora vuoi fare sesso”.
“Dovresti avvisare quando stai per dire una cosa del genere, fiocco di neve. Potrei eccitarmi”. Il biondo si umetta le labbra e lascia scorrere le dita lungo la sua schiena, provocandogli un brivido. Sam, seduto sul bordo del letto, non si scompone, non ha voglia di lasciarsi ingannare da una carezza e un sorriso languido. Questa volta non ha proprio voglia.
“Ti conosco, Gabriel. Usi sempre dei nomignoli assurdi, tranne quando devi dirmi una cosa importante. O vuoi farmelo venire duro”.
“Chi ti dice che non voglia fartelo venire duro?” il candore del suo tono è talmente disarmante che, per un attimo, Sam boccheggia. Poi si allunga in avanti, fa leva sulle braccia, e preme le labbra contro le sue, un po’ per fargli chiudere la bocca, un po’ perché spera di ripagarlo con la stessa moneta e coglierlo di sorpresa.
A volte il ragazzo si illude un po’ troppo.
Gabriel intreccia le dita tra i suoi capelli e lo spinge più vicino a sé, si intrufola nella sua bocca e cerca la sua lingua; Sam gli sfugge, cerca di mostrare un minimo di pudore (si illude proprio tanto), dal momento che, in effetti, si trovano in un maledetto ospedale e la mano di Gabriel sta scendendo pericolosamente verso il basso, ma è consapevole di non potergli resistere – il bastardo lo sa e ride sotto i baffi.
Quando si allontana dalle sue labbra, Gabe ha gli occhi serrati e Sam è leggermente a corto di fiato. Gli prende il volto tra le mani e poggia la fronte sulla sua, il suo cuore si scalda quando incontra lo sguardo di sole liquido dell’altro. Suonerà sentimentale, ma non si stancherebbe mai di guardarlo (Gabriel lo prende in giro per questo, ma arrossisce ogni volta che glielo dice). “Andrà tutto bene, Gabe. Ti opererai e starai bene. Non ti lascio andare da nessuna parte. Quindi niente discorso, okay?”
“Niente discorso” acconsente con un sospiro, e lo bacia di nuovo.
“Cosa farei senza di te?”
“Non lo so, Sam”.
 
*****

 
Castiel si costringe a fissare la parete confortabilmente bianca della sala verde mentre l’infermiera gli medica il brutto taglio sullo zigomo ed il naso (non è rotto, ha assicurato, ma gli fa comunque un male cane); Dean ci è andato giù pesante e, benché Castiel fatichi a comprenderlo, come fatica a comprendere l’uso della violenza in generale, non lo biasima –  e come potrebbe?
Dean è poggiato all’altra parete con le braccia incrociate e, anche se Castiel non può vederlo, è sicuro che lo stia incenerendo con lo guardo dal momento sente la schiena bruciare e la nuca gli formicola – ma potrebbe anche essere una commozione celebrale visto la brutta botta che ha preso. In generale, si sente un po’ ammaccato. È anche un po’ in ansia (è piuttosto sicuro che le mani gli tremino per questo, stavolta) perché ora che Dean si è sfogato ed è più calmo, vorrà parlare. Vorrà chiarire, ed in quel caso Castiel sarà costretto a spiegare, a chiedergli della fede che porta al dito, e non è sicuro di voler sentire la risposta.
O forse no.
Forse Dean non vorrà parlare con lui, mai più. Forse è cambiato, come è cambiato Castiel, e quello che si sono già detti non cambia nulla, quindi perché parlarne? Eppure cambia tutto – tutte le decisioni che ha preso, tutto quello di cui era convinto. Tutto sbagliato. È così felice che sia tutto sbagliato.
Dean invece non lo è (o almeno non lo sembra, visto che l’ha quasi strozzato).
 Cas vorrebbe sapere quello che pensa, ma non può; gli tremano le mani.
“Come nuovo”, esclama l’infermiera appiccicandogli un cerotto sulla faccia. Lancia un’occhiataccia oltre la sua spalla, probabilmente rivolta a Dean, ma non aggiunge altro. “Grazie”, mormora in risposta e lei gli dà un buffetto sulla spalla; sorride, è carina. Evidentemente non sa chi sia davvero Castiel.
“Santo cielo, Dean! Vuoi piantarla di metterti nei guai?”
Un medico fa la sua entrata, una cartelletta blu sotto il braccio, e un’espressione accigliata che, suppone, dovrebbe sembrare minacciosa.
È davvero giovane, pensa, e questo un po’ lo fa sentire un fallito perché, che cavolo, un ragazzino può indossare il camice bianco e lui non è nemmeno riuscito a prendere la laurea. Ora ricorda perché preferisce essere fatto. “Scusaci, Wendy, puoi andare” ordina, l’infermiera si chiude la porta alle spalle e finalmente Dean si stacca dal muro.
“Kevin-”
“No, non dire nulla. Dimmi solo che ti è saltato in mente. Una rissa, Dean? Davvero?
“Scus-”
“E se avessero chiamato la polizia? Vuoi farmi perdere il posto? Lo sai che dovrei denunciarvi entrambi, si?” il tono della sua voce si abbassa di un ottava, quasi tema di essere sentito. Cas lo trova buffo. Probabilmente è solo stressato.
“Lo so, lascia che ti-” tenta di nuovo, ma il ragazzo alza una mano invitandolo tacitamente a chiudere la bocca.  “Bene. E sai anche che siete sotto la mia responsabilità e che quindi è a me che fanno riferimento se tu combini qualcosa. Perciò la prossima volta evita di prendere a pugni il primo che passa. Novak, giusto?” Dean borbotta sottovoce qualcosa di incomprensibile ed alza le mani in segno di resa, Castiel si limita ad annuire, rigido, stringendogli la mano. “Dottor Tran. Il motivo per il quale non l’hanno ancora cacciato a pedate nel sedere, signor Novak”.
“Grazie per non avermi denunciato”.
“Kevin è il dottor House di questo ospedale. La sua parola è legge qui dentro”, spiega Winchester con una punta di ironia, rivolgendogli finalmente la parola, anche se non sembra davvero rivolto a lui, e guadagnandosi un’occhiataccia, l’ennesima della giornata, da parte del medico. “Ruffianare non ti fa guadagnare punti, Dean, sono ancora arrabbiato con te. Riguardo a lei”, Cas sente un brivido corrergli lungo la schiena quando stringe la cartelletta ed un cattivo pensiero si forma nella sua testa (ha le mie analisi?), “mi segua nel mio ufficio. Devo parlarle”. Istintivamente guarda Dean, incontra i suoi occhi e, benché li trovi confusi quanto i suoi, gli chiede aiuto: non è pronto a reggere una brutta notizia, non da solo, non senza una goccia di vodka e un paio di pasticche. Che codardo. Dean sembra comprenderlo.
“Brutte notizie?” chiede infatti con quella punta di preoccupazione che non lo aiuta a stare meglio.
“Nessuna notizia, Dean, le analisi non sono ancora pronte. Dì a Sam di andare a casa a farsi una doccia, le infermiere cominciano a lamentarsi”.
 
*****
 
 
Non è la prima volta che mette piede in un ospedale, anzi, ci è entrato spesso e volentieri, sia in veste di paziente quando era un marmocchio malaticcio,  sia in veste di fidanzato nel panico quando Dean si è rotto un braccio giocando a football, sia come medico tirocinante quando era ancora all’università. Sono (erano) un po’ come il suo habitat naturale, non per niente desiderava diventare cardiologo. Lo desidera ancora, ma ad un certo punto le sue priorità sono cambiate senza che potesse accorgersene. Deve essere stata una cosa graduale perché davvero non ricorda quando ha cominciato a mettere Dean davanti ai suoi sogni, davanti a tutto; potrebbe essere stata quella volta in mensa, quando Dean l’ha invitato a sedersi al tavolo con i suoi amici, o quella volta che gli ha insegnato a pattinare (il ghiaccio è molto più confortevole della terra, è pulito), oppure la prima volta che l’ha baciato ed è arrossito fino alla punta dei capelli.
Castiel non lo sa. Sa solo che prima c’era Dean e poi non c’era più, e non c’erano più nemmeno i suoi sogni.
Tutto per un malinteso – a pensarci bene non fa così ridere.
Forse è per questo che ora si sente così a disagio.
La vita gli sta urlando contro: “potevi avere tutto questo, potevi essere al posto di Kevin, potevi essere qualcuno, invece hai mollato. Patetico” e, grazie tante, come se Castiel non lo sapesse. Forse è il karma – forse è che sono passate più di dodici ore ed è ancora sobrio. È piuttosto sicuro che il dottor Tran voglia parlargli di questo. Di cos’altro, se no?
Le sue teorie vengono confermante quando il ragazzo poggia sulla scrivania del suo studio il tubetto di speed ed incrocia le braccia, in attesa, gli occhi scuri che lo scrutano. Si sente giudicato, ed il fatto che ci sia abituato non rende la sensazione meno schifosa. Sospira.
“Lei sa che queste sono illegali, non è vero?”
“Se dichiarassi di no, otterrei uno sconto della pena?” Il medico aggrotta la fronte, inarca un sopracciglio, “Se avessi voluto denunciarla, l’avrei già fatto”.
“Lo farà appena le analisi avranno confermato la mia inutilità. O, in caso contrario, appena dopo il trapianto. Non sono stupido, dottor Tran. Solo perché eviti il problema imminente, non significa che non ce ne sia un altro all’orizzonte, no? Magari anche peggiore”.
“Se sapeva che sarebbe finito in prigione, perché è venuto?”
“Perché mio fratello sta morendo”, esclama Castiel spalancando gli occhi. Quel tipo pensa davvero che sia senza cuore? Certo, lui e Gabriel non sono andati sempre d’accordo, ma è l’unica famiglia che gli resta; Anna e Balthazar non portano neppure il suo stesso cognome, li avrà visti un paio di volte ai pranzi di Natale e poi al funerale di loro padre, a Manchester, cinque anni prima. Sono volati in Inghilterra quando i loro genitori hanno divorziato; Gabriel e Castiel, al contrario, essendo ancora dei mocciosi, sono rimasti in America con loro madre. Non è stato facile,  Castiel si rende conto di quanto sia stata dura per sua madre crescerli da sola. Se ne rendeva anche allora, per questo se ne stava sempre zitto e camminava in punta di piedi. A volte Gabriel lo prendeva in giro, Cas era troppo buono per dargli del ciccione (Gabe ha sempre avuto questa insopportabile dipendenza dagli zuccheri, che gli ha fatto pesare parecchio gli anni della pubertà). Ma riusciva sempre a farlo ridere e gli voleva bene. È suo fratello, perché diavolo non dovrebbe rischiare la prigione, o qualunque altra cosa, per lui? “Lei non ha fratelli o sorelle?”
“No, purtroppo no. È buffo, sa? Mesi fa, quando ho incontrato Dean mi ha fatto la stessa domanda. Suo fratello si era lussato una spalla durante una rissa, ma non potevamo tenerlo qui per via dell’assicurazione. Suppongo stesse cercando di appellarsi alla mia umanità, o qualcosa del genere. Alla fine siamo diventati buoni amici, e lo rispetto molto, anche se rischia di farmi licenziare ogni volta che mette piede qui dentro. Sa perché non ho mandato via Sam quel giorno?”
Cas aggrotta le sopracciglia, lo guarda confuso mentre prende posto dietro la sua scrivania; sembra molto più vecchio con quell’espressione seria e le mani intrecciate sul legno.
“Sono io che non riesco a cogliere il punto o è lei che sta semplicemente vaneggiando? Sa che queste sono illegali, no?” lo scimmiotta indicando con un cenno il tubetto biancastro sul tavolo. È così vicino, sarebbe così semplice afferrarlo e scappare. Si costringe a guardare da un’altra parte; non può farlo.
“Suvvia, non mi risponda con altre domande”, risponde con un sorriso ironico che lo infastidisce.
“E lei non mi faccia domande di cui mi è impossibile conoscere la risposta, ed arrivi al sodo. Cosa vuole da me?”
“Ha ragione, è inutile girarci intorno. Mi dica, lei conosce il giuramento di Ippocrate?” Castiel rotea gli occhi all’ennesima domanda, ma Kevin si sbriga ad aggiungere: “risponda e basta”.
“Si, lo conosco. Ho studiato medicina per sei anni all’università”.
“Bene. Allora saprà che è dovere di ogni medico aiutare le persone in difficoltà, che si tratti di una spalla lussata o di leucemia. È dovere di ogni medico fare la cosa giusta per il paziente, indipendentemente dalla pila di cartacce da compilare o dal denaro che potresti guadagnarci. È per questo che ho aiutato Sam, ed è per questo che non la denuncerò. Il giuramento di Ippocrate me lo impedisce: sono tenuto ad aiutare Gabriel in ogni modo ed a rispettare il segreto professionale per quanto riguarda lei e ciò che mi confiderà oggi”.
“Ma io non sono un suo paziente. Non sono nemmeno ricoverato in quest’ospedale”, mormora incerto, spostando il peso da un piede all’altro. Il medico gli rivolge un sorriso furbo, estraendo un foglio prestampato dalla sua cartelletta blu.
“Metta una firma qui, signor Novak, si lasci aiutare. La tossicodipendenza è considerata una malattia, lo sa? Possiamo curarla. Potrà appellarsi alla mia professionalità e io non verrò licenziato per non averla denunciata.
Cominciamo a risolvere un problema alla volta, le va? Prima quelli imminenti. Poi penseremo a quelli che verranno”.
Castiel si umetta le labbra e si siede di fronte a lui, prendendo il foglio tra le mani; tremano. Le anfetamine sono appena qualche centimetro dal suo gomito. Può prenderle, può correre via. È sicuro che il dottor Tran non lo fermerebbe. Può chiedere a Meg di ospitarlo per qualche giorno e poi sparire di nuovo. Può vivere senza Dean (l’ha già fatto) e può vivere senza sentirsi in colpa (l’alcol aiuta).
Può fare tutte queste cose, ma il suo è sempre stato più un problema di volontà e questa volta Castiel non vuole scappare* – ogni fibra del suo corpo invece lo vorrebbe e ruggisce. Vuole fare la scelta giusta perché, anche se non è un medico, è quello in cui ha sempre creduto.
“Dove devo firmare?”
“Proprio qui. Ora mi dica, quale altra droga è solito assumere?”
“Al giorno d’oggi assumere droghe costa parecchio”, si schiarisce la voce, soffermandosi con la penna sull’ultima lettera del suo nome, “e non sempre puoi andare a letto col tuo spacciatore, specie se è una donna e tu hai uhm- altre preferenze”. Fa una pausa, lo guarda di sottecchi, riporta lo sguardo sulla sua scrittura scura. Non sa come dirglielo.
“Insomma, quello che sto cercando di dire è che, come le ho già detto, ho studiato medicina, e- diciamo che la mia materia preferita è sempre stata la chimica”.


#Angolo della disperazione
Hello boys!
 
Eccoci al secondo capitolo! Vorrei ringraziare tutti quelli che hanno recensito il primo e messo tra le seguite questa storia!
Riguardo i temi trattati nella fanfiction: malgrado il titolo della storia sia ironico, non è mia intenzione scherzare o prendere alla leggera malattie come la leucemia o la tossicodipendenza, affatto. Sono tematiche importanti, pertanto sono disposta a mettere l'avvertimento o a cambiare rating qualora qualcuno lo ritenesse necessario (secondo me non lo è, ma non vorrei rischiare di urtare la sensibilità di qualcuno).
Per quanto riguarda i personaggi: temo che siano OCC, ma è anche questo il bello degli AU. 
Cosa ne pensate di questo Kevin appena appena stressato? Mi sono ispirata un po' ad House per alcuni aspetti.
Per quanto riguarda Cas, si. E' ispirato a Walter di Breaking Bad- il mio piccolo chimico <3
Nota: la frase asterischezzata (?) è presente anche nell'altro capitolo, ma è una cosa volontaria.
Non so cos'altro dire quindi mi limito a ringraziare chi ha letto fin qui e farà lo stesso per il prossimo capitolo!
Stay okay,
AlfiaH

 
  
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