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Autore: TaliaAckerman    04/03/2015    2 recensioni
[Revisione in corso]
Il secondo atto della mia personale saga dedicata a Fheriea.
Dal terzo capitolo:
- "Chi hanno mandato?- mormorò Sephirt dopo essersi portata il calice di liquido rossastro alle labbra. – Chi sono i due maghi?
- Nessuno di cui preoccuparsi realmente. Probabilmente due che dovremmo avere difficoltà a riconoscere. Una ragazzo e una ragazza, lei è quasi una bambina da quanto l’infiltrato mi ha riferito. Credo che ormai l’abbiate capito: non devono riuscire a trovarle.
- E come mai avete convocato noi qui? – chiese Mal, anche se ormai entrambi avevano già intuito la risposta.
Theor rispose con voce ferma: - Ho un incarico da affidarvi"
Se volete sapere come continua il secondo ciclo di Fheriea, leggete ^^
Genere: Avventura, Azione, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Violenza
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'II ciclo di Fheriea'
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Eccomi qui.
Devo dire che sono un po' emozionata, perché - quasi non ci credo che sto per dirlo - questo è il PENULTIMO capitolo della storia. Sì beh, penultimo nel senso che devo ancora scriverne un altro e poi l'epilogo. Anche se non sono propriamente soddisfatta di com'è venuto, sono contenta di essere arrivata fin qui, forse riesco a finire il romanzo entro quest'anno, che miracolo xD Davvero, so di essere noiosa, ma ora per me è più importante che mai che chi abbia letto e apprezzato mi lasci una piccola recensione. E anche quelli a cui la storia ha fatto schifo, in realtà, mi fanno piacere anche consigli, critiche, pareri su come migliorare. Grazie comunque a chiunque sia arrivato fino qui :)
TaliaFederer









28









TRE GIORNI DOPO


- Come sappiamo che non fallirà?

– Non lo sappiamo – rispose Theor asciutto.

Hareis lo afferrò per un braccio, dimenticandosi completamente con chi avesse a che fare. – La sua Magia potrebbe ucciderla. Sei stato tu a dirlo!

Theor gli scoccò un’occhiata pericolosa e si liberò con uno strattone dalla sua presa. L’espressione del suo volto era contratta mentre proferiva:- In questo stato non mi è di alcuna utilità; la Magia del custode è l’unica possibilità per farla tornare fra noi. Se durante il processo dovesse morire ce ne faremo una ragione.

Per la prima volta in vita sua Hareis fu seriamente tentato di prenderlo a pugni. Sapeva che in fondo in fondo Theor era sempre stato un fottuto bastardo, e la cosa gli era sempre andata bene, ma non se si trattava di Sephirt. Non se si trattava della sua vita.

– Sai bene anche tu che sarebbe una perdita gigantesca…

- Una perdita necessaria.

– Maledizione, Theor! – esclamò l’uomo frustrato. In quel momento l’inflessibilità del suo signore non gli pareva più una dote così ammirevole. – Ci dev’essere un altro modo! Un qualche incantesimo di guarigione, un antidoto… il custode ha detto che, sempre ammettendo che sopravviva, la Magia Nera potrebbe cambiarla radicalmente…

- So benissimo cosa significa – lo gelò il capo dei Ribelli con voce fredda. – E so anche che non mi conviene perdere Sephirt adesso. Ed è per questo che non ho altra scelta – s’interruppe un attimo. – Tu hai bisogno di riposare, Hareis. Forse è meglio se ti ritiri per qualche ora.

Il Ribelle pensò assomigliasse più ad un ordine che a un suggerimento, ma decise di non replicare. Ormai era fatta: Sephirt era nella nuova stanza dell’ex custode, e la sua vita era nelle sue mani. Fece per imboccare il corridoio che l’avrebbe condotto all’atrio e poi all’uscita, quando avvertì una mano posarglisi sulla spalla.

– Quasi dimenticavo, Hareis – esordì Theor, e la sua espressione si fece minacciosa. – Non osare mai più parlarmi in quel modo.

Lui era ormai troppo stanco per trovare la forza o il coraggio di replicare, così si limitò a chinare il capo in segno di scuse.

Percorse la strada che lo separava dall’ingresso del palazzo come in trance, e poi uscì in strada. L’onnipresente venticello gelido pungeva la pelle del suo viso mentre, stringendosi nel mantello, si avviava verso i suoi alloggi, che non erano troppo distanti dalla residenza reale.
L’abitazione di Sephirt era esattamente dalla parte opposta alla sua, rammentò con un sussulto. Sorrise aspramente: pareva che tutto nella vita, ogni singolo dettaglio, avesse deciso di tenerli lontani.
L’uomo non ricordava nemmeno quando, con esattezza, si fosse reso conto di essere irrimediabilmente attratto da lei. Sephirt era arrivata ad Amaria quando lui aveva tredici anni e già era immerso nel percorso di formazione per i giovani maghi. Ad istruirlo era stato Theor stesso, che l’aveva sempre considerato come il suo allievo prediletto, uno dei pochi cui si fosse mai degnato di insegnare qualcosa.
Tuttavia, per circa il primo anno della permanenza della ragazzina nella capitale nordica, lei e Hareis non avevano quasi avuto contatti. Mal Ennon, che a quell’epoca aveva da poco fatto ritorno in patria dopo l’apprendistato a seguito del maestro Janor Camosh, si era curiosamente offerto volontario per prendersi cura della piccola Sephirt e soprattutto insegnarle tutto ciò che sapeva a proposito delle arti magiche. Rammentava che un giorno Mal si era presentato alla reggia di Amaria informando Theor, con il quale già d’allora collaborava, di aver incontrato qualcuno con un altissimo potenziale di energia magica. Era stato allora che l’aveva vista la prima volta: una ragazzetta esile, visibilmente malnutrita, dai lunghissimi capelli rosso chiaro. Hareis ricordava di essere stato colpito già allora da quei suoi occhi così grandi e – soprattutto – di quell’inquietante color rosso sangue. Ma i due non avevano avuto modo di approfondire la loro conoscenza; Hareis si era ritrovato nelle condizioni di essere più esperto di lei di parecchi anni. Sephirt aveva ricevuto la sua educazione divisa tra la casa di Mal e la biblioteca cittadina, mentre Hareis a palazzo.
Prima di abbandonare l’alleanza delle Cinque Terre per cambiare bandiera a favore dei già presenti moti di ribellione a Nord, il Consigliere di Amaria era spesso stato impegnato – a volte anche per giorni e giorni – con gli affari del continente e le sedute del Gran Consiglio e Hareis, una volta che Sephirt fosse diventata abbastanza capace, aveva avuto modo di confrontarsi con lei in una manciata di occasioni.
Non aveva mai saputo con esattezza quali eventi l’avessero portata a ritrovarsi sola e malconcia per le strade di Amaria, e per quanto aveva avuto modo di capire la donna non ne aveva mai parlato neppure con Theor. Eppure, Hareis era sicuro che se ci fosse stata una persona di cui Sephirt si fosse fidata abbastanza da raccontargli la propria storia, quello sarebbe stato Mal Ennon.
Erano passati gli anni, e con l’accrescersi dell’importanza della ribellione entrambi si erano legati alla causa ed erano entrati a far parte del consiglio ristretto di Theor.
Era stato allora che si erano avvicinati, fin quasi a diventare amici. Già, e probabilmente era stato proprio in quel momento che tutto era cominciato. La sua sicurezza, la sua serietà, i suoi modi educati eppure così freddi, così alteri. Aveva tre anni meno di lui, ma Hareis l’aveva da subito considerata come sua pari. C’era qualcosa nella sua insolita figura che aveva piano piano cominciato ad attrarlo. Ovviamente non ne aveva mai parlato con nessuno – era uno dei più fidati uomini di Theor, non poteva permettersi di distrarsi con aspettative e sentimenti che mai sarebbero stati ricambiati. Eppure, più volte di quante avesse desiderato, durante le riunioni, i suoi occhi si posavano su di lei, squadrandola come a volerne imparare il profilo a memoria.
I suoi rari sorrisi di circostanza, il sopracciglio destro che si alzava sarcastico, il modo in cui serrava le labbra quando era nervosa… e soprattutto quello sguardo di fiducia e vaga adorazione che aveva sempre riservato solo e solamente a Mal, quello sguardo il quale Hareis aveva sempre sperato potesse rivolgere al lui, un giorno.
Si ritrovò a fissare il portoncino del suo alloggio senza neanche essersi accorto di aver percorso la distanza che lo separava da casa sua. Estrasse dalla tasca il proprio mazzo di chiavi e fece scattare la serratura, spingendo la porta in avanti. Negli ultimi tempi non aveva ricavato molto tempo libero per riposarsi in quella piccola ma confortevole abitazione; una o due volte aveva addirittura trascorso la notte a palazzo, tra una riunione e l’altra.
Si levò il mantello da viaggio e lo appoggiò alla bell’e meglio sullo schienale di una seggiola, accese un paio di candele con una minima Evocazione e poi si lasciò ricadere sul letto, ancora vestito e con gli stivali ai piedi. Chiuse gli occhi, passandosi una mano sulla fronte, che gli pulsava dolorosamente. Era sfinito: aveva cavalcato ininterrottamente per giorni, e il motivo dello spostamento non era stato esattamente una scampagnata.
Il suo pensiero si soffermò ancora una volta su Sephirt. Era incredibile che la ragazzina sottile e malconcia che aveva conosciuto quasi quattordici anni prima in quel momento fosse rinchiusa in una stanza, in fin di vita, probabilmente più lontana dal mondo dei vivi che da quello dei morti. L’unica speranza era che davvero la Magia Nera che avrebbe utilizzato il custode fosse abbastanza potente da salvarla. Theor aveva istruito il suo giovane apprendista a riguardo di alcuni incanti di quella proibita branca della Magia, ma si era solo e sempre trattato di maledizioni e anatemi offensivi; eppure, Hareis sapeva che le possibilità offerte dalla Magia Nera non si fermavano lì. Potrebbe… cambiarla. Era stata quella l’unica risposta dell’ex custode alla domanda di Theor riguardo a quali potessero essere gli effetti che il trattamento avrebbe avuto su Sephirt.
Sarà ancora in grado di combattere?
Senza alcun dubbio.

Sempre che non fosse morta.
Hareis avrebbe voluto urlare; ora che erano arrivati così vicini alla possibilità di salvarla, non avrebbe sopportato l’idea di perderla.
Perdi colpi. Ti stai sentendo? Era ridicolo e lo sapeva.
Doveva smettere di pensare a lei. Sarebbe sopravvissuta o sarebbe morta, non dipendeva da lui. Comunque andasse, non poteva permettere che la cosa lo distruggesse, non ora che il suo contributo era diventato così fondamentale, fra i Ribelli. Aveva addirittura una mezza idea di domandare a Theor un trasferimento: raggiungere il suo fidato amico Ferlon sul campo di battaglia gli avrebbe fatto bene. Se non altro si sarebbe allontanato dagli affari burocratici e da Sephirt. Prima però doveva almeno aspettare di avere qualche certezza a proposito della sua sorte.
Se fosse sopravvissuta, prima di andare avrebbe dato di tutto pur di salutarla un’ultima volta. L’uomo respirò profondamente, mentre lentamente le tenebre avvolgevano il suo corpo e la sua mente. Avrebbe avuto tempo per riflettere l’indomani, ora doveva sforzarsi di allontanare quei pensieri disturbanti.
Non impiegò più di una decina di minuti per addormentarsi.


Hareis si svegliò con un pungente e fastidioso dolore alla gola.
Riposare con indosso i vestiti ancora freddi e umidi pareva non avergli fatto particolarmente bene. Era ormai estate, eppure il clima ad Amaria rimaneva instabile e piuttosto freddo, caratterizzato da quella fastidiosa umidità.
Hareis si scostò dalla fronte un ciuffo di capelli spettinati e strizzò gli occhi un paio di volte; si sentiva uno straccio. Si rialzò, si avvicinò alla propria scrivania e afferrò una brocca d’acqua ancora mezza piena; dopo averne rovesciato il contenuto in una bacinella di metallo vi intinse le mani e si risciacquò il volto. L’acqua fresca contribuì a risvegliare la parte di lui che era rimasta nell’incoscienza, al che lui si sentì un minimo meglio. Afferrò uno straccio e se lo passò in viso, resistendo alla tentazione di ficcarselo in bocca e urlare con tutta la forza di cui era capace. Si limitò a gettare il panno bagnato a terra.
In pochi ponderanti istanti prese la sua decisione.
Nemmeno venti minuti dopo si trovava già a palazzo, accuratamente riordinato e indossando un mantello pulito. Se proprio doveva comunicare a Theor le sue intenzioni, tanto valeva farlo subito.
Accomodato su una sedia nell’abituale sala delle riunioni, rifletté un attimo su come formulare ciò che intendeva, poi disse in tono serio:- Non posso mentire, Theor. Ho passato due settimane devastanti. Forse avrei bisogno di allontanarmi da qui per un po’.

Theor alzò un sopracciglio, e all’istante Hareis colse nella sua espressione un tocco di disapprovazione. – E che cosa pensi possa aiutarti, in questo momento?

- So di dover fare la mia parte, ora più che mai – riprese lui sostenendo il suo sguardo. – Ma forse ci sono altri luoghi dove potrei essere più utile.

– Ad esempio il fronte?

– Ad esempio il fronte – confermò Hareis annuendo. – Hai mandato Ferlon a conquistare Hiexil, lascia che io lo aiuti, che prenda il comando di altre armate. Se vogliamo andare avanti non possiamo rimanere in stallo, le guerre si vincono sul campo di battaglia.

– Hai perfettamente ragione, e credo tu lo sappia – rispose Theor freddo. – Ma purtroppo non è così semplice. Tu mi servi qui, sai bene che mi rimangono pochi uomini, nella capitale.

– Hai Wesh – obiettò subito Hareis. – Chi potrebbe essere meglio di lui per occuparsi degli affari politici?

In effetti, con l’età che avanzava, l’anziano Wesh aveva forse perduto la mobilità e alcune delle sue capacità magiche, ma di certo la saggezza e la perspicacia continuavano ad appartenergli. Da sempre era il braccio destro di Theor per le questioni burocratiche, finché avessero potuto contare su di lui Amaria sarebbe stata in più che ottime mani.

– Un concilio non può essere composto da soli due uomini, Hareis – gli ricordò Theor in tono pacato. Ma l’altro non voleva mollare; avvertiva il disperato bisogno di fare qualcosa, di agire.

– Puoi richiamare Ferlon stesso, o Astapor Raek – affermò. Il mago di fronte a lui scosse la testa agitando una mano. – Raek si trova a Città dei Re su mio ordine, tornerà non appena avrà concluso il compito che gli ho affidato. E Ferlon, lo hai detto tu stesso, è lontano. Ha conquistato Hiexil, quindi suppongo che la sua presenza sul campo sia più che necessaria.

A questo Hareis non seppe come replicare. Theor non aveva modo di immaginare quanto lui avesse bisogno di allontanarsi.
Non si accorse che l’uomo si era soffermato a squadrarlo, pensieroso.

– Come mai vuoi andartene, Hareis? – gli chiese in tono leggermente più morbido.

Lui non riuscì a guardarlo negli occhi: si sentiva un idiota, un debole, preso dal tentativo di fuggire dal proprio dolore e le proprie afflizioni…

- È per Sephirt, non è vero?

Ma come diavolo faceva a sapere sempre tutto?
Hareis non disse nulla, ma parve che il suo silenzio risultasse piuttosto eloquente per Theor. L’uomo trasse un lungo sospiro, e Hareis attese trepidante che riprendesse a parlare: la sua risposta sarebbe stata definitiva.

– Forse ormai sei stato qui abbastanza – decretò il Ribelle, e Hareis sorrise leggermente. – Capisco tu abbia voglia di agire. Ho bisogno di recapitare una lettera a Ferlon con nuove disposizioni. Quel territorio brulica ancora di soldati ariadoriani, non posso rischiare che finisca nella mani sbagliate; recandoti a Hiexil potrai consegnargliela tu stesso. Quando sarà di ritorno, Raek potrà prendere il tuo posto qui ad Amaria.

– Ti ringrazio, mio signore – Hareis fece per rialzarsi, riconoscente, quando Theor lo fermò afferrandolo per un polso.

– Non prendere questa guerra alla leggera, Hareis – proferì con la massima serietà. – Ti ho addestrato affinché diventassi uno dei migliori, e così tu hai fatto. Ma se pensi che lo stato in cui ti trovi ora, o la paura per Sephirt, o qualunque altra cosa, possa distrarti dai tuoi nuovi compiti, allora faresti meglio a dedicarti a qualcos’altro.

Hareis deglutì, ma mantenne lo sguardo fermo. – Non ti deluderò – disse a denti stretti. – Non l’ho mai fatto.

Si scostò dal suo vecchio maestro e si voltò, lasciandosi alle spalle la sala delle riunioni. Attraversò i corridoi che lo separavano dall’ampia sala d’ingresso deciso a tornare a casa in fretta e prepararsi seduta stante. Eppure, quando si trovò presso il portone d’ingresso si bloccò, come trattenuto da una forza invisibile. Il laboratorio dell’ex custode era lì, a poche decine di passi di distanza. Un fremito di angoscia attraversò la schiena del mago: aveva l’occasione di salutare Sephirt un’ultima volta, perché sprecarla? Certo, non s’illudeva: sapeva benissimo che in quel momento la strega poteva essere ancora incosciente, o in stato terribilmente confusionale, o… morta. Non sapeva neanche se Ryeki lo avrebbe lasciato entrare.
Eppure…
S’incamminò verso lo stretto corridoio che portava ai sotterranei, alla cripta e in quel caso alla sua destinazione, e quando giunse alla porta in legno scurissimo che ben conosceva si fermò. Esitò per qualche istante, sentendosi più stupido che mai, poi batté un paio di colpetti alla porta.
Niente, nessuno rispose. Cercando di mantenere calmo il respiro bussò di nuovo, con più decisione, ma niente. Da dentro sentiva provenire a intermittenza rumori di varia natura: passi leggeri, oggetti che venivano posati su ripiani di legno, un insistente gocciolare sul pavimento… Sperando che a nessun altro balzasse in mente l’idea di dare un’occhiata in quella zona del palazzo, l’uomo si chinò inginocchiandosi a terra e accostando un occhio al buco della serratura metallica.
Un paio di gambe, presumibilmente appartenenti al custode, stavano ferme accanto al ripiano del tavolo posto in mezzo alla stanza. Su di esso, era visibile parte di un braccio, disteso, pallido, immobile. Era evidente appartenesse ad una persona distesa su quel piano. Quindi Sephirt era ancora lì, dunque. Ancora svenuta, ancora più morta che viva.
Hareis non riuscì a resistere alla curiosità. Si rimise in piedi.

– Custode Ryeki, sono Hareis. Theor mi manda a controllare come procedono le misure curative su Sephirt – mentì senza pensarci.

Attese qualche secondo, poi arrivò l’aspra risposta del custode:- Non sono ancora certo di nulla, ora ho bisogno di lavorare. Parlerò con Theor quando avrò terminato il tutto.

Hareis sperò che l’anziano mago dicesse ancora qualcosa, ma nel corridoio scese nuovamente il silenzio. L’uomo rifletté un attimo su quali parole scegliere, poi chiese l’unica cosa sensata:- Sephirt vivrà?

Non ottenne risposta.



STATO DEI RE NORD-OCCIDENTALE


Lui e Gala si erano sistemati per la notte in un granaio abbandonato, una struttura di legno tremolante ma asciutta e ancora colma di paglia.
L’indomani sarebbe stata una giornata estremamente impegnativa, lo sapevano bene, per cui avevano pensato fosse meglio trascorrere una buona notte di sonno, prima. Jel aveva stabilito fosse meglio iniziare le ricerche dividendosi e chiedendo informazioni a riguardo di Malcom Shist e Peterson Cambrel; una volta fatto ciò si sarebbero ritrovati in un luogo prestabilito per poi recarsi insieme dalla persona interessata.
Mentre Gala accanto a lui dormicchiava stesa sulla paglia – o almeno pareva così facesse – Jel rifletteva, rigirandosi fra le mani la piccola spilla del Consiglio. Era incredibile che dopo tutte le rocambolesche complicazioni che avevano superato quel piccolo gioiello fosse ancora nelle sue mani. Dopotutto, aveva rischiato di perderlo così tante volte… Il fatto che ancora vi potesse contare era una fortuna, naturalmente. Se voleva avere almeno una minima possibilità di convincere quei due uomini di Città dei Re – chiunque fossero - a riconsegnare loro la Pietra.
Avvolto dal buio e dal silenzio, Jel non poté far altro che rivolgere il pensiero a Jack e agli altri uomini del campo; che ne era stato di loro?
Jel non era sicuro di aver provato qualcosa di anche lontanamente simile alla simpatia per Jack, ma che lo ammettesse o no gli erano debitori. Aveva salvato Gala da morte certa, durante la battaglia con i Ribelli, e di questo il giovane era infinitamente riconoscente.
Ripensò anche alle parole del comandante riguardo a Hiexil: la città era stata conquistata dai Nordici, era incredibile… Dopo Rosark era probabilmente la città del Nord dell’Ariador più grande e importante, e il fatto che ora fosse in mano agli uomini di Theor era un auspicio pessimo. Jel non credeva che i Ribelli avrebbero potuto arrivare a tanto. Erano organizzati, convinti, dannatamente numerosi. Pareva che le intere Terre del Nord si fossero riversate lungo il confine sostenendo quella causa.
Dopo aver fallito l’ennesimo tentativo di trovare una posizione comoda, il mago si mise a sedere, poi si alzò. Non vedeva l’ora che arrivasse la mattina successiva; avrebbe potuto svegliare Gala e chiederle di ripartire subito, ma non lo fece. Glielo doveva, dopotutto: la ragazzina si meritava un po’ di riposo, dopo l’intensissima giornata passata al campo e gli ultimi giorni di cavalcate quasi senza soste. Mosse qualche passo fino a raggiungere l’alta entrata del granaio, i cui battenti erano ormai crollati e invasi dalle tarme.
Si soffermò per qualche minuto ad osservare il cielo stellato sopra di sé, affascinato. Era una nottata splendida, e non c’erano nuvole a celare quell’infinito firmamento. Inspirò a pieni polmoni l’aria fresca, chiudendo gli occhi. A circondarlo era un’insolita atmosfera di pace. Il clima era tiepido – era estate, e loro erano scesi leggermente più a sud rispetto al campo ariadoriano – e non c’era nulla che richiamasse il caos da cui erano stati avvolti fino a due giorni prima.
Jel guardò ad ovest, verso Città dei Re; ormai erano così vicini da poterne scorgere le mura ed i palazzi. La loro destinazione finale, finalmente ce l’avevano fatta.
Il mago già pregustava il sollievo nel ritrovarsi nuovamente fra quelle mura amiche, per una volta non circondato da persone che volevano ammazzarlo.
Con un sussulto ricordò che proprio in quei giorni, probabilmente, i famosi Giochi Bellici stavano volgendo al termine, ergo la città sarebbe stata ancora più affollata e caotica del solito. Una ruga di fastidio segnò il suo volto. Durante l’intero loro viaggio avevano sempre potuto contare su una tempistica davvero perfetta…
D’un tratto, un lieve singhiozzo lo riscosse dai suoi pensieri. Si voltò in direzione di Gala e vide che, stesa su un fianco, piangeva silenziosamente.
Sapeva che non sarebbe mai riuscita a riposare per bene. Le si avvicinò, si accovacciò vicino a lei e le mise una mano sulla spalla.

– È per quello che è successo nel campo? – riuscì a chiederle.

Lei scosse la testa. – No – rispose con un fil di voce, sconsolata. – È per Camosh.

Camosh.
Fra l’incursione ad Amaria, la morte di Ftia, il duello con Sephirt e la battaglia nel Nord il giovane se n’era quasi completamente dimenticato. Nel sentire il suo nome avvertì immediatamente una morsa serrargli lo stomaco; una volta tornati a Grimal avrebbero dovuto confrontarsi con quella verità. Forse, se il corpo del maestro fosse stato ritrovato, avrebbero potuto partecipare al suo funerale. L’idea gli mise addosso una sorta di nausea: non avrebbe mai pensato di ritrovarsi in una situazione del genere. Camosh, un uomo così saggio, un mago così abile... probabilmente ucciso da quel maledetto traditore.
Jel si limitò a tacere, sempre tenendo una mano ferma sulla spalla della ragazza. Non avrebbe saputo che dire per consolarla. Chissà quante cose erano cambiate dalla loro partenza. Erano passati mesi e mesi dall’ultima volta che erano stati a Grimal, ed era da parecchio che ricevevano notizie della loro città natale.
Con un tuffo al cuore, Jel si ricordò anche di Astapor Raek. Il traditore. L’infiltrato di Theor nel Gran Consiglio. Giunto a Grimal avrebbe dovuto pensare anche a quello, e denunciarlo davanti agli altri Consiglieri. Sempre che non avesse già abbandonato definitivamente le Cinque Terre per rimanere ad Amaria…
Rimase fermo ad ascoltare Gala singhiozzare ancora per molti, interminabili minuti.
Alla fine, dopo che ebbe la certezza che la strega si fosse finalmente riaddormentata, si allontanò di qualche passo e si stese a sua volta sulla paglia.
Ora basta preoccuparsi, si disse risoluto. Cerca di dormire, ne hai bisogno. Il domani arriverà in fretta…
Lo sperava. E sperava anche di riuscire a chiudere quella maledetta faccenda una volta per tutte.





  
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