DRACO 10 maggio
Lettere infervorate e sollecite
continuavano ad arrivare con
cadenza regolare da Malfoy Manor, attraverso la maestosa aquila reale
di
Lucius. Ogni volta che entrava in Sala Grande e planava sul tavolo
Slytherin
con alterigia, Draco non solo s’imbarazzava per quella
sfacciata ostentazione
di lusso –poche famiglie potevano vantare di aver avuto
un’aquila come
messaggera, considerando il prezzo e la difficoltà di
allevamento
dell’animale-, ma si sentiva anche male per le notizie
imprevedibili che poteva
portare. Inoltre non gli era mai piaciuto quell’uccellaccio;
era come se nel
becco uncinato intravedesse la linea dura della bocca di suo padre e
negli
occhi di ghiaccio la freddezza calcolatrice. Le settimane correvano fra
esami,
verifiche e interrogazioni serrate, mentre i professori intensificavano
le
spiegazioni in vista degli esami finali. Dopotutto, Hogwarts era una
delle
scuole magiche più prestigiose non a caso. Il Preside
Silente sembrava scomparso,
tanto che il suo imponente scranno di legno durante i pasti era sempre
vuoto e
torreggiava sulla sala rumorosa. Giravano molte voci su cosa stesse
facendo, da
collaborazioni segrete con il Ministero delle Magia a
un’improbabile vacanza
alle Hawaii. Ah, le gemelle Patil, che pettegole! Evangeline non lo
lasciava
respirare: “Draco, dove vai? Cosa fai? Studiamo insieme?
Perché non stai mai
con me? Devo ricordarti che sono la tua promessa sposa?” Il
sommarsi di tutte
queste cose lo innervosiva. Si sentiva scoperto, debole, anche se aveva
ripassato il piano di fuga con Theo così tante volte che se
chiudeva gli occhi
poteva vedere le cose da fare punto per punto in sovrimpressione. Il
dolore al
braccio, quelle fitte lancinanti che altro non potevano essere se non
le
chiamate di Voldemort, lo spossavano e lo lasciavano tremante. Per
fortuna,
Ginny era quasi sempre con lui e divideva il peso di quelle fatiche,
anche solo
con la sua presenza silenziosa. Bastava un suo sguardo obliquo o una
mano
posata sul suo braccio per calmarlo. Lo spaventava un po’,
questo potere che
aveva su di lui.
Nel frattempo, sostenuto da tutti i
suoi amici, ma in modo
particolare da Ginevra, Blaise aveva smesso di bere una volta per
tutte. Ne
avevano provate di tutte i colori per trovare un valido sostituto:
mentine,
centrifugato di zucca, caramelle, thè verde,
caffè, fino a quando lo Slytherin
ricciuto non aveva scoperto il succo al mirtillo: suo nuovo amore,
sostituiva
efficacemente ogni alcolico e, anche se forse abbondava nelle dosi, non
era
deleterio per la sua salute. Era pure convinto che lo rendesse
affascinante e
lo beveva in bassi bicchieri di cristallo con cubetti di ghiaccio
sorseggiandolo proprio come se fosse bourbon. Ovviamente nessuno gli
aveva
fatto presente che era ridicolo, ma lo facevano per lui e per la sua
autostima.
Lo vedeva chiacchierare con Ginevra, l’onnipresente succo in
mano, e
raccontarle i particolari dell’infanzia sua e di Draco,
ridendo con uno sguardo
un po’ malinconico. La camera Serpeverde era il quartier
generale del loro
buffo gruppo, disseminata dei libri per i G.U.F.O. della ragazza, che
studiava
anche se non li avrebbe mai sostenuti per via della fuga, bottiglie
vuote di
Blaise e post-it con appunti e mappe di Theo, davvero, davvero ovunque.
Draco
si lavava i denti e sullo specchio c’era scritto, con la
matita per occhi che
Ginny aveva dimenticato lì, “COSE DA
PRENDERE” oppure perfino nei suoi cassetti
poteva trovare fogli sparsi con elenchi di case sicure, liste o luoghi
utili. A
volte Draco si preoccupava che qualcosa potesse involontariamente
essere
ascoltato o che qualcuno s’intrufolasse nella stanza,
così piena di indizi
sulla partenza dei ragazzi, perciò ogni volta che usciva
poneva un incantesimo
di chiusura sulla porta. Poi però scuoteva la testa per le
sue paure
ingiustificate e andava avanti…
Un giorno, mentre stava
scarabocchiando annoiato il profilo
di un castello su un angolo della sua pergamena, il professor Piton gli
fece
recapitare un messaggio che lo informava che era richiesto
nell’ufficio del
Preside. Sobbalzò e chiese il permesso di uscire alla
professoressa McGranitt;
sentiva gli occhi di Potter, dietro a quei suoi fondi di bottiglia,
pungergli
la schiena. Era da qualche tempo che lo aveva beccato a fissarlo, con
rancore,
quasi una sorte di… gelosia. Ottenuto un cenno
d’assenso sorpreso, uscì dalla
classe, sentendo la professoressa ricominciare a spiegare
l’argomento del
giorno. I corridoi erano ovviamente vuoti, essendo proprio la
metà della terza
ora. Si chiese dove fosse Ginny in quel momento e non cosa voleva da
lui il
preside: non gli era così difficile immaginarlo. Arrivato
davanti ai due
gargouille posti da sentinelle alla porta, pronunciò
titubante la parola
d’ordine scritta nel biglietto di Piton: -Palline acide?-
-Sei sveglio, ragazzo-
ironizzò il mostriciattolo destro,
ghignando e facendo cenno alla fessura della porta che si era aperta.
Draco
alzò gli occhi al cielo ed entrò, silenzioso. Lo
studio era immerso nel sole
mattutino che spuntava dalla grande finestra davanti al trespolo
dell’araba
fenice del preside. Di lui, si vedeva solo la sagoma in controluce, le
mani
intrecciate dietro la schiena, l’ampia veste violetta.
-Buongiorno, professor Silente- lo
salutò cauto, ma cortese,
fermandosi per rispetto presso la scrivania e chinando il capo. Tra gli
Slytherin, i più giovani non alzavano lo sguardo fino a
quando l’altra persona
non si rivolgeva direttamente loro. Draco guardò gli oggetti
d’argento bizzarri
che soffiavano e vibravano sul tavolo sotto la biblioteca immensa. Il
Pensatoio
fumava in un angolo, azzurrino e perlaceo. Il preside si
girò quasi subito,
accogliendolo con calore e indicando con ampi gesti la sedia opposta
alla sua:
-Vieni, Draco, vieni a sederti-
Il ragazzo si accomodò in
punta di sedia, considerando forse
per la prima volta l’uomo, il grande mago, che aveva davanti.
Lo aveva sempre
ritenuto un pazzo, folle per certi versi, con tutte le sue idee sulla
forza
dell’Amore. Eppure, in un certo senso, iniziava a capire cosa
intendesse.
Silente intrecciò le mani sotto il mento, osservandolo
indagatore con quei suoi
occhi azzurri, quasi da bambino, da dietro le lenti a mezzaluna degli
occhialini.
-Allora ragazzo, cosa volevi dirmi?-
domandò pacato. Per
poco Draco quasi non cadde dalla sedia dallo sconcerto. “Ma
come?!” pensò, “Mi
ha chiesto lui di venire. E’ proprio
fuori…” La sua espressione attonita non
scompose minimamente il mago, che continuò a osservarlo in
modo enigmatico e
fiducioso. Fanny emise un musicale verso dal suo trespolo, allora il
ragazzo
deglutì e gli porse il foglio vergato di sua mano: -Il
professor Piton ha detto
che era da parte sua- Silente rimase immobile e sorridente: -Conosco
perfettamente il contenuto di quel biglietto-
-Ma non è di questo che
vuole parlare, vero?- Draco ritrasse
la mano, capendo dove il mago lo stava portando. Appoggiò il
biglietto sul
tavolo, soppesando le sue parole con attenzione.
Il vegliardo annuì,
pacifico: -Esatto, ragazzo. Esatto-
Il Serpeverde
all’improvviso sussultò e abbassò
lentamente
il braccio sinistro, dolorante. Era da qualche giorno che il Marchio
non gli
dava tregua con il bruciore e il prurito continuo. Sembrava ingrandirsi
sempre
di più e pulsare di vita propria. Forse aveva le
allucinazioni; d’altra parte
l’insonnia lo sfiancava. Draco a disagio lo grattò
sopra la manica e allo
sguardo acuto del preside non sfuggì il movimento, seppur
impercettibile. Smise
immediatamente e osservò il mago alzarsi per andare ad
accarezzare l’araba
fenice dalle piume iridescenti.
-Ti duole? Un buon unguento di
assenzio potrebbe aiutarti-
disse dolcemente osservandolo con quei suoi occhi turchini
così fastidiosamente
compassionevoli. Il ragazzo ignorò del tutto il commento,
domandando con
urgenza, anche se sapeva già la risposta: -Sta arrivando,
vero?- Non si potevano
spiegare in nessun altro modo i sintomi e, in cuor suo, sebbene avesse
cercato
di negarlo, l’aveva già capito. Non poteva
più tenerlo nascosto. Il professore
per la prima volta in tutta la visita distolse gli occhi dai suoi e
sembrò
all’improvviso diventare molto vecchio, con le spalle curve e
lo sguardo
sconfitto.
-Non dovrebbe andare così-
mormorò, parlando quasi tra sé
–Non c’è più
tempo… Dovete andarvene, al più presto. Ho
fissato la vostra
passaporta fra cinque giorni esatti. Quando la prenderete, per
sicurezza, sarà
presente anche l’Ordine. Vi aspetto alle sedici qui nel mio
ufficio. Sarà
meglio che la Signorina Weasley sia coperta da un mantello pesante. I
Signori
Weasley non verranno qui ad Hogwarts, ma in ogni caso non è
il caso che
qualcuno noti la sua partenza… anticipata- Draco
arrossì e si rese conto che
non avrebbe potuto nascondere Ginny per sempre. In qualche modo il
preside
l’avrebbe vista arrivare, no? Alla fin fine era meglio
così, sia che lei
partisse con loro che Silente lo sapesse. Lucius avrebbe potuto
torturarla per
sapere dove era andato, per non parlare di Voldemort, che sicuramente
aveva il
desiderio di punire i disertori e il preside sembrava non condannare
questa
scelta. Forse anche lui credeva che sarebbe stata la cosa migliore per
lei. -Quindi…
sta arrivando?- domandò cauto, torcendosi il braccialetto di
cuoio che portava
al polso.
Lo sguardo di Silente era greve:
-Sì-
GINEVRA
Non è facile pensare che
all’improvviso non vedrai più
attorno a te i tuoi amici, gli ambienti in cui sei cresciuta -le aule
spaziose
dei compiti in classe e delle infinite spiegazioni, il dormitorio
condiviso
delle chiacchierate a tarda notte, la Sala Grande, ricordo sempiterno
delle
cene, dei balli, delle feste-, la scuola che ti ha ospitato. Da quando
Draco le
aveva riferito del suo incontro con Silente e da quando era stata
fissata una
data certa per la loro partenza, le sembrava che il tempo passasse alla
velocità della luce.
Fra cinque giorni, ore sedici.
Fa cinque
giorni, ore
sedici. La data era sempre stata molto vaga, ma ora una
scadenza così
inflessibile la spaventava un po’. Non c’era il
tempo necessario per fare tutte
quelle cose che aveva desiderio di lasciarsi alle spalle. Non sapeva esattamente cosa, eppure sentiva di
doversi preparare per bene. Come poteva immaginare di iniziare una
nuova vita,
se prima non avesse messo a posto il suo passato? Oh, non si pentiva
della sua
scelta, perché ormai ogni luogo in cui ci fosse stato anche
Draco era casa. Lo
amava così tanto… Se fino a un anno prima glielo
avessero detto, avrebbe riso
fino alle lacrime. Adesso, invece, non riusciva a pensare di non averlo
accanto. Mentre sistemava le poche cose che le sarebbero servite per il
viaggio
ignoto nella sua camera bordeaux vuota, Ginny si chiese con malinconia
se
avrebbe mai rivisto i suoi genitori, i suoi fratelli, talvolta
fastidiosi, sì,
ma amatissimi. E le sue amiche? La mestizia la assalì, per
fortuna in un
momento in cui Draco non era presente. Quanto sarebbe stato male,
vedendola
così abbattuta. Si
deterse quasi con
rabbia le lacrime bollenti che le rigavano le guance e le appannavano
gli
occhi. Odiava sentirsi così debole e insicura: non se lo
poteva permettere, non
in quel momento. Piegò una maglia, singhiozzando senza
ritegno e alla fine la
buttò in un angolo, accartocciandosi contro la sponda del
suo letto per
piangere in pace. Arnold le si avvicinò saltellando e con un
pigolio le diede
una leccatina sulla mano. La rossa lo prese in mano, stringendolo a
sé. Dopo
che si fu sfogata e che dai suoi occhi arrossati non uscì
più nemmeno una
lacrima, si alzò risoluta. Finì di sistemare la
sua borsa, diventata spaziosa
grazie a un Incantesimo che aveva imparato con il professor Vitious,
diede
un’ultima, lunga occhiata alla sua stanza e uscì.
Qualche tempo prima, aveva
pensato di scrivere delle lunghe lettere in cui spiegava la situazione
ai suoi
amici e parenti, però quando le aveva lette con Draco, lui
l’aveva guardata con
doloroso rammarico e Theodore aveva chiarito che non poteva lasciare
delle
informazioni così rintracciabili. Le spie di Voldemort e i
suoi mezzi erano
onnipresenti… Avrebbero sicuramente trovato una lettera,
che, seppur priva di
coordinate fondamentali, poteva essere un primo indizio di partenza. I
ragazzi
e Ginevra dovevano sparire, all’improvviso, da un momento
all’altro. Silente, a
tutti coloro che lo avessero chiesto, avrebbe detto che gli Slytherin
dovevano
tornare a casa per svolgere mansioni familiari (cosa non del tutto
impensabile,
data la precocità dei Serpeverdi) e che Ginny era
semplicemente scomparsa. Chi
avrebbe mai collegato la Grifondoro orgogliosa al ragazzo che
dall’inizio della
scuola l’aveva derisa e umiliata? Il reciproco disprezzo
l’uno per l’altra non
era un segreto al Castello, sebbene da qualche tempo i due non si erano
più
visti battibeccare. Oh, Ginevra non dubitava che i suoi fratelli
avrebbero
messo sottosopra Hogwarts per trovarla, ma in questo caso una lettera
fallace
sarebbe stata d’aiuto. Aveva scritto che si voleva recare in
Romania da suo
fratello Charlie, perché le mancava molto e che non aveva
più intenzione di
continuare la scuola. Certo, passava come una bambinetta infantile e
capricciosa, però forse in questo modo avrebbe potuto
depistare i suoi
inseguitori. Sperò che Charlie non si arrabbiasse e che non
venisse messo in
mezzo a questa follia. Camminò per il lungo corridoio
cercando a tutti i costi
di avere un’aria naturale e rilassata, mentre il sole ancora
alto entrava dalle
finestre con raggi arcobaleno. Per fortuna alle cinque del pomeriggio
c’era
poca gente in giro. Gli esami si avvicinavano e le giornate si
allungavano: chi
studiava chiuso in biblioteca per non farsi distrarre, chi prendeva il
sole e
si rilassava nell’ampio giardino e chi, infine univa le due
cose, portando
libri e vocabolari nel parco con una bella coperta. Lei stava
continuando a
studiare, spesso buttandosi nei compiti per dimenticare e non pensare,
anche se
sapeva che non avrebbe mai dato gli esami. Draco l’aiutava
molto e anche
Theodore; Blaise l’ascoltava quando ripeteva, bacchettandola
per gli errori.
Erano tutti e tre studenti brillanti, anche se portati per materie
diverse.
Anche lei, da studentessa non mediocre, ma nemmeno eccelsa, era
migliorata
considerevolmente. Quando entrava raggiante nella camera dei ragazzi
con una E
vergata di rosso sul suo compito si sentiva davvero bene. Poi Draco la
baciava
e tutto era perfetto. Persa nei suoi fantasticamenti, non si accorse
della
persona che aveva davanti e ci andò a sbattere del tutto
involontariamente. Le
cadde la borsa e alcuni oggetti rotolarono sul pavimento: -Oddio,
scusami, non
ti avevo visto, non volevo proprio- si profuse, raccogliendoli ed
alzandosi di
scatto per vedere chi aveva investito. Si stava proprio spostando una
ciocca di
capelli che le era caduta sul viso, quando una voce che ben conosceva
fece per
tranquillizzarla: -Calma, Gin, non è successo niente- La
rossa si irrigidì e
riconobbe Harry davanti a sé. Lui lì con le mani
aperte quasi in segno di
scusa, o forse di pace, i capelli perennemente spettinati, gli occhiali
tondi
un po’ storti e quel suo sguardo benevolo. Ginny non aveva
dimenticato come si
era approfittato di lei quella volta nello spogliatoio di Quidditch e
nemmeno
come l’aveva forzata a baciarlo. La vergogna e lo sdegno che
provava la fecero
ancora arrabbiare. Infuriata, stava per intimarlo di lasciarla stare,
quando
lui disse tutto d’un colpo: -Ginevra, scusami per quella
volta! Io non ho idea
di cosa mi sia preso e il mio gesto è stato imperdonabile.
Solo che… mi sono
accorto che mi piacevi proprio perché tu hai iniziato a
rivolgerti a qualcun
altro-
La Grifondoro incrociò le
braccia, sospettosa eppure
impietosita. Harry aveva abbassato la testa avvilito e la guardava da
sotto le
ciglia, porgendo le sue scuse. Come poteva non accettarle? Lo conosceva
da quando
aveva sei anni, era cresciuto insieme a lui, trattandolo al pari di un
fratello. E sembrava veramente dispiaciuto… Tentennando,
quindi, rispose: -Ciò
che hai fatto è stato disgustoso, soprattutto
perchè contro la mia volontà,
però voglio accettare le tue scuse. Non sono il tipo da
giudicare una persona
solo per un’azione sbagliata che ha fatto in passato.
E’ una lezione che ho
imparato sulla mia pelle- in quel momento parlava con Harry, ma pensava
innegabilmente a Draco. Allungò una mano, sorridendo: -Pace?-
Il moro tese la sua, stringendola con
un luccichio di
felicità negli occhi verdi: -Certo!- Camminarono insieme per
il resto del
corridoio, in un piacevole silenzio fino a quando una domanda candida
del
ragazzo, seppur del tutto amichevole, la fece tremare dalla paura:
-Allora,
come va fra te e Malfoy?- Impietrì, impallidì, si
fermò e lo fissò con uno
sguardo così evidentemente costernato che Harry le chiese se
stesse bene. Ginny
provò a parlare, ma la prima volta le uscì solo
un suono rauco. Non poteva
negare, lui era così sicuro, quai compiaciuto che lo avesse
scoperto. Con il
secondo tentativo, le uscì in un soffio: -E come lo sai?- Il
ragazzo deglutì e
iniziò a spiegare: -Quando mi sono accorto di essere
innamorato di te, qualche
mese fa, ho iniziato a frequentare i posti in cui di solito sapevo di
trovarti.
E le coincidenze sono state davvero troppe. Fino a quando ho incrociato
Malfoy
sulle scale del settimo piano e non ho avuto più dubbi,
nonostante metterei la
mano sul fuoco che non mi avrebbe creduto nessuno se lo avessi detto in
giro.
La bella Griffyndor e il burbero Slytherin! Ahah-
Ginny boccheggiò, anche se
Harry continuava a chiacchierare
perfettamente a suo agio, sorridente e affettuoso: -Mi sono arrabbiato
moltissimo quando l’ho scoperto, ma ora che ho fatto pace e
ho capito che sei
solo un’amica per me, sono divertito-
Scuotendo la testa e riacquistando un
po’ di voce, sussurrò,
preoccupata: -Ma non l’hai detto a nessuno, vero? Nemmeno a
Ron, o a Hermione,
no…?-
-No, stai tranquilla, l’ho
tenuto per me. Chissà cosa
avrebbe fatto tuo fratello se lo avesse saputo…-
ridacchiò. Ginny non sorrise
nemmeno e, stringendolo brevemente per una spalla, lo lasciò
lì: -Bravo,
continua a mantenere il segreto. Adesso devo andare. Ci si vede- Corse
via con
il cuore in gola e arrivò davanti alla Stanza delle
Necessità, incriminata di
nascondere i loro incontri proibiti. Spalancò le porte,
entrando con foga e
chiamò, leggermente affannata: -Draco! Sei qui?- La sua voce
tesa risuonò nella
stanza, ma già alla prima occhiata Ginny si era accorta che
lui non era
presente. Il letto aveva le coperte verdi perfettamente ripiegate, il
camino
era spento, con le ceneri argentee fredde da tempo, il tavolo sgombro,
senza
traccia di libri o oggetti appartenenti al ragazzo. Si rendeva conto
del
pericolo che stavano correndo in quel momento, eppure aveva solo tanta
voglia
di seppellirsi sotto le coperte e piangere ancora. Strinse gli occhi
per
trattenere le lacrime e si avviò verso l’uscita.
La sua mano trovò conforto
stringendosi intorno al medaglione dorato allacciato alla sua collana.
Era
stranamente tiepido e liscio, solido; la rincuorò un poco.
Passò davanti al
grande specchio posto all’entrata e si fermò,
studiandosi pensosamente. Si
potevano vedere i segni di questo grande cambiamento che sentiva? Il
riflesso
mostrava una ragazza pallida con lunghi, lisci capelli ramati che
circondavano
un viso molto magro dalle lentiggini sbiadite. Non sembrava nemmeno
lei… Era la
versione più adulta di Ginevra Weasley, completamente
diversa dalla ragazza che
aveva iniziato la scuola a settembre. Sospirando, distolse lo sguardo
da quella
sconosciuta e iniziò a camminare stancamente lungo il
corridoio del settimo
piano. Forse il Destino questa volta ebbe compassione di lei
perché all’improvviso
dalle scale davanti a lei comparì Draco, che camminava con
la testa china e le
mani in tasca. Perso nei suoi pensieri, non la vide e Ginny,
fermandosi, si
prese tutto il tempo per ammirarlo. Osservò il modo in cui i
capelli gli
ricadevano sulla fronte, l’espressione concentrata, il
movimento fluido e
naturalmente aggraziato del camminare. Involontariamente le venne da
sorridere
e, seppur ancora preoccupata per ciò che le aveva detto
Harry, non sentiva più
gravare su di sé quella tristezza inconsolabile. Alla fine,
il biondo alzò gli
occhi e la vide ferma davanti alla finestra. Ginevra
immaginò che il suo
sorriso dovesse essere identico al proprio: -Ehi- Gli corse incontro e
lo
abbracciò, sentendo le sue mani che si allacciavano dietro
la schiena.
-Ciao, bella ragazza- rispose lui
ridendo. La Grifondoro si
alzò in punta di piedi per baciarlo, con le mani intorno al
suo viso. Unì le
labbra con quelle del ragazzo, sentendo il cuore battere più
forte.
All’improvviso, proprio nel mezzo del bacio appassionato,
Ginny si staccò con
gli occhi sbarrati: -ODDIO DRACO!- La faccia del ragazzo fu di puro
sconcerto:
-Cosa c’è?! Ti ho fatto male?- Le
studiò il viso per cercare ferite, ma la
ragazza fece un gesto con la mano come per cacciare via
l’idea e si ricordò del
piccolo, enorme particolare che doveva riferire al Serpeverde: -Dovevo
assolutamente dirti questa cosa! Ho visto Harry poco fa, no, smetti di
fare
quella faccia, ho fatto pace con lui. Comunque, non è questo
il punto. Mi ha
detto che sa di noi!-
Draco la guardò
attentamente, con una ruga di preoccupazione
che gli aggrottava la fronte: -In che senso sa di noi?-
-Ci ha visti entrare nella Stanza ed
evidentemente ha fatto
due più due- spiegò avvilita –Ma mi ha
giurato che non lo dirà a nessuno ed io
ci credo, Draco- Quasi parlando tra sé, il ragazzo rispose:
-Effettivamente
l’ho incrociato qualche volta sulle scale mentre venivo da
te… Però pensavo
fosse di ronda! Dobbiamo stare molto, molto attenti, Gin. Nessun altro
lo deve
sapere-
Ginny sentì un macigno di
ansia che si posizionava nel suo
stomaco e un groviglio di inquietudine bloccarle la gola, presagendo
una delle
cose che non avrebbe voluto nemmeno immaginare per nulla al mondo.
Aveva come
l’impressione che fossero tutti in grave pericolo…
Draco le prese le mani sulle sue e se
le portò alla bocca
per baciarle: -Non possiamo più vederci, Ginevra, fino al
giorno della
partenza. Non dovrai entrare nella Stanza delle Necessità o
nel mio dormitorio.
Non starmi vicino, non parlare con Theo e Blaise, non mandare lettere,
non
scrivere messaggi. Se proprio vuoi dirmi qualcosa di urgente, lascia un
biglietto qui dietro al quadro di Barnabà il Babbeo- La
rossa sopportò
stoicamente quelle parole che colpivano come staffilate nel suo cuore e
alla
fine, dopo aver baciato a lungo Draco, assaporando le sue labbra con
desiderio,
si allontanò senza voltarsi.
Quando svoltò
l’angolo, gli occhi adamantini del ragazzo si
staccarono controvoglia dalla sua schiena e il Serpeverde
capì che non avrebbe
potuto vivere senza di lei.
Quelli di Ginny, verdi come
l’erba d’estate, si riempirono
di lacrime.