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Autore: DaisyBuch    23/02/2015    0 recensioni
Giulia ha quindici anni ed è costretta a trasferirsi a Parigi, inizialmente odia tutto e rivorrebbe indietro la sua vecchia vita, ma qualcosa la convince a restare, qualcuno che non avrebbe mai immaginato le occupa la mente tutti i giorni e tutte le notti.
Genere: Commedia, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Scolastico
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Le mie mani sudavano, ma cominciai a pensare che forse nessuno ci avrebbe caso. Insomma, non poteva essere la prima volta che succedeva una cosa del genere, non potevo credere che nessuno non avesse mai dimenticato la divisa. Almeno speravo. Il cancello della scuola era aperto davanti a me, ai lati e tutto intorno c’erano delle mura che cingevano il perimetro dell’edificio, al centro un ampio giardino dove a destra c’era il parcheggio e a sinistra il campo da pallavolo e la palestra chiusa, tra questi si ergeva minacciosa la scuola che era circondata da un porticato dove si potevano vedere facilmente le aule. C’erano molte ragazze con i libri che erano appoggiate ai muretti, mentre i ragazzi stavano vicino al campo o vicino alle loro vetture nel parcheggio. Non c’era modo di fare il giro da qualche parte, dovevo per forza passare in mezzo a tutto e tutti per raggiungere il portico, pensai di correre ma così sarei sembrata una vera matta, così con la borsa stretta nel petto e lo sguardo basso mi diressi verso le aule. Sentii vagamente dei bisbiglii, almeno essere straniera aveva i suoi vantaggi: non capivo i loro insulti, il che, era un sollievo, inoltre per distrarmi (dato che il giardino era veramente ampio) decisi di guardare da vicino le divise: quelle delle ragazze erano delle gonne che arrivavano sotto al ginocchio e delle semplici camicette, mentre i maschi avevano solamente i pantaloni e la cravatta a quadri blu e ocra, la loro camicia era bianca.
Appena raggiunsi le colonne del porticato tirai un sospiro di sollievo, alzai di nuovo lo sguardo ed entrai in un’’aula a caso, - Excusez-moi, le principal?- chiesi. Ovviamente per fare bella figura mi ero imparata un po’ di frasi, così da non essere totalmente impreparata, ma in quel momento non mi ricordavo nulla.
Una signora con un caschetto e un naso arcigno mi guardò dall’alto verso il basso e senza dire una parola mi condusse dentro una stanza bussando prima.
-Bonjour Madame.- esordì la donna seduta sulla poltrona rossa della presidenza. La professoressa con il caschetto mi lasciò lì e se ne andò via, e mi ritrovai sola con la preside, che con un cenno mi fece segno di sedermi. La targhetta sulla sua scrivania recitava “Ines P.”, era una donna sulla cinquantina, forse anche di più, i suoi occhi erano color del ghiaccio, le sue labbra rosse e i suoi zigomi artificialmente alti. Notai subito come il suo sguardo metteva soggezione a chiunque entrasse nel suo ufficio.
-Bonjour,- esordii per cortesia, ma mi accorsi del vuoto che c’era nella mia testa. Così decisi di parlare in inglese e le dissi che ero la studentessa italiana e che mio padre si era dimenticato di darmi la divisa.
-Oh! Oui, oui, oui.- disse battendo le mani. Si alzò e aprì un armadio dal quale trasse una copia di quella orrenda cosa e me la porse.
-Merci Madame.- dissi e feci per andarmene, quando lei mi bloccò.
-Può parlare anche in italiano con me.- mi sorprese. Anche se il suo accento era pessimo, si sentiva che sapeva parlarlo, la guardai interrogativa, chiedendomi perché non me lo avesse detto prima.
-Il suo livello di inglese è buono, dobbiamo migliorare il francese.- mi guardò e fece una smorfia.
-Non voglio che accada mai più, potrei averla espulsa per questa grave infrazione.- disse severamente con la r moscia. Io ero veramente confusa, sembrava così carina e disponibile.. e poi le avevo spiegato che non era stata colpa mia.
-Non è stata una mia dimenticanza.- le ricordai. Lei, visibilmente scocciata dal fatto che avevo osato risponderle, fece un sorrisetto e mi disse trionfante, -Se non sa dirlo in francese stia zitta.-
Si sedette di nuovo facendo cenno di aspettare ancora, alzò la cornetta e parlò in francese con qualcuno e attaccò, trascorsi alcuni minuti passati a guardarci in totale indifferenza l’una dell’altra, la porta si aprì dietro le mie spalle.
-Oui?- una voce maschile e fresca arrivò da dietro le mie spalle. Mi girai con la testa e vidi un ragazzo alto dai capelli scuri e con la divisa che era immobile dietro di me, aveva gli occhi chiari ed il mento alzato verso l’alto, quasi in segno di sfida, la camicia non nascondeva un fisico magro sotto di essa, e il suo sopracciglio destro era inarcato, sorpreso. Mi lanciò una breve occhiata dove notai le fossette sulle sue guance e tornò a guardare Ines.
I due ebbero un confronto dove il ragazzo protestò alcune volte, ma la preside era irremovibile.
- Mademoiselle Giulia.- quando stavo per addormentarmi del tutto fui interpellata dalla donna davanti a me, alzai gli occhi per farle capire di avere la mia attenzione.
-Questo è Davide. Sarà la sua guida per ambientarsi, le farà conoscere la scuola e le insegnerà come studiamo qui.- mi sorrise falsamente. In quel momento mi sentii rossa per la vergogna, non solo dovevo sopportare il fatto di essere considerata come un’alfabeta, ma la preside aveva dovuto affiliarmi proprio questo tizio che si vedeva lontano un miglio che l’ultima cosa che aveva voglia di fare, giustamente, era stare con me. Aspettò in silenzio la mia reazione, da dietro sentii Davide che aveva sospirato molto maleducatamente.
-Tout clair?- chiese, che era la traduzione di “tutto chiaro?”
-Cristallino.- le risposi fluentemente in italiano con tono di sfida, e quella, fu intesa come una dichiarazione per entrambe. Non gliela avrei data vinta facilmente, mi sarei liberata di quello.. o meglio, lui si sarebbe liberato di me. Mi alzai prendendo l’orario delle lezioni e, augurandole buona giornata, uscii velocemente dalla presidenza. Cercai velocemente il bagno delle ragazze per potermi finalmente cambiare e non essere più quella che si era dimenticata la divisa. Vidi Davide con lo zaino su una spalla che fissava il giardino come se stesse aspettando qualcosa.
Io gli indicai la porta del bagno delle ragazze, lui mi guardò con un leggero guizzo di divertimento negli occhi, sbuffò e andò via. Quel ragazzo non sapeva fare altro che sbuffare.
Entrai e per fortuna non c’era nessuno, ma notai con piacere che lì avevano i bagni con gli specchi, il sapone, la carta igienica e..rullo di tamburi, gli asciugamani, peccato per le mattonelle color bordeaux.
Mentre mi controllavo la divisa, aprì all’improvviso una ragazza che si teneva la mano davanti la bocca come se stesse per vomitare. Stava così male che dapprima nemmeno notò che ero davanti a lei, decisi di aiutarla perché non sembrava riuscire ad arrivare fino al water o ai lavandini, così le presi il braccio e la trascinai delicatamente verso la porta del water.  Le ressi i capelli rossi e boccolosi fino a quando non smise di vomitare, appena si sentì meglio le bagnai un po’ di carta igienica con l’acqua e gliela misi sui polsi e sulla fronte come faceva sempre mia madre. Pochi minuti dopo si sentì meglio e mi ringraziò, estrasse dalla sua cartella lo spazzolino e si lavò per bene i denti.
-Charlotte.- si presentò.
-Giulia.- le sorrisi.
-Pardon.- si scusò, ma io le feci segno di non preoccuparsi e le dissi in inglese che non sapevo parlare molto bene il francese, ma per lei non era un problema perché anche lei seguiva il corso avanzato come me delle materie in inglese.
Si applicò di nuovo il lucidalabbra sulla bocca e mi accompagnò in classe. Davide, come notai subito, non c’era più.
   
 
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