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Autore: _Charlie_    28/02/2015    4 recensioni
Il pericolo incombe.
Le streghe della Congrega si preparano a fare ritorno.

Arya Mason è una ragazza di sedici anni che vive a Rozendhel, Virginia. Ha lunghi capelli color rosso ciliegia, occhi verdissimi, e un passato da dimenticare. Una Visione, una Chiave ed un Portale segneranno l'inizio di una guerra da cui non potrà tirarsi indietro.

Ma quali sono le schiere del Bene? Innanzitutto, esistono davvero?
Genere: Azione, Fantasy, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO 2:

 

Occhi d'angelo

 

 

 

Era mezzogiorno.
Il vento fischiava e la pioggia batteva incessante contro le vetrate dell'affollatissima mensa.

Per via del maltempo, tutti gli studenti del liceo di Rozendhel furono obbligati a consumare il proprio pranzo al chiuso, al di sotto di quel continuo ed irritante sfarfallio delle luci artificiali.
La maggior parte dello spazio presente nel refettorio scolastico era occupato principalmente da sgabelli e tavolini di metallo; limitrofo all'uscita di sicurezza, inoltre, vi era il lungo bancone in cui ms. Mary usava consegnare quel che lei stessa definiva cibo.
Con i vassoi stretti tra le mani, Arya ed Oliver si fecero largo tra la folla, giungendo al loro solito posto: il piccolo tavolo circolare posizionato nell'angolo più remoto della sala.
« Io questo non lo mangio » disse il ragazzo, una smorfia impressa sul volto roseo.
« Persino il mio coniglio si rifiuterebbe di fronte a questa... cosa » il cucchiaio di Arya stava sprofondando nella superficie raggrinzita di quella spiacevole zuppa.
« Bisogna giusto aspettare che arrivi il prossimo anno ».
« In che senso? »
« Sono sicuro che ai ragazzi del quarto non venga rifilata questa roba » Oliver proseguì: « loro sono speciali ».
Arya alzò un sopracciglio: « l'ultimo anno non ti rende speciale, signor Hopkins, giusto un po' più impegnato! »
« Ne riparleremo tra dieci mesi ».
Facendosi forza, iniziarono a mandar giù quella sgradevole zuppa al farro e, per qualche istante, non si udì altro che la confusione generata dai ragazzi seduti al tavolo adiacente.
Arya non vi badò più di tanto: era sempre stata una ragazza silenziosa e solitaria, la più impopolare del liceo. Non si trovava a suo agio con quella gente, e non si sarebbe mai sforzata di piacere a qualcuno.
« Ci sei? » Oliver le scosse il braccio destro.
« Sì, scusami... Dicevi? »
Il ragazzo gonfiò il petto e disse rapidamente: « indovina chi mi ha invitato ad uscire questo pomeriggio? »
Arya sembrò pensarci sul serio: « una pazza ».
« Spiritosa » Oliver continuò, fingendo una risata: « Quinn Lloyd! »
« La cheerleader? Ti ha chiesto di uscire? Ma... Non sembri esattamente il suo tipo » Arya lo osservò attentamente: aveva un lungo ciuffo biondo sparato in aria, occhi profondi come gli abissi di un oceano, la fronte bassa ed il naso affilato. Mingherlino e poco più alto di lei, non aveva certo tutti i muscoli necessari per poter uscire con una ragazza simile.
L'elemento caratterizzante del suo aspetto risiedeva nel lobo del suo orecchio sinistro: esso era infatti attraversato da un vistoso dilatatore fluorescente. Oliver ne andava fierissimo, e lo amava tanto quanto il suo consueto giaccone di pelle di coccodrillo.
« Quindi, per lei, non sei più “il secchione alternativo”? »
« Arya, smettila ».
« Ti scherniva! » Continuò lei: « E poi, dove vorreste andare con questo tempo? »
« Be'... A casa sua ».
Sbattendo le mani sul tavolo e mantenendo un'ampia distanza di sicurezza dal suo migliore amico, Arya disse a gran voce: « Tu sai a cosa mira. Si è appena lasciata con quel fanatico del football, e adesso vuole un semplice rimpiazzo che l'aiuti a... Be', hai capito ».
« Mi sta bene! » Oliver si alzò, e lo stesso fece la ragazza: « Non ti impicciare! »
« Te ne pentirai ».
« Vedremo ».
La campanella trillò e tutti gli studenti furono invitati a tornare nelle aule.
Arrivata nel laboratorio di scienze, Arya schiaffò la borsa di stoffa sulla sedia alla sua destra per assicurarsi che il giovane Hopkins non la raggiungesse e non le chiedesse di lavorare insieme a quel progetto di chimica.
Odiava i suoi meticolosi cambiamenti: il giorno prima, era convinto che bisognasse eliminare l'intera razza umana per salvare il pianeta, ed il giorno dopo, amava la vita e ogni singola forma di essere vivente.
Arya alzò un sopracciglio alla vista di Oliver: stava per sedersi accanto ad un ragazzo occhialuto e deperito.
Stupido.
Le ultime due ore di lezione le sembrarono interminabili, e quando finalmente le lancette degli orologi puntarono sul numero tre, prese di nuovo la sua borsa ed uscì dalla scuola con sguardo imbronciato, maledicendosi per aver dimenticato a casa l'ombrello.
Il cielo era scuro e minaccioso. Pioveva ininterrottamente da giorni, e percorrere le strade di Rozendhel con quel tempaccio equivaleva a tuffarsi in un vero e proprio oceano.
Tentò di ripararsi con la sua borsa a tracolla: poco più di qualche istante e si ritrovò bagnata fino al midollo.
Il trucco nero prese a colarle sulle gote, il maglione ed i pantaloni divennero un tutt'uno con la pelle e, nel bel mezzo della corsa, la sua testa tornò a lavorare il ricordo di quella sera in cui avvenne l'impossibile.
Aveva sempre considerato suo padre come un eroe, un uomo che non avrebbe mai e poi mai assaggiato il sapore ripugnante della morte.
Eppure, l'automobile era precipitata lo stesso in quell'infausto burrone.
Una svista? Un colpo di sonno?
No.
La verità non era mai venuta fuori. La verità si celava dietro la figura di quell'orribile essere umano che, fino ai tredici anni, fu costretta a chiamare “mamma”.
Un chicco sproporzionato di grandine la colpì in piena fronte, resuscitandola da tutti quei pensieri.
Non aveva fatto caso alle strade che aveva imboccato, ai metri che aveva percorso, e adesso si ritrovava di fronte ad una tavola-calda, la quale riportava sulla propria insegna la scritta “The Right Place”.
Si avvicinò di qualche passo e, meccanicamente, spinse la porta d'ingresso.
All'istante, il suo olfatto venne investito da un gradevole profumo di pizza appena cotta, e la sua vista non poté far altro che concentrarsi esclusivamente su alcuni vassoi colmi di tramezzini ripieni.
L'area del locale era ampia e molto spaziosa: tra un tavolo e l'altro si estendeva una notevole separazione che giovava agli innumerevoli clienti e, soprattutto, ai pochissimi camerieri, i quali non facevano altro che correre da una parte all'altra, prendendo ordinazioni senza sosta.
Arya si avvicinò al bancone color erba, imbarazzata da tutte quelle risatine che richiamava il suo aspetto.
« Ciao! »
Arya alzò lo sguardo, ricambiando il saluto.
« Prendi qualcosa? »
« Credo di sì... Non penso che tu abbia mai visto qualcuno entrare senza ordinare qualcosa ».
Il ragazzo dietro al bancone la fissò: aveva la carnagione olivastra, il naso greco, gli occhi color nocciola ed i corti capelli castani sistemati in un perfetto disordine.
I suoi lineamenti duri si aprirono in un sorriso: « Brutta giornata? »
« Scusa, non volevo essere sgarbata! »
« Tranquilla! Magari, una pizza margherita potrebbe sollevarti il morale? »
« Penso di sì! » Arya gli ricambiò il sorriso: « ma solamente un trancio! »
Il ragazzo non sembrò aver pesato quelle parole e, qualche minuto più tardi, spuntò dalla cucina con un'intera pizza tonda servita su un piatto decisamente troppo piccolo.
« Per te! »
Arya scosse la testa, decisa: « Non ho abbastanza soldi per prenderne una intera! »
« Non ti preoccupare. Potremmo dividercela! »
« Se ti becca il capo, ti licenzia all'istante! »
« Be'... È mio padre! Me la posso cavare ».
Arya accennò ad un timido sorriso: non aveva mai incontrato una persona così gentile, e non poteva credere al fatto che stesse dividendo del cibo con un ragazzo di cui non conosceva nemmeno il nome: « Voi siete il signor...? »
« Non chiamarmi signore, mi invecchia! »
« Ma è solo un modo per scherzare! Ho chiamato “Signor Cavaliere” persino il mio coniglio! »
« Be', se la metti in questo modo... Il signor Darren Hart vi porge i suoi saluti » esclamò il giovane, aprendo il volto in un mezzo sorriso impacciato.
« E la signorina Arya Mason è felice di conoscervi ».
Detto questo, la ragazza lo vide portarsi una mano dietro la nuca: nonostante avesse il bancone a coprirle l'intera visuale, immaginò che la sua altezza dovesse corrispondere a circa un metro e ottanta.
« Quindi, lavori qui insieme ai tuoi? »
« Esattamente! Non è il massimo, ma ci si fa l'abitudine ».
« Ma quanti anni hai? Non dovresti essere a scuola? »
« Mi sono diplomato da poco. Ho diciotto anni » rispose Darren: indosso portava una maglietta nera, sulla quale era stato stampato il logo della tavola-calda, un grembiule da cucina in cotone bianco, ed un paio di classici jeans.
« Credevo fossi più piccolo, scusa! »
« Tranquilla, capita sempre » il ragazzo fece per prendere un trancio dal piatto, ma si accorse che era vuoto. Arya aveva mangiato persino le briciole.
« Sei stato davvero gentile » proseguì quest'ultima, consegnandogli una banconota: « mi sentivo... uno schifo per via della pioggia, del mio migliore amico e della mia famiglia ».
Darren si limitò ad annuire: probabilmente, non voleva ficcare il naso in questioni che vedevano protagonista una perfetta sconosciuta come lei.
« Mi dispiace, davvero ».
Arya fece spallucce, voltandosi verso la porta d'ingresso: « e volevo precisare il fatto che solitamente non esco di casa in questa maniera... È stata la pioggia a rendermi così ».
Il ragazzo rise di gusto: « ma come? Io credevo fossi una ragazza-panda! »
Arya scosse la testa, divertita: « ha smesso di piovere! Sarà meglio che io vada ».

« Di già? » Protestò Darren, le labbra arricciate.
« Dai, verrò più spesso a trovarti » ella prese la borsa fradicia da terra e proseguì: « anche perché, questa pizza era fenomenale! »
« Lo riferirò al cuoco, allora! Torna presto! »
Arya annuì, ricambiandogli il sorriso, poi oltrepassò l'intero locale e uscì all'aria aperta.
Si sentiva molto più leggera dal momento in cui aveva messo piede per la prima volta nella tavola-calda: come riportava l'insegna, quello era stato davvero il posto giusto al momento giusto.
Riprese a correre: non aveva mai impiegato così tanto tempo per tornare da scuola.
Quel giorno, sembrava quasi che le strade di Rozendhel si fossero trasformate in un labirinto.
Svoltò a destra, a sinistra e poi di nuovo a destra, senza mai riconoscere una via che potesse riportarla a casa.
In un attimo, finì col ritrovarsi in un viale silenzioso fiancheggiato da vetrine scure e squallide facciate di negozi chiusi.
Come aveva potuto perdersi in una cittadina piccola come quella?
Si guardò attorno: non vi era nulla che potesse aiutarla ad orientarsi.
Cercò, dunque, di tornare indietro: la milza protestava, il suo organismo reclamò una pausa.
Si arrestò di colpo, pescò il cellulare dalle tasche e compose il numero di sua zia.
Nessun segnale.
Ovvio.
Si passò una mano tra i capelli, nervosa.
« C'è nessuno? » Chiese a gran voce.

Silenzio.
Ripeté la domanda più e più volte senza mai ricevere una risposta, finché...
Aiutami.
Un brivido le percorse la schiena. Il sangue le si gelò.
« Chi ha parlato? »
Aiutami, ti prego.
La voce sembrava provenire dal suo stesso petto.
« Chi sei?! »
Nessun cenno di risposta.
Arya tornò a correre, gli arti non rispondevano più ad alcuno dei suoi comandi.
Mentre il fiatone aumentava, il battito cardiaco accelerò.
Passo dopo passo, giunse all'estremità di quell'interminabile viale.
Sbrigati!
Arya affondò la testa nelle mani: « Cosa ci faccio qui? Chi sei?! »
Sto morendo!
La ragazza alzò lo sguardo, riconoscendo immediatamente il posto in cui era stata condotta.
Un familiare cancello arrugginito la accolse e, in un attimo, i suoi piedi tornarono a calpestare quel tappeto scoppiettante di foglie secche.

Molteplici statue di angeli presero ad esaminarla, scettiche, e invisibili abitanti incorporei la circondarono silenziosamente.
Navigò in quel mare di lapidi senza proferire parola; il suo animo si era completamente abbandonato a quella misteriosa voce.
Aiutami.
Arya guardò in basso: il prato di foglie secche s'interrompeva di fronte ad una particolare macchia di terra bagnata.
« Non può essere... »
Aiutami.
« No... Mi rifiuto di crederci... »
Ti prego!
Arya tirò su col naso, s'inginocchiò ed iniziò a scavare a mani nude.
Il fango le andò a finire tra le unghie, nei pantaloni e nelle scarpe.
Non poteva credere a quello che stava compiendo.
Se qualcuno l'avesse vista, avrebbe passato dei gravissimi guai.
« Ragazzina? »
Il cuore di Arya perse un battito.
« Cosa stai facendo? »
Si voltò lentamente: una sagoma scura la stava studiando dall'alto in basso.
Era un uomo con lunghi capelli grigi, il volto emaciato e occhi bui come la notte.
« S-Sono quasi sicura che abbiano commesso un errore » balbettò Arya: « è stata sepolta una donna, qui! Ma è ancora viva! »
Lo straniero inarcò leggermente la fronte: « Va' a casa. Non tornare mai più ».
« No... » Arya scosse la testa: « Mi aiuti! Sta morendo! »
« Ragazzina » l'uomo la prese per un braccio, costringendola a rialzarsi: « torna a casa, immediatamente ».
Arya deglutì: per un istante, ebbe l'impressione che una sfumatura rossiccia avesse solcato la pupilla di quegli occhi minacciosi.
Si scrollò dai vestiti gran parte del fango che si era precedentemente gettata addosso, poi annuì, e si allontanò da quel misterioso uomo tutto d'un pezzo. No! Non lasciarmi da sola! Aiutami, ti prego!
Ma Arya non le diede ascolto: camminò fino all'entrata del cimitero, spinse il cancello e...
Si ritrovò di fronte alla porta d'ingresso della sua casa.
« Impossibile... Questo è impossibile ».
Voltò lo sguardo e prese ad osservare il cortile della villetta.
Nessuna traccia della voce.

Si accasciò sul tappeto di benvenuto, scoppiando in un lungo ed interminabile pianto disperato.
Tutto stava per cambiare.

 

 

 

 

 

 
  
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