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Autore: Flaesice    27/02/2015    1 recensioni
Penelope Penthon è una ragazza bella, sfacciata ed intraprendente; una ragazza che non si è mai arresa alle difficoltà della vita, che si è fatta da sola ed odia i pietismi.
Nel suo mondo non esistono le mezze misure: tutto deve essere necessariamente o bianco o nero, giusto o sbagliato.
Ma nella vita - prima o poi - si è sempre obbligati a scontrarsi col grigio, ed è proprio allora che tutte le certezze crollano e bisogna mettersi in discussione.
E' ancora una ragazzina quando per gioco decide di sedurre un suo compagno di scuola, il riservato Nathan Wilkeman, per poi allontanarlo definitivamente.
Il destino li farà incontrare cinque anni dopo nella meravigliosa Los Angeles; Penelope sempre più votata al suo stile di vita, ma Nathan?
Decisamente più esperto e meno impacciato cercherà di prendersi una piccola rivincita per il passato, ma si sa che la passione non è un'emozione facile da gestire nemmeno per una come Penelope.
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago, Scolastico
Capitoli:
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Capitolo XIX
Penelope Pov.

 

«Io ti amo»
Sentii tutto il mio corpo tremare, il cuore infrangersi in centinaia di minuscoli pezzi mentre guardavo le labbra di Nathan pronunciare quelle parole.
«Dio, Penny. Perché stai piangendo?» la sua mano si posò sulla mia guancia per raccogliere una lacrima che nemmeno mi ero accorta di aver versato.
Non meritavo quel gesto, tantomeno la sua premura.
“Perché proprio questa sera? Perché proprio adesso?” mi chiesi disperata.
Mi sentivo un milione di volte peggio rispetto a come avevo immaginato: sporca, una traditrice.
“Cosa ti aspettavi, dopo tutto quello che avete condiviso in queste settimane?” mi rimbeccò la mia coscienza.
«Tra due giorni…dovrò partire» dissi senza indugi.
«Partire? Per dove?»
Nathan si scostò lievemente sulla sabbia per potermi guardare negli occhi ma io continuavo a tenere lo sguardo fisso dinnanzi a me, perso nel vuoto.
«Mi…trasferisco a New York»
Abbassai la testa e lasciai che le lacrime mi offuscassero la vista in modo da celarmi la reazione di Nathan; sapevo che quel che avrei visto non mi sarebbe piaciuto.
Passò qualche minuto – o forse semplicemente degli interminabili secondi – accompagnato da un silenzio assordante, poi mi convinsi ad alzare il volto ed affrontare la situazione.
Quando vidi l’espressione atterrita di Nathan fu come se i miei peggiori incubi si fossero realizzati, trascinandomi fino in fondo al baratro che per anni avevo cercato di risalire; quel baratro attraverso il quale soltanto da poche settimane riuscivo ad intravvedere finalmente un barlume di luce che puntualmente mi impedivo di raggiungere.
Si alzò scrollandosi la sabbia dagli abiti, feci lo stesso.
«Nathan ascolta…»
«Cosa?» mi interruppe guardandomi severo «Cosa dovrei ascoltare Penelope?»
Sentii le mie gambe cedere sotto la durezza del suo sguardo, era chiaro che avesse già capito tutto.
«Cristo santo, perché stai fuggendo da me? Credevo che qualcosa fosse cambiato tra noi, io…» si passò una mano tra i capelli camminando nervosamente in tondo «’Fanculo» scagliò un calcio nel vuoto sollevando un po’ di sabbia.
«Non sto fuggendo. Ho ricevuto un’offerta di lavoro e…»
Provai a giustificarmi, risultando ridicola alle mie stesse orecchie.
«Oh ma ti prego, raccontalo a qualcun altro» mi schernì con un sorriso tirato.
Continuai ad osservarlo, in silenzio, mentre andava da un punto all’altro della spiaggia lasciando le impronte dei suoi passi nervosi sulla sabbia umida; sembrava un leone in gabbia col corpo teso e slanciato pronto a scattare.
«Non sono più il ragazzino di un tempo Penny» proruppe all’improvviso «Sapevo esattamente a cosa andavo incontro quando giorno dopo giorno mi rendevo conto di provare qualcosa per te» mi sorrise, ma non era affatto diverito.
«Credevo di essere stato bravo a gestire la situazione stavolta, ma evidentemente mi sbagliavo»
Avrei voluto dire qualcosa – qualsiasi cosa – ma mi sentivo talmente in difetto da aver perso la mia solita spigliatezza. Tuttavia ero pronta a parlare, Nathan meritava una spiegazione, ma proprio mentre stavo per aprire bocca riprese la parola.
«Adesso capisco perché eri così tranquilla nelle ultime settimane» rise appena scuotendo la testa.
Osservavo il suo modo di porsi, tutto in lui – dalla tensione del corpo al sorriso tirato – mi faceva capire quanto fosse teso e nervoso.
«Non sono riuscito a nasconderti quello che sentivo così ci hai pensato tu a porre rimedio, vero? Sapevi che saresti partita eppure non hai esitato a prendermi in giro»
Sussultai nel sentire la verità nelle sue parole, per il modo in cui era riuscito a leggermi dentro e a carpire le mie intenzioni.
«Nathan no. Non ti ho preso in giro, io…» provai a parlargli, invano.
«Tu hai continuato a vedermi come se nulla fosse, Penelope» tuonò irritato «Meritavo almeno di saperlo. Che stupido sono stato a lasciarmi abbindolare da te»
Iniziò ad allontanarsi, ma lo fermai.
«Per favore, aspetta»
Si voltò, ancora una volta il suo sguardo tagliente mi ferì. Più provavo a parlargli, più il nodo che avvertivo in gola mi impediva di farlo.
Non volevo ferire Nathan, ma sapevo che oramai non c’era più nulla che potessi fare per impedirlo; questo mi faceva impazzire così come la delusione che leggevo nei suoi occhi.
«Ti prego, dimmi che le ultime settimane non sono state una menzogna. Dimmi che questa sera, non è stata una menzogna»
Si avvicinò pericolosamente, mi bloccò il volto in una stretta ferrea per costringermi a guardarlo diritto negli occhi.
«No…non lo è stata» ammisi.
«Allora tu…mi ami?»
Mi guardò serio, lo sguardo incredibilmente profondo ed attento come se da una mia eventuale risposta potesse dipendere il nostro intero futuro.
Dopo anni passati a credere il contrario mi scoprii codarda; cercai di abbassare il volto per scappare dalla verità ma le sue mani mi strinsero ulteriormente –  fino a farmi male – pur di impedirmelo.
«No Penelope, non sfuggirmi. Non…adesso» la voce era imperiosa, un comando al quale non avrei potuto sottrarmi.
«Oh Nathan» mi allontanai, con stizza.
Sapevo di dovergli delle spiegazioni ma mi sentivo come schiacciata dal peso della responsabilità e delle menzogne; non ero in grado di ammettere neppure con me stessa quello che provavo, figuriamoci dirlo ad alta voce.
«Proprio non capisci?» domandai esasperata «Il problema è che io…io non sono in grado di amare»
Mi avvicinai alla riva per allontanarmi da lui; il vento soffiava forte e le onde del mare raggiungevano agitate le punte dei miei anfibi in un perpetuo andirivieni.
«Non dire stronzate» ringhiò, avvertii la sua imponente presenza alle mie spalle «Certo che ne sei in grado, io l’ho visto» mi lanciò contro le sue parole  come un’accusa.
«Cosa?» chiesi voltandomi di scatto.
Sembrava mi avessero schiaffeggiato, aveva sortito l’effetto voluto.
«Hai capito bene»
Si avvicinò ancora, l’andatura quasi minacciosa.
«L’ho provato sulla mia stessa pelle» disse con durezza, scandendo nitidamente ogni parola.
Le sue mani si poggiarono sulle mie spalle e mi costrinse ad indietreggiare, i piedi ormai totalmente immersi nell’acqua.
«Ti prego, Nathan»
Non volevo continuasse, non volevo sentire ciò che oramai era evidente. Le lacrime provavano disperatamente di fuggire al mio controllo – nel vano tentativo di scaricare un po’ di tensione – ma le trattenni.
«Perché non vuoi sentirtelo dire? L’ho letto nei tuoi occhi, Penelope»
«No» sussurrai singhiozzando.
«Oh, sì invece» disse spingendomi ancora più lontano.
L’acqua ormai alle caviglie, ma entrambi sembravamo non accorgercene.
«E’ palese nei tuoi gesti, nei tuoi baci, nelle tue carezze quando facciamo l’amore»
«No, Nathan. Smettila»
Scossi la testa come a voler respingere le sue parole. Una lacrima sfuggì al mio controllo mentre acquisivo la consapevolezza di tutto quello che stavo lasciando andare a causa dei miei fottuti problemi.
«Invece sì» mi strattonò con forza per le spalle «Sì, sì, sì. Cazzo sì» insistette.
Indietreggiai per sottrarmi a quella tortura ed inciampai nei miei stessi piedi; caddi in mare trascinando rovinosamente Nathan con me.
«Penny!» lo sentii urlare.
Le onde impetuose ci travolsero bagnandoci completamente, ma questo era l’ultimo dei nostri mali.
Mi prese per le braccia e mi sollevò, il respiro corto.
«Come stai? Vieni, usciamo dall’acqua» disse in apprensione.
Tornammo  a riva, il vento contribuiva a fare in modo che gli abiti aderissero al corpo come una seconda pelle.
Avevo i brividi ma non era per il freddo; mi allontanai appena da Nathan stringendomi tra le braccia, in pochi secondi mi raggiunse posando la sua giacca sulle mie spalle.
«Non è necessario» feci per restituirgliela, mi bloccò.
«No, anche se è un po’ bagnata ti proteggerà dal vento. Tienila» disse perentorio.
Era tipico di Nathan preoccuparsi per gli altri, anche per chi – come me – non meritava alcuna premura dopo il modo in cui si era comportato.
Trattenni le ulteriori obiezioni e la indossai.
Poi mi soffermai a guardare i capelli bagnati che gli ricadevano sul volto adirato e la camicia bianca perfettamente incollata al suo addome, era bellissimo anche se stravolto.
Iniziai a camminare nervosa, rimuginando sulle mie decisioni mentre lo sciabordio delle onde cullava la mia anima in pena.
Nathan era fermo come una statua ma sentivo che i suoi occhi mi seguivano irrequieti.
«Possiamo tenerci dentro i nostri sentimenti, Penelope…» ansimò improvvisamente, in affanno «Ma ciò non vuol dire che non esistano» concluse guardandomi severo.
Touchè.
Come faceva ad avere sempre dannatamente ragione? Come faceva ad essere così giudizioso e riflessivo in un momento dove io, invece, stavo dando di matto?
Tirai la giacca a coprirmi –  visibilmente troppo grande per me – poi trovai il coraggio di parlargli.
«Te l’ho già detto Nate, io non sono capace di amare»
Mi sedetti nuovamente sulla sabbia incurante del fatto che si sarebbe appiccicata ai vestiti zuppi, le ginocchia al petto come a volermi proteggere.
Era troppo, perfino per me.
Non mi andava di combattere, e discutere, e stare male, non quando già combattevo contro il mio spirito autodistruttivo da tutta una vita.
Il fatto che Nathan mi amasse ed io ricambiassi non bastava; come non bastavano le sue premure, i suoi gesti e i suoi occhi sinceri con il quale mi faceva capire che mi sarei potuta fidare di lui, sempre.
Nulla sarebbe bastato a convincermi a restare. Per quanto tutti continuassero a rinfacciarmi di fuggire, nessuno sapeva che realmente cercavo di farlo solo da me stessa.
«Non sei in grado, vero?» la sua risata amara mi ridestò «Quindi mi stai dicendo che tu non sei quella persona che da anni è legata alla sua amica Tanya, vero?» si avvicinò appena «Non sei colei che tiene a cuore il futuro di tutti quei ragazzini senza casa, colei che ogni mese firma un assegno affinché possano avere quello di cui hanno bisogno» si accovacciò per guardarmi dritto in faccia «Non sei nemmeno tu quella persona che si è scusata con mia sorella per qualcosa di cui non aveva colpa?» domandò ancora.
«Di cosa stai parlando?» lo guardai shoccata, il dubbio che si insinuava nella mia mente.
«Parlo di quel fottuto bastardo di Jack, Penny. Quell’animale al quale gliene hai dette quattro per aver ferito una persona che a malapena conoscevi»
«Io…credevo che tu non sapessi nulla. Perché non me l’hai detto prima?»
«Che importanza aveva?» si strinse nelle spalle «Non mi importava un cazzo di quell’idiota perché io volevo te. Nonostante sapessi quanto sarebbe stato difficile conquistarti, l’ho fatto» prese le mie mani tra le sue, calde e rassicuranti «L’ho fatto, Penelope, perché ci tenevo. Perché ti amo praticamente da sempre. E forse tu già lo sapevi, da sempre»
«Dio…»
Incapace di trattenermi oltre scoppiai in un pianto liberatorio, la testa posata sulle ginocchia mentre i singhiozzi mi scuotevano il petto.
Perché era vero, tutto quel che Nathan diceva corrispondeva alla fottuta realtà ed io non riuscivo a sopportare il fatto che qualcuno riuscisse a leggermi così nel profondo; significava che avrebbe potuto ferirmi, in qualsiasi momento, dandomi così il colpo di grazia.
«Shhh, non fare così»
Le sue braccia forti mi cinsero in un abbraccio dove si poteva avvertire tutto il suo amore, quell’amore che non meritavo affatto.
«Nate, ti prego. Lasciami andare» sussurrai allo stremo delle forze.
«No, sono io a pregare te. Se vuoi che mi arrenda dammi una buona ragione per cui non dovremmo stare insieme, soltanto una»
«Ti farò soffrire» gli feci notare «Lo farò Nathan, lo so»
«Lo stai già facendo, quindi non dirmi che lo fai per me» si alzò di scatto, allontanandosi nuovamente verso la riva.
Il suo corpo era rigido, gli avambracci tesi allo stremo mentre stringeva i pugni, lo sguardo perso nel vuoto.
«Tu non puoi capire» gli gridai contro.
La mia un’accusa che rimbalzò come un’eco nel silenzio della notte. Mi alzai in un moto di stizza, scrollai la sabbia dai vestiti ed avanzai verso Nathan che mi dava le spalle.
«Vieni qui a dirmi che mi ami, a dirmi che sai quello che provo e a sparare sentenze senza sapere nulla di me»
Gli puntai un dito contro anche se non poteva vedermi, anche se il mio voler risultare minacciosa era ridicolo a guardare il tremolio del corpo che si irradiava fin nella voce.
Nathan continuava a non voltarsi, aumentando così la mia frustrazione.
«Avevo soltanto nove anni quando i miei genitori si sono separati, dopo anni di litigi…»
Presi un profondo respiro e con estrema forza di volontà iniziai il mio racconto, attirando finalmente la sua attenzione.
***
Cosa racconterà Penelope a Nathan? Sbizzarrite la vostra fantasia.

 
   
 
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