Storie originali > Romantico
Segui la storia  |       
Autore: Halley Silver Comet    05/03/2015    10 recensioni
Sullo sfondo degli eclettici Anni ’80 si intrecciano fiaba e realtà, traffici illeciti e misteri, pregiudizi e desideri di libertà, mettendo alla prova i quattro protagonisti.
Ci sarà ancora tempo per il tanto sospirato lieto fine?
Il ragazzo buttò fuori l’aria tutta insieme, mandando al diavolo i suoi buoni propositi di seguire i consigli della meditazione orientale o qualsiasi cosa fosse.
«Buongiorno a te, Vittoria».
Stropicciandosi gli occhi, la nuova arrivata si avvicinò al tavolo e si sedette di fronte a lui.
«Ti ho disturbato?» domandò, reprimendo faticosamente uno sbadiglio.
«No, figurati. Dubito che possa sentirmi più infastidito di così» sbottò il giovane, sarcastico: non ce l’aveva con l’amica, ma davvero cominciava a trovare insopportabile tutta quella scabrosa situazione.
A tale risposta, la sua interlocutrice lo fissò sorpresa, ma non aggiunse nulla, probabilmente intuendo l’inquietudine che lo logorava da dentro; ciononostante, Marcello un secondo più tardi si pentì di essersi rivolto a lei in quel modo poco gentile. In fondo, non era certo colpa di Vittoria se quello schifoso di Navarra aveva deciso di sequestrare Beatrice
.”
Genere: Commedia, Introspettivo, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Vento dell'Ovest - Capitolo 11



- Capitolo Undicesimo -
Vento di Attesa




I
l sabato era, fra tutti, il giorno che Marcello preferiva di più, poiché lo considerava come un momento per riflettere e fare il bilancio della settimana appena trascorsa. La domenica, invece, era sacra e andava dedicata al recupero delle energie, mentre il lunedì era il primo giorno lavorativo e il venerdì ancora troppo impregnato di fatica: decisamente, il sabato era il giorno perfetto per le meditazioni, da fare rigorosamente mentre si riordinava.
In quel momento, lui e Gerardo stavano raccogliendo diverse scartoffie in faldoni, così da separare le pratiche concluse da quelle ancora in corso, accompagnati dal cinguettio degli uccellini appostati sul cornicione del palazzo di fronte. Fuori, invece, la nebbia stava cominciando lentamente a diradarsi, segno che il sole aveva cominciato a scaldare l’aria.
Si respirava un’atmosfera di pace e tranquillità, che non lasciava affatto presagire quello che sarebbe successo di lì a poco.
Bum, bum! 
L’eco di due colpi fece sussultare il giovane, a tal punto che lasciò cadere il foglio che stava reggendo con entrambe le mani.
«Cosa è stato?» gli chiese Marini.
«Non sapr...»
I colpi si ripeterono, a cadenza più ravvicinata, seguiti dal suono del campanello.
«Deve trattarsi di qualcuno che ha molta fretta!» osservò Gerardo, avviandosi verso il corridoio. Marcello lo seguì, mentre uno strano presentimento cominciava a farsi largo nel suo animo: chi mai poteva essere, a quell’ora di sabato? L’unica ipotesi che gli veniva in mente era una visita a sorpresa della Guardia di Finanza, ma lo escluse a priori, giacché avevano ricevuto una visita delle Fiamme Gialle meno di un mese prima, con esito assolutamente positivo, poiché sarebbe stato davvero il colmo, per lui e il suo socio, predicare tanto contro l’evasione fiscale e poi esercitarla in prima persona.
E, comunque, anche se si fosse trattato di un controllo da parte dei finanzieri, non avrebbero fatto certo tutto quel baccano per farsi aprire.

Gerardo aprì la porta e, immediatamente, Marcello vide i figli della sarta precipitarsi dentro.
«
Alessio, Valentina, perché siete qui? Non dovreste essere a scuola?» domandò loro, sorpreso oltre ogni dire.
«Ci stavamo andando» spiegò il bambino, cercando di riprendersi dalla corsa, «quando abbiamo visto gli uomini in nero rapire Beatrice!»
«Come sarebbe a dire che gli uomini in nero hanno rapito Beatrice?» chiese l’altro, attonito.
«È la verità! Vieni con noi al negozio della mamma... vedrai che c’è solo lei!» rispose con veemenza Alessio, guardandolo tra l’offeso e l’agitato.
Il biondo si limitò a osservare i due fratelli senza dire una parola, cercando ancora di afferrare in pieno il significato di ciò che gli avevano detto: uomini in nero... rapito... Beatrice.
Quelle parole gli rimbombarono in testa, come se tante mine stessero esplodendo una dietro l’altra, accrescendo la confusione sorta nel momento stesso in cui aveva appreso la notizia.
Vacillò per un instante, quando la voce di Valentina lo strappò violentemente al baratro buio in cui stava per cadere:
«Marcello!»
La bambina gli corse incontro e lo abbracciò all’altezza della cintura - il massimo che poteva raggiungere, avendo solo sette anni - piangendo disperatamente.
Lui si abbassò al suo livello e le accarezzò una guancia bagnata di lacrime.
«Quando è successo?» domandò. La sua voce gli era sembrata estranea e lontana, come se non fosse stato lui a pronunciare quelle parole.
Valentina cercò di trattenersi quanto bastava per rispondere: «Poco fa. Noi stavamo andando a scuola, c’era la nebbia, loro erano lì e... e l’hanno presa!»
E riprese a piangere, buttando le braccia al collo del ragazzo e cercando il suo conforto.
Marcello, allora, spostò lo sguardo, prima su Alessio, che sembrava anche lui sul punto di scoppiare in lacrime, e poi su Gerardo, il quale si limitò a ricambiare l’occhiata con espressione funerea.
«Dobbiamo riaccompagnarli dalla loro mamma» sentenziò, atono, rivolto all’amico.
«Non volete andare dalla polizia? Noi siamo i testimoni!» esclamò il ragazzino, come se si sentisse oltraggiato nel suo ruolo.
«Siete dei bambini, è pericoloso. Ma dopo andremo certamente alla polizia e vedremo. Se dovesse esserci bisogno di voi, verremo a prendervi, d’accordo?» spiegò il biondo, non completamente sicuro di ciò che aveva appena detto. D’altra parte, ancora non riusciva a credere che la sua Beatrice fosse stata rapita. Gliela avevano portata via e lui non aveva potuto far niente.
Anzi, a malapena era venuto a saperlo. Non c’erano ancora indizi, ma Marcello sapeva che dietro tutto quello c’era quel depravato di Navarra, perché solo lui avrebbe potuto spingersi a tanto.
«Vado io a chiamare la signora Sofia, va bene?» propose Gerardo. «I bambini sono scossi e tu non hai una bella cera».
«Sto bene» fece bruscamente il biondo, staccando delicatamente Valentina da sé e mettendosi in piedi.
Ma l’altro non si fece incantare e ribadì: «No, non stai bene. Rimani con loro, io torno subito».
Poi si adoperò affinché i due fratelli fossero sistemati sul divano, al caldo, così da avere modo di cominciare a riprendersi, dopodiché si diresse nella stanza attigua per prendere il soprabito ed il portafoglio.
Marcello accarezzò subito la testa di Valentina, che si stava addormentando per lo stress, e diede un buffetto ad Alessio che teneva per mano la sorella, preoccupato. Il bambino gli sorrise.
Era molto bello vedere come si prendeva cura della sorellina e come vegliava sul suo sonno, anche se era provato a sua volta; benché fossero entrambi ancora molto piccoli, cercava di comportarsi da coraggioso, nascondendo la preoccupazione.
Quel pensiero innescò in Marcello una serie di considerazioni a catena sul concetto di fratellanza, che si conclusero con una considerazione: Guido doveva essere sicuramente al corrente di tutto.
Lasciò perciò un attimo i ragazzini e si affrettò a raggiungere il suo amico prima che uscisse, trovandolo già con la porta aperta davanti a lui.
«
Scommetto che quel bastardo schifoso sa dov’è!» esordì, al suo indirizzo, sicuro di quanto stava affermando.
«Chi?» domandò Gerardo, incuriosito.
«Guido Tolomei
».
L’altro ci rifletté su per alcuni secondi. «Potrebbe. Ma come fai ad esserne certo?»
«Non ne sono certo, ecco perché andrò da lui e mi farò dire cosa sa del rapimento della sorella, con le buone o con le cattive».
«Marcello, dovresti calmati, non ti...»
«Calmarmi?! Tolomei ha venduto Beatrice a Navarra fece il biondo, fuori di sé dalla rabbia. «Trovami un solo motivo per restare calmo ed un altro per non andare da lui a frantumargli le ossa una per una!»
Gerardo, però, doveva essere di tutt’altro avviso, giacché scosse la testa: «Non risolveresti niente prendendotela con lui. Non in questa situazione, almeno».
«
E tu cosa suggeriresti di fare, allora? Sentiamo!»
«Non puoi andare alla polizia, perché non sei un parente stretto di Beatrice e, comunque, anche se ci andasse quel Guido, dovrebbero comunque aspettare le ventiquattro ore prima di dichiarare la scomparsa. E, purtroppo, non credo che le testimonianze di Alessio e Valentina contino molto, visto che sono solo dei bambini» gli spiegò, con calma.
«Quindi?
» incalzò il biondo, sempre più spazientito. Davvero non sapeva come potesse restare impassibile in una situazione del genere: avrebbe voluto vedere come si sarebbe comportato se qualcuno avesse sequestrato Vittoria. Sicuramente non sarebbe rimasto a dispensare consigli con tutta quella tranquillità!
«
Ora vado dalla signora Sofia e pensiamo ai bambini. Poi andremo a parlarne con tuo padre, lui saprà cosa consigliarti, come quando eravamo solo dei ragazzini» affermò con estrema convinzione Gerardo. «So che sei in pensiero per Beatrice, ma dobbiamo muoverci con intelligenza. Tu non sai dov’è Guido, potrebbe benissimo essere anche lui con Navarra e compagnia».
Marcello, superato l’impulso iniziale, dovette ammettere che l’idea del suo amico era la più sensata da seguire, in quel frangente. Se non altro, la grande fiducia che nutriva nei confronti del genitore era un grande incentivo a seguire il suo consiglio.


Diversi minuti dopo, i due ragazzi entrarono letteralmente correndo, nel salotto dove si trovavano il signor Giancarlo e sua moglie, al punto da aver quasi travolto Ottavia all’ingresso, ma limitandosi a gridarle qualche scusa, senza fermarsi.
«Come mai tutta questa fretta?» si informò l’uomo, sollevando gli occhi dal libro che stava leggendo e guardandoli al di sopra delle lenti degli occhiali.
«Sì, Marcello, non si corre in casa. Deve essere la cattiva compagnia che ti sta portando sulla strada sbagliata» disse, invece, la Matrona con disprezzo, senza smettere di ricamare una tovaglietta per la colazione.
Gerardo fece un passo indietro, come mortificato da quel giudizio, ma Marcello lo agguantò per un braccio per impedirgli di allontanarsi ancora.
«È una cosa urgente, papà, ho bisogno di aiuto e di un consiglio da parte tua» annunciò, rivolgendosi esplicitamente all’uomo e tale selettività richiamò l’attenzione della madre, che mise da parte il ricamo e riservando al figlio un’occhiata gelida.
«Il mio parere non conta, dunque?»
Il ragazzo, però, la ignorò, in attesa di un cenno del signor Giancarlo. Anche l’uomo non diede peso alla moglie e, dopo aver messo un segnalibro all’interno del tomo che stava leggendo, mise le braccia in grembo e disse: «Dimmi tutto, Marcello».
Il giovane, allora, chiuse gli occhi ed inspirò a fondo, prima di vuotare il sacco: «
Hanno rapito Beatrice».
«Rapita?» ripeté il padre, mostrando chiari segni di stupore sul viso.
«Beatrice?
» si inserì la donna, riducendo gli occhi a due fessure. «Tu hai frequentato quella mocciosa a mia insaputa?»
Marcello aprì la bocca per rispondere, ma non fece in tempo, giacché la madre lo investì con le sue orrende ingiurie.
«Hai venticinque anni! Non ti vergogni a sbavare dietro ad una ragazzina che ha appena finito di giocare con le bambole?!» sbraitò, accalorata dalla foga, facendo tentennare il ragazzo per un secondo: purtroppo, la differenza di età tra lui e Beatrice era un tarlo che non aveva mai smesso del tutto di tormentarlo.
«Claudia, per favore, non mi sembra né il luogo, né il momento per queste tue considerazioni gratuite» intervenne gentilmente il marito, riprendendola.
«Tuo figlio sta infangando il nostro nome!»
«Mio figlio sta facendo ciò che ritiene giusto» la corresse l’uomo, guardandola con cipiglio severo. «E lo ritengo anche io».
Il viso della signora Claudia, non trovando l’appoggio del consorte, divenne una maschera d’ira; quindi, si alzò con fare impettito e lanciò ai due giovani un’occhiata disgustata, per poi raccogliere il suo cestino da cucito e la tovaglietta, per poi, finalmente, lasciare la stanza senza aggiungere una parola.

«Il dottor Morozov se l’è data a gambe, quando gli ho chiesto se fosse disposto a curare anche tua madre» sospirò il signor Giancarlo, alzandosi dalla poltrona ed avvicinandosi ai due giovani.
«Ah, è per questo motivo che se ne è andato?» chiese Marcello, provando ancora più solidarietà verso l’uomo.
«Sì. Non avrebbe potuto sopportare sia Ortensia che Claudia. Perciò dovrò rivolgermi ad un altro psicologo, oppure direttamente ad uno psichiatra» valutò a voce alta il signor Tornatore, scuotendo la testa.
Poi, si rivolse di nuovo al figlio: «Affari di famiglia a parte, raccontami per bene che cosa è successo a quella dolce ragazza».
In breve, il biondo raccontò cosa e come aveva appreso del rapimento di Beatrice, compresi i sospetti che aveva formulato sulle cause, mentre Gerardo annuiva o aggiungeva qualche dettaglio. L’uomo ascoltò con molta attenzione ogni singola parola e, quando i due ragazzi tacquero, rimase in silenzio per qualche secondo.
«Gerardo, hai ragione, la polizia non potrà mai darci i dettagli che vorremmo. A meno che...
»
«A meno che?» incalzò Marini.
«Potrei chiedere al questore se può fare uno strappo alla regola».
Marcello, stupito, si voltò verso Gerardo, notando che aveva avuto una reazione molto simile alla sua: non avrebbe mai pensato che a suo padre sarebbe venuto in mente di scomodare le alte sfere. E, sinceramente, aveva i suoi dubbi sulla riuscita del piano.
«Vorresti rivolgerti ad Augusto Saltarini?» chiese il giovane, incredulo.
«Sì, penso sia l’unico che possa aiutarci» ribatté il signor Giancarlo, avviandosi con passo spedito verso la libreria. Ne estrasse un libricino che assomigliava ad una rubrica telefonica e cominciò a sfogliarlo.
«Papà, no, non voglio favoritismi!» si oppose il figlio, profondamente contrario a quel tipo di soluzione, nonostante, in cuor suo, sapesse essere l’unico appiglio cui poteva aggrapparsi per sperare di rivedere Beatrice.
«
C’è di mezzo la vita di una ragazza, non sono favoritismi, solo un consiglio ad avviare le indagini prima che sia troppo tardi. Non ti sto raccomandando per farti diventare vice questore aggiunto» spiegò con calma l’uomo, continuando a girare i fogli.
«Ecco, qui. Trovato!» aggiunse dopo poco, esultando. Piegò la rubrica e, con un sorriso stampato sul volto, si avviò verso il suo studio, probabilmente per telefonare a Saltarini, non senza aver prima lasciato loro un’ultima raccomandazione:  «Ah, Gerardo... ti affido questa testa calda: fai in modo che non si faccia prendere dalla voglia di cambiare i connotati al fratello di Beatrice».
Marcello sbuffò e l’amico dovette trattenersi dallo scoppiare in una risata divertita.
A quanto pareva, il signor Giancarlo conosceva bene i suoi polli.
***

La prima cosa che Beatrice avvertì, quando cominciò a riprendere i sensi, fu un forte senso di nausea. Si sentiva pesante, stanca, dolorante in ogni parte del corpo e persino aprire gli occhi le costò un’enorme fatica.
All’inizio, rimase a fissare il soffitto, come in stato catatonico, incapace di muoversi e di parlare: sentiva la lingua attaccata al palato e la sensazione le risultò quanto mai spiacevole.
Nella sua mente, dapprima confusa, cominciarono pian piano a riaffiorare gli ultimi ricordi e fu allora che si accorse di trovarsi in un luogo sconosciuto, mentre una luce rossastra filtrava dalle persiane della finestra di fronte, consentendole di esplorare l’ambiente almeno con lo sguardo: un armadio con un’anta pendente, tende tarlate e cadenti, chiazze di muffa sul soffitto e muri scrostati. Per quanto Villa dei Salici fosse messa male, non era certo in quelle condizioni.
Questa nuova scoperta l’aiutò a scrollarsi di dosso il senso di stordimento e la spronò a cercare di mettersi seduta, anche se invano: non era arrivata nemmeno a piegare il busto, che una fitta tremenda alla testa la obbligò a tornare supina, mentre la nausea aumentava.
Allora, si impose di restare calma, per non peggiorare la situazione e per trovare un minimo di sollievo in tutto quel malessere.
Era certa di non trovarsi a casa, perché non riconosceva quell’ambiente; anche se non si sentiva molto lucida, era più che sicura di non aver mai visto un posto come quello. Dov’era finita, allora?
Ricordava con sicurezza che quella mattina c’era la nebbia e che lei era uscita di casa per recarsi in merceria. Era quasi arrivata, ma poi non si ricordava più nulla, fino al risveglio in quella stanza.
Cercò nuovamente di mettersi seduta, ma il secondo tentativo non andò meglio del precedente. Ricadde sul qualcosa di morbido e, allora, si accorse di trovarsi su un materasso e di avere i polsi e le caviglie legati da pesanti funi.
«C-Che cosa...?» farfugliò, confusa, senza finire la domanda. Persino la sua stessa voce le risultò strana, come arrochita da una brutta tosse, e per un istante si augurò di star facendo solo un brutto sogno.
La realtà, però, le si manifestò crudelmente, quando una risata cavernosa le rimbombò nelle orecchie.
«
Ti sei svegliata finalmente, dulzura».
Si voltò lentamente verso la direzione da cui proveniva il suono, mentre una strana inquietudine si impadroniva di lei: solo una persona avrebbe potuto chiamarla in quel modo.
Infatti, era proprio lì, fermo sulla porta, che le sorrideva sardonico.
«Na.. var... ra» mormorò lei, osservandolo attraverso le palpebre, semichiuse per il dolore alla testa.
L
’uomo, allora, si avvicinò al letto e si sedette accanto alla fanciulla, senza cambiare l’espressione di godimento che aveva stampata sulla faccia.
«
Buenas tardes, niña» la salutò, accarezzandole i capelli.
Beatrice si ritrasse bruscamente, incurante della fitta scaturita dal suo movimento improvviso. Preferiva infliggersi del dolore da sola, piuttosto che farsi toccare da quel mostro.
Di fronte alla sua reazione, però, Conrado rise di nuovo.
«Anche in queste condizioni, non hai perso
il tuo bel caratterino, eh?» le disse, prendendole il mento tra due dita. Poi si avvicinò maggiormente e le sussurrò: «Sei molto eccitante».
La ragazza, nell’udire quelle parole, strizzò gli occhi e avvertì risalire un conato: se avesse avuto qualcosa nello stomaco, probabilmente avrebbe rimesso e, forse, sarebbe stato anche meglio. Invece, non solo doveva sopportare tutto quel malessere fisico, ma anche le porcherie che uscivano dalla boccaccia di Navarra.
«
Felipe e Pablo hanno esagerato, non trovi?» proseguì lui, incurante del ribrezzo che le suscitava. Nonostante si sentisse ancora tramortita, Beatrice gli indirizzò un’occhiata carica di tutto l’astio che provava nei suoi confronti. Come aveva osato farla rapire dai suoi scagnozzi?
«Co...sa m’han... fatto?» domandò, sforzandosi di recuperare il più in fretta possibile tutta la lucidità. Non si sarebbe mostrata debole di fronte a quell’animale. Mai.
«Ti hanno drogata, niña, era l’unico modo per... convincerti a seguirli» le spiegò Conrado, lasciando la presa e cominciando a lisciarsi la barba con fare compiaciuto. «Anche se hanno usato più etere del dovuto, avresti dovuto riprendere i sensi ore fa».
Quindi era così che era andata: l’avevano seguita e presa mentre si recava in merceria.
«Questo vuol dire che dobbiamo aspettare domani, per partire» continuò l’uomo, come se pensasse che la ragazza non vedesse l’ora di essere messa al corrente dei suoi loschi piani.
Tuttavia, con una fitta allo stomaco, dal plurale che aveva usato l’energumeno, Beatrice capì che, volente o nolente, anche lei era stata coinvolta.
«Partire?» chiese, inquieta.
«
Non possiamo più stare qui, la polizia mi sta cercando. Dobbiamo raggiungere Zanzibar in aereo e tu devi essere in grado di poter salire a bordo».
La fanciulla registrò attentamente ogni singola sillaba: se era vero che le forze dell’ordine si erano messe sulle tracce di quel delinquente, forse aveva ancora una piccolissima speranza di cavarsela e di vederlo marcire in gattabuia.
«Da quando ti interessi della mi’ salute?» gli domandò con tono disgustato, non sforzandosi nemmeno di celare i suoi veri sentimenti.
Conrado le sorrise mellifluo e si alzò dal letto.
«
Dulzura, tu sarai mia moglie, è normale che mi stia a cuore la tua salute».
«Se ti sta a cuore, renditi utile: slegami!» esclamò la fanciulla, mostrandogli i polsi. Adesso che si era ripresa quasi del tutto, sentiva che le corde le stavano segando la pelle.
Navarra finse di star prendendo in considerazione l’ipotesi, assumendo l’espressione di chi sta pensando, ma poi negò col capo: «No, quello ancora no. Non vorrei che fossi colta dall’ansia prematrimoniale e ti venisse la tentazione di scappare».
Beatrice distolse prepotentemente lo sguardo da lui, odiandolo con tutte le sue forze. 
«A proposito, ho prenotato i biglietti sotto falso nome e tu sarai la señora Mendez. Spero non ti dispiaccia se, per la compagnia aerea, siamo già sposati» le disse, dandole le spalle e lasciando che la sua risata sguaiata riecheggiasse tra le mura della casa.
***

Sull’imbrunire, quando il cielo aveva già virato al violaceo e le ultime luci del giorno lo striavano di rosso fuoco, Guido rincasò, avvertendo da subito che c’era qualcosa di strano.
Dal salotto, infatti, provenivano le voci stridule della zia e della cugina, come se fossero state alle prese con una conversazione piuttosto animata ed impegnativa, e il brutto presentimento, che aveva avuto nel passare davanti alla cucina, trovandola vuota, crebbe a dismisura: di solito, infatti, rincasando, trovava sempre Beatrice intenta a preparare la cena.
Proseguì quindi lungo l’angusto corridoio, fermandosi alla porta cadente, dalla quale filtrava una lama di luce pallida, e l’aprì, ritrovandosi faccia a faccia con le parenti che, sedute sul divano scolorito, lo guardarono torve.
«Ah, eccoti qui, pelandrone!» lo apostrofò la zia Assunta, linciandolo con un’occhiata inferocita. «Ci devi delle spiegazioni!»
«Dov’è quella buona a nulla di tua sorella? Deve preparare la cena!» esclamò Anna Laura, puntandosi le mani sui fianchi con fare inquisitorio.
«La Beatrice non l’è ancora tornata?» domandò Guido, stolidamente. Sapeva perfettamente qual era la risposta, ma non voleva accettarla, forse, perché avrebbe dovuto ammettere anche di avere una certa responsabilità nell’accaduto.
«No ed io sto morendo di fame! Non posso ordinare una pizza, sono carboidrati ed io devo mangiare proteine!
» si lamentò la cugina, agitandosi sul posto.
«
Tu sai dov’è?» domandò la donna, alzandosi dal divano e avvicinandosi a lui con una lentezza inquietante.
Il ragazzo ne seguì i movimenti senza riuscire ad aprire bocca, paralizzato dalla consapevolezza di ciò che era successo.
La signora Assunta, vedendo che il nipote non si degnava di darle una spiegazione esauriente, non appena gli fu abbastanza vicina lo colpì in pieno viso con uno schiaffo che lo fece arretrare di qualche passo.
«
Rispondi, screanzato!»
Così spronato, Guido si portò una mano alla guancia e pigolò: «Navarra... l’è stato lui. M’aveva detto che sarebbe venuto a prenderla, ma non immaginavo...»
A conti fatti, non sapeva neanche lui cosa effettivamente si sarebbe aspettato. Che le stupide raccomandazioni che aveva rivolto quella mattina alla sorella sarebbero bastate a proteggerla? Che il suo creditore aspettasse ancora un po’ prima di passare all’azione? Oppure che gli rendesse noti, in carta bollata, ora e giorno in cui gli avrebbe portato via Beatrice?
Navarra non era un gentleman, questo era poco ma sicuro, pertanto il ragazzo era quasi certo che lo spagnolo avesse optato per un modo barbaro quanto rapido per appropriarsi della fanciulla: farla portare via all’insaputa di tutti.
«
Idiota, non potevi mandarla via in un altro momento? Ci serviva ancora!» strillò la zia, agitando pericolosamente un pugno in aria e facendo tintinnare i suoi innumerevoli bracciali.
«Non l’ho deciso io...» provò a replicare il giovane, senza successo.
La signora Assunta alzò la mano per colpirlo di nuovo, anche se, alla fine, non portò a termine il gesto, preferendo invece continuare ad urlare:
«Silenzio! Per colpa tua ora siamo senza una sguattera e senza soldi: lo stipendio che portava quella mocciosa mi era molto utile!»
Nel frattempo, nel salotto era calato il buio e la sola luce della lampada, posta sul tavolino di faggio scheggiato, non bastava più. E fu proprio quello l’istante in cui Guido si sentì solo, spaesato, e prese coscienza del fatto che non avrebbe mai più rivisto gli occhi blu di sua sorella guardarlo con sufficienza, dopo la sua ennesima bravata, per poi diventare più condiscendenti e annunciare che lei l’avrebbe comunque aiutato, anche se non lo meritava.
Era profondamente diversa da lui, sia fisicamente, sia caratterialmente. Era bella, Beatrice, era buona e lui, suo fratello, l’aveva venduta ad un animale per trenta denari.
«Se vuoi rimanere qui, comincia a cercarti un lavoro, allora, perché io non manterrò più nessuno» concluse Assunta, annunciando la sua ultima sentenza; poi, fece un cenno alla figlia e si defilò, uscendo dalla stanza come se fosse stata una regina in procinto di ritirarsi nei suoi appartamenti.
Con la coda dell’occhio, il giovane vide Anna Laura che rideva sotto i baffi, particolarmente appagata dalla scena: si sapeva che odiava i suoi due cugini e vedere la miserevole fine che stavano facendo entrambi doveva farla sentire al settimo cielo. Alla fine, comunque, se ne andò anche lei, spegnendo la luce e lasciandolo al buio, continuando a blaterare qualcosa riguardo il fatto che non avrebbe potuto continuare a seguire la sua dieta dissociata, seppur, per potendosi permettere, per una volta, un’eccezione.
A poco a poco, le voci divennero una presenza lontana e la sensazione di solitudine si acuì, mentre Guido stringeva i pugni. Cosa credeva, che Navarra giocasse quando gli diceva che voleva sua sorella? Sul serio pensava che fosse il miglior partito per lei? Non gli aveva nemmeno permesso di salutarla!
Si inginocchiò per terra e si prese la testa tra le mani, incapace di fronteggiare tutto il turbine di pensieri invisibili che lo stava imbrigliando. Chissà se c’era ancora qualcosa che potesse fare per Beatrice, anche piccola... Sapeva qual era la zona che Navarra aveva scelto per il suo nascondiglio, anche se non ne conosceva l’esatta ubicazione.
Era forse il caso di andarlo a dire alla polizia? E se fosse finito anche lui in galera? Davvero la felicità di sua sorella valeva quel sacrificio o, per meglio dire, la sua vita?
L’unica cosa di cui era certo, in quel momento, era che, se cercava l’occasione per riscattarsi, non gliene sarebbe mai più capitata una migliore.
***

Nel tardo pomeriggio, appena aveva appreso la notizia, era giunta a Villa Aurelia anche Vittoria, con la chiara intenzione di fornire supporto morale - ed anche psicologico - a Marcello, i cui nervi saldi cominciavano ad essere messi a dura prova da quella situazione.
Il signor Giancarlo ancora non era uscito dal suo studio e la cosa aveva messo abbastanza in agitazione il figlio, che, abbandonata la sua tipica razionalità, stava cominciando iniziando a pensare al peggio: il fatto che nessuno si fosse degnato di fargli sapere anche la più piccola novità l’aveva reso piuttosto irritabile.
Se qualcuno, esattamente un anno prima, gli avesse detto che avrebbe avuto così a cuore la sorte di una ragazza, non gli avrebbe creduto, anzi, gli avrebbe riso in faccia, dicendogli che lui non era predisposto all’innamoramento e che, anche se fosse esistita una ragazza capace di attirare la sua attenzione, di certo non avrebbe avuto la fortuna di incontrarla.
In quel momento, si ritrovò a pensare che, a volte, la vita sapeva essere davvero imprevedibile.

«Vedrai che la troverai» disse Vittoria, porgendogli una tisana calda, mentre lui se ne stava appollaiato come un gufo sulla poltrona, in posizione perfetta per non perdere di vista la porta dello studio nemmeno per un secondo.
«Grazie» le rispose, soprappensiero, prendendo la tazza fumante con entrambe le mani. Quel calore era piacevole, ma non sarebbe mai bastato a mitigare il gelo che sentiva dentro: non sapeva alcun che sulla sorte della sua Beatrice e questo gli stava logorando il sistema nervoso. Se solo suo padre si fosse deciso a venire fuori da quella benedetta stanza e metterlo al corrente delle notizie apprese! Cosa significava quel silenzio? Era già successo l’irreparabile? No, non voleva neanche pensare a quell’eventualità.
La ragazza gli sorrise e tornò a sedersi accanto a Gerardo, il quale tamburellava nervosamente le dita sopra il tavolino di faggio vicino a lui.
Per un po’ non si udì altro rumore all’infuori di quel ritmico picchiettare, poi, finalmente, la porta si aprì e, dopo quattro ore di penosa attesa, ne uscì il signor Giancarlo, accolto con la stessa suspense riservata ai chirurghi uscenti salla sala operatoria dopo un intervento particolarmente difficile. Aveva un’aria stanca, ma serena, il che prometteva bene.
«Allora, cos’hanno detto?» domandò Marcello, balzando in piedi, incapace di trattenersi oltre.
I suoi amici si avvicinarono a loro volta, pronti ad ascoltare qualsiasi nuova notizia.
L’uomo si stropicciò lentamente gli occhi, poi disse: «Finora non è stata denunciata la scomparsa di nessuna Beatrice Tolomei. Sarebbe plausibile, non essendo passate le canoniche ventiquattro ore, ma non ci sono stati nemmeno tentativi, quindi sembra che nessuno se ne sia accorto».
«Trovo molto più probabile che nessuno se ne sia interessato» commentò il biondo, velenoso, bofonchiando tra sé e sé. Quindi tornò a rivolgersi al genitore: «Cos’altro hai scoperto?»
«Che c’è un mandato di cattura internazionale contro Navarra e che la polizia stava già indagando su una sua possibile permanenza a Roma. Saltarini mi reputa una fonte attendibile, perciò mi ha garantito che intensificheranno i posti di blocco, soprattutto a Fiumicino e sul Raccordo1».
«Un mandato di cattura internazionale?» ripeté Gerardo, come in preda ad un forte shock. «Navarra è pericoloso, ma non fino a questo punto!»
Vittoria guardò il fidanzato, ma non osò prendere la parola, molto probabilmente perché non conosceva bene i dettagli della vicenda e non voleva fare strafalcioni, né dare opinioni senza fondamento, nonostante sapesse bene che il soggetto in questione era tutt’altro che raccomandabile.
«Sono arrivati questi ordini. Non mi ha detto quale sia il governo in questione, ma sembra che Navarra abbia combinato guai seri in qualche stato europeo» rispose pacatamente l’uomo.
Marcello si massaggiò le tempie, certo che la testa fosse ad un passo dallo scoppiargli: nessuna notizia di Beatrice, quel depravato era in cima alla lista dei più ricercati del Vecchio Continente e la polizia pensava che bastassero due volanti e qualche controllo in più a fermarlo.
Il signor Giancarlo, allora, batté una pacca sulla schiena del figlio, cercando di confortarlo: «Stai tranquillo, vedrai che tutto si risolverà nel migliore dei modi».
Lui annuì, esausto, come se non avesse più le forze per controbattere; d’altra parte, era dalla mattina che non toccava cibo, passando il tempo a struggersi nell’attesa che qualcuno gli facesse sapere cosa ne era stato della sua rossa fiorentina.
Quindi, si risedette sulla poltrona e sospirò, mentre suo padre salutava i due ragazzi, dicendo che sarebbe andato a riposare un poco prima di cena. La Matrona, invece, avendo visto che i due migliori amici del figlio erano nei paraggi, aveva pensato bene di fingere una terribile emicrania e rintanarsi nella stanza da letto, così da essere sicura di non essere costretta ad incontrarli e rivolgere loro la parola in nessun modo.
Perciò, dopo pochi secondi, rimasero in salotto solo loro tre, consapevoli che tutto si era concluso con un nulla di fatto.
«Be’, almeno sembra che aumenteranno la sorveglianza» esclamò Vittoria, con la chiara intenzione di sdrammatizzare e allentare così la tensione, quasi fisicamente palpabile.
«Per quanto ne so, potrebbero aver lasciato il paese e tutti quei controlli potrebbero essere più che inutili» commentò Marcello, tetro, affossandosi ancora di più tra i cuscini.
«Non essere cosi negativo!» lo rimprovero lei, puntandosi i pugni chiusi sui fianchi. «Gerardo, di’ qualcosa a Marcello!»
Il ragazzo si avvicinò e, con la sua solita calma, confermò quanto aveva detto la giovane: «Vittoria ha ragione, non devi perderti d’animo».
«Visto?» esclamò l’altra, più che soddisfatta.
Tuttavia, a Marcello quelle considerazioni inutili stavano cominciando a dare fastidio: che cosa potevano sapere i suoi due amici di cosa stava passando lui, dell’angoscia che lo asfissiava? 
«Smettila di chiacchierare a vanvera!» le intimò quindi, irritato, contraendo la mascella.
Vittoria aprì appena la bocca, assumendo un’espressione mortificata.
«Non te la prendere con lei!» insorse, allora, Gerardo, avanzando minacciosamente in direzione dell’amico.
«Altrimenti, cosa pensi di fare?
» lo sfidò il biondo, alzandosi di scatto e dardeggiandolo con uno sguardo fiammeggiante. «È facile parlare, per te! La tua donna è qui, al sicuro!»
La ragazza, non volendosi dare per vinta, si alzò in piedi a sua volta e si frappose tra i giovani, ordinando loro: «Smettetela di litigare, voi due!»
Entrambi la guardarono, arretrando appena e consentendole di finire ciò che aveva da dire loro.
«Gerardo, Marcello è in pensiero per Beatrice, cerca di comprenderlo» fece lei, elargendo al suo ragazzo un’occhiata dolce. «E tu, Marcello, non arrabbiarti con noi, perché fare così non ti porterà da nessuna parte» aggiunse con tono morbido, rivolta al suo amico.
Quello si risedette sulla poltrona per l’ennesima volta, stremato: l’ansia l’aveva ridotto ad un fascio di nervi, logorandolo come se fosse stato ai lavori forzati per giorni. I suoi amici avevano ragione, non aveva senso prendersela con loro, non era certo in quel modo che avrebbe liberato Beatrice, per cui inspirò a fondo e si sfregò delicatamente le palpebre.
«Sì, voi andate pure, non ha senso che restiate qui».
Ma Vittoria scosse la testa e in qualche passo lo raggiunse, accomodandosi sul bracciolo e prendendo così posto accanto a lui.
«Non ci schiodiamo di qui, invece!» esclamò, risoluta, poggiandogli una mano sul braccio. «Anche noi vogliamo che Beatrice torni a casa, vero, Gerardo?»
Anche il giovane si avvicinò, lo sguardo rivolto a terra. Tentennò un attimo, poi si decise a parlare: «Marcello, perdonami. Hai ragione: se io non dovessi sapere dove si trova Vittoria, farei cose peggiori, probabilmente».
Lei, allora, si voltò verso di lui e gli regalò un sorriso riconoscente, al quale il giovane rispose con un timido cenno: il biondo, nell’assistere a quel silenzioso scambio di gesti d’affetto, capì che, in fondo, non era colpa di Gerardo e Vittoria se avevano la fortuna di poter stare insieme, né, tantomeno, avevano colpa se Navarra aveva deciso di comportarsi come il peggiore dei briganti e rapire una fanciulla che doveva sopportare la condanna di avere come fratello un idiota sconsiderato.
Quel Guido l’avrebbe pagata cara, fosse stata l’ultima cosa che avrebbe fatto!
«Non fa niente. Anch’io ti ho aggredito, ma non sapere dove sia e cosa le stiano facendo, mi uccide» rispose, sentendosi in colpa per come si era comportato con il suo migliore amico.
Gerardo, anche in questa occasione, dimostrò la sua vera bontà d’animo e si limitò a scuotere la testa, come a dire che era già tutto dimenticato ed archiviato, facendo, addirittura, il primo passo di riappacificazione, avanzando verso di lui e dandogli qualche pacca affettuosa sulla spalla.
Marcello incurvò leggermente le labbra per rispondere al gesto, poi appoggiò la schiena contro i cuscini della poltrona e chiuse gli occhi, desiderando solo che finisse tutto quanto prima e formulando una muta e intensa preghiera: se mai avesse avuto modo di riabbracciare Beatrice, promise che le avrebbe detto, finalmente, quanto era innamorato di lei.
***

La sera era calata, portando con sé un freddo molto fastidioso e Beatrice, oramai non più sotto l’effetto anestetico dell’etere, lo percepiva appieno, rabbrividendo sotto la rozza coperta di lana che le avevano dato i suoi rapitori, ma, forse, quello che sentiva non aveva niente a che fare con la temperatura esterna.
Da quello che aveva sentito dire dai complici di Navarra qualche ora prima, doveva trovarsi in una casa abbandonata, situata nelle campagne
poco fuori dalla città; in realtà, avuto anche modo di verificare quest’informazione di persona, quando i due scagnozzi l’avevano condotta in un bagno sporco e diroccato, per consentirle di sciacquarsi e sistemarsi e lei, attraverso le persiane bloccate, aveva intravisto un paesaggio campestre.
A dire il vero, di primo impatto, era stata quasi sul punto di rifiutare l’offerta dei due individui, ma poi, davanti all’opportunità di stare per qualche minuto da sola e di sentirsi liberare i polsi e le caviglie, aveva accettato di buon grado anche di lavarsi con l’acqua fredda - e certamente contaminata - contenuta in una vecchia tinozza.

Ora, però, la ragazza sedeva in un angolo del salotto, mentre, alla luce di alcune torce, Felipe e Pablo
nell’angolo opposto del grande salone confabulavano fra loro, cercando di accendere un fuoco, senza tuttavia riuscire a ottenere brillanti risultati a causa di uno spiffero di vento che continuava a spegnere ogni piccola fiammella che riuscivano a generare. Se si fosse trovata ad assistere a quella scena in un’altra circostanza, probabilmente l’avrebbe trovata ridicola, vedendo che due delinquenti come quelli non erano nemmeno in grado di accendere un fuocherello per riscaldarsi e preparare la cena.
Ad un certo punto, senza troppe cerimonie, la giovane si distese sul divano sfondato - unico pezzo di mobilio nella stanza, escludendo un vecchio tavolo - massaggiandosi i polsi: fino a che non avrebbe mangiato, le avrebbero risparmiato i legacci. Su questo erano stati chiari: Navarra stesso aveva dato quell’ordine, prima di sparire nel tardo pomeriggio.
Chissà dove era andato. Essendo ricercato dalla polizia, in teoria, non avrebbe potuto girovagare come se nulla fosse, a meno che non avesse altri complici lì fuori, pronti a difenderlo.
«Secondo me questo posto è infestato!» sbottò Felipe, alzandosi di scatto e dando un calcio ad uno scatolone abbandonato in un angolo.
«Non dire scemenze!» lo rimbeccò Pablo, insistendo ad accendere fiammiferi che, puntualmente, venivano spenti dal refolo dispettoso.
«E allora spiegami perché non riusciamo ad accendere el fuego!» insorse l’altro, gesticolando nervosamente, per poi indicare il fuoco.
Beatrice si trattenne a stento dallo scoppiare a ridere fragorosamente: due delinquenti di quel calibro che si erano ridotti a dare la colpa ai fantasmi, solo perché non erano in grado di fare una cosa così semplice!
Purtroppo, però, la voglia di ridere le passò subito, perché udì una voce cavernosa e tristemente familiare rimbombare nell’ingresso.
«È tornato il capo» commentò Felipe, lasciando da parte la lotta ingaggiata con legna e fiammiferi. Prese una torcia e si diresse verso l’ingresso, sicuramente con l’intento di illuminare il percorso a Navarra, ed evitare così che inciampasse o cadesse, evenienza che, se non altro, avrebbe davvero dato un po’ di soddisfazione a Beatrice.
«Cosa ha detto la espía, Conrado?» domandò Pablo, quando l’imponente e losca figura fece il suo ingresso nel salone.
Nella penombra, la ragazza vide l’uomo grattarsi il mento con fare nervoso: «Ha detto che lo ha già riferito a Lui: non ci aiuterà più, l’abbiamo deluso troppe volte».
«Questo vuol dire que non ci aiuteranno?» gracidò lo scagnozzo: anche se non lo poteva vedere bene in faccia, il tono che aveva usato era inequivocabilmente preoccupato, come se non avesse mai potuto ritenere possibile un’eventualità simile.
Navarra scosse la testa.
«È stata la spia a metterci la policia alle calcagna!» insorse l’altro complice, dando un altro calcio allo scatolone che, probabilmente, conteneva il cibo destinato alla loro cena.
La ragazza si tirò su per sentire meglio, incuriosita dalla piega decisamente interessante che stava prendendo la conversazione: a quanto sembrava, infatti, quel delinquente si era messo in trappola con le sue stesse mani, probabilmente cercando di imbrogliare qualcuno più furbo di lui e che non si era fatto troppi problemi a vendicarsi.
Solo un evidente particolare, però, non tornava a Beatrice: se questo qualcuno era anche lui un delinquente, come aveva fatto ad interagire con la polizia? Magari, era un pentito che aveva deciso di parlare e rivelare i nomi dei suoi complici...
«Almeno, ho il mio premio de consolación» affermò Conrado, voltandosi verso di lei e studiandola con occhi languidi e bramosi.
A quel punto, la fanciulla, accorgendosi di ciò, lasciò da parte le sue congetture e scattò in piedi, adirata: «E non son il premio di consolazione di nessuno!»
Navarra scoppiò a ridere nel suo tipico modo sguaiato, per poi interrompersi e lanciarle uno sguardo ancor più lussurioso di prima.
«Dopo tutto quello che è successo oggi, ho diritto ad un po’ di sano svago, non trovi, dulzura?» chiese, retorico. Quindi si rivolse ai suoi scagnozzi: «Voi due andate ad assicurarvi che tutto sia pronto per domani mattina: non voglio che ci siano altri incidenti di percorso, claro
I due uomini borbottarono parole di assenso in spagnolo e poi uscirono dalla stanza, lasciandola sola con il suo aguzzino.
Beatrice strinse i pugni, mentre un tremito di rabbia la percorreva da capo a piedi: non era assolutamente intenzionata ad assecondare i desideri sconci di quel depravato e, piuttosto che vedere calpestata la sua dignità di donna, avrebbe preferito morire.
«L’hai aspettato così tanto per avermi, non puo’ attendere ancora qualche altro giorno, fino al matrimonio?
» chiese, tenendo il mento alzato e sfidandolo apertamente. Forse, in quella penombra, Navarra non riusciva a vederla bene in faccia, ma le sue parole non potevano essere certo fraintese.
«Ti sembro uno che aspetta? No, niña, decisamente no» fu la sua secca risposta, mentre muoveva qualche passo verso di lei.
Ma la giovane non si arrese e, tirando fuori tutto il coraggio che aveva, non cedette all’impulso di scappare e proseguì: «Be’, con me lo farai! Se vuo’ sposarmi, devi accettare le mie condizioni».
Navarra rise ancora più sguaiatamente, alimentando l’odio che la ragazza nutriva nei suoi confronti: che essere spregevole e disgustoso era! 
«
Altrimenti cosa succederà? Mi ammazzerai nel sonno?» le chiese, canzonatorio.
«No, non l’ucciderò te
» gli rispose Beatrice, molto lentamente, cercando di prendere tempo e di trovare argomentazioni valide, sebbene quella situazione non favorisse certo la concentrazione. «Farò del male a me stessa. Certo, potresti sempre trovarti un’altra ragazza da sposare, ma tu hai pagato, hai estinto l’ingente debito del mi’ fratello pur di avere me».
L’uomo la fissava in silenzio, come rapito dalle sue parole, e la giovane si augurò di avere la sua completa attenzione, almeno per cercare di guadagnare tempo e poter pensare a qualcosa di più convincente.
«E tu non vuo’ ridurre in cenere i tuo’ affari, vero, Conrado?
» continuò, sforzandosi di mantenere un tono fermo e convincente e di non andare nel panico. Non era affatto facile, ma, in quel momento, era l’unica cosa che poteva fare.
Il silenzio allora calò su di loro come una pesante lama, fredda e affilata, tanto che lei rabbrividì, sentendo la mancanza della coperta ruvida che aveva lasciato sul divano.
Dopo qualche istante, però, Navarra parlò, scandendo ogni parola con tono grave: «
Anche se la spia mi ha tradito, io posso ancora vincere molte partite, Beatriz».
Si accovacciò in terra e cominciò a trafficare con i fiammiferi e con la legna, riuscendo dopo pochi secondi laddove i suoi complici avevano fallito; presto, infatti, nella stanza scoppiettò un bel fuoco vivace e si diffuse un piacevole calore che sembrò invitare Beatrice ad avvicinarsi; tuttavia, la ragazza si guardò bene dal cedere alla tentazione, per evitare di trovarsi troppo vicina a quell’energumeno.
Lui, invece, estrasse dalla tasca interna della giacca una sigaretta e l’accese avvicinandola cautamente alla fiamma, poi si alzò e se la mise in bocca, tirando un paio di boccate ed inspirando il fumo senza fretta.
«Questa sera, però, hai vinto tu, niña» le disse, sogghignando. «Ti sei resa molto più desiderabile di quanto già non fossi e ad un acquisto prezioso va sempre riconosciuto il suo valore».
Tuttavia, la ragazza non replicò, come se avesse il timore che, aggiungendo una qualsiasi altra cosa, il suo aguzzino potesse cambiare di nuovo idea, e trattenne il fiato finché non lo vide oltrepassare la porta della stanza.
Navarra, però, si voltò verso di lei un’ultima volta, languendo ironico: «Buonanotte, dulzura. Riscaldati, non vorrei che fossi raffreddata, il giorno delle nostre nozze».
Subito, l’effetto dell’adrenalina cominciò a scemare e le gambe le cedettero, facendola ritrovare seduta su quello scomodo divano: aveva solo guadagnato un po’ di tempo, senza risolvere effettivamente il suo problema. E adesso, cosa avrebbe fatto?
Si rannicchiò, gettandosi addosso la coperta di lana ruvida e riconoscendo che non c’era via d’uscita, se non quella di assecondare Navarra e abbandonarsi ad una vita di infelicità e sofferenze, dove i suoi sogni e le sue aspettative sarebbero rimaste solo un ricordo lontano dell’infanzia.


Don’t say a prayer for me now
Save it ’til the morning after
No, don’t say a prayer for me now
Save it ’til the morning after2

In quel momento, i versi di una delle sue canzoni preferite le rimbombarono in testa, invitandola davvero a pregare per la sua sorte che sembrava così tremendamente segnata. Finalmente, però, ebbe il coraggio di pensare a Marcello e a tutte le cose che non avrebbero più avuto modo di fare, mentre avvertiva un insopportabile dolore al petto, come se qualcuno la stesse opprimendo e le volesse impedire di respirare. Perché doveva soffrire così tanto? Le sarebbe piaciuto portarlo nella sua amata Firenze, a fargli vedere i posti in cui era cresciuta, magari prendendolo sottobraccio e perdendosi nel suo buon profumo. Invece le sarebbe toccato lasciare l’Italia e scappare come una criminale, seguendo Navarra.
Eppure, Beatrice non si rassegnava al fatto che il suo destino fosse soltanto sottomettersi al suo carnefice, ignorando la propria volontà: era nata libera e tale sarebbe rimasta, non si sarebbe certo piegata ad un compromesso tanto subdolo. Cosa sarebbe servito, dopotutto, continuare a vivere, rimanendo assoggettata ad un uomo vile e meschino come Conrado?
Inoltre, non gli avrebbe dato la soddisfazione di sentirla piagnucolare mentre lui abusava di lei. Era una ragazza, era vero, non poteva sperare di competere con la forza fisica di quell’energumeno, ma aveva un altro modo per far valere la propria posizione, per compiere un ultimo atto di libertà.
La stanchezza, però, cominciò presto a prendere il sopravvento e la luce emanata dal fuoco cominciò ad affievolirsi sotto le palpebre che sentiva sempre più pesanti.
Quanto avrebbe desiderato, in quel momento, trovarsi tra le braccia sicure del suo Marcello! Gli occhi le bruciarono e i pensieri si confusero ancora di più, ma non c’era tempo per le lacrime: non avrebbe mai permesso a Navarra di vincere.
Anche a costo di togliersi la vita.






***
Per la revisione di questo capitolo, ringrazio Lady Viviana per la sua gentile collaborazione; come sempre la grafica del titolo è opera mia.
Ringrazio la mia Anto per il supporto e la pazienza.
***

[N.d.A]
1. Raccordo: ovviamente, si tratta del G.R.A., vale a dire il Grande Raccordo Anulare.
2. Don’t save... the morning after: si tratta della canzone Save a Prayer dei Duran Duran, appartenente all’album Rio (1982).

***


Salve a tutti!
Anche questa volta - miracolosamente - sono riuscita ad aggiornare secondo i tempi previsti. Come avete avuto modo di vedere, nella storia si sta facendo
sempre più presente la nota “giallistica”, tanto è vero che ho deciso di aggiungere, come ulteriore sottogenere, suspence. A tal proposito vi annuncio che, prossimamente, ritoccherò anche la presentazione, cercando di inserire qualcosa che offra una visione più ampia del racconto (che, come ci tengo sempre a precisare, non è solo una storia romantica).
D’altra parte, per me, gli Anni ’80 sono anche questo: rapimenti, malavita e misteri. Spero che non consideriate tutto questo eccessivamente pesante, anche perché vorrei che tutte le componenti avessero pari dignità, ma senza eccedere nell’uno o nell’altro verso.
Ringrazio chi mi ha gentilmente recensito lo scorso capitolo, ossia Aven, Feynman, Anto e Balder Moon; chi legge in silenzio; chi ha messo la storia tra le preferite/ricordate/seguite; chi mi lascerà un parere in futuro.
Sapere che ci siano delle persone interessate a questa storia, nonostante tutto, mi rende molto felice.
Come al solito, vi lascio il link alla mia pagina facebook, dove troverete, nei prossimi giorni, uno spoiler del capitolo dodicesimo (che verrà pubblicato il 25 Marzo) e altre cose.
Alla prossima, per chiunque ci sarà!
Halley S. C.
  
Leggi le 10 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Romantico / Vai alla pagina dell'autore: Halley Silver Comet