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Autore: ___Ace    02/03/2015    1 recensioni
Nella Francia del XVIII secolo, più precisamente durante il corso del 1789, ogni tipo di potere immaginabile era riposto unicamente nelle mani della monarchia assoluta, a detta dei nobili e del sovrano, per diritto divino. I cittadini avevano sopportato tanto per molto tempo, senza mai lamentarsi e continuando a seppellire vittime di quelle ingiustizie. L'avversione dei sudditi francesi non aveva fatto altro che crescere e inasprirsi di giorno in giorno.
C'era, però, qualcuno pronto a combattere: un gruppo di persone che agivano nell'ombra e che lottavano per i loro ideali di giustizia ed uguaglianza. C'erano i Rivoluzionari, desiderosi di cambiare le cose e di liberare la Francia una volta per tutte.
Genere: Avventura, Romantico, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai | Personaggi: Ace/Marco, Ciurma di Barbabianca, Rivoluzionari, Sabo/Koala, Un po' tutti | Coppie: Eustass Kidd/Trafalgar Law, Rufy/Nami, Sanji/Zoro
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Liberté, Égalité, Fraternité.
Huit.

 

Law aveva finito di lavorare molto tardi quella notte a causa di un’operazione che aveva riscontrato delle complicanze e che aveva richiesto buona parte della sua concentrazione, del suo tempo e delle sue energie, perciò stava rincasando solo allora, con la luna già alta e la ronda delle guardie già iniziata. Essendo un nobile non avrebbe dovuto avere troppi problemi se lo avessero beccato a gironzolare, ma non si poteva mai essere sicuri con i tempi che correvano, inoltre gli avrebbero fatto domande che sarebbero risultate scomode e lui non aveva la minima intenzione di subire un interrogatorio. Ad aumentare il pericolo, poi, girava voce che i secondini si divertissero intrattenendosi con coloro che beccavano a passeggiare fuori l’orario stabilito dal coprifuoco. Ad ogni modo, stava percorrendo stradine basse, quindi non avrebbe rischiato di incappare in nessun ufficiale curioso e armato.
Trattenne uno sbadiglio e si stropicciò gli occhi, stanco come non gli capitava da mesi. Aveva sonno e anche fame. A pensarci bene, non ricordava nemmeno quando era stato il suo ultimo pasto decente, ma non se ne preoccupò più di tanto, ci aveva fatto l’abitudine ormai e per lui era più importante che il tutore che viveva sotto il suo stesso tetto avesse sempre la pancia piena e che i pazienti fossero soddisfatti, il resto poteva aspettare.
Stava pensando alla giacca leggera che aveva dimenticato sulla sedia del suo studio, stringendosi nelle spalle per contrastare l’arietta fresca, quando un rumore sommesso di cocci lo riscosse, facendogli alzare automaticamente il capo sopra di sé, verso il tetto dell’edificio diroccato accanto al quale stava passando. Assottigliò lo sguardo e per un istante gli parve di vedere un’ombra scomparire dietro i camini, ma poi il silenzio calò più pesante di prima e si convinse di aver visto male. Forse si era trattato semplicemente di un gatto. Un gatto enorme, per la precisione.
Scosse la testa e continuò a camminare, ma i suoi sensi si erano fatti più attenti dopo quell’intoppo e prese a lanciare occhiate attorno a sé, per sicurezza, pronto a scattare se fosse stato necessario. Dal suo aspetto poteva avere l’aria di uno sprovveduto disarmato, ma era esattamente ciò che voleva dimostrare. Non gli andava l’idea che tutti sapessero quanto poteva fare male se provocato. Viveva a stretto contatto con i Rivoluzionari da anni e il suo coinquilino era un ex militare, ovvio che sapesse come difendersi.
Sentì ancora quel rumore, quella volta più deciso e più vicino, seguito da un tonfo sordo proprio dietro l’angolo di una casa che dava su di un vicolo cieco dove vecchi travi di legno erano stati abbandonati a marcire.
Law si fermò a pochi passi da lì, guardando intensamente in quella direzione e attendendo con pazienza che chiunque lo stesse seguendo si mostrasse a lui, perché era chiaro che fosse stata la sua intenzione fin dall’inizio, altrimenti sarebbe stato più prudente. Perciò o era stupido, o non era un professionista.
Capì che si trattava della prima supposizione quando, da dietro il muro, sbucò la figura conosciuta e imbronciata di Eustass Kidd, il quale, appoggiatosi alla parete, incrociò le braccia al petto e lo fissò di rimando, come se si aspettasse qualcosa.
Ciò che ricevette per educazione fu un’espressione ambigua e una battuta tagliente. -Sei così ossessionato da me che ora mi segui?-
Kidd, che aveva badato bene a tenersi alla larga da quel dottore dopo che lo aveva introdotto alla Bastiglia, ignorò quella frecciatina sarcastica e diede sfogo al suo fastidio, ma senza rispondere alla domanda. -Che ci fai in giro a queste ore?-
-Non mi pare siano affari tuoi, Eustass-ya.- rispose con tono acido Trafalgar, avanzando di un passo e avvicinandosi a lui con le mani affondate nelle tasche dei pantaloni e le spalle rilassate. Quel rosso isterico non era una minaccia e stare in guardia non aveva senso, dopotutto, poteva batterlo quando voleva.
-C’è la ronda.- sentenziò Kidd, come se ciò bastasse a spiegare il suo umore nero ed il fatto che non fosse consigliabile andare in giro la notte.
Il moro avrebbe voluto informarlo che non era uno ignorante e conosceva perfettamente i decreti che stabilivano quando la gente potesse o no passeggiare all’aria aperta, ma all’ultimo momento un sorrisetto fece capolino sul suo viso, mentre la stanchezza scompariva come per magia. -Non sarai preoccupato per me, vero?-
-Ti piacerebbe!- fu la secca risposta di Eustass, ma nemmeno l’assenza di luce poté nascondere a Law l’ambiguo rossore che spuntò sulle guance dell’uomo davanti a lui che, svelto, voltò il capo di lato, passandosi una mano tra i capelli per sviare l’attenzione. Il medico conosceva bene quel comportamento, era facile per lui capire le persone dato il suo lavoro, e si accorgeva immediatamente quando qualcuno era in forte imbarazzo o provava disagio. In quel caso, Kidd doveva stare provando entrambe le sensazioni.
-Oh, andiamo, non ti prenderò in giro se lo ammetti.- continuò vittorioso, allargando il ghigno e inclinando la testa per osservare meglio la reazione di Kidd. Era iniziata come una serata pessima, ma, forse, non si sarebbe conclusa poi così male. Non l’avrebbe mai detto, ma era stato inspiegabilmente fortunato a incrociare la strada di quello sbandato.
Il più grande, spostando lo sguardo sulla figura più bassa di qualche centimetro di Law, stava per ribattere con una serie di insulti coloriti, chicche provenienti dai bassifondi della Costa Azzurra, ma dovette abbandonare alla svelta il suo intento quando, in fondo alla strada, una guardia si fermò ad osservare nella loro direzione, dando poi l’allarme e ordinando loro di rimanere immobili.
-Merde!-
La mano di Kidd scattò fulminea ad afferrare saldamente il braccio del dottore, trascinandoselo dietro con un movimento tanto brusco da rischiare quasi di farlo cadere a terra senza un minimo di preavviso e costringendolo a corrergli dietro lungo la via il più velocemente possibile mentre, alle loro spalle, il gruppo di soldati allarmati iniziava l’inseguimento, armati di fucili.
-Dove andiamo?- domandò Law affannato. Era stanco, per lui era stata una giornata pesante e chiedere quello sforzo imprevisto alle sue gambe stava dando la mazzata finale a tutto il suo corpo. Inoltre, era a corto di energie, ma sperò di non svenire proprio in quel momento, il meno opportuno di tutti. Non si sarebbe mai perdonato di essere stato un peso.
Kidd, però, non rispose e continuò a sviare prima a destra, poi a sinistra, concentrato e con un’espressione impenetrabile, fissata a ricordare la piantina di tutto l’agglomerato parigino e i suoi vari e possibili nascondigli e svincoli, fino a raggiungere uno dei molteplici ponticelli che attraversavano la Senna, silenziosa e con una palla di luce lunare che si specchiava limpida sulle sue acque quella notte. Avevano appena svoltato l’angolo e, prima ancora che Trafalgar potesse reagire e rendersene conto, si ritrovò spinto oltre il bordo del ciglio della strada, finendo per cadere di sotto e seguito a ruota dal rosso che, prontamente, atterrò in equilibrio sul terriccio che spuntava appena al limitare del canale. Velocemente e senza parlare, aiutò Law, ancora sconvolto e sorpreso di non essere finito ammollo, a rimettersi in piedi e a non scivolare in acqua, dato il terreno bagnato e scivoloso, spingendolo sotto alla costruzione in roccia e legno e schiacciandolo con forza e poca grazia contro la parete.
-Eustass-ya ma che…- provò a ribattere Law affannato, ma una mano gli tappò la bocca, mentre con l’altra Kidd gli intimava di stare zitto e gli si faceva ancora più vicino, quasi come se volesse diventare un tutt’uno con il muro freddo e umido alle loro spalle che ammaccava la schiena del ragazzo più piccolo.
Sopra di loro, le guardie si guardavano attorno frenetiche, imprecando ed ipotizzando la via che i fuggitivi avevano preso. Uno di loro si sporse verso il fiume con una lanterna per illuminare le acque, ma da quella posizione non si scorgeva la riva e l’insenatura sotto al ponticello. I fuggitivi non potevano essere spariti nel nulla e la probabilità più alta era che avessero attraversato il ponte per raggiungere l’altra riva. Fu così che decisero di seguire quella pista, allontanandosi sempre di più fino a scomparire nei quartieri di Parigi, facendo esattamente quello che Eustass Kidd aveva previsto fin dall’inizio del suo piano.
L’aveva scampata, di nuovo.
E se ne sarebbe rallegrato e vantato, se solo non si fosse ritrovato con la testa completamente svuotata da ogni pensiero e da tutto ciò che riguardava la Rivoluzione, le guardie e il pericolo appena corso. L’unica cosa su cui riusciva a concentrarsi era il ragazzo davanti a lui, con le palpebre abbassate, la fronte appoggiata senza rendersene conto al suo petto e le mani strette sulla sua giacca sbrindellata, intento a fare respiri profondi e a tranquillizzarsi dopo la corsa a rotta di collo per le strade e la paura di essere beccati quando la luce delle fiaccole aveva quasi rischiato di raggiungerli, mentre lui non dava segno di volersi staccare dalla parete, continuando a tenere entrambi inchiodati lì, vicini, stretti e spaesati.
E c’era qualcos’altro che Kidd sentiva, o credeva di stare provando, ma non ne era certo. Partiva dal centro dello stomaco e saliva fino al petto, come una scossa, per poi tornare giù. Era strano, sembrava quasi una sensazione di vuoto, compensata poi da una sorta di calore. Doveva aver sudato, per quel motivo si sentiva in quel modo, non c’era altra spiegazione plausibile.
Alla fine, Law alzò la testa, ignorando il fatto di essere scomodo e di sentirsi premere contro il muro, e mosse i suoi occhi alla ricerca di quelli del rosso per inchiodarli con uno dei suoi soliti sguardi critici e velenosi, deciso più che mai a sgridarlo per aver preso una decisione senza consultarlo, ma le parole taglienti che aveva intenzione di usare gli morirono in gola al momento del confronto.
Riflettendoci, non era andata male. Erano salvi, certo, avevano rischiato grosso e lui stava per crollare dalla stanchezza, ma stavano tutti e due bene e così premuto contro il petto di Kidd non sentiva nemmeno molto freddo. A dire la verità, così vicini, sentiva anche troppo caldo.
Serrò le labbra e non si mosse, colto all’improvviso da un’orribile consapevolezza che gli fece provare per la prima volta, seppur lievemente e in piccola parte, una sensazione che si poteva benissimo avvicinare all’imbarazzo. Perché Law era un dottore, ma anche un uomo, e, alle volte, quei due aspetti non andavano esattamente d’accordo. Avendo studiato e imparato tanto, sapeva perfettamente a cosa associare quelle emozioni e poi, essendo giovane e avendo Kidd così appiccicato a sé, era facile trarre le conclusioni e definire con una parola il suo stato d’animo.
Si morse l’interno di una guancia per calmarsi, pregando che i pantaloni non iniziassero a diventare stretti.
Il Rivoluzionario, invece, pareva come sempre più lontano dalla realtà. Le braccia si flessero da sole, dandogli modo di abbassarsi un poco e di avvicinarsi sempre di più al viso del medico, mentre i suoi occhi scivolarono per un attimo su quelle labbra all’apparenza inaccessibili. Sapeva che stava facendo una cazzata, ma non riusciva a rendersene conto del tutto.
E quando Law, chiudendo gli occhi, gli sussurrò che gli stava facendo male, si staccò da lui all’istante, con il corpo in fiamme, ma non avrebbe mai ammesso, mai, che, per un misero secondo, aveva pensato che, ad essere sincero, tutta quella situazione non era poi così male.
 
*
 
Mezzogiorno era passato da un pezzo quando Thatch si ritrovò ad aprire svogliato prima un occhio e poi l’altro, trovandosi in una stanza dalle calde ed accoglienti pareti in legno ben curate e non abbandonate a marcire. L’ambiente, secondo lui, non sembrava nemmeno tanto freddo, ma non ne aveva la certezza perché realizzò di essere sotto a delle coperte pulite e, accidenti!, profumate.
Si concesse qualche minuto di pace per affondare la faccia nel morbido cuscino in stoffa e coprirsi fin sopra i capelli con quelle lenzuola, rotolando in quel letto comodo. Era da una vita che non dormiva così bene e profondamente, per lui svegliarsi in quella maniera tranquilla e spontanea, senza secchiate d’acqua in faccia o scherzi di cattivo gusto era un sogno.
-Oh, buongiorno.- sentì pronunciare in francese da una voce pacata e divertita, -Ti sei svegliato?-
Riemerse dalle coltri con i capelli disastrati e le palpebre mezze abbassate per scoprire chi aveva un tono così gentile e dolce di primo mattino, mettendo a fuoco la figura di una donna dai capelli scuri raccolti da un fazzoletto legato dietro le orecchie e gli occhioni grandi. Teneva in mano un vassoio con delle tazze di latte e alcuni panini e dolci. Sicuramente doveva essere morto perché quello era per forza il paradiso.
-Umh, si.- rispose con la bocca impastata dal sonno, -Voi chi siete?-
La donna sorrise e appoggiò il vassoio sul comodino, dirigendosi poi a scostare le tende per aprire le finestre e far entrare un po’ di luce.
-Sono Makino, la proprietaria della locanda. Sei uno degli amici di Ace, giusto?- chiese bonaria.
-Sono Thatch.- rispose il castano, aggrottando la fronte e mettendosi seduto sul materasso, accorgendosi di essere a petto nudo. Oltre a quell’aspetto, si rese anche conto di non ricordare niente della notte passata, perciò non riusciva a spiegarsi cosa ci facesse in casa di quella gentilissima signorina.
-Ace dov’è?- domandò infine, sentendo crescere in sé la preoccupazione. Inspiegabilmente, gli pareva che qualcosa non stesse andando affatto bene.
Makino gli indicò il letto accanto al suo, rivelando la presenza di un ammasso indistinto sotterrato sotto al lenzuolo bianco. Un cuscino era a terra, mentre un cappello di un arancione acceso dava bella mostra di sé appeso alla testiera del giaciglio.
A Thatch bastò allungare una mano per scuotere il corpo che riposava accanto a lui, sentendo provenire in risposta un mugolio infastidito. Allora riprovò con più decisione, arrivando persino a scendere dal letto e a saltare in quello dell’amico per svegliarlo, costretto infine a farlo scivolare sul pavimento, ottenendo così il suo successo e dando il buongiorno a Ace che, con un insulto a sua madre, si massaggiava la testa dolente per la botta. Ad ogni modo, non si scusò; aveva una brutta, bruttissima sensazione.
-Ace, dove siamo?-
-A casa mia.- biascicò l’altro, scoccandogli un’occhiataccia. –Ed è ora di colazione.-
Oh, per fortuna, forse siamo ancora in tempo, pensò Thatch, rilassandosi. Se si fosse sbrigato, avrebbe raggiunto l’accampamento appena in tempo per inventare una scusa plausibile per giustificare la sua assenza al risveglio. Dopo aver recuperato gli altri suoi compagni, ovviamente.
-Veramente,- si intromise Makino, lisciandosi le pieghe della gonna, -E’ già passata l’ora di pranzo.-
-What? Oh my God!- sbraitò Thatch, scattando in piedi e cercando i suoi abiti che trovò dopo poco sotto al letto, infilandoseli al volo e correndo fuori dalla stanza a cercare il resto dei suoi fratelli per i corridoi della locanda.
Ace, dopo aver sbattuto più volte le palpebre ed essersi accertato che non avrebbe più preso sonno, si decise a seguirlo pure lui, indossando di fretta una camicia nera e un paio di pantaloni del medesimo colore che gli passò Makino, salutandolo quando vide schizzare anche lui fuori dalla camera.
Il ragazzo trovò i suoi amici al piano terra nell’atrio, dove Thatch stava animatamente discutendo con Izou a voce talmente alta da lasciar intendere a tutti il motivo della lite. A quanto pareva avevano dormito troppo e chi si era svegliato prima non aveva avvisato gli altri del tremendo ritardo in cui erano incappati dopo essersi sbronzati la notte precedente a Montmartre.
-Ti rendi conto che se ci beccano siamo in guai grossi, razza di deficiente?- stava urlando il castano, abbottonandosi la camicia in fretta e furia e saltando accidentalmente qualche bottone.
Izou, dal canto suo, alzava le mani in segno di pace, insistendo a dire che non era stata colpa sua e che Rakuyo non aveva pensato a quell’inconveniente, convincendolo ad accettare il pranzo di Makino.
-L’avete fatto solo perché è una bella donna.- disse allora Thatch, furioso, passandosi una mano tra i capelli nel tentativo di sistemarli. Si sentiva addosso l’odore dell’alcool che aveva bevuto, di carne grigliata e, ne era certo, di sesso. L’unica cosa che desiderava in quel momento era poter fare una doccia, ma non ne aveva nemmeno il tempo.
-Beh, ammetti che non è male.- si lasciò scappare Namiur.
Fu allora che Ace scese l’ultimo gradino, schiarendosi la voce per attirare volutamente l’attenzione e fissando torvo tutto il gruppetto di uomini per i commenti fuori luogo sulla padrona di casa che gli aveva, in un certo senso, fatto quasi da madre e che era per giunta impegnata con un altro uomo che stimava e rispettava.
Thatch lo guardò di striscio, mettendosi gli stivali e intimando agli altri che era ora di levare le tende.
-Ace, noi dobbiamo andare o avremo problemi all’accampamento. Sai che non vogliono che gironzoliamo troppo in città.- spiegò, già sulla porta e con il ragazzino alle sue spalle. Sapeva che non c’era bisogno di chiederglielo perché Ace, difetti a parte, capiva le cose al volo ancora prima che le persone gliele facessero notare o gliele chiedessero. Infatti, li aveva subito affiancati e li stava accompagnando alle paludi, conscio che avrebbero avuto bisogno della sua parola e di un complice per inventare una scusa abbastanza credibile che li salvasse dal venire ripresi dal loro capo.
-Potete sempre dire che siete andati a caccia.- fece ad un tratto il giovane, il quale si stava scervellando per inventarsi qualcosa lungo il sentiero folto di erbacce che avevano raggiunto a passo svelto in una quindicina di minuti.
-Siamo senza balestre e non abbiamo prede con noi.- gli fece notare con sarcasmo Rakuyo, accendendosi una sigaretta nervoso con le dita tremanti che faticavano a tenere fermo il fiammifero, -Capirebbero subito che li stiamo prendendo per il culo.-
-E se diciamo che siamo andati in avanscoperta?- provò ad ipotizzare Izou, legandosi in una coda i lunghi capelli scuri e lisci.
-Siamo sul sentiero che porta in città. Per risultare credibile dovremo almeno arrivare dal lato opposto dell’accampamento.- sentenziò Thatch che, per la precisione, era di umore pessimo. Per una volta che si svegliava in maniera perfetta doveva capitargli quell’imprevisto del ritardo. Al diavolo lui e il suo amore per l’alcool e le belle donne.
-Ci sono!- disse Ace, illuminandosi, -Perché non dite…-
-Dove siete stati?-
I quattro si fermarono all’istante e si sentirono gelare il sangue nelle vene quando udirono alle loro spalle la voce ferma e autoritaria di Marco che, con le braccia incrociate al petto e l’espressione truce, li fissava mentre si voltavano lentamente e intimoriti a guardarlo.
Vedendo che nessuno si azzardava a rispondere, il biondo ripeté la domanda ancora più freddamente. -Vi ho chiesto dove diavolo siete stati tutto questo tempo.-
Namiur deglutì rumorosamente. -Siamo… Siamo andati a…-
-A prendere…- continuò Rakuyo, andando in suo aiuto, ma indeciso su come continuare.
-A prendere Ace!- concluse infine Thatch, inscenando un sorriso finto e allegro e attirando a sé il moccioso, passandogli un braccio attorno alle spalle con confidenza. -Sai, eravamo d’accordo che ci saremo visti oggi per parlare della guerra e così lo abbiamo aspettato al limitare del bosco.-
Ci stava, poteva reggere benissimo quella montatura, non fosse stato per il lasso di tempo durante il quale erano stati assenti. Erano troppe ore, quando, per recuperare il ragazzino, ci avrebbero dovuto impiegare massimo una mezz’ora.
La faccia di Marco, infatti, diceva che non aveva creduto nemmeno ad una sillaba di quello che avevano detto.
-Vediamo,- iniziò, avanzando verso di loro fino a raggiungerli, guardandoli attentamente. -Rakuyo, ogni volta che bevi ti tremano le mani; Namiur, non sprecarti a raccontare balle, si capisce sempre quando menti, e poi quelli che indossi non sono i tuoi stivali; Izou, amico mio, hai un bruttissimo livido sulla faccia e tu,- concluse, puntando un dito accusatore contro Thatch, il quale si impietrì sotto quello sguardo tagliente, -Tu, mio caro fratello, hai il collo che sembra essere stato in balìa dei vampiri.-
In effetti non ha tutti i torti, pensò segretamente Ace, sbirciando la pelle che si intravvedeva sotto al colletto della camicia del castano e notando come risaltassero i segni rossi che gli avevano lasciato le ragazze di Dadan.
Erano stati beccati, non c’era dubbio.
-Mentre il moccioso ha l’aria di uno che le ha prese di santa ragione.-
Ad onor del vero, Thatch pensò che non avevano affatto tenuto conto di quei particolari perché, sinceramente, Ace era messo male sul serio. Il labbro inferiore era rotto e gonfio, mentre sullo zigomo destro aveva un grosso segno violaceo e Dio solo sapeva in che stato era la sua condizione fisica.
-Quindi ve lo chiedo per l’ultima volta.- sibilò Marco senza aria di scherzo nella voce e nello sguardo, -Dove vi eravate cacciati?-
Thatch, che nel frattempo aveva abbassato la testa con aria colpevole, coprendosi una parte del collo con una mano quando gli era stato fatto notare che su di esso fiammeggiavano numerosi baci, rialzò gli occhi per fronteggiare il fratello nella speranza di calmarlo e di tranquillizzarlo, ma una figura leggermente più bassa e con dei folti capelli corvini si parò davanti a lui e prese parola al posto suo, lasciandolo sorpreso e allibito.
-E’ stata colpa mia.- confessò Ace, sostenendo lo sguardo severo e duro di Marco che, concentrato su di lui, stringeva impercettibilmente i pugni. -Ieri sera dovevo andare a fare visita a degli amici e ho permesso loro di venire con me.-
-Ace sta zitto, eravamo d’accordo tutti!- s’intromise Izou, voltandosi verso il ragazzino e guardandolo intensamente, intimandogli di non addossarsi tutta la colpa.
-No, invece ho insistito!- fece quello, con più sicurezza. -Volevo mostrare loro Parigi. Sono stato uno sciocco, lo ammetto, e mi assumo io la responsabilità dei problemi che abbiamo causato.-
Tutt’attorno calò il silenzio, rotto solamente dai respiri accelerati degli uomini alle spalle del francese, i quali si lanciavano occhiate sorprese, sconcertati dalla scena davanti ai loro occhi e incapaci di credere davvero che Ace avesse preso le loro difese. Il fatto era che lui non sapeva che Marco non li avrebbe mai puniti severamente, ma solamente sgridati e, magari, dato loro qualche pugno di ammonimento. In ogni caso, anche il biondo era rimasto stupito da quella scena e in quel momento non aveva idea di cosa fare. Il ragazzino si era preoccupato per le conseguenze che avrebbero potuto patire e si era fatto carico di tutto, esponendosi come colpevole e pronto a ricevere la punizione che meritava.
Per Marco era strano, in un certo senso. Inizialmente non si era preoccupato di nascondere il disprezzo che provava per la loro origine inglese, ma davanti ai nuovi fatti non ci aveva pensato due volte a difenderli. Assurdo che li considerasse tutti suoi amici a tal punto da prendersi tutte le colpe. A lui, sinceramente, un po’ dava fastidio tutta quella simpatia che i suoi fratelli dimostravano a quel francese scapestrato, ma non poteva farci niente a riguardo. Di certo, non lo avrebbe ammirato per quel gesto, poco ma sicuro. Restava sempre e comunque un incosciente.
Alla fine sospirò. Non gli avrebbe fatto del male, non ne aveva il diritto e, sicuramente, non avrebbe creato disagi tra americani e francesi dopo che l’alleanza era stata stretta, inoltre gli altri suoi compagni presenti non gliel’avrebbero mai permesso, però voleva assicurarsi di fargli capire bene la gravità del problema, cosicché la smettesse di volersene andare in giro ad ogni ora del giorno.
Mosse un passo verso di lui e, nello stesso istante, lanciò un’occhiata oltre le sue spalle,  ammonendo Thatch di non azzardarsi ad intromettersi, dato che aveva già cominciato ad agitarsi sul posto.
Quando gli fu accanto, Ace alzò lo sguardo e lo guardò con una leggera preoccupazione negli occhi davanti alla quale Marco si ritrovò a gongolare in silenzio. Quindi, tutto sommato, un po’ di paura la metteva a quel moccioso impertinente.
-Voi quattro, tornate all’accampamento.- ordinò senza ammettere repliche.
-Ma Marco, non puoi…- iniziò a lamentarsi Izou, trattenuto da Namiur che, interpretata l’occhiata che il biondo rivolse loro subito dopo, preferì ubbidire e non infierire oltre. Sapeva che non l’avrebbero passata tanto liscia, ma non voleva rischiare di peggiorare le cose. Sperava solo che Ace la smettesse di fare l’eroe e abbassasse il capo per una volta.
Thatch non diede segno di volersi muovere, ma dovette arrendersi pure lui dopo lo scambio di sguardi avvenuto con il fratello, il quale sembrava deciso a rimanere solo con il ragazzino. Conosceva l’indole di Marco e fin da quando era piccolo, anche se non era il maggiore, aveva sempre avuto un forte senso di protezione nei confronti della famiglia e di certo non aveva preso bene la loro scappatella notturna. L’avevano fatto preoccupare e sapeva per certo che nessuno l’avrebbe salvato dal beccarsi una ramanzina con i fiocchi, l’unica cosa che gli dispiaceva era abbandonare Ace senza poter fare altrimenti.
Il moro, dal canto suo, era più che deciso ad affrontare a testa alta le ire del biondo, niente affatto preoccupato di non avere più nessuno che gli guardasse le spalle. Aveva volentieri preso le difese dei ragazzi, dopotutto, se lui non avesse raccontato loro di Montmartre e delle ragazze di Dadan, nessuno avrebbe mai iniziato ad insistere per visitare Parigi, perciò se si trovavano in quel guaio la colpa era solo sua e della sua linguaccia troppo lunga.
Prese un respiro profondo e si preparò a beccarsi una bella lavata di capo dalla persona che più detestava all’accampamento.
Marco intuì che Ace era pronto ad ascoltarlo, così non perse altro tempo. -Hai una vaga idea della gravità della cosa?-
Ace si morse un labbro, pensando a cosa rispondere, ma l’altro non aveva ancora finito.
-Ti rendi conto che se le guardie vengono a sapere della presenza di noi inglesi sulle vostre terre scoppierebbe il finimondo? Cosa ti diceva quel tuo cervello?-
-Oh, insomma, non è successo niente!­- Sbottò Ace, stanco di sentirsi riversare addosso tutte quelle accuse. -Stanno tutti bene e nessuno ha visto nulla.- affermò deciso.
Marco incrociò le braccia al petto e lo guardò scettico. -E che mi dici delle donne con cui hanno passato la notte? Se le interrogassero…-
-Non diranno niente.- lo anticipò il corvino, fissandolo serio e sicuro delle sue parole. -Mi conoscono e so che non metteranno mai in pericolo i Rivoluzionari.-
-Allora spiegami i lividi sulle facce di Izou, Rakuyo e Namiur. E’ sempre opera delle tue amichette?- lo riprese Marco, sentendo montare la rabbia di attimo in attimo ad ogni parola del più piccolo. Non sapeva spiegarsi perché, dato che inizialmente aveva solo avuto intenzione di spiegargli pacatamente la pericolosità della situazione, ma si era sentito come animato dal fastidio e dalla voglia di aggredirlo quando aveva capito che razza di postaccio avesse frequentato. Non gli piaceva l’idea che avesse coinvolto i suoi fratelli, probabilmente era per quello, anche se da lui un comportamento così libertino, chissà come, non se lo sarebbe aspettato. Forse si era solo lasciato ingannare da quell’aria infantile e ingenua. In ogni caso, però, non erano affari suoi.
-Smettila di parlare così di loro, non ne hai il diritto!- si animò a quel punto Ace. Se la gente se la prendeva con lui e lo insultava poteva andargli bene, ma se per sbaglio tiravano in ballo i suoi amici e la sua famiglia non c’era più scampo per nessuno. Era tutto ciò che aveva al mondo e non permetteva ad anima viva di giudicarli in quel modo. Per anni Dadan lo aveva lasciato vivere sotto il suo stesso tetto facendolo sgobbare e insegnandogli a guadagnarsi il pane con le sue sole forze e le ragazze che erano state adottate da lei quando non avevano più avuto un posto dove andare erano sempre state buone e gentili nei suoi confronti e in quelli della proprietaria. Certo, crescendo lui se ne era andato per la sua strada, ma non aveva dimenticato l’enorme debito che aveva con quella donna di malaffare.
-Sei tu a non avere il diritto di mettere in pericolo la vita della mia gente!- esplose allora Marco, sovrastandolo con la sua stazza, trattenendosi a stento dal mettergli le mani addosso. -Tu vieni qui e pensi di poter spadroneggiare su tutto, ma dovresti smettere di coinvolgere in quello che fai persone innocenti. Se a te va di rischiare la morte ogni giorno fa pure, ma non azzardarti a trascinarti dietro la mia famiglia.-
-E tu vedi di rispettare la mia di famiglia, perché come esseri umani sono mille volte meglio di te!-
-Felice di risultarti così antipatico, almeno non mi sentirò in colpa quando, finita l’alleanza, ti darò una bella lezione.- sputò acido Marco, superandolo con una spallata e incamminandosi lungo il sentiero che portava all’accampamento, deciso a mettere fine a quella sceneggiata che lo aveva fatto arrabbiare più del previsto. Ogni volta che si ritrovava ad avere a che fare con quel francese sentiva che la sua pazienza veniva messa a dura prova.
-Oh, fidati che sarà un piacere chiuderti la bocca a suon di pugni.- ribatté Ace, fissandolo con rabbia e stringendo forte i denti, quasi ringhiando. Quello era senza ogni dubbio l’uomo più insopportabile, bastardo, borioso e odioso che avesse mai incontrato in vita sua.
-Stanne certo, moccioso,- lo informò il biondo, voltandosi di lato prima di riprendere a camminare e guardandolo con un sorriso minaccioso, -Quando tutto sarà finito pregherai affinché gli accordi non vengano spezzati. Perché, quando accadrà, niente mi fermerà dal venire a cercarti e ucciderti.-
 
*
 
Un altro lungo, noioso e infinito giorno era trascorso per i carcerati rinchiusi nella Bastiglia. Era stata una giornata come le altre: lenta, silenziosa e fatale per alcuni uomini che erano arrivati al capolinea. Due erano stati giustiziati e tre erano morti di stenti, uno di quelli proprio sotto agli occhi impauriti e schifati di Mister Three che, colto da un improvviso conato di vomito davanti a quelle scene macabre, si era rannicchiato in un angolino della brandina che condivideva con Von Clay e da lì non si era più mosso. Il compagno aveva inscenato un balletto per esprimere le sue condoglianze ai prigionieri della cella accanto e per dare l’ultimo saluto a quel tizio che bene non era mai stato, mentre Bagy era rimasto impassibile davanti a ciò, comodamente sdraiato sul suo giaciglio precario, con le braccia incrociate dietro la nuca e gli occhi chiusi nel tentativo di riposare. Non era stato facile dato il continuo via vai di guardie che avevano provveduto a smaltire il corpo del defunto, operazione durata circa un’ora. Aveva poi temuto che il moccioso non gli avrebbe dato pace nemmeno per un attimo, assillandolo di domande come al solito, ma aveva dovuto ricredersi quando lo aveva visto con la coda dell’occhio avvicinarsi al suo materasso polveroso, sdraiandosi e rannicchiandosi al suo fianco come un cucciolo abbandonato, il tutto credendo che lui stesse dormendo. Inizialmente aveva avuto l’istinto di scattare a sedere per buttarlo giù e toglierselo dai piedi, ma alla fine non lo aveva fatto e si era risparmiato così un altro pomeriggio all’insegna dello stress nervoso che quella peste gli causava.
Si, perché Rufy si era stranamente attaccato a lui e sembrava averlo preso come punto di riferimento. Gli chiedeva un sacco di cose e, quando parlava, lo fissava e lo ascoltava attento. Ogni tanto capitava che si distraeva, o che si addormentava, o addirittura si alzava e andava a giocare con Von Clay, irritando Bagy e offendendolo non poco, ma ritornava sempre. La notte si accovacciava sul pagliericcio vicino al suo e la mattina lo svegliava sempre per primo, urlandogli nelle orecchie. Gli rubava anche la colazione, ma quello lo faceva anche agli altri due detenuti, quindi andava bene, se si tralasciavano il pranzo e la cena. Era sempre tra i piedi, poco importava che soggiornassero nella stessa cella. Ad ogni modo, Bagy, in un certo senso, gli si era affezionato. Gli piaceva che qualcuno lo prendesse in considerazione e, quelle volte che il moccioso era concentrato sulle sue chiacchiere, sentiva di non valere poi così poco. La maggior parte delle sue storie erano balle, racconti sottratti ad altri cantastorie e invenzioni della sua mente, ma ci aveva messo dentro anche qualche verità. E Rufy lo ascoltava davvero, non come facevano gli altri, i quali lo davano sempre per scontato o finivano per annoiarsi e lasciarlo in disparte. Lui gli dava tutta l’attenzione che sentiva di meritare, standolo a sentire senza prenderlo in giro o dandogli del bugiardo.
Se vedeva che Bagy esagerava si metteva a ridere, ma non in maniera offensiva, rideva perché lo trovava buffo, come gli aveva detto una volta. L’uomo se lo ritrovava accanto quando meno se lo aspettava, intento a seguirlo e a incitarlo con lo sguardo allegro a continuare. E Bagy, pur di non venire assillato da quella sua fastidiosa vocina che lo obbligava ad aprire bocca, lo assecondava e si stupiva che il ragazzino non si permettesse mai di dirgli di stare zitto.
Per quello non lo odiava poi così tanto, perché si sentiva apprezzato.
E quella sensazione gli piaceva.
Furono le chiacchiere di Mister Three e Von Clay a destarlo e a fargli intendere che si era appisolato senza rendersene conto davvero. A giudicare dal sole che tramontava doveva aver dormito tutto il pomeriggio. Per fortuna, almeno non si era accorto del tempo che passava.
Si alzò, stiracchiandosi e sbadigliando sonoramente per poi osservare in maniera scettica i due uomini seduti sul letto con le schiene addossate alla parete, intenti a sospirare come due povere anime con il cuore infranto. Davanti a loro, seduto a gambe incrociate sul pavimento, se ne stava Rufy che, con la testa alta e rivolta verso di loro, spostava lo sguardo curioso da uno all’altro, grattandosi la zazzera scura e chiedendo come mai fossero diventati così tristi.
Mister Three lo ignorò, guardando il soffitto. -Secondo voi mi starà aspettando?- domandò a nessuno in particolare.
Accanto a lui, Von Clay sospirò. -Temo che si sia rifatta una vita, amico mio.-
-Che sta succedendo?- chiese Bagy, raggiungendoli e notando come quell’ultima affermazione avesse dato il colpo di grazia all’umore tetro del fabbricante di candele, il quale si mise a singhiozzare disperato.
Rufy ruotò il capo e lo salutò con un enorme sorriso al quale Bagy rispose prontamente con uno sbuffo infastidito. Non poteva mica rammollirsi. -Stanno parlando di donne, credo.- gli spiegò, facendogli spazio affinché anche lui si unisse al loro gruppetto.
Bagy fece finta di nulla e rimase in piedi, massaggiandosi la schiena dolorante e osservando la scena pietosa che aveva sotto al naso. Quei due erano delle vere cause perse e sicuramente di donne non sapevano proprio un bel niente.
-Ah, ma di cosa vi preoccupate.- disse con finto disinteresse, appoggiandosi con una spalla al muro e guardando fuori dalla finestra con aria vissuta che attirò l’attenzione dei compagni. Oh, come gli piaceva essere sotto ai riflettori.
-Non puoi capire.- si lamentò Von Clay, -Tu non hai mai avuto qualcuno da amare.-
-E’ qui che ti sbagli, vecchio mio.- lo interruppe allora il clown, sospirando con fare teatrale e schiarendosi la voce per iniziare a raccontare la sua storia, dato che i tre si erano fatti silenziosi e più vicini a lui. Rufy era salito sul letto che, sotto al loro peso, si era incrinato, e si era zittito per una buona volta, impaziente di sentire la storia.
-Conoscerete tutti, immagino, il locale di Montmartre, quello gestito da quell’orco di femmina con i capelli rossi.-
Vide il moccioso aprire bocca per dire qualcosa, ma Mister Three era stato più veloce e aveva risposto affermativamente per tutti, così Bagy si era sentito libero di continuare senza problemi.
-Molto bene. Dunque, dovete sapere che anni fa, quando arrivai a Parigi per la prima volta, mi diressi in quel postaccio alla ricerca di una bettola dove passare la notte. Allora non conoscevo bene la città e i suoi locali, così non mi feci scrupolo ad entrare nella taverna di Madame Dadan per chiedere ristoro.- raccontò, prendendo una piccola pausa per accertarsi che tutti avessero le orecchie tese e gli occhi puntati su di lui. Una volta appurato ciò, continuò soddisfatto, nascondendo un sorrisetto di orgoglio. -Me la ricordo ancora, quella prima volta, quando la vidi. Stava servendo da bere e, quando fu il mio turno, mi dimenticai persino di quello che volevo ordinare, tanto era affascinante.- ammise sognante, dimenticando la finzione e le montature che aveva preparato per loro, lasciandosi andare ai ricordi veri e belli che segretamente conservava e teneva per sé. -Era la cosa più bella che avessi mai visto.- mormorò, più a se stesso che agli altri, i quali erano rimasti a bocca aperta, persi a ricordare anche loro le ragazze per le quali avevano perso la testa. Tutti tranne Rufy che, sorridente, non aveva per niente idea del sentimento di cui stavano parlando.
-Come si chiamava?- domandò Von Clay, comprensivo.
Bagy sospirò, pronunciando il nome della donna quasi come se fosse stato pura poesia. -Alvida.-
-Ma non mi dire! Ti sei innamorato di quella strega?-
Se gli sguardi avessero potuto uccidere, a quell’ora Rufy sarebbe stato sotto terra, visto il mondo in cui Bagy lo guardò, un misto tra rabbia, istinto omicida e voglia di piantargli nel petto una spada. Come si permetteva quel moccioso di offendere la sua donna? E, soprattutto, come faceva a conoscerla?
-Sai di chi sta parlando?- sussurrò Mister Three.
Il ragazzo si strinse nelle spalle con fare ovvio. -Certo, ho passato la mia infanzia a Montmartre. Dadan mi ha fatto da balia.- spiegò tranquillo.
-Cosa? Quindi tu conosci le sue ragazze?- sbraitò Bagy, staccandosi dalla parete e avvicinandosi al ragazzino, fissandolo allibito.
-Dalla prima all’ultima.- sorrise Rufy, iniziando ad elencare le varie signorine del locale che lo salutavano ogni volta che andava a trovare la vecchia padrona del locale. -Ci sono Robin, Hina, Bibi, poi chi c’è? Oh, si! Margaret, Califa, Bonney, Nami…-
-Conosci anche Nami?-
-E’ la mia migliore amica.- lo informò il moro, -Siamo cresciuti assieme, sai?-
Se Rufy fosse stato un ragazzo sveglio come gli altri, si sarebbe reso conto delle occhiate complici e maliziose che i suoi tre compagni di cella si scambiarono in quell’istante, iniziando a sogghignare curiosi, ma lui non aveva mai badato a certe cose. Forse, però, era arrivato il momento di conoscere alcuni particolari che in futuro gli sarebbero potuti tornare utili.
-E dimmi, la conosci bene?- Si informò Mister Three, attirandolo accanto a sé e facendolo sedere tra lui e Von Clay, mentre Bagy li raggiungeva, schioccandosi le nocche con l’aria di uno strozzino.
-Uh? Sei sordo? Ti ho appena detto di si.- ripeté Rufy accigliato.
-Si, ma quanto la conosci?- insisté l’altro.
Il ragazzo lo osservò stranito, voltandosi poi dalla parte del ballerino, indicandogli con un dito la faccia di Mister Three. -Ma è scemo?-
Fu Bagy che, dopo aver alzato con esasperazione le mani al cielo, diede una scrollata al corvino, sbattendolo da una parte all’altra. -Vuole sapere se avete una relazione, idiota!-
-Chi? Io e Nami? Niente affatto! E’ mia amica, non potrei mai!- ribatté Rufy, guardandoli come se fossero ammattiti. Insomma, cosa volevano sapere di preciso? Aveva detto che conosceva le ragazze e che era amico di Nami. Andavano d’accordo e spesso la andava a trovare per tenerle compagnia mentre lavorava, cosa volevano di più? Quello che facevano non era stare assieme? Non era una relazione amichevole? Perché mai la gente si stupiva sempre quando lui affermava convinto e orgoglioso che la ragazza era sua amica?
-Potresti benissimo, invece!- gli fece notare Bagy, il quale stava già per perdere le staffe.
-Ma che bisogno c’è?- si animò il più piccolo, non capendo più un accidenti.
-Quello che vuole dire,- spiegò pacato Von Clay, -E’ che sembra strano che una bella ragazza come lei non susciti in te nessun interesse.-
Calò il silenzio per qualche minuto, durante il quale i tre uomini attesero ansiosi una risposta, certi che Rufy non avrebbe mai negato il bell’aspetto di Nami, invece lui riuscì ugualmente a stupirli, iniziando a sghignazzare.
-Semplice, a me le donne non piacciono.-
Quello che accadde dopo disturbò il sonno di molti detenuti e la tranquillità sinistra che aleggiava nella prigione. Bagy afferrò Rufy per i lembi della giacca che gli aveva prestato e lo trascinò sul pavimento per prenderlo a schiaffi, mentre Mister Three si copriva il volto disperato con le mani. Von Clay era così divertito che improvvisò una danza assurda. Ormai la situazione era degenerata, tanto valeva esagerare.
-Non dirlo mai più!- stava dicendo il clown, a cavalcioni sul corpo del piccoletto intento a tenerlo fermo e determinato a farlo tornare sulla retta via. -C’è un girone dell’inferno solo per chi non ama le donne!-
-Lascia stare Bagy, è inutile.-
-Tappati la bocca con la tua cera, a lui ci penso io.-
-Lasciami, che vuoi fare?- fece Rufy, quando si sentì sollevare di peso e scaraventare sul letto che aveva visto giorni migliori.
-Von Clay, sei abbastanza ferrato in materia?-
-Eh? Parli della danza?- chiese quello, inarcando un sopracciglio.
Bagy negò con il capo, incrociando le braccia al petto e battendo un piede a terra. -No, di sesso.-
-Oh, adesso ho capito! Certo, ovviamente.-
-Ovviamente.- gli fece eco Mister Three con l’intento di prenderlo in giro, riuscendoci e beccandosi una smorfia piccata in risposta.
-Molto bene, perché è ora che il moccioso impari qualcosa in fatto di cultura generale e non solo combattimenti e armi.- dichiarò Bagy, avvicinandosi pericolosamente a Rufy che, schiacciandosi contro la parete, lo fissava preoccupato. A lui non interessavano quelle cose, Ace e Sabo avevano già provveduto a spiegargliele, anche se con i disegni orribili che avevano fatto non ci aveva capito molto e aveva preferito ignorare la cosa perché l’aveva trovata noiosa e poco interessante.
-Dimmi, ragazzino, cosa sai dirmi sul sesso?- domandò Bagy, sperando almeno in una risposta non troppo stupida.
Rufy ci pensò su, decidendo di essere sincero, così, sorridendo come era solito fare, fece capire ai tre uomini che stava per dire qualcosa di incredibilmente assurdo.
-Niente!-
 
 
 
 
 
 
Angolo Autrice.
Buongiorno!
‘Il lunedì mattina tutti zitti’ cit.
Scusatemi, ma il fine settimana è stato un inferno e non ho avuto tempo di aggiornare, adesso ho dato una ricontrollata veloce per non farvi aspettare oltre e per non saltare anche questa settimana.
La vita va avanti, i giorni si alternano lenti e tutti vivono qualche esperienza nuova. Godetevi il momento, perché a breve arriveranno gli sbalzi temporali -.- purtroppo la Rivoluzione Francese sembra essere composta da periodi di tranquillità ad altri di rivolta totale!
Dunque, mentre Ace e i suoi compari si prendono a schiaffoni con gli ufficiali, Law si fa una passeggiata al chiaro di luna con Kidd, ovviamente non prevista come cosa, ma noi siamo felici lo stesso :3 e si rende pure conto di provare una certa maledettissima attrazione! Si innalzano cori di Alleluia! ** e Dio solo sa cosa stava per fare il rosso, ma riprenderemo tutto nella prossima puntata, LOL.
Thatch e i suoi fratelli si risvegliano in paradiso da Makino, ma il buonumore non dura per molto, rovinato giustamente da quel musone di Marco, chiaramente preoccupato per loro. Il suo è tutto amore fraterno, comprendetelo. Rimane sorpreso da Ace, l’eroe di sempre, ma da quel loro diverbio esce tutta l’antipatia che provano in modo reciproco. Bene, di male in peggio.
Intanto alla Bastiglia tutti si divertono a piangersi addosso, per fortuna c’è Bagy a intrattenere un po’ i detenuti, anche se la scena gli viene rubata da un ingenuo Rufy :D speriamo che quando uscirà dalla prigione sia un po’ più informato in certi argomenti ^^
Anche per questa volta è tutto, appuntamento a sabato **
Grazie a tutti, vecchi e nuovi lettori, e scusate per la lentezza nelle risposte, con il lavoro non riesco più a venirne fuori D:
 
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Un abbraccione ^^
See ya,
Ace.
  
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