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Autore: Futeki    06/03/2015    0 recensioni
Mentre l’inverno volge al termine nella città di San Pietroburgo, Vera Volkov rimane coinvolta in un incidente con la sua auto, rischiando la vita. Tuttavia, qualcuno dall'esterno si accorge che forse non era ancora arrivata la sua ora e decide di fare in modo che lei possa vivere ancora, ritornando alla sua vita piena e complicata, fatta di amori impossibili, situazioni familiari complicate e una buona dose di soprannaturale.
[Storia nominata agli Oscar EFPiani 2016 nella categoria "Migliore attrice non protagonista" (voce narrante)]
[Quarta classificata al contest “Le notti bianche di San Pietroburgo” indetto da Primavere rouge sul forum di EFP e vincitrice dei premi "Best place: Miglior ambientazione" e "Best Tear: Storia più commovente" nel contest “Tragic and Epic Love” indetto da Jo_gio17 sullo stesso forum.]
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Le città dei maledetti'
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CAPITOLO DUE

 

 

Realizzai, in quei giorni, di essermi sbagliata. Quelle persone, quando parlavano di lupi, intendevano proprio forti e pelosi lupi che ululavano alla luna. Non erano due clan nemici, ma due branchi di lupi mannari: quello della famiglia di Vera, che controllava il territorio a nord-est del fiume Neva, e quello della famiglia di Liev, dall’altra parte, nella zona sud-ovest di San Pietroburgo.

Vera Volkov, la ragazzina scampata per un soffio alla morte, non era una comunissima umana, bensì un lupo mannaro, non altrettanto fragile, ma comunque mortale.

Nel corso dei secoli, avevo visto arrivare nella mia città le più strane creature soprannaturali. All'epoca dello zar Nicola II, San Pietroburgo aveva ospitato una colonia di upyr[1], vampiri dall'aspetto umano perfettamente integrati nell'alta società, che erano riusciti addirittura a entrare nella Duma. Durante l'invasione dell'armata tedesca, invece, avevano varcato le porte di Leningrado[2] alcuni krayl, demoni capaci di trarre energia da luoghi in cui sono avvenuti massacri.

Per moltissimi anni, coloro che erano riusciti a guardare al di là della banalità del mondo degli umani e a riconoscere l’esistenza di creature soprannaturali, avevano annoverato anche me tra queste ultime. Eppure c’è una differenza sostanziale tra quelli come me e quelli come loro: le creature soprannaturali muoiono, seppur con tempi molto diversi da quelli umani. Per di più, i mortali, quando vengono da questa parte, sono tutti uguali. Dalla notte dei tempi, la morte ha livellato le anime di umani e non, rendendole nient’altro che soffi di vite passate che, prima o poi, sarebbero svaniti tra i venti del tempo. Ha privato di ordine e bellezza antiche gesta[3], collocate in una storia irrilevante di fronte all'oblio. Da questa parte, le anime non sono altro che anime, specchi vacui di una corporeità insignificante.

Tuttavia, in quei giorni Vera Volkov iniziò a farmi credere che la vita poteva non essere insignificante.

Quando tornò a casa dopo l'incontro con Liev, Isey la stava aspettando con impazienza.

«Tuo padre ha giurato di uccidermi lentamente se ti lascio andare via di nuovo», dichiarò non appena lei ebbe varcato la soglia di casa.

«Non preoccuparti, gli sei sempre stato fedele», lo rassicurò Vera. «Non ho dubbi che ti concederà una morte rapida e indolore.»

«Ti spiacerebbe lasciarmi continuare a vivere?»

Vera non rispose e si diresse verso la sua camera. Isey la seguì.

«Vuoi dirmi dove sei stata?»

«No», rispose semplicemente. «Mi dispiace tenerti all'oscuro, ma è meglio così, credimi.»

«Maledizione, Vera! Sto già rischiando tutto per te!», sbottò alla fine. «Ho il diritto di sapere per che cosa lo sto facendo.»

Lei sostenne il suo sguardo furioso per qualche secondo, poi si ammorbidì. «Non per che cosa. Per chi», disse lei. «Mi sono innamorata.»

Isey la guardò a bocca aperta. «Stai scherzando, spero.»

«Per niente.»

Isey la scrutò per qualche altro secondo, aspettandosi forse che lei ritirasse ciò che aveva appena detto, ma Vera non lo fece. «È un umano, vero?», disse lui. «Se fosse uno dei nostri non avresti motivo di incontrarlo di nascosto. Sei la figlia dell'alfa, potresti avere chiunque tu voglia.»

Lei non rispose, in modo da non confermare né smentire le sue ipotesi.

«Mio padre non deve saperlo», disse invece. «Altrimenti siamo morti entrambi», concluse guardandolo con aria seria.

«Lui ti ama?»

Vera sussultò, evidentemente non si aspettava quella domanda.

«Se non fosse così», rispose, «non rischierebbe così tanto per me.»

 

 

Nei giorni successivi, il padre di Vera passò a controllare di tanto in tanto che la figlia non andasse in giro senza permesso. Si assicurò che riprendesse a frequentare la scuola e affidò a Isey l’incarico di accompagnarla e andare a prenderla in auto, visto che quella della ragazza era distrutta.

Alla fine, Vera si decise a chiedere di nuovo l’aiuto di Isey.

«Domani devo incontrarlo», dichiarò. «Se invece di accompagnarmi a scuola mi dai un passaggio fino a Petrogradskaja mi risparmierai un sacco di tempo e potrò tornare per la fine dell’orario scolastico.»

«L’ultima volta che sei stata da quelle parti sei finita con la macchina contro un semaforo», osservò Isey.

«Per mia fortuna questa volta guiderai tu», dichiarò Vera.

Isey sospirò. «Ti accompagno fin lì solo se mi prometti che non attraverserai il ponte della Trinità.»

Il ponte della Trinità collegava Petrogradskaja alla sona sud-ovest di San Pietroburgo, territorio del branco di Liev.

«Te lo prometto», mentì lei.

La mattina dopo, Isey lasciò Vera vicino ad Alexander Park, raccomandandole di tornare in tempo. Vera lo ringraziò e lo salutò, poi aspettò che si allontanasse e aggirò il parco per dirigersi verso il lato est della fortezza di Pietro e Paolo.

Nonostante fosse già marzo, la neve non accennava a smettere di cadere delicatamente dal cielo, imbiancando costantemente la città.

Liev era appoggiato pigramente a un cartello che segnava la fermata degli autobus e il sottile strato di neve accumulata sulle sue enormi spalle dimostrava che era stato fermo ad aspettare in quella posizione almeno per un po’.

Vera gli si avvicinò mentre lui la seguiva con lo sguardo. Era evidentemente difficile reprimere l’istinto di nascondersi, eppure la gioia sul volto di entrambi era più che eloquente quando Liev prese la mano di Vera e strinse a sé la ragazza su un marciapiede affollato della città.

«Siamo ancora in territorio neutrale», sussurrò lei cercando invano di sottrarsi alla stretta di Liev.

«Allora andiamocene subito», tagliò corto lui.

La trascinò attraverso le strade di Petrogradskaja che costeggiavano il margine settentrionale della Neva, fino al ponte della Trinità.

«Non avevo mai attraversato il ponte», dichiarò Vera mentre lei e Liev percorrevano gli oltre cinquecento metri che separavano Petrogradskaja dalla zona meridionale di San Pietroburgo. «E non sono mai stata dall’altra parte della città.»

«Allora ti sei persa un grande spettacolo», dichiarò Liev. «Vedremo di rimediare.»

Lei gli sorrise riconoscente.

Camminarono lungo la prospettiva Nevskij per circa due ore. Vera era affascinata da quasi tutti gli edifici storici che incontravano percorrendo quella strada. Aveva sentito tante volte le storie della sua città, i racconti delle grandi guerre patriottiche, ma vedere con i suoi occhi la Strada del 25 ottobre[4] era tutta un'altra storia.

Alla fine, i due si sedettero su una panchina di un piccolo parco e Liev colse l'occasione per proporre a Vera di andare a casa sua.

«Ti confesso che mi sento a disagio», disse lei. «Essere qui mi rende vulnerabile e venire addirittura a casa tua non mi pare una buona idea.»

«Vera, sto parlando di un piccolo appartamento vuoto in cui vivo da solo, non della casa di mio padre», disse lui. «Non ti porterei mai lì, lo sai.»

«Non vivi con tuo padre?», gli chiese lei sorpresa.

«No. Qui sono vicino alla scuola e libero di tenermi fuori dagli affari di mio padre, anche se lui continua a trascinarmi nella direzione opposta», spiegò.

Vera si alzò e si mise di fronte a lui, con le mani tese per suggerirgli di alzarsi. Pallidi raggi di sole filtravano dal cielo arrabbiato e le illuminavano i capelli scuri. Anche le sottili lastre di ghiaccio che rivestivano l'asfalto, sembravano brillare sotto la coraggiosa luce di marzo. Il Generale Inverno[5] stava chiaramente perdendo la sua battaglia contro la primavera.

«Andiamo», dichiarò lei. Lui le sorrise.

 

 

L'appartamento di Liev era piuttosto piccolo, ma c'era spazio a sufficienza per una persona sola. Era insolitamente ordinato per essere abitato da un ragazzo che viveva da solo, ma c'erano qua e là i segni della personalità di Liev: sul tavolo della cucina c'era un portatile di ultima generazione, nella camera da letto, le cui pareti erano tappezzate di poster, un enorme impianto stereo occupava un terzo dello spazio della stanza.

Vera si guardava intorno affascinata, come se potesse cogliere aspetti sconosciuti di Liev anche solo guardando le sue cose. Poi si sedette sul suo letto, testandone la morbidezza.

«Mi piace», disse lanciando un'ampia occhiata alla stanza.

Liev sorrise e la baciò.

Questa volta, mentre si toglievano i vestiti, a nessuno dei due gli occhi cambiarono colore, sebbene brillassero comunque per ragioni puramente umane.

 

 

«Devo tornare a casa», dichiarò Vera. «Si è fatto tardi.»

Liev, steso pigramente accanto a lei, con un braccio sotto la sua testa e l'altro attorno alla sua vita, mugolò in segno di protesta. Le stava baciando dolcemente la fronte, con il naso affondato nei suoi capelli.

«Dico sul serio», disse lei staccandosi da lui e guardandolo negli occhi. Poi sorrise.

«Devo dirti una cosa, prima», dichiarò Liev. Il sorriso di Vera si spense e il suo sguardo divenne improvvisamente duro.

«Ho scoperto perché mio padre vuole che mi avvicini a te. Secondo lui, in questo modo, mi sarà più facile ucciderti quando verrà il momento di prendere il suo posto», disse Liev in tono grave.

Vera sospirò. «Lo sospettavo.»

«Io ho il diritto di succedergli come alfa del branco in quanto suo figlio, ma per dimostrare di essere meritevole del ruolo devo uccidere un lupo mannaro. E naturalmente è preferibile che non sia un membro del mio branco. Ma suppongo che tu sappia già queste cose.»

Vera annuì. «Mio padre me le ha spiegate. Vale lo stesso per me, ovviamente.»

Liev chiuse gli occhi. «Troverò il modo di fargli cambiare idea. Altrimenti gli dirò che mi hai scoperto e non accetterai più di incontrarmi da sola. Io comprendo la necessità di una prova di forza, ma non posso accettare che sia tu a farne le spese.»

Vera rise amaramente. «Se non io, sarà un mio fratello o una mia sorella a pagare le conseguenze di questa concezione arcaica del potere dell'alfa. Ma d'altra parte, se ci rifiutassimo di provare la nostra forza, un altro lupo si sentirebbe autorizzato a sfidarci e ci ucciderebbe senza dubbio contando su un'esperienza che noi non abbiamo, quindi non abbiamo molta scelta. In più, tuo padre vuole che tu uccida me per colpire anche mio padre.»

«Già. Perché tuo padre ha ucciso mia madre», osservò, ma non c'era accusa nella sua voce.

«Dopo che il tuo aveva dato ordine di uccidere la mia. Non si tratta di colpe da distribuire, Liev, ma di vecchi rancori che sono così radicati da non poter scomparire neanche con il passare delle generazioni.»

Lui sorrise. «Io credevo che noi fossimo l'esempio lampante che si può mettere una pietra sopra agli eventi passati e guardare avanti. Perché dobbiamo pagare per le colpe dei nostri padri?»

«Non lo so», rispose Vera alzandosi dal letto. «Quel che è certo è che dobbiamo adattarci alla situazione attuale. Ed essere pronti a reagire.»

 



[1] L’upyr è il vampiro russo per eccellenza. Secondo il folklore russo ha un aspetto particolarmente disgustoso e un’indole crudele e aggressiva, ed è immune alla luce del sole. In questo caso, l’upyr è descritto come una creatura dall’aspetto umano, molto più civilizzata e perfettamente in grado di integrarsi nella società.

(Fonte: http://it.wikipedia.org/wiki/Vampiri_nel_folclore_europeo#In_Russia)

[2] La città di San Pietroburgo assunse il nome di Leningrado dal 26 gennaio 1924 al 6 settembre 1991. L'assedio di Leningrado, durante la seconda guerra mondiale, durò dall'8 settembre 1941 al 27 gennaio 1944.

[3] Questa frase riprende una citazione di Galimberti (“infonde ordine e bellezza ad antiche gesta”) in cui si riferisce alla poesia, spiegando come sia in grado di trascendere il tempo, la storia e la morte.

[4]  Durante i primi anni dopo la Rivoluzione d'ottobre, la prospettiva Nevskij venne chiamata anche Strada del 25 ottobre.

[5] Il Generale Inverno è l'inverno particolarmente rigido tipico del clima della Russia. L'espressione nacque in occasione della Campagna di Russia napoleonica, quando una lettera del maresciallo Ney affermò che l'Armata francese era stata sconfitta dal clima rigido più che dalle armi. (Fonte: http://it.wikipedia.org/wiki/Inverno_russo)

   
 
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