Fanfic su attori > Tom Hiddleston
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Autore: CinderNella    02/03/2015    4 recensioni
Inizialmente si sentiva un po’ strana per il fatto che avrebbe condiviso una casa con un uomo.
Insomma, Colette aveva detto che quel Tom era simpatico e a modo, ma lei, Colette ed Elspeth erano sempre state con delle ragazze in casa… Tranne il modello. Ma lui non stava mai a casa. Laire era l’ultima aggiunta, una matricola alla loro stessa università e si trovavano benissimo, ma erano sempre state solo ragazze.
E ora Colette le mollava per tornare al suo paese natio e le lasciava in balìa di un tipo che nemmeno conoscevano. Era un po’ ingiusto.
"Ma se Colette lo conosce in qualche modo e dice che è alla mano, gentile e ha viaggiato molto, ci si potrà fidare..." pensò lei, rincuorata.
[...] Tom uscì dal portone, tirando un sospiro di sollievo: quell’Aneira era una tipa stramba. In positivo, ma lo era.
L’aveva convinto a prendere la camera sebbene non fosse la migliore opzione, ma nel suo essere strana gli aveva già fatto sentire la casa come sua, come se ne volesse fare parte.
Genere: Commedia, Generale, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Buongiorno! Scusate immensamente per il ritardo, so di avervi fatto aspettare ben più di una settimana, ma purtroppo non ho avuto la possibilità di controllare il capitolo... l'ho fatto solo ieri! E sono 8 pagine, quindi non era una passeggiata XD Il banner è sempre stato fatto da _Lith_, lo stile del titolo è sempre ispirato a FRIENDS e la foto (che rappresenta Portloe) non è mia ed è stata modificata da me. Buona lettura!











 
The Guy Who Turned Her Down


27. The One With The Exotic Gardens, The Present And The Party


 
Quando la mattina dopo si ritrovò comunque avvinghiata a Tom, l’imbarazzo della notte prima prese a fare capolino. In realtà non sembrava esserci nulla di diverso dal solito – insomma, aveva sbavato sulla sua maglietta e sulla sua camicia più volte, ci sarebbe potuto essere qualcosa di più imbarazzante? – però era diverso. Era cambiato tutto: lei l’aveva baciato credendolo addormentato e lui non lo era assolutamente. Anzi, aveva risposto e aveva sottolineato aprendo gli occhi alla fine che era ben sveglio, non poteva essere frainteso.
Rimase in quella posizione ancora per un po’, mentre lui indeboliva la stretta, lasciandole la possibilità di separarsi da lui: ne approfittò solo dopo diversi minuti, liberando prima una gamba e poi posandosi sulla schiena, osservando il soffitto. Non era ancora del tutto pronta, però: infilò la mano sotto le coperte, cercando quella di Tom e trovandola subito dopo. Lui rispose alla stretta e intrecciò le dita a quelle di lei.
«Buongiorno.» disse infine Aneira, voltandosi infine a guardarlo: sarebbe stato imbarazzante? Diverso? Si sarebbe persa tutta la loro complicità, o sarebbe anche peggiorata e non sarebbero riusciti a stare l’uno lontano dall’altra?
«Buongiorno. E buon compleanno, Aneira.» oh già, il suo compleanno. Se n’era completamente dimenticata il giorno prima. E adorava l’inflessione della sua voce quando pronunciava il suo nome per intero, perché paradossalmente lui azzeccava anche la pronuncia gallese, quella giusta. Ed era uno dei pochi – in realtà l’unico, a parte sua madre – e in quella situazione le fece venire la pelle d’oca. Ovviamente – purtroppo – in positivo.
Gli lanciò un’occhiata, sbattendo le palpebre: «Grazie.»
«Dove mi porti, oggi?» sdrammatizzò – fortunatamente, la tensione del momento la stava lentamente uccidendo – Tom, sorridendo sornione.
«Oh beh, guidi tu. Però Penjerrick Garden, porto di Falmouth e Portloe. Baie e giardini, insomma.»
«Menomale!» rispose lui – ma non si riferiva in realtà alla sua guida, sebbene lei l’avesse interpretata così e gli avesse risposto con un pugno leggero sul braccio: non aveva tirato il regalo di compleanno per lei fuori dal portabagagli da quando l’aveva comprato. Quindi non sapeva neanche di stare per riceverne uno, e non l’avrebbe saputo fino al momento in cui lui l’avrebbe tirato fuori. Sarebbe stato qualcosa di conosciuto solo da loro due – e da Eddie, che l’aveva accompagnato a fare compere – e una vera e propria sorpresa.
«Eviterò commenti sul tuo simpatico “Menomale”. E comunque faremo all’incirca centotrenta chilometri in tutto, andando e tornando, e non so se il maggiolone possa farcela. Io sicuro mi seccherei a guidare, quindi ti concedo l’onore di scarrozzarmi in giro il giorno del mio compleanno.» sorrise lei, sadica, in risposta.
Ma a Tom non dispiaceva assolutamente guidare – e nemmeno scarrozzarla per la Cornovaglia, a dirla tutta. Alla fine Aneira si sedette sulla poltrona-letto, con un mal di schiena non trascurabile – non osava pensare in che condizioni fosse lui – e si alzò, alla volta del cellulare: diversi messaggi di auguri, tra sms, chat su Whatsapp, Facebook e Twitter, ma lei stava cercando un numero. Fece partire la chiamata e attese in linea, per poi riconoscere l’inconfondibile voce di Sevi dall’altra parte del telefono.
«Buongiorno, non ti farò gli auguri perché ti vedrò stasera.»
«Stasera?» chiese Aneira, perplessa.
«Non c’è la festa da te?» chiese l’amica, trascinando un borsone per la stazione di Falmouth.
«Ucciderò mamma.» rispose l’altra, sorridendo sadicamente.
«Me l’ha detto Eddie... credevo mi avessi chiamata per quello!»
«In realtà sì, cioè ti ho chiamata per chiederti se fossi qui oggi, visto che ci sono finita per rapimento da parte di Tom con l’aiuto di mamma, e volevo vederti. Ma non sapevo di nessuna festa, anche se avrei dovuto immaginarlo.»
«Sto partendo da Falmouth proprio in questo momento!» aveva risposto Sevi «Ma quindi da te comunque, stasera?»
«Certo. Ti scrivo l’orario con certezza, devo prima costringere mia madre a confessare e poi porto Tom ai giardini di Penjerrick.»
«A proposito, come sta andando la situazione Tom?»
«Te lo dirò stasera.» esalò Aneira, roteando gli occhi.
«Oh cielo. È grave?»
«Non lo so?»
«Gravissimo.» dichiarò allora con sicurezza Sev «E c’è Tom lì, vero?»
«Sì.»
«D’accordo, d’accordo. Beh, ci sentiamo dopo allora. Non è che puoi scrivermelo...?»
«No! A voce.»
«Okay, okay.» Sevi si sarebbe rassegnata ad aspettare qualche ora, sebbene volesse saperlo subito. Avrebbe chiamato Eddie, magari lui l’aveva saputo tramite Tom «Buona giornata, a stasera!»
«A dopo» aveva risposto Aneira, scendendo in modalità battagliera al piano di sotto. Tom era certo che non l’avrebbe rivista fin quando lei non avrebbe ottenuto quello che voleva, così si ristese nel letto e incrociò le braccia dietro la nuca.

Non appena chiuse la chiamata con Aneira, Sevi compose immediatamente il  numero di Eddie, e quello avrebbe dovuto rispondere o l’avrebbe chiamato a casa. Ma non ce n’era stato bisogno: dopo due squilli, seppur con voce assonnata, il ragazzo rispose «Sevi?»
«Buongiorno, dormiglione! Sai cos’è successo tra Tom e Aneira?»
«Cos’è successo tra Tom e Aneira?» la voce di Jules fece capolino dall’altra parte del ricevitore, curiosa.
«Non lo so! Perciò lo sto chiedendo a voi! Aneira mi ha detto che deve dirmi qualcosa, ma non so che cosa, e credevo che Tom te ne avesse parlato!»
«Tom non mi ha ancora detto nulla. Ancora. Glielo estorcerò.» da come lo dichiarò sembrava che quella sarebbe stata la missione della vita di Eddie.
«No! Sennò saprà che Aneira mi ha accennato qualcosa e che io l’ho detto a te e tu stai indagando per tutti!»
«E beh?»
«E non sappiamo che cosa sia, magari hanno pure ucciso qualcuno insieme e non si doveva sapere!»
«E perché Aneira dovrebbe averlo detto a te, a quel punto?»
«Perché ovviamente l’avrei aiutata ad occultare il cadavere!» spiegò con tono ovvio Sevi, alzando gli occhi al cielo e spiazzando Eddie e Jules «E comunque non penso abbiano ucciso qualcuno. Ma qualcosa è successo, e non sappiamo di che entità sia.»
«Io voglio indagare!» dichiarò Eddie, imbronciato.
«Se lo devi fare, fallo con discrezione. Son più che certa che quando lo saprò io, probabilmente Tom l’avrà detto anche a te. Teniamoci in contatto.»
«E se lui lo dice prima a Luke o a Lara?» ipotizzò Eddie, sbuffando.
«Minacciali e convincili a dirtelo.» rispose Sevi, determinata «Buona giornata, riccone
«A te, campagnola
Eddie non ebbe nemmeno chiuso la chiamata che già stava scrivendo a Luke e a Lara: la notizia si stava diffondendo a macchia d’olio, senza che si sapesse effettivamente quale fosse nella realtà.

Aneira era uscita di casa solo dopo aver costretto la madre a promettere solennemente che quella piccola riunione della serata avrebbe compreso solo loro quattro, Tom e Sevi. Se solo si fosse permessa di invitare altra gente aveva dichiarato che sarebbe uscita a mangiare fuori e si sarebbe portata Tom e Sevi appresso.
Era particolarmente soddisfatta di sé, a metà tragitto verso Penjerrick. Sorrideva sorniona, tamburellando con le dita sulla sua gamba destra e canticchiava le canzoni che venivano trasmesse.
«Le hai praticamente inveito animosamente contro per dieci minuti buoni, penso che alla fine ha semplicemente dovuto arrendersi.» commentò pratico Tom, aggrottando le sopracciglia.
«Beh, sa quanto odio le sorprese, e soprattutto le feste e i raccoglimenti familiari a sorpresa: è il mio compleanno, non il suo, sta a me decidere chi posso invitare e chi no.»
«Ah, come sei di coccio.» per esprimere meglio il concetto, se solo non fosse stato alla guida, avrebbe chiuso a pugno una mano e l’avrebbe avvicinata al palmo dell’altra mano, ripetutamente: ma non poteva o probabilmente sarebbero finiti nella campagna insieme ai trattori.
«Non che sia una novità.»
Tom scosse vigorosamente la testa: «Assolutamente no.»
Per quel giorno le concesse di scegliere la musica – anche perché non voleva avercela contro, dopo la discussione di quella mattina con la madre – ma lei proprio per quel motivo non si vendicò e scelse cose tranquille, che non l’avrebbero mentalmente distrutto. Ad un certo punto aveva addirittura aperto il vano del cruscotto di fronte a lei, iniziando a macchinare con tutti i cd del ragazzo.
«Cosa stai cercando?»
«“For Emma, Forever Ago”» rispose semplicemente, emettendo un verso soddisfatto non appena lo trovò.
«Come mai?»
«Non ho potuto finire di ascoltare tali Bon Iver l’altro giorno!»
«Perché li hai tolti tu!»
«Dovevo vendicarmi!» spiegò Aneira, come se stesse dicendo la cosa più razionale al mondo.
Dopo qualche canzone e a dieci minuti dall’arrivo, si decise a esprimere un parere «Sarebbero perfetti in Grey’s Anatomy.»
«E infatti han fatto da colonna sonora.»
«Questo è esser nerd riguardo a qualcosa, Hiddleston!» ribatté quella «E comunque è un complimento. Io amo il genere di canzoni che passa Grey’s Anatomy. Praticamente me ne fa conoscere a bizzeffe, la musica che ormai ascolto deriva tutta da telefilm, principalmente scene molto angst.»
«Lei riconosce una tipologia di canzoni e la etichetta “Grey’s Anatomy” e poi sarei io il nerd, certo.» svoltò a destra, scuotendo la testa e seguendo la strada.
«E comunque mi piacciono, non sono male.» commentò infine lei, facendo spallucce.
Passarono la mattinata a passeggiare tra foreste tropicali e piante sconosciute, tanto da sembrare un paesaggio degno di Jurassic Park.
Per pranzo si avvicinarono alla città, camminando lungo la costa e guardando le millemila barchette presenti nel porto di Falmouth, fermandosi a pranzare – e a bere birra prodotta in Cornovaglia, visto che Tom ancora non l’aveva provata – lì per poi partire alla volta di Portloe. Lì l’avrebbe sicuramente costretto a passeggiare sulla spiaggia: era una delle baie più piccole e caratteristiche che avesse mai visto. E il colore dell’acqua era spettacolare.
«Ho una domanda che mi torna in mente: per caso stiamo andando con la mia proprio perché tu non vuoi guidare per tre ore buone?»
«Sì, ovviamente: te l’ho praticamente detto stamattina!»
«Mi sento sfruttato.» dichiarò lui, tenendo d’occhio Aneira che macchinava nuovamente con i suoi cd «Cosa cerchi?»
«Dato che ritengo che questi Bon Iver, oltre a essere interessanti, siano anche tra i tuoi preferiti, sono più che certa che troverò altri cd qua dentro. Indi per cui continuerò a cercare finché non li trovo, perché sono rilassanti.»
«Ottima deduzione, Watson!» la punzecchiò apertamente lui, mentre lei gli rispondeva con un’occhiataccia: «Pensi forse di poter essere Sherlock?»
«Vorresti essere tu Sherlock? E poi certo, dal mio punto di vista sì, sono io il protagonista!»
«Egocentrico.»
«Ehi, mi sono scelto un protagonista odiato da molti!»
«Non cambia il fatto che tu sia egocentrico, se vuoi essere il protagonista!»
«Anche tu vuoi esserlo, quindi potresti essere considerata egocentrica anche tu.»
«Beh, ma perché Sherlock è intelligente. E odioso. Quindi non posso non amarlo. Amo anche Watson, eh, però Sherlock è più una divah, quindi non può non spiccare rispetto agli altri.» trovò il cd e lo inserì nel lettore.
«Secondo questa teoria non dovremmo essere né io né te Sherlock. L’unica diva che conosciamo...»
«È Eddie!»
«È Eddie.» terminò Tom, all’unisono con Aneira, che scoppiò a ridere «Ecco, appunto.»
«Ma non è abbastanza brillante per esserlo.» ribatté la ragazza, pensierosa.
«Nemmeno noi due, a dirla tutta.»
«Mycroft?»
«No, con quel nome Mycroft è Mycroft, allora!»
«Irene può esserlo anche nella realtà Lara.» convenne lei, annuendo.
«Io potrei anche essere Watson, ma tu saresti una Molly perfetta!»
«Grazie mille, Hiddleston!»
«Non riesco a capire se sei sarcastica o dici sul serio.» commentò lui con un sopracciglio alzato.
«In realtà dicevo sul serio, io adoro Molly. Ma tutti adorano Molly, come si può non adorare Molly!»
Trascorsero tutto il pomeriggio in spiaggia, seduti un po’ ovunque a guardare l’oceano e le rocce che spuntavano in ogni dove. Alla fine Aneira aveva steso un po’ meglio la coperta e si era stesa, e Tom l’aveva imitata, fin quando non si rialzò per guardare nuovamente l’oceano: «Ma voi non entrate in acqua? Per esempio, per fare il bagno?»
«Con nemmeno venti gradi, no. Però magari, nelle giornate molto calde... per la maggior parte dell’anno il massimo che puoi fare è camminare sulla spiaggia.» fece spallucce lei, mettendosi seduta e seguendo con lo sguardo Tom che si alzava «Che fai?»
«Devo andare a prendere una cosa.»
«Che cosa? Ehi!» ma lui sparì comunque risalendo la spiaggia e andando verso la strada «Mah.» si ristese, non aveva intenzione di seguirlo, piuttosto avrebbe chiuso gli occhi e aspettato che tornasse, prima o poi. Un po’ come faceva spesso con Mycroft.
Quando tornò, Aneira era arrivata a buon punto nell’addormentarsi, ma il suo dormiveglia fu smosso dai suoi passi e soprattutto dalla sua domanda: «Non starai mica dormendo, vero?»
«Quasi.» aprì gli occhi e si girò su un fianco, trovandosi Tom con un pacco regalo in mano in piedi davanti a sé «Che cos’è?»
«Il tuo regalo di compleanno.» rispose quello, riprendendo il suo posto su un lato della coperta mentre lei si tirava su seduta e spostava lo sguardo, accigliata, dal regalo a lui. Tom glielo porse, ma lei continuava a scrutare lui, prima di iniziare a scartarlo e trovarci una scatola. Non era una scatola, vero? Quello sarebbe stato un ottimo regalo per Mycroft.
«Tu non hai fatto quello che hai fatto.» commentò lei, aprendo finalmente la scatola – squarciandola, anche peggio di come avrebbe fatto Mycroft – e osservando il libro basita. In realtà inizialmente era solo curiosa, poi aveva iniziato a sfogliarlo e aveva notato che c’era qualcosa di diverso.
«Temo di sì, ‘Nei.» annuì lui, sorridendo.
«Ma è un’edizione del 1857!» esclamò lei, non sapendo più dove posare quella copia, aveva anche paura di respirarci sopra quando s’era resa conto della data di pubblicazione.
«Non è una prima edizione di “Persuasione”, ma...»
«Stai scherzando?! È stupenda! È stata pubblicata neanche quarant’anni dopo, è bellissima!» senza lasciare un secondo il libro, si gettò al collo di lui: sembrava quasi volesse stritolarlo nell’abbraccio.
«Le uniche prime edizioni che abbia mai avuto sono quelle di Harry Potter... e questa per me va benissimo come prima edizione, anche se non lo è effettivamente. Grazie.» lo liberò dall’abbraccio, ricominciando a sfogliare il libro, curiosa.
«Sai, stavo quasi per riprenderti perché non avevi ancora ringraziato.»
«Anche se fosse, l’avevo mostrato con i fatti, e non con le parole. E comunque non potevi riprendermi, ti ho ringraziato!» ribatté quella, alzando lo sguardo per qualche secondo giusto per incontrare quello di Tom «E sfigurerà nella mia libreria. Nel senso... tutti gli altri libri sfigureranno.»
«Sì, probabilmente sì, non farà bene alla loro autostima.» commentò lui, annuendo con dispiacere «Non sarà una bella giornata per loro, quando li presenterai. Poveri, poveri libri.»
«Ti chiamerei stupido, ma poi non sarebbe carino, quindi mi limiterò ad avvicinarmi e ad abbracciarti.»
«Quando mai ti sei fatta problemi a darmi dell’idiota?» ribatté Tom, tirandola giù per una mano e passandole un braccio intorno alle spalle, mentre quella continuava imperterrita a sfogliare il libro: «Mi sembra giusto.»
«Non consumarlo troppo» indicò con un cenno del capo il libro, che Aneira aveva posato sulle ginocchia.
«Se non è vissuto, che gusto c’è?»
«Mi sarei decisamente dovuto aspettare una risposta del genere da te.» le scompigliò i capelli – ma lei non ci fece nemmeno caso, tanto era persa dai periodi della prefazione; e probabilmente avrebbero passato il resto della scampagnata così, entrambi: abbracciati e rapiti da pensieri e parole.

All’entrata di St. Ives aveva avvisato Sevi di tenersi pronta e dopo neanche cinque minuti l’aveva costretta a salire nell’auto di Tom: «So che siamo quattro gatti, ma non mi hai neanche fatto finire di usare il phon. Ho ancora i capelli bagnati. Oh, ciao, Jaguar del mio cuore!» aggiunse, accarezzando i sedili posteriori.
«Pardon?» alzò un sopracciglio Tom e incrociò lo sguardo della ragazza nello specchietto retrovisore.
«Oh, ehm, probabilmente non dovrei dirtelo ma quando sono venuta a Londra, Eddie è venuto a prendermi con la tua auto. Volevo guidarla, ma mi ha detto che se te la rompevamo tu rompevi lui, quindi, sebbene ci sia andato lui stesso vicino più volte, alla fine è uscita incolume.»
«Oh, Redmayne mi sentirà...» iniziò Tom, scuotendo la testa e svoltando su Carrack Dhu, infilandosi poi nel primo parcheggio.
«Oops.» commentò Sevi – in realtà era sempre un po’ contenta di portare qualche rogna a Eddie «Perché abbracci quel libro come se fosse tuo figlio, ‘Nei?» chiese, uscendo dall’auto.
«Tom mi ha regalato un’edizione del 1857 di “Persuasione”» spiegò quella, stringendosi al petto il libro «Non penso la smollerò molto presto, una copia del genere.»
«Fa’ vedere!» esclamò Sevi, iniziando a sfogliare il libro.
«Ah, e ora che avete entrambi le mani libere – Sev, molla il libro – Tom, ti presento Sevi, Sevi vi presento Tom. Avete entrambi sentito parlare abbastanza l’uno dell’altra e viceversa per dover aggiungere altro.»
Tom porse una mano alla ragazza, che Sevi strinse, guardandolo accigliata: avrebbe dovuto inquadrarlo in una sola serata.
«Beh, andiamo a scoprire che cosa ha preparato madre per stasera.» Sevi chiudeva la fila, spostando lo sguardo dal libro a Tom, più volte. Le aveva fatto un regalo decisamente importante, e aveva organizzato il tutto in solo una settimana. Doveva assolutamente capire le sue intenzioni.

In realtà Nessa Gedye aveva ordinato le pizze e per tutta la giornata non aveva avuto alcuna intenzione di cucinare null’altro se non la Victoria Sponge Cake. Rientrando, avevano trovato Mycroft che saltava per casa – e tranciava con le unghie i pantaloni di pelle di Alis, che lo stava odiando molto durante la sua permanenza lì – euforico e il padre era alla TV – ovviamente sintonizzato sul tennis... poteva trovare qualcuno che parlava di tennis in qualsiasi momento, in qualsiasi luogo, in qualsiasi situazione – mentre la madre apparecchiava la tavola per sei.
«Oh, ciao Sevi, come va cara?»
«Vado in bagno.» dichiarò Aneira, salendo su per le scale.
«Salgo un attimo in camera.» aveva aggiunto Tom, mentre Mycroft smetteva di avere a che fare con i pantaloni di Alis e lo seguiva, trotterellandogli intorno.
Aneira ripose con tanta cura il libro in un telo, per poi metterlo dentro al borsone e andare in bagno: quando uscì trovò Tom che macchinava con il borsone, riponendo le ultime cose che erano piegate sul letto.
«Sei salito in camera subito dopo esser tornato a casa per finire di fare la valigia? Quando c’è del cibo al piano di sotto?»
«Sono rientrato proprio col pensiero, mia cara Aneira.» spiegò lui, lasciando solo una camicia piegata sul letto «E poi devo cambiarmi.» si liberò della maglietta e andò in bagno, mentre Aneira rimaneva sul posto imbambolata. No, decisamente gli ormoni non le facevano bene in quei giorni.

Dopo cena, Sevi aveva avvicinato Tom in giardino mentre Aneira aiutava la madre in cucina, e gli aveva piantato un indice molto poco dolcemente nella spalla.
«Tu non mi convinci.»
«Ahio! Perché avete questi modi tu e ‘Nei?!» ribatté lui, voltandosi verso la ragazza – una delle poche che in realtà poteva osservare senza dover piegare il collo.
«Oh, chiamalo essere dirette, o semplicemente più manesche della media.» spiegò quella, guardandolo dritto negli occhi, corrucciata.
«Avete già parlato, da sole?»
«No, penso succederà quando mi riaccompagnerà a casa. Allora, che ci fai qui?»
«No, prima una cosa.» disse lui, guardandosi intorno: osava contraddirla e avere qualcosa da dire riguardo Aneira prima di lei? Sevi gli rivolse un’occhiataccia, ma tacque «Non... essere troppo diretta. Quando parlerete.»
«Come scusa?»
«Qualsiasi cosa ti dirà, ma penso che sarà tutta la verità, non essere diretta in modo rude. Lei lo è, molte volte, e con persone in un periodo particolare diciamo che... ha avuto più danni che altro. Per le altre persone.»
«Stiamo parlando di Eddie, vero?»
Tom strabuzzò gli occhi, ma annuì: «Sì. Io ritengo sia in un periodo particolare. In una fase di scelta... aggravata anche da altre cose.»
«La tua situazione, no?»
«Oh, dovrei essermi abituato dopo sei mesi con Aneira.» disse più a se stesso che come rimprovero a Sevi «Lei non voleva nemmeno ritornare qui. Non so il perché, non so se c’entrino i suoi in qualche modo, se possano cambiare la sua scelta... so solo che l’ho dovuta trascinare. Sii solo... non so, sincera, come al vostro solito, ma calibra le parole. Non so come potrebbe prenderla della sincerità poco pensata al momento, soprattutto da te.»
«Scusami? Soprattutto da me?» alzò un sopracciglio, incrociando le braccia: cosa voleva dire con quella frase?
«Ti vuole tanto bene. Tiene molto in considerazione il tuo parere, sei praticamente parte della famiglia per lei, una seconda sorella – una che ritiene intelligente e rispetta e di cui tiene conto molto più di quella effettiva. E le manchi parecchio, e le mancheresti se scegliesse di...»
«Andare a New York, lo so.»
«Ecco. Semplicemente... Non lo so, sii presente per lei. Io non ci potrò essere.» fece spallucce, spostando lo sguardo per qualche secondo – lo sguardo severo di Sevi si ammorbidì: stava davvero parlando solo per interesse nei confronti di Aneira.
«Sarò diretta con discrezione.» dichiarò allora, e lui sorrise «Ma non sta a te dire di esserci. Io ci sono, sempre, anche a distanza!» alzò un indice in direzione dell’uomo, che se lo vide troppo vicino al viso, a dirla tutta.
«Va bene.» ammise, tirando un sospiro di sollievo quando Sevi abbassò la mano: «E comunque sono venuta a cercarti per farti diverse domande.»
«Oh, mi sarei aspettato un interrogatorio, dopo quello che mi ha raccontato Eddie...» il tono che lasciava intendere più di quello che probabilmente voleva fece riapparire l’indice accusatorio di Sevi, e Tom saltò su, roteando gli occhi «Quel tuo dito mi destabilizza ogni volta.»
«Cosa vuoi dire?!»
«Niente, niente, solo che mi ha parlato di te. Non so neanche in che modo siate diventati amici...»
«Quel bastardo dice che siamo amici?!»
«Mi aveva avvisato che avresti reagito così.» annuì Tom, mentre Sevi digrignava i denti mormorando tra sé e sé “Oh, mi sentirà, Eddie mi sentirà...”.
«Allora, l’interrogatorio?»
«Cosa ci fai qui?» l’indice accusatorio era tornato: avrebbe dovuto farci l’abitudine.
«Per riportare ‘Nei a casa per il compleanno, mi sono messo d’accordo con la madre.»
«Non sono stupida, Tom. Intendo dire, perché hai voluto trascinarla fin qui? E non dirmi perché te l’ha chiesto Nessa, non l’avrebbe mai fatto, non direttamente.»
Quella Sevi era davvero intelligente e furba: qualità che avrebbe apprezzato anche in quel momento se non fossero state usate palesemente contro di lui «Generalmente ritengo che chiunque, chiunque debba passare il proprio compleanno circondato da persone che gli vogliono bene. Non capisco perché lei si dovesse estraniare da tutti trascorrendolo a casa, quando poteva benissimo tornare.»
«Hiddleston, voglio il motivo profondo! Dai, lo sai che non mi prendi in giro!» esclamò quella, alzando gli occhi al cielo.
«Ma se già lo sai che ci tengo tanto a lei, perché devo ammetterlo?»
«Oh, perché se lo ammetti sei un passo avanti. L’hai elaborato e accettato.»
«Sai che cosa positiva ammetterlo davanti a qualcuno e sapere che tanto la situazione non cambierà.» sbottò lui, passandosi una mano tra i ricci.
«Come, scusa?»  chiese Sevi, curiosa, ma Tom scosse la testa «Questo non sta a me dirtelo. E scusami, per il piccolo sfogo.»
«Oh, tendo a stressare molto la gente in interrogatori del genere.» ammise lei, annuendo «E comunque, d’accordo. Hai passato il test. E non sarò troppo dura, insomma, possiamo parlare di sincerità cauta.»
«Sincerità controllata?»
«No, in termini più dolci al massimo. Niente bugie, Hiddleston.»
«Sì, lo so, lo so, so come funzionate.» sospirò lui, scuotendo la testa «Ora possiamo tornare dentro? Temo che stiano pensando che tu stia per uccidermi.»
«Beh, la mia espressione potrebbe aver lasciato intendere quello.» rispose Sevi, attraversando la porta che Tom le stava tenendo aperta. Poi si diresse come se niente fosse sul divano, dove Mycroft decise che sarebbe stata il suo cuscino per il resto della serata piazzandosi addosso a lei non appena quella si sedette.
«Allora, cosa vi siete detti?»
«Oh mio dio!» saltò su Tom, visibilmente sovrappensiero «Perché cammini come un ninja in questa casa! Ed esci dall’ombra!»
«Non è colpa mia, è la moquette!» ribatté Aneira, alzando gli occhi al cielo «Allora?»
«Oh, tanto ne parlerete tra voi, non c’è bisogno che te lo dica io.» rispose lui, sorridendole un’ultima volta prima di sfidare a ping pong il signor Hier.
Aneira raggiunse Sevi sul divano e cambiò canale, coccolando per un po’ Mycroft: «Perché mio padre accetta sfide che non sa di stare per perdere?»
«Mh?»
«Tom batte chiunque a ping pong. Si vanta ancora di quando ha fatto fuori tutto il cast di Avengers. Forse è una delle poche cose per la quale l’ho sentito vantarsi.»
«Oh, non mi perderò la sconfitta del signor Hier, allora!» esclamò l’amica, prendendo in braccio Mycroft e uscendo sul retro, mentre Aneira la seguiva dopo aver spento la TV: «Giustamente, cosa te ne fai del tennis in TV quando puoi vedere una disfatta semi-tennistica dal vivo?»
Ma nessuno la stava ascoltando: la partita era già entrata nel vivo e nessuno dei presenti avrebbe distolto gli occhi dalla palla da quel momento in poi, nemmeno il piccolo Mycroft.

Era mezzanotte passata e aveva fermato il maggiolone sul vialetto di Casa Moyle: doveva dirglielo, e voleva, però aveva anche timore di come avrebbe potuto reagire l’amica.
«Quando ripartirai?»
«Taglia corto, ‘Nei. Che è successo? Perché ne ha fatto riferimento pure lui, e ha detto che dovevi dirmelo tu. E comunque riparto tra circa cinque ore, sarò fortunata a dormirne tre.» rispose infine Sevi, guardandola accuratamente.
«Non so da quale delle due cose partire.»
«Partiamo dalla quasi dichiarazione che ti ha fatto e il fatto che comunque “sia tutto impossibile”? Cosa accidenti gli hai detto?!» proprio sincerità cauta, certo. Doveva frenare la lingua prima di uscirsene così, ma ormai il danno era fatto: anche se Aneira non sembrava averla presa male. Sembrava più che altro in difficoltà per quello che avrebbe dovuto ammettere di lì a poco «Gli ho detto che mamma mi ha fatto il discorso sul “È il tuo fidanzato? Spero di no”. E lui mi ha detto che non gli sarebbe dispiaciuto se fosse stato così.»
«Di classe!» commentò Sevi, alzando entrambe le sopracciglia.
«In realtà temo di averlo traumatizzato io ridendogli in faccia. Penso sia stato in procinto di dire altro, ma poi gli ho detto di New York. E che non avrebbe fatto schifo nemmeno a me se fosse stato vero.»
«Siete davvero una coppia di romantici, non c’è che dire!» commentò ulteriormente Sevi «E poi?»
«E poi abbiamo continuato come al solito. Abbiamo passeggiato mano nella mano, sia per nostra scelta che costretti da Alis...»
«Questa dovrai spiegarmela in futuro – ma comunque, è un comportamento davvero normale per una non-coppia, eh!»
«Smettila col sarcasmo Sev, l’ho baciato, diamine!» esplose Aneira, mettendosi entrambe le mani sul viso.
«Eeeeh?!» probabilmente l’aveva sentita tutto l’isolato «No, cioè... come...»
«Mi ero impuntata. Si era messo a dormire sulla poltrona letto. Al che mi sono messa accanto a lui, perché avevo deciso che se avesse voluto dormire lì, avremmo dormito entrambi scomodamente. Però poi ho ripensato a quello che ci eravamo detti quella mattina, alla quasi - dichiarazione, ed eravamo vicini...»
«E non hai saputo tenere a freno gli ormoni.» Aneira le lanciò un’occhiataccia molto breve: «Ero certa che stesse dormendo. Volevo solo provare. Tanto non l’avrebbe mai saputo...»
«E invece era sveglio, vero?»
«Sì. E ha risposto al bacio. Per un bel po’ di tempo. Poi ci siamo addormentati abbracciati. Ma comunque non cambia nulla.»
«Io capisco sinceramente la sua frustrazione.»
«Ah, la sua sì e la mia no? Insomma, oggi si è anche spogliato davanti a me...» Aneira sbuffava e scuoteva la testa contemporaneamente, stressata.
«La tua la capisco perché immagino che sia diventata frustrazione sessuale, però intendo, insomma... lui ha fatto tutta la fatica. Si è quasi dichiarato e ti ha portata qui e tutto... e tu gli hai detto che è fondamentalmente impossibile, ma che non ti sarebbe dispiaciuto e gli hai pure messo la lingua in bocca. Dev’essere un po’ confuso. E ti ha anche regalato un’edizione di secoli fa di “Persuasione”. Insomma, ti conosce proprio!»
«Cosa stai suggerendo, Sev?» chiese Aneira, accigliata.
«Nulla. Sai come la penso, semplicemente... capiscilo. Non ha tutti i torti a essere nervoso e a sbottare.»
«Non ha sbottato con me.» rispose l’altra, perplessa.
«Sì, l’ha fatto con me, insomma, l’ho messo sotto torchio prima.» mormorò quella, roteando gli occhi «Ma adesso come vi state comportando?»
«Ci abbracciamo. Camminiamo mano per la mano.»
«Slinguazzate?»
«No, direi che quello complicherebbe le cose, fatto ulteriormente e alla luce del sole.» spiegò Aneira, annuendo turbata.
«Aaah, chi ha il pane e non ha i denti...» commentò Sevi, aprendo la portella del maggiolone.
«Mi hanno accettata, a New York.» l’amica richiuse la portella, guardandola negli occhi: «Come?»
«Mi hanno chiamato oggi. Un azienda. Proprio per fare dei test ed esami di economia comportamentale per conto loro. Un internship. Dal prossimo Gennaio.»
«Non l’hai detto ancora a nessuno?» chiese Sevi, mettendole una mano sulla spalla sinistra. Aneira scosse la testa: «Non ancora, sei la prima. Penso di doverlo dire, prima o poi, ai miei...»
«E Tom?»
«Non so neanche quando non lo vedrò più. Non so quando ritornerò a casa, ma lui sicuramente... partirà prima. Non voglio dirgli addio.»
«Sempre meglio salutarlo che non chiudere proprio, però.» rispose Sevi, sospirando rumorosamente «Beh, vado. Le ore di sonno si riducono magistralmente...»
«Penso passeremo a salutarti, domani. All’ora di pranzo sei libera?» già a metà strada fuori dall’auto, Sevi annuì «Sarò a studiare in università di mattina e poi vi aspetto all’entrata per quell’ora. Sai già quando torni qua?»
«Non ancora, ma te lo farò sapere, Sev.» rispose Aneira, baciandole una guancia «Buon ritorno in treno e buona notte, per quanto sia quasi finita per te.»
«Ci vediamo domani, prima che ritorniate nel profondo est.» rispose l’altra, incamminandosi sul vialetto e salutandola con una mano solo quando era ormai entrata in casa.
  
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