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Autore: Futeki    06/03/2015    0 recensioni
Mentre l’inverno volge al termine nella città di San Pietroburgo, Vera Volkov rimane coinvolta in un incidente con la sua auto, rischiando la vita. Tuttavia, qualcuno dall'esterno si accorge che forse non era ancora arrivata la sua ora e decide di fare in modo che lei possa vivere ancora, ritornando alla sua vita piena e complicata, fatta di amori impossibili, situazioni familiari complicate e una buona dose di soprannaturale.
[Storia nominata agli Oscar EFPiani 2016 nella categoria "Migliore attrice non protagonista" (voce narrante)]
[Quarta classificata al contest “Le notti bianche di San Pietroburgo” indetto da Primavere rouge sul forum di EFP e vincitrice dei premi "Best place: Miglior ambientazione" e "Best Tear: Storia più commovente" nel contest “Tragic and Epic Love” indetto da Jo_gio17 sullo stesso forum.]
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Le città dei maledetti'
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CAPITOLO UNO

 

 

La camera di Vera puzzava di disinfettante e medicinali e i corridoi dell'ospedale in cui era stata ricoverata in seguito all'incidente erano animati da un continuo viavai di gente. Suo padre e alcuni altri uomini erano costantemente impegnati a liquidare le domande dei medici, che si interrogavano sull'inspiegabile rapidità con cui la ragazza stava guarendo.

A Vera, infatti, non era rimasto che qualche graffio e un paio di lividi dopo sole due settimane di convalescenza e i dottori non riuscivano a comprendere come avesse potuto riprendersi così in fretta.

«Non preoccupatevi», continuava a ripetere uno degli amici del padre di Vera, «conta solo che stia bene.»

Isey era un uomo alto e grosso, di quelli che mettono paura agli altri con la loro sola presenza, senza fare niente in particolare. Di conseguenza, aveva la preziosa capacità di mettere a tacere le persone senza il minimo sforzo, inclusi i dottori di Vera. Ronzava attorno alla ragazza come una guardia del corpo in piena regola, vegliando su di lei e sopportando pazientemente le sue vane proteste.

«Hai intenzione di farmi da baby-sitter ancora per molto?», gli chiese Vera irritata.

«Solo finché tuo padre lo riterrà necessario», replicò lui tranquillamente.

«Sono un lupo», ribatté lei offesa. «So cavarmela da sola.»

La prima volta che sentii quella risposta, pensai a un gioco di parole sul suo cognome[1]. In un secondo momento, mi convinsi che la ragazza si riferisse ai Lupi di Tambov[2]. Non mi parve difficile immaginare il padre di Vera, un uomo imponente e dall’aspetto autoritario, a capo di una banda. Lo stesso Isey sembrava perfettamente in grado di essere un membro di qualche organizzazione criminale. Questa teoria avrebbe spiegato l’enorme quantità di persone che andavano e venivano dall’ospedale: se Vera era realmente la figlia del capo andava protetta a ogni costo.

Ci vollero solo pochi altri giorni prima che Vera avesse il permesso di lasciare l’ospedale.

«Credi che papà mi lascerà qualche ora di libertà adesso che sto bene?», chiese Vera a Isey. Suo padre andava a trovarla spesso, ma solo per pochi minuti, giusto il tempo di ricordarle di restare sempre vicina alla sua guardia del corpo.

«Potrai chiederglielo quando sarai tornata sana e salva a casa», replicò tranquillamente Isey.

Vera parve non ascoltarlo neanche, impegnata com’era a ticchettare sulla tastiera del cellulare.

«Facciamo così», iniziò. «Va’ a casa e di’ a mio padre che tornerò tra un paio d’ore. Se dovesse arrabbiarsi troppo inviami un SMS e vedrò di tornare il prima possibile.»

Isey la guardò con un sopracciglio sollevato. «Tu vuoi farmi ammazzare, signorina.»

«In realtà no», replicò tranquillamente lei. «Se avessi voluto questo sarei già scappata.»

Isey sospirò. «Hai intenzione di dirmi dove vai?», chiese rassegnato.

Vera scosse la testa. «Questo è esattamente il genere di informazione che ti farebbe ammazzare.»

«Perché dici questo?»

Isey, che di solito sembrava saperla lunga quando parlava con Vera, questa volta pareva davvero sorpreso.

«Perché secondo mio padre l’ambasciatore porta pena, quando porta un brutto messaggio.»

«Non ti seguo.»

«Lascia perdere», tagliò corto Vera, prendendo la propria giacca dalla sedia e infilandosela. «Ci vediamo a casa tra un paio d’ore.»

«A meno che tuo padre non mi faccia a pezzi prima.»

«Sei il mio eroe», concluse schioccandogli un bacio sulla guancia. Lui le sorrise.

 

 

Geograficamente, Alexander Park era esattamente al centro della città, nel cuore di Petrogradskaja[3]. Vera aveva corso fino al parco il più velocemente possibile, passando per strade secondarie e voltandosi di tanto in tanto per controllare che nessuno l’avesse seguita. Quando finalmente arrivò a destinazione, entrò nel parco e si sedette su una panchina, su cui era già seduto un ragazzo, più o meno della sua stessa età. I due non si scambiarono neanche un’occhiata e rimasero in silenzio per diversi minuti.

«Ti hanno seguita?», mormorò lui dopo un po’, senza voltarsi a guardarla, come se stesse parlando tra sé.

«No», replicò secca lei. «Ne sono certa.»

«Bene», rispose lui. La tensione abbandonò finalmente le sue spalle.

Il ragazzo seduto su quella panchina aveva l’aria di chi sta aspettando qualcosa e non sta più nella pelle. I suoi occhi verdi fissavano il vuoto, ma il tremolio della sua gamba tradiva la sua impazienza. Vera, al contrario, sembrava perfettamente a suo agio, come se sedersi su quella panchina fosse per lei la più quotidiana delle azioni.

«Uscita dal parco gira a sinistra e procedi per un centinaio di metri», prese a dire lui. «Sulla destra c’è una stradina che solitamente è deserta.»

«Ho capito», disse semplicemente lei.

Lui si alzò senza ancora degnarla di uno sguardo e si diresse verso l’uscita del parco. Vera rimase seduta per qualche altro minuto a contemplare i fiocchi di neve che si posavano sui rami spogli degli alberi, poi si avviò anche lei verso l’uscita, seguendo le impronte già sbiadite lasciate nella neve dal ragazzo.

Seguì alla lettera le sue istruzioni e dopo cento metri sulla strada principale, svoltò in un vicolo abbastanza stretto. Improvvisamente, una mano la afferrò per il braccio e la trascinò al riparo dagli occhi dei passanti.

Il ragazzo del parco la strinse in un abbraccio soffocante e lei emise qualche mugolio di protesta, ancora ammaccata dopo l’incidente. Poi lui le prese il viso tra le mani e la baciò. Lei sorrise contro le sue labbra, poi mise le proprie mani sopra le sue e ricambiò il bacio.

I due ragazzi si baciarono per alcuni interminabili istanti, immersi in un mondo tutto loro, così personale e lontano dalla realtà da rendere quasi magico quel vicolo nascosto di San Pietroburgo, al punto che mi sentii in colpa a osservarli in un momento tanto intimo. Eppure, un’inspiegabile forza mi impediva di distogliere lo sguardo da quello spettacolo straordinario, magnetico, scaturito dalla potenza di un sentimento così profondo che, mi resi conto, doveva essere una delle ragioni per cui valeva davvero la pena vivere.

«Stai bene? Non sai quanto sono stato in pensiero per te», disse il ragazzo. «Sono stato più volte sul punto di telefonarti.»

«Così ci avrebbero scoperto subito», replicò lei. «Sai che il massimo che possiamo concederci sono SMS privi di informazioni.»

Vera sembrava piuttosto tesa e continuava a lanciare occhiate indagatrici in giro.

«Lo so», disse lui, «ma quando ho saputo dell'incidente sono andato nel panico. Se oggi non avessi ricevuto il tuo messaggio per incontrarci al parco avrei sicuramente fatto qualche sciocchezza.»

Lei si addolcì, tradendo il suo profondo affetto per lui. «Per fortuna ti ho preceduto», disse sorridendo. «Sto bene, Liev. Ma adesso dovremo trovare un altro posto dove incontrarci. Il parco non è più sicuro.»

«Controllano i tuoi messaggi?», chiese lui preoccupato.

«Non ancora, ma ho il sospetto che mio padre inizierà presto a farlo. Isey non può coprirmi per sempre.»

Liev sospirò. «C'è una cosa che devo dirti, Vera.»

La ragazza si irrigidì, probabilmente temendo il peggio, ma la sua voce non tradì alcuna emozione. «Dimmi.»

«Mio padre vuole che io mi avvicini a te. Mi ha chiesto di... conquistarti.»

Vera emise un risolino nervoso. «E tu gli hai detto di no, vero?»

Fu il turno di Liev di ridere. «Mio padre ti sembra una persona a cui si può dire di no?»

Vera deglutì. «Perché vuole che ti avvicini a me?»

«Non lo so ancora. Ma so per certo che non permetterò che qualcuno ti faccia del male. Però possiamo volgere la situazione a nostro vantaggio.»

«Non vedo come», disse Vera scoraggiata.

«Potremmo vederci nella zona ovest della città. Nessuno dei tuoi si avventurerebbe in territorio nemico senza un motivo valido e invece gli uomini di mio padre potrebbero confermargli di averci visti insieme. Noi non dovremmo più nasconderci, saremmo liberi di stare insieme.»

«E se tuo padre ti chiedesse di sfruttare il tuo collegamento con me ai danni della mia famiglia?»

«Faremo il doppio gioco. Possiamo cavarcela.»

Vera sospirò. «Non abbiamo molta altra scelta, vero?»

Liev fece un sorriso amaro e la abbracciò. «Io cercherò sempre il modo di stare con te, Vera. Non importa quanto mi costerà.»

Lei lo baciò di nuovo.

Quando si separarono, Liev si tolse il giubbino e lo lasciò cadere a terra. Poi afferrò il collo della propria maglietta e se la sfilò con un gesto elegante.

Vera lo guardò e sorrise, poi lo imitò e si tolse la giacca.

Devo confessare che conoscendo la passione che i vivi hanno per il sesso, il mio primo pensiero fu che i due ragazzi si sarebbero accontentati anche di quel vicoletto, pur di stare insieme. Per questo pensai che avrei dovuto lasciarli soli e rispettare la loro privacy, anche se l'imbarazzo era uno di quegli stati emotivi tipicamente umani che non mi appartenevano. Fortunatamente, le mie elucubrazioni furono interrotte da un luccichio che catturò la mia attenzione.

Gli occhi di Vera divennero gialli e brillarono nel buio.

Mentre finiva di spogliarsi, la ragazza si piegò in avanti, allungando le braccia verso terra. Gli arti le si ricoprirono di una folta pelliccia bianca, che a poco a poco raggiunse il busto e la schiena e la rivestì completamente. Le orecchie divennero più appuntite e il muso si allungò. Con un ululato, Vera completò la sua trasformazione in lupo.

«Shh», la zittì Liev, mentre anche i suoi occhi diventavano di un arancione brillante. «Ci sentiranno», la ammonì con dolcezza. Poi, molto più rapidamente di Vera, si trasformò in un grosso lupo dal pelo grigio, decisamente più grande di lei, ma altrettanto aggraziato.

Giocando come due cuccioli liberi da ogni preoccupazione, i due innamorati si addentrarono ancora di più nel vicoletto nascosto, percorrendo le strade segrete di San Pietroburgo.

 



[1] Il cognome di Vera, Volkov, molto diffuso in Russia, può essere tradotto anche come “lupo”.

[2] La Banda di Tambov o Lupi di Tambov è una grande banda di San Pietroburgo, molto attiva in Asia centrale per i suoi traffici di eroina, da dove si approvvigiona, in direzione dei paesi dell'Unione europea. Tra le altre attività sono state individuate le frodi finanziarie e il riciclaggio di denaro. Ha rapporti di collaborazione con l'organizzazione criminale russa Solntevskaja.

(Fonte: http://it.wikipedia.org/wiki/Banda_di_Tambov)

[3] L’isola Petrogradskaja si sviluppa lungo la riva nord del fiume Neva ed è il quartiere centrale di San Pietroburgo; è collegata alla città dal ponte della Trinità.

   
 
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