Bellamy
Ci mancavano solo le droghe.
Non bastavano tutti i casini in cui si è andata a ficcare alle superiori, è
anche dovuta andare alla sua prima vera festa universitaria e farsi drogare da
degli psicopatici pervertiti.
Perfetto, davvero.
Il freddo primaverile mi fa stringere le braccia intorno al bomber, sperando
che mi riscaldi un po’. Non che mi freghi, anche se fosse il primo gennaio e ci
fossero meno venti gradi, non mi muoverei da questo cazzo di portico. Non
esiste che lasci una casa piena di ragazze prive di sensi senza sorveglianza.
Se una di queste è Octavia, poi, anche meno.
Anche se, in effetti, O. era quella più cosciente. La Principessa ha detto di
averla vista vomitare, e che probabilmente è per quello. La Principessa… la
serata faceva già abbastanza schifo senza che mi si mettesse tra i piedi, a
seguirmi come un cagnolino e impartire ordini a tutti, come se fosse il suo
lavoro quello di proteggere le persone e non il mio.
Sento la porta aprirsi e la vedo apparire sulla soglia, come se l’avessi evocata
con la forza del pensiero. Fantastico. Se questa cosa funziona, vorrei anzi
qualcosa di piacevole, o utile. Tipo una birra, grazie.
Intanto si è avvicinata alla panchina e mi porge una delle due tazze che ha tra
le mani. “Ti ho portato un po’ di caffè.”
Accetto senza dire una parola. Si è cambiata nel frattempo, adesso ha un
pigiama giallo nascosto sotto una vestaglia di spugna rosa. Si veste anche come
una ragazzina viziata, oltre a comportarcisi.
Mi si siede accanto, senza chiedere nulla, come al suo solito. Tutto le è
dovuto, d’altronde, come a tutti i privilegiati. Il fatto che questa sia la sua
casa non fa la minima differenza, avrebbe potuto chiedere.
“Octavia sta dormendo,” afferma, non appena le sue chiappe reali si poggiano
sui cuscini.
“Lo immaginavo.” Il caffè è buono, comunque.
“Quindi, non c’è bisogno che rimani qui.”
“Lo decido io se ce n’è bisogno o meno. E non me ne vado.”
Sorride brevemente prima di dare un sorso. “Lo immaginavo. Ecco perché ti ho
portato il caffè.”
“Perché me l’hai chiesto, allora?”
“Valeva la pena provarci.”
“E perché?”
“Oh, non fare quella faccia. Le ragazze sono al sicuro dentro casa, non c’è
nessun pericolo. Mi facevi pena, qua fuori al freddo senza motivo nel mezzo
della notte.”
I miei vestiti frusciano mentre ruoto il busto verso di lei. “Sai, Principessa,
non decidi tu se gli altri hanno un motivo o meno per fare le cose.”
Mi rivolge uno sguardo confuso e prima che riesca a dire qualcosa, un tipo dai
capelli lunghi comincia a salire i gradini del portico.
“Ehi, trovati il tuo soprannome.”
“Finn! Cosa ci fai qui?”
“Sono venuto a controllarti, Principessa,” e mi lancia uno sguardo ammonitore.
Come se me ne fregasse qualcosa.
Lei si alza in piedi, sospettosa. “Perché, c’è qualcosa che non va?”
“Non avete saputo?”
È giunto anche il mio momento di alzarmi. “No, cos’è successo?”
“Clarke... una ragazza di nome Charlotte, una matricola, è stata violentata nel
suo dormitorio, stanotte.”
“Oddio,” la vedo lanciarsi praticamente in avanti. “Dove? Quando?”
“Nell’Ala Est. Io…”
“Ehi, ehi, ehi, voi due,” li interrompo. “Questo è il mio lavoro. Tornatevene a
dormire. Devo chiamare il capo.”
Clarke mi fissa. “Kane? Non puoi sul serio voler chiamare Kane.”
Il pensiero di non essere il solo a non sopportarlo mi da’ conforto, anche se
minimo. “È il mio capo. Come ho detto, devo. E Clarke…”
“Cosa,” risponde, secca, come se sapesse che quello che sto per dirle non le
piacerà.
“Vuoi proteggere le tue sorelle? Stai qui e controlla che non entri nessuno.”
“Ma Charlotte…”
“Ci penso io a Charlotte. E tu, tizio…”
“Finn.”
“Finn, come ti pare. Se cerca di andarsene, chiudila dentro. Lei o chiunque
cerchi di uscire stanotte. Intesi?”
“Intesi.”
La sento protestare alle mie spalle, ma non mi fermo ad ascoltare quello che
dice. Il dovere chiama.
**
Sono almeno venti minuti che Murphy mi rompe le palle, facendo roteare avanti e
indietro il coltellino con la mano destra. “La vuoi piantare?”
Kane sta per arrivare, e non è mai contento di essere svegliato nel mezzo della
notte. Non piace a nessun essere umano, e mi piacerebbe poterglielo dire, visto
che perlomeno lui può dormire sogni beati mentre lascia noi a fare il suo
lavoro. D’altronde, come amicone del Preside, è un altro privilegiato. Talmente
tanto privilegiato che mi tocca restare a congelarmi il culo fuori dall’Ala Est
mentre aspettiamo che arrivi a decidere il da farsi.
Intanto Murphy si è rimesso il coltello in tasca, offeso. Per essere un
criminale, è una signorina permalosa.
Il cart frena davanti a noi, e il Grande Capo scende tallonato da Atom. Deve
aver lasciato Miller appostato all’ospedale con Charlotte.
“Ragazzi,” ci saluta con un cenno del capo. “È una cosa seria. Voglio
pattugliamenti notturni su tutte le strade d’ora in poi. Dormitori e Confraternite,
entrambi.”
“Sissignore,” rispondiamo in coretto da bravi soldatini - che noia.
“Avete controllato la stanza?”
“Sissignore. Non ci sono indizi su chi possa essere stato. Ho pensato che
potrei rimanere qui a sorvegliare la situazione stanotte, non si sa mai.”
“Bravo, Murphy.”
Più che altro ruffiano, come al suo solito. Fisso lo sguardo su Kane per
evitare di roteare gli occhi al cielo.
“Signore…,” si fa avanti Atom. “Penso che dovremmo chiamare la polizia, a
questo punto.”
“Il vostro compito non è pensare. È eseguire gli ordini.”
“Ma…”
“Non ho intenzione di coinvolgere la polizia in una questione di seconda mano
come questa.”
Seconda mano? Vallo a dire alla ragazzina violentata. Mi mordo la lingua prima
di dirlo davvero. Per quanto mi secchi ammetterlo, nemmeno io sono dell’idea di
coinvolgere gli sbirri.
“Possiamo gestirla tranquillamente da soli. E poi, non siete qui per quel
programma dei servizi sociali, voi tre? Pensavo che la odiaste, la polizia.”
“Sissignore,” mi sforzo di rispondere con gli altri. Come se ne sapesse
qualcosa, lui, del come sono finito qui, o se questo mi faccia odiare la
polizia o meno. Non che importi, visto che la cosa fondamentale qui sarebbe
proteggere le ragazze, non il nostro orgoglio di guardie del campus.
Il cellulare gli squilla in quel momento. Ci ammonisce con lo sguardo mentre si
allontana per prendere la telefonata. Murphy guarda Atom di sottecchi,
schifato. Come se l’avesse tradito, pensando di chiamare gli sbirri.
“Ragazzi…,” Kane torna indietro con il telefono alla mano. “Era Miller. Charlotte
si è tolta la vita.”
Porca puttana. Cazzo, Charlotte! Non l’ho mai conosciuta, eppure mi prende una
fitta di rabbia e risentimento. Avrà avuto dei fratelli? Qualcuno che in questo
momento vorrebbe tagliare la gola al responsabile?
“Si è buttata dalla finestra. Miller non si è accorto di niente,” persino Kane
sembra aver perso la sua aura di onnipotenza.
“Adesso mi sembra veramente il caso di chiamare la polizia,” Atom non demorde,
come un cane con l’osso. Più che altro un cucciolo, visto come si ritrae quando
Kane si rivolta verso di lui, frustrato. “E farci sospendere tutti per
negligenza? Miller era fuori dalla stanza, cosa pensi…,” si strofina una
guancia con la mano destra. “No. Nessuno deve saperlo. E nemmeno della droga. La
gestiremo internamente.”
Apro la bocca per parlare, ma Atom deve avere averlo fatto incazzare abbastanza
per tutti, perché mi interrompe. “Blake, non ti sei fatto beccare per stare
vicino a tua sorella?” Ok, a quanto pare ne sa qualcosa di come sono finito
qui. Il Preside e la sua lingua lunga, sicuro. “Cosa pensi succederà al tuo
prezioso programma di recupero se salta fuori questa storia? Jaha avrà le mani
legate, e voialtri tornerete a raccogliere lo schifo agli angoli delle strade.
È questo quello che vuoi?”
“Nossignore.”
Non ho intenzione di separarmi da O. Soprattutto non adesso che ho la conferma
di aver fatto bene a seguirla. Kane ha ragione. Non abbiamo bisogno di nessuno.
Un paio di maniaci possiamo gestirli senza problemi. In più, se la notizia
diventasse pubblica, creerebbe solo il panico. Kane ha ragione, dannazione.
Ed è meglio che vada a dirlo a Clarke e alla sua banda prima che decidano di andare
ad affiggere dei manifesti sulla questione.
**
Saranno le cinque del mattino quando parcheggio di nuovo di fronte alla sede
delle Theta Beta. Prendo un sospiro, prima di avviarmi verso il portico. Ho la
netta sensazione che non sarà facile convincere… Barbie? a stare zitta. In
realtà non le si addice molto come nome, devo ammettere che le palle non le
mancano. Ha più l’aura da leader che quella da bambolina bionda. Buffy, magari?
Lascio perdere i soprannomi idioti quando li vedo addormentati sulla panchina
di legno. Finn con la testa all’indietro e la bocca aperta, mentre Clarke
sembra essersi rannicchiata nell’angolo il più distante possibile da lui. C’è
pure Preside Junior – Wells, forse? - a terra, accanto a Clarke, con la testa
appoggiata al muro.
Belle guardie. Affidabili, non c’è che dire.
Un’asse scricchiola sotto i miei piedi, e gli occhi di Clarke si aprono
immediatamente. Non sembra nemmeno che stesse dormendo.
“Rilassati, sono solo io.”
Guarda brevemente i suoi amici, e mi ammonisce con lo sguardo. Ok, va bene,
vuole fare piano per non svegliarli. Capito. “Ci sono novità?”, sussurra.
Da una parte mi fa piacere che vada dritta al sodo, dall’altra vorrei evitare
questa inevitabile discussione il più possibile. Sono venuto solo per stare
vicino a mia sorella, non me ne può fregare di meno della crociata di questi
dilettanti.
“Sì, ci sono novità,” sussurro di rimando. “Charlotte… merda, non c’è modo
semplice di dirlo. Charlotte è morta.”
Se non fosse buio giurerei che abbia appena perso un po’ di colorito,
nonostante abbia già la pelle chiara di suo. “Cosa?”
“Si è tolta la vita.”
“Merda.”
“Già, merda.”
Le rotelline del suo cervello lavorano velocemente, le guizzano gli occhi per
qualche secondo prima che li sposti nuovamente su di me. “Cosa facciamo?”
“Facciamo? Noi non facciamo proprio
niente. Io e i miei colleghi
aumenteremo la sorveglianza.”
“Non è abbastanza,” la voce di Wells arriva calma e profonda, come se ci avesse
ascoltato in silenzio fino a quel momento. “Dobbiamo chiamare la polizia.”
“Col cazzo che dobbiamo.”
“Wells ha ragione. E…”
“E cosa? So già cosa stai per dire, e la risposta è no. Nessuno deve sapere
dello stupro e della droga.”
“Lo sanno già tutti dello stupro, idiota,” stavolta è Finn a parlare, che ha
ancora gli occhi chiusi. Origliare dev’essere nel loro DNA, o qualcosa del
genere.
“Della droga, allora. Clarke è l’unica ad aver fatto due più due, quindi saremo
solo noi a saperlo. Intesi?”
I due idioti si voltano verso Clarke, in attesa del verdetto della regina, e
questa cosa è davvero snervante. Soprattutto per come mi sta fissando,
valutandomi. Probabilmente lo fa con tutti, ma al momento sono io sotto la
regale lente d’ingrandimento.
“La gente ha diritto di sapere.”
“Oh, certo. Cosa vuoi che se ne facciano della conoscenza? Credi che ci aiuterà
a tenerli meglio al sicuro?”
“No. Hai ragione,” afferma, con mia sorpresa. E con sorpresa di tutti, perché
entrambi gli idioti la stanno fissando come se fosse pazza.
“Non puoi essere seria.”
“Lo sono. Finn, finiti gli esami parte la stagione delle feste. È inevitabile.
C’è un altro modo per tenere tutte al sicuro.”
“E sarebbe?”, Wells trasuda scetticismo. Per una volta, mi trovo in sintonia
con lui.
“Collaborare.”
Riderei, se non fosse che sono stanco morto e non c’è davvero, davvero niente
da ridere in tutta questa storia. Non posso evitarlo, però, i muscoli della
faccia mi si piegano in un sorriso sarcastico.
“Collaborare,” ripeto. “E pensi seriamente che si possa fare una cosa del
genere.”
“Sì, se vuoi tenere Octavia al sicuro.”
Devo ammettere che non ha tutti i torti. Abitano insieme. Un paio di occhi in
più su di lei mi farebbero sentire meglio. “Cos’hai in mente?”
“Oh, per l’amor del cielo, Clarke!”, è Wells a sbottare. “Non puoi essere
seria! Dobbiamo chiamare la polizia!”
“No,” ribadisco, secco. “Kane ha deciso di gestire la cosa all’interno
dell’Arca.”
“Finiscila, Blake. Sono il figlio del Preside, so benissimo perché non vuoi
chiamare la polizia, non cercare di dare la colpa a Kane.”
Avrei dovuto immaginarlo, onestamente. Sposto il peso da un piede all’altro, le
mani sui fianchi cominciano a prudere dalla voglia di prenderlo a pugni.
“Perché non vuoi chiamare la polizia?”, Clarke mi soppesa. Almeno ha avuto la
cortesia di chiederlo direttamente a me.
“Perché mio padre ha istituito un programma di riabilitazione tramite i servizi
sociali. Prendiamo i delinquenti sotto i 25 anni che hanno compiuto reati
minori. Così fanno qualcosa di più utile di raccogliere spazzatura, almeno
secondo lui.”
“E gratis,” aggiunge Finn, grattandosi la testa.
Non ha torto, purtroppo. Sono servizi sociali, quindi niente paga. Comunque non
è questo il punto. E lo dico, con tanto di tono autoritario, perché sia chiaro che
non intendo approfondire l’argomento.
“Il punto è che se il programma viene chiuso, non potrai restare. E non hai
preso a pugni mio padre solo per stare vicino alla tua sorellina?”
Ci vuole tutta la mia forza di volontà per non tirare fuori il taser e friggere
il culo di questo stronzo.
“Ha preso a pugni il Preside?” Finn sembra impressionato. “Bella mossa, a volte
vorrei prenderlo a pugni anch’io. Senza offesa, Wells.”
“Nessuna offesa, fa quell’effetto anche a me. L’unica che lo sopporta è Clarke.
È la sua preferita.”
“Solo perché spera segretamente che ci sposiamo,” Clarke afferma, piano, e
deduco che non sia particolarmente lusingata all’idea. Se ne accorge anche
Junior, da come stringe gli occhi.
E questo gossip è interessante quanto quel documentario sulle farfalle che
Octavia mi ha costretto a guardare con lei qualche mese fa. Meglio far tornare
la conversazione al punto di partenza.
“Le cose non cambiano. Kane ha detto niente polizia. Quindi, cos’avevi in mente
per questa collaborazione?”
Clarke sbuffa. “Non avevo dubbi che Kane avrebbe detto una cosa del genere.
Soprattutto visto che poi verrebbe fuori che ci molla qui da soli ad
autogestirci mentre lui se ne sta con i professori e la gente importante.”
Trattengo una risata. “E tu non rientri nella gente importante?” La parola
‘Principessa’ mi rimane attaccata al palato. Non voglio dare a Finn nessuna
soddisfazione, per qualche motivo. Dev’essere la sua faccia, o i suoi capelli.
Mi infastidiscono.
Clarke affila lo sguardo. “Non mi sembra proprio che sia qui a farmi la
guardia, e a te?”
Non ha tutti i torti. Evidentemente nemmeno i figli degli ex-alunni di rilievo
nazionale sono nella sua lista delle priorità. Gli studenti in generale non
sono neanche lontanamente presenti.
“Siamo soli, quindi.”
“Siamo soli. Il piano è questo: hai bisogno di più occhi e orecchie possibile,
ti aiuteremo anche noi nel pattugliamento notturno, e chiunque altro si offra
volontario.”
Annuisco. Finn sta praticamente scalpitando dalla felicità, per qualche motivo,
mentre Junior non sembra particolarmente entusiasta. “In 4 non riusciremo a
proteggerne neanche 100,” borbotta.
“Ci sono anche Monty e Jasper,” suggerisce Finn. “E Raven.”
Clarke piega leggermente le labbra e si acciglia, in un misto di rabbia e
dolore, ma in un lampo l’espressione è sparita. Sto diventando quasi curioso di
sapere cos’è successo tra questi due. “Io ho i ragazzi della Guardia. Ci penso
io a convincerli del… chiamiamolo piano.”
“Bene, allora è deciso. Bellamy, puoi venire dentro a dare un’occhiata a
Octavia, se vuoi.”
Aggrotto le sopracciglia. “Pensavo stesse dormendo.”
“Infatti ho detto dare un’occhiata, non parlarci.”
C’è qualcosa che mi sfugge, ma non so cosa. Non riesco a decifrare l’espressione
decisa di Clarke. Comunque annuisco, e la seguo all’interno come un automa.
Non sono mai stato dentro una delle case, prima d’ora. Il salone delle Theta
Beta è grande quanto un appartamento, pieno di quadri, fiori, qualche statua.
Clarke si ferma prima di mettere il piede su una scalinata in legno grossa
quanto quella del cartone della Bella e la Bestia. E me lo ricordo abbastanza
bene, Octavia mi ha costretto a guardarlo almeno cento volte, quando aveva 7
anni.
“Non posso farti salire, a dire il vero,” confessa.
“Ok?”
“Dovevo allontanarmi da loro, e le camere delle sorelle sono off-limits.
Scusa.”
Non sembra per niente pentita. Dev’esserci un motivo, quindi, avermi portato
dentro qui, o sarebbe semplicemente entrata da sola.
La incoraggio a parlare con un cenno del capo.
“Ho letto una volta che esistono dei sottobicchieri che diventano blu se la
bibita contiene delle droghe. Basta versarne qualche goccia in un angolo. Ne
sai qualcosa?” Scuoto la testa. “Non importa, farò delle ricerche su internet.
Se esistono, pensavo di ordinarne uno scatolone e fare una prova con un
campione di ragazze.”
Continuo a non capire la segretezza o perché lo stia dicendo a me. “Te lo sto
dicendo perché sei l’unico di cui mi possa fidare al 100%, purtroppo,” sospira,
rassegnata.
Aspetta, di me? Si può fidare solo di me? “Per Octavia,” mi spiega. Ed è già la
seconda volta che mi risponde senza che io abbia formulato la domanda. Evidentemente
sono meno imperscrutabile di quello che penso.
“Sono certa al 100%, visto che sei qui solo per lei, che non puoi essere stato
tu a drogarla.”
La scruto per un po’. “Potrei essermi sbagliato e aver drogato anche lei
involontariamente.”
“Potresti,” mi concede. “Ma non mi sembra probabile. Per dovere di giustizia,
abbasso la percentuale al 95%. Contento?”
“E cosa mi dici di loro?”, faccio un cenno verso il portone. “Non ti puoi
fidare del figlio del Preside e del… chiunque sia quell’altro?”
“Finn?”, fa una risata strozzata. “Non c’è nessuno al mondo di cui mi fidi di
meno.” La curiosità torna a punzecchiarmi la gola, ma la tengo giù. “E Wells… non
sono ancora sicura che non vada a spifferare tutto a Jaha, quindi meno ne sa,
meglio è.”
“E dirlo al Preside è una brutta idea, perché…?”
“Perché tu organizzerai un corso di autodifesa per le ragazze.”
“Un che?”
“Non posso aspettare l’approvazione del Consiglio Panellenico. Io prendo quei
sottobicchieri e vedo se funzionano, e tu insegnerai alle ragazze tutto quella
che sai sull’autodifesa. Nel più breve tempo possibile.”
“Clarke, ho fatto un corso di base. Siamo criminali, ricordi? Non ci hanno
insegnato a sparare e non abbiamo armi d’ordinanza.”
“Hai un taser. Ti avranno insegnato come si usa.”
Mi gratto la fronte. “Sì. Sì, posso insegnarvelo.”
“Altro?”
“Tutta roba per disarmare e immobilizzare coglioni o ubriachi. O entrambi.”
“Basterà. Affare fatto?”
Stende una mano, decisa.
Gliela stringo. “Affare fatto.”
**
Il tavolo della cucina è freddo, ma ci appoggio sopra la guancia lo stesso.
Miller ha deciso di svegliarmi piombandomi sulla schiena e non ho la forza
fisica di fare altro mentre aspetto che il caffè sia pronto.
L’orologio sul bancone segna le 13:24. Stare sveglio tutta la notte ha i suoi
contro, e questo è uno di quei contro che odio, perché non sopporto perdere
metà della giornata dormendo.
Sbadiglio, e mi sento addosso i postumi di una sbronza. Quello che vorrei è il
silenzio, un caffè, una doccia calda, e altro silenzio fino a stanotte. Ma non
succederà. Non negli alloggi delle Guardie di Sicurezza, nossignore.
E infatti è sempre Miller a piombare in cucina, biscotti alla mano, mentre
canticchia qualcosa a bocca chiusa. Come faccia a cantare e mangiare
contemporaneamente è una cosa che ho smesso di chiedermi molto tempo fa.
Sparisce oltre il mio campo visivo e lo sento far grattare una sedia sul
pavimento, prima di collassarci sopra.
“Stai facendo il caffè?”
“Mmh.”
“Ottimo, perché stai uno schifo.”
“Mmmmh.”
“Sei arrabbiato perché ti ho svegliato?”
“Mh.”
“È solo perché odi dormire fino a tardi, sirenetto. L’ho fatto per te.”
Grugnisco. Miller è quello che mi ha attaccato la mania di dare i soprannomi,
ma sono stupidi, li odio, e soprattutto odio quelli che da’ a me.
“Ehi, non ringhiare! Sto solo cercando di tirarti su di morale. Lo so che
questa storia con Charlotte ti abbatte.”
Ruoto la testa, appoggiando il mento sul legno lucido del tavolo, per guardarlo
negli occhi.
“Da quando ti preoccupi del mio morale?”
Si infila un altro biscotto in quella fogna di bocca. “Bisogna compiacere il
capo.”
Non rispondo. Miller continua a dirmi che per lui sono io il capo, non Kane, e
che anche gli altri la pensano così. Persino Murphy. A me la cosa non dispiace.
Non so perché proprio io tra tutti. Il padre di Miller è un pezzo grosso, da
quel che ho capito, un altro amicone del Preside. E per questo è stato preso
nel programma, dato che rubare non è esattamente un reato minore. Cos’abbia
rubato non lo so, e non intendo chiederlo.
Atom era uno studente qui e ha fatto saltare il laboratorio di Chimica. Atom
non è il suo vero nome, prevedibilmente. Comunque il Preside lo ha “graziato”,
l’ha espulso ma gli ha consentito di spendere qui le sue ore di servizi
sociali.
E Murphy… Dio solo sa cos’abbia fatto Murphy, ma per me ha l’aria di un altro
ammanicato.
Io invece ho lasciato la scuola per occuparmi di Octavia, ho fatto il
meccanico, il lavapiatti, altri lavori ugualmente di merda, e stavo facendo il
netturbino quando O. mi ha annunciato della borsa di studio per la UARK.
Non ho niente in più degli altri ragazzi. Come dicevo, non sono nessuno.
Murphy arriva strascicando i piedi come al suo solito, riesco a sentirlo da
chilometri e sapere che sia lui prima ancora di vederlo.
Si avventa sulla caffettiera, e deve pensare che sia pronta perché la spenge e
tira fuori una tazzina.
“Una sola, Murphy, sul serio?”, lo apostrofo.
Arriccia un po’ il labbro superiore, guarda Miller – che scuote il capo e
bofonchia qualcosa che sembra un ‘No, io l’ho già preso.’ con la bocca piena –
e prende una seconda tazzina.
Essere il capo ha anche i suoi pro: una tazza di caffè fumante si piazza
davanti al mio naso senza che debba neanche alzarmi.
**
L’orologio della mia camera segna le 5 di pomeriggio, e decido che mi sono
ripreso abbastanza per passare da O. a vedere come sta.
Dopo che io e la Principessa siamo tornati dal nostro briefing segreto, ho
fatto la veglia con quegli altri squinternati, e Clarke ci ha mandati via
quando è stata certa che la luce e l’inizio delle routine per prepararsi alle
lezioni avrebbero tenuto i malintenzionati alla larga. Saranno state le sei e
mezza, e Octavia stava ancora prevedibilmente dormendo. L’ultima volta che l’ho
vista era in uno stato pietoso. Ho davvero bisogno di uscire da qui e
controllare che vada tutto bene. Se glielo chiedessi al telefono, o via
messaggio, mentirebbe per farmi stare tranquillo, la conosco. Devo vederla dal
vivo.
Forse dovrei chiedere a Clarke di darmi il suo numero per farmi mandare degli
aggiornamenti giornalieri sulla sua salute e i suoi spostamenti. Non sono certo
che mi direbbe di sì, per qualche motivo.
Prima ho parlato ai ragazzi del suo piano ed erano tutti d’accordo. Tranne
Murphy, che non capisce perché dobbiamo fare gli straordinari, né perché ci
serva l’aiuto di ‘quella banda di imbecilli’. Non sapevo veramente come
spiegarglielo, quindi gli ho abbaiato di obbedire e basta. Lui mi ha guardato
con la sua espressione schifata DOCG e ha mollato la presa.
Prendo il bomber e le chiavi del cart di riserva – quell’altro potrebbe sempre
servire ai ragazzi – e mi defilo giù per il corridoio. Gli altri sono tutti
nelle proprie stanze. Visto che non abbiamo una sala, il nostro unico spazio in
comune è la cucina.
Valuto brevemente se avvertire Miller che sto uscendo – se veramente fossi un
capo, avrei un secondo, e nella mia mente quel secondo è lui – ma ha il mio
numero di cellulare. Sono sicuro che mi chiamerebbe, se avesse bisogno di me.
Guidare un cart mi fa sentire stupido, ma non posso lamentarmi più di tanto. È
l’unico mezzo a disposizione ed è meglio di farsi sempre tutti i tragitti a
piedi. Per non parlare delle ronde notturne. L’unico problema è che mi immagino
sempre delle sacche da golf e dei coglioni vestiti male nei sedili dietro.
Ecco, una mazza da golf è proprio quello che mi ci vorrebbe adesso: c’è un
tizio nel giardino delle Theta Beta.
È vestito come un pezzente, rasato, e sta chiaramente cercando di spiare dalla
finestra del salone. Non faccio in tempo a parcheggiare che sono in corsa verso
di lui, perché naturalmente anche lui mi ha visto ed è partito a gambe levate
dalla parte opposta.
Il taser lo colpisce sulla chiappa destra e non nego che la cosa mi dia una
soddisfazione perversa.
Lo rivolto a terra in modo e lo agguanto per il bavero della giacca, piantandogli
un piede sullo sterno, così non gli viene in mente di fare scherzi – oltre a
sapere chi è che comanda.
“Chi sei?”, è la prima e ragionevole domanda fare. “Perché fai il maniaco
pervertito nel giardino delle Theta Beta?”, è la seconda. “Ieri sera eri alla
festa dei Sigma Tau?”, è la terza.
Questo idiota rasato – non completamente, ha una cresta di capelli leggermente
più lunghi al centro, come se non fosse già abbastanza il resto – mi guarda
come se non sapesse nemmeno che lingua sto parlando.
Gli rifilo un pugno in faccia, tanto per. Non batte ciglio. Figlio di puttana.
Le manette tintinnano mentre gliele infilo, un po’ più strette del dovuto.
“Io e te ci divertiremo tantissimo, amico.”
Note dell'autrice:
- Abbiamo indovinato tutti chi sia lo stalker nel giardino, vero? :D
- Penso che pubblicherò ogni lunedì, se tutto va secondo i piani.
- Voglio ancora ringraziare ever, gige e pippo, e il TNE senza il quale non sarei qui né avrei visto questa serie.