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Autore: LeMuseInquietanti    12/12/2008    2 recensioni
Pomona/Filius. Dedicata a Sakijune. Alquanto natalizia. Aveva come la netta sensazione di sapere chi si trovasse là dietro.
E non voleva farsi trovare in quelle condizioni.
E non voleva farlo accomodare in casa.
Perché lei era un’acida zitella piena di acciacchi ed incapace d’essere cordiale.
Non a dicembre, a poco più di due settimane dal Natale. Vent’anni.
Un nuovo tonfo alla porta. Una domanda, tremula << Pomona? >>
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Filius Vitious, Pomona Sprite
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Dedicata alla mia adorata Sakijune, anche se in mostruoso ritardo. Ancora buon compleanno.

Impasse
[a Pomona/Filius Xmas story]


Le fiamme crepitavano vispe nel camino.
Le osservava con aria stanca, seduta su una sedia dalle gambe traballanti, tremule. E si dondolava volontariamente, come se volesse sfidare la gravità a spingerla a terra.
Era stanca della staticità della sua esistenza, ma ammetterlo le provocava attacchi di panico. Arrivare alla maturità, i capelli già divenuti fili d’argento mascherati come meglio poteva, vanità infantile che non sapeva correggere nonostante gli sforzi e il buon cuore, arrivare alla sua età e voltandosi, non scorgere che la propria ombra dietro le spalle. Nessuna strada battuta, nessun successo raggiunto.
Certo, vi era l’affetto di tanti ragazzi che erano sbocciati tra le sue piante, crescendo alla luce della sua dolcezza avevano imparato cosa significasse amare e sentirsi cittadini del mondo, non aver alcun timore dell’oscurità gelida capace di avviluppare a volte, anche gli antri più lucidi delle menti migliori. Vi era questo e il rispetto del corpo insegnanti. Dopotutto molti l’avevano vista crescere, da ragazzina sempre sorridente e dall’aria appena persa, in perenne contemplazione della bellezza della natura e interessata ad ogni fenomeno inspiegabile, lo sviluppo della vita in primis, da bambina a giovane donna non particolarmente bella ma di certo portatrice sana di una luminosità comparabile solo all’avvenenza. Il sole che faceva crescere le piante nella serra l’aveva resa una degna compagna degna d’essere ricoperta di delicate ghirlande profumate.
Una donna che, ad un certo punto, come una pianta che incontri il cemento e smette di crescere e collassa su se stessa, aveva raggiunto un’insenatura dove ripararsi dal freddo e con l’intenzione di fermarsi solo per riprendere fiato vi era rimasta per anni. Contemplando il paesaggio vuoto e spoglio sotto i suoi occhi. Restando immobile. Statica.
Le fiamme crepitavano allegre nel camino.
Quale fosse la forza che faceva ardere la legna per lei era un mistero. Uno di quei grandi dubbi che la scienza poteva spiegare, dandone una descrizione. La fisica e la chimica potevano giustificare il fenomeno, ma non il perché uomini e donne amassero contemplare quello spettacolo, dondolandosi su una seggiola confortevole mentre fuori dicembre infieriva sugli alberi del bosco fitto e buio.
Nella sua stanzetta le capitava spesso di riflettere, di perdere ore con un libro tra le mani, o le pergamene su cui erano stilati fiumi di relazioni firmate dai suoi amati studenti. Le capitava di alzarsi intenzionata a terminare la correzione soprattutto delle classi che avrebbero sostenuto il G.U.F.O. e il M.A.G.O. e poi improvvisamente di venir colta da un’improvvisa necessità di adagiarsi in un posto qualunque e chiedersi cosa significasse andare avanti, ascoltare i battiti pazzi del cuore, brancolare nel buio ignorando la strada e lo scopo del viaggio chiamato esistenza. Guardando le piante morire e rinascere si chiedeva se ci fosse giustizia nel circolo perenne, se non fosse tutto inutile. Ogni pianta sarebbe morta, poi avrebbe mostrato una nuova bellezza florida e quasi perfetta, ma poi la neve avrebbe di nuovo asportato ogni merletto fiorito lasciando i rami rachitici a soffrire e a leccarsi le ferite, a piegarsi sotto i venti invernali.
Si chiedeva se fosse possibile vivere in un circolo, sentire di star morendo asfissiata.
Perché anche Pomona, un po’ come le sue piante viveva in un ciclo sempre uguale.
La mattina recandosi a lezione indossava una maschera, un debole sorriso sempre cordiale e lo ostentava con dolcezza dirigendolo al preside, ai suoi ragazzi, agli insegnanti con cui si scontrava per i corridoi. A volte inciampava letteralmente in loro, e quando accadeva soprattutto la McGrantitth lasciava intendere la sua preoccupazione. Pomona stava sfiorendo troppo in fretta, non era giusto o naturale. Qualcosa non andava.
Ma lei tuttavia sorrideva con dolcezza, e poi sfrecciava via, diretta alle serre. Lì esprimeva tutta la sua vitalità, elargiva pillole di saggezza e consigli e raffinati commenti ai suoi allievi insegnando l’arte dell’Erbologia e del rispetto con garbo e discrezione, intromettendosi quanto basta per venire rispettata ed amata da chiunque. In effetti la lezione era il momento più gratificante della sua vita, che si riduceva semplicemente all’affermazione nel campo pedagogico. Soprattutto da quando c’era Neville Paciock, insegnare era diventato un meraviglioso palliativo alla sua inquietudine, e per di più si stava trasformando con il procedere dell’abilità del giovane, in una sorta di vincolo segreto fatto di occhiolini e sorrisi complici tra una donna che potrebbe essere la zia buona ed un adolescente taciturno e insicuro desideroso di crescere.
Pomona intuiva quanto ci fosse di buono in lui. Neville salvava come lei la vita ad ogni essere vivente, anche le piantine più indifese, e soffriva nel vederle appassire, sfiorire.
Era così valente quel ragazzo che, Pomona ne era certa, un giorno avrebbe dato prova di quanto coraggioso e forte fosse.
Pomona aveva questo sogno ormai, aiutarlo a maturare.
E dopo, quando i frutti sarebbero cresciuti, avrebbe abbandonato la cattedra e gliel’avrebbe offerta su un piatto d’argento. Tra qualche Natale Neville avrebbe trovato questo dono sostanzioso sotto l’albero.
L’idea la fece distogliere dalla contemplazione del fuoco.
Nonostante avesse il volto completamente arrossato dal calore della combustione, le sue mani erano bluastre. E qualcosa di più nascosto e intimo era coperto di ghiaccio.
Il suo cuore si era adattato alla solitudine, costruendo uno strato isolante di permafrost. Ghiaccio che nessuno poteva sciogliere.
E in quel periodo, appena prima di Natale, la solitudine, la rassegnazione e i rimpianti cozzavano tra di loro, gettandola in un pandemonio emozionale in cui le pareva di affogare. Vent’anni, ripeteva nella mente, senza posa.
Perché a Natale Pomona aveva un appuntamento, ogni anno sostenerlo sembrava più difficile.
Se avesse potuto, avrebbe preferito morire piuttosto che confrontarsi con lo Specchio dei Desideri. Ma questo si presentava puntualmente, mentre lei se ne stava cautamente, spaventata più che altro, chiusa in casa con le sue piantine nane e i compiti da correggere.

Bussarono alla porta. Come ogni anno. Pomona si riscosse prontamente, lasciando per terra un pacchetto di relazioni che, come al solito, aveva solo finto di correggere. Quella di Neville era l’unica che avesse realmente letto, l’unica di cui realmente le interessasse. I tonfi alla porta furono seguiti da un rispettoso silenzio, e poi da un roco colpo di tosse.
Pomona aprì gli occhi, il suo passo si affrettò diretto all’uscio.
Non riusciva ad aprire.
Aveva come la netta sensazione di sapere chi si trovasse là dietro.
E non voleva farsi trovare in quelle condizioni.
E non voleva farlo accomodare in casa.
Perché lei era un’acida zitella piena di acciacchi ed incapace d’essere cordiale.
Non a dicembre, a poco più di due settimane dal Natale. Vent’anni.
Un nuovo tonfo alla porta. Una domanda, tremula << Pomona? >>
La donna si strinse nelle spalle, si rassettò la veste, portando i fili argentei dei capelli appena dietro alle orecchie. Doveva avere un aspetto terribile, ma di certo indugiare sull’uscio era qualcosa di stupido. E poi di cosa si preoccupava? Ad una come lei non era richiesta che la dolcezza, anche se acida e fasulla. Non bellezza, non fascino. Poteva presentarsi anche con indosso un sacco nero della spazzatura e nessuno ci avrebbe fatto caso. Non c’era nessuno che l’avrebbe poi domandato cosa non andasse. Forse ci avrebbero provato Minerva o Neville, ma lei sapeva eludere le loro occhiate turbate.
Non sapeva eludere però i suoi occhi gentili.
Perché Pomona non era totalmente statica.
Nella sua immobilità la donna compiva una rotazione continua e folle attorno ad un astro. Un astro che per tutti era un patetico sassolino, chissà come si era affermato nella vita.
Ma Pomona amava le cose semplici e i misteri inspiegabili della vita.
E inspiegabilmente, lo amava, e attorno a lui seguitava a orbitare.
Ed era straziante voler aprire la porta e tremare. Ed era struggente quella tosse pacata da udire.
Il freddo copriva la sua mancanza di coraggio, scandendo il tempo.
<< Pomona, sei in casa? >>
La donna aprì la porta. Dall’espressione che l’altro aveva assunto, tutto il turbamento che le scuoteva l’animo dovevano essersi impressi sul suo viso. Ma il “sassolino” era troppo galante e rispettoso per esprimere commenti negativi << temevo non fossi in casa. Di questi tempi ti tormento necessariamente, ormai da decenni >> esordì. Filius Flitwick, togliendosi il cilindro oblungo che calcava sul capo durante ogni suo viaggio. Un cappello anacronistico e consunto, che faceva ridere sotto i baffi gran parte dei giovani studenti, ma che secondo Albus Dumbledore non passava mai di moda. Filius tremò per un attimo, scuotendosi per scacciare lo spettro del freddo, e poi abbassando il cappello e stringendolo con le lunghe dita affusolate accennò un elegante inchino. Anche sul suo capo il tempo aveva infierito. Capelli argentei e lunghi fino alle spalle, gli davano un’aria da regnante caduto in disgrazia. << mi scuso per il maledetto disturbo, Pomona, ma come sai bene il Natale si sta avvicinando e la Sala Grande deve essere addobbata. Mi chiedevo se anche quest’anno tu abbia dei consigli da darmi per le piante che potrebbero rallegrarla. >>

Quelle parole lo facevano sempre sentire un ignavo. Un vile. Un idiota patentato. Perché non bisognava essere degli scienziati per ricordare dopo quasi vent’anni della stessa pantomima, del solito colloquio, della medesima domanda quali piante utilizzare per allietare una maledetta sala da pranzo.
E dopotutto un insegnante di incantesimi doveva necessariamente possedere un’ottima memoria, quelle dannate formule magiche non si potevano pronunciare se non alla perfezione, per evitare di creare mostriciattoli mezzi uomini e mezzi maiali. O peggio, strambi individui della sua stessa stoffa. Filius fingeva di dimenticare per questo motivo.
Andare dritto al sodo, domandarle semplicemente di passare un allegro pomeriggio insieme a riempire di finta neve abeti incantati era troppo difficile.
Ma avere un suo sorriso tremulo, vedere le gote arrossarsi delicatamente e le labbra pronunciare un debole << d’accordo >> era essenziale per lui.
A Natale gli importava solo questo. Un suo prezioso sorriso.
Perché vederla lieta non era raro, ma scorgerla felice era impossibile. E bizzarramente, gli pareva che solo dopo quella richiesta Pomona davvero sorridesse di gioia.
Per il resto era conscio di quanto fingesse. E il peggior dolore è quello mascherato da falso sorriso.
Così continuava a presentarsi da venti anni alla sua porta, bussava e tossicchiava, indossava i suoi abiti migliori, si riempiva di profumo e si impomatava i baffi. I suoi capelli argentei li pettinava elegantemente dietro la testa. E le unghie limate e raffinate nonostante tanti preparativi indugiavano e tremavano, sfiorando il legno levigato della porta.
Per non parlare di quello che combinava il suo cuore, quando gli pareva che lei non dovesse aprire. Per non parlare di quello che combinava sempre il cuore, quando poi Pomona appariva.
E bisogna tacere, sul momento in cui lui la osservava timoroso ed emozionato, e lei abbassava gli occhi grandi e luminosi, ricercando la forza nelle assi del pavimento.

Quella domanda. Che preambolo strano per un uomo del calibro di Filius. Pomona non riusciva a capire perché ogni anno si presentasse indossando i migliori abiti per porle un simile interrogativo. E la cosa che ancora più non riusciva a comprendere, era perché lei tremava e sbraitava, oppure se ne stava immobile davanti al camino finchè quel maledetto giorno non arrivava. Che fossero entrambi posseduti da qualche follia della mezza età? Difficile dirlo.
No, Pomona, sai bene cos’è.
Ma pensarlo in maniera compiuta era difficile e crudele nei suoi confronti.
Illudersi non era la mossa giusta, soprattutto davanti a lui. Soprattutto a Natale.

<< Quest’anno non posso proprio. >>
Filius barcollò su se stesso. << C-cosa? >> borbottò, guardandola in viso. Non vi era alcuna gioia in quegli occhi. Crudeltà sulle sue labbra, ombre scavate ai lati della bocca. Avrebbe voluto sfiorarla con i polpastrelli, accarezzare con devozione quel viso, come un bambino avrebbe fatto con quello di sua madre, o un pellegrino con le labbra della statua di una santa.
Ma doveva solo chinarsi, accusare il colpo. Barcollare debolmente era quanto poteva permettersi senza far trasparire né dolore né delusione.
<< Ho un pacco di compiti a cui affrancare un giudizio. E ho problemi nella Serra, non avrei il tempo materiale da impegnare. >> Pomona sbuffò. Perché aveva così tanta voglia di mettersi a piangere? << mi dispiace >> boccheggiò.
<< Non ti preoccupare, non è un problema. Me la caverò da solo, in fondo posso sempre consultare un tomo in biblioteca. O rivolgermi a Paciock, è un allievo modello nella tua materia dopotutto >>
Pomona si strinse nelle spalle, annuendo << è un ragazzo meraviglioso >> sussurrò.
Filius annuì. Pomona notò che gli tremavano le mani.
<< allora, beh. Ci vediamo domattina >> sussurrò abbassando il capo e indossando con un guizzo il cappello. << Grazie per il tempo che mi hai concesso >>
Pomona avrebbe voluto replicare. Ma Filius si voltò, nascondendosi nel mantello scuro.
Il fumo si sperdeva dal comignolo, imbrattando di nero il cielo rosso per il tramonto.

Filius mosse qualche passo, gli occhi colmi di rabbiosa incredulità. Chi era quella donna? Cosa ne aveva fatto di Pomona? Dov’era finita la persona cordiale e allegra per cui nutriva un profondo rispetto, un’ammirazione viscerale? Dov’era la persona che gli aveva fatto dimenticare, anni prima, con una frase gettata per caso o volontariamente, l’inutilità dell’altezza ? Gli aveva esplicitamente detto che le persone troppo alte hanno il cervello troppo lontano dal cuore e non sanno più amare. All’inizio aveva riso di quella sentenza, non aveva voluto scorgere il complimento. Era troppo timida per certe esclamazioni.
Ma poi aveva compreso cosa gli volesse suggerire. Era stata coraggiosa, per una volta.
E lui in quel preciso istante, non era preparato a riconoscere tanta audacia.
Non mentre si piangeva addosso, commiserando i centimetri che gli mancavano per essere alla sua altezza. Non aveva ancora capito che Pomona considerava nel giudizio l’estensione solo del buon cuore. E il suo tendeva pericolosamente a più infinito. ( nda: questa Saki concedimela, merito delle nostre chiacchierate cibernetiche! )
Quella volta aveva sprecato la migliore occasione della sua vita.
E reiterava l’anniversario di una simile disgrazia presentandosi da lei con la stupida richiesta di partecipare alla decorazione natalizia. Qualche volta si era perfino spinto a domandarle di passare insieme il pomeriggio, a scegliere gli abeti migliori. Era un piacere vedere le gote do Pomona colorarsi appena di rosso. Lei sosteneva per il freddo, ma entrambi sapevano che fosse una piccola bugia. Ma la Foresta Proibita ottenebrava nel suo manto magico ogni segreto, ed era meno difficili fingere che le loro mani si sfiorassero casualmente.

<< Filius! >>
Lo aveva richiamato ed era impossibile tapparsi la bocca.
Ma la paura, il tremore, l’amore la rendevano pazza. Spericolata.
Lei che aveva paura anche degli uomini adesso si era spinta oltre a trincea. Una bomba sarebbe esplosa e l’avrebbe travolta. Se lo meritava. Stupida.
Pomona si avvicinò alla porta. Si reggeva saldamente per non cadere.
Filius si voltò stupito, e incapace di nasconderlo, le mostrò il viso inumidito dalle prime lacrime.
<< cosa? Tu piangi >> borbottò incredula la donna, arrivandogli accanto << come… perché? >>
Il professore sussurrò debolmente. Stava per esplodere anche lui.
Perché Pomona era una stupida ad avergli negato il solito sorriso.
Perché lui era un idiota a non averglielo strappato.
Perché vent’anni di innamoramento e corteggiamento non se li poteva portare via così, un capriccio femminile. Loro si erano promessi aiuto reciproco, o così pareva, erano una squadra magnifica, e adesso il duo si era sciolto. Tornava ad essere solo. Com’era brutto, cadere in basso. E già che c’era era meglio toccare il fondo in un unico schianto inesorabile, e non aggrapparsi ad ogni sporgenza, solo per l’illusione di potersela cavare.
 << Tanto vale dirtelo. Beh, non è Natale senza la tua presenza, Pomona. Non per me. perché quando non ci sei non mi riesce nemmeno possibile immaginare che esistano giorni comuni. Non mi riesce nemmeno possibile vivere. E il periodo di Natale è il più duro, perché spesso non ci incontriamo per settimane. >>
Lei lo osservò sconcertata. Le mancava il respiro. << quando hai capito tutto ciò? >> riuscì solo a domandargli. E le bastò un suo sguardo per conoscere la risposta.
Erano venti lunghi anni che lo sapeva.
Venti lunghi anni, e forse di più.
<< lo so da quando mi hai aperto il cuore e io per codardia ho preferito non esplorarlo. Temevo stupidamente di aver trovato la felicità. Non credevo potessi anche io, un giorno, averne diritto. >> confessò, guardandosi i piedi. Faceva ridere, con il cilindro sulla testa che traballava ad ogni suo gesto.
Codardia.
La stessa che le impediva di accettare la proposta di Filius.
O forse la sua era rassegnazione? Se qualcosa non si realizza per vent’anni chi ci scommetterebbe ancora sopra?
Pomona era pazza a volerci ancora sperare.
Non voleva, ma ci credeva ancora.
<< hai il diritto di essere qualunque cosa tu voglia, Filius. E questo lo sai bene >> replicò debolmente, arrossendo.
Filius le si avvicinò. Sorrise tra le lacrime che gli rigavano il viso appena puntellato di rughe e ciuffi candidi << anche se il mio volere contrasta con quello di un altro, credi che debba farlo valere? >>
<< se è per il bene di entrambi sì >>
<< non so se sia una bene. Ma so che è giusto >> borbottò lui.
Pomona non seppe mai come accadde, ma al tramonto si baciarono.
Fu questione di un secondo, o forse passarono ore.
Si baciarono consumando così il dolore e il timore di vent’anni. Le mani di Filius le sfioravano i capelli argentei, ma non si vergognava più di possederli. Era il tempo che aveva consacrato aspettando quel pomeriggio, non c’era nulla di più bello da portargli in dono.
E Filius non temeva più di essere troppo poco per lei. Il dolore e la frustrazione provata erano una ghirlanda di fiori con cui cingerle il capo, incoronandola sua salvatrice.
Si baciarono a lungo, prima di decidersi ad entrare in casa.
Le fiamme crepitavano ancora nel camino, avevano mangiucchiato e annerito tutti i ceppi di legno.
E c’era tutta una Sala Grande da preparare.
<< domani >> sussurrò Filius tranquillo << domani ce ne occuperemo >>
<< Ma Filius! Il Natale non aspetta. Non ha la nostra stessa pazienza >> sorrisero, sentendosi due stupidi felici << e se bisogna risolvere una questione lunga vent’anni, affrancarle un giorno in più sarà un buon motivo per discuterne più a lungo! >>
Il professore la osservò e sorrise vittorioso << avevano ragione Minerva e Paciock. Non eri felice da tanto tempo >>
Pomona arrossì violentemente << e chi ti dice che ora lo sono? >>
Filius le strappò un nuovo bacio, spensierato << il tuo sorriso. Era da tempo che non lo vedevo più >>. Lei sorrise di nuovo, nascondendo il viso con le mani.

Il giorno dopo nella Sala Grande ricoprendo di luci e colori anche il buio tetro del cielo.
Pomona e Filius sedevano accanto, avevano fatto un bel lavoro.
<< siamo un’ottima squadra >> borbottò Pomona, sorseggiando un po’ di succo di zucca.
Filius le sfiorò la mano da sotto il tavolo, tanto che la donna arrossì e lasciò andare la tazza per non farla scivolare. Tremava fin nelle ossa.
<< che ne dici di essere un’ottima squadra per sempre? Finchè morte non ci separi? >>
Lei lo guardò incredula. Sospirò << anche oltre >>
Aveva spezzato il ciclo. Tornava a sorridere.
Accanto a Filius sarebbe stato sempre Natale. Iniziava allora, la vita.
FINE


U__U Pairing inconsueto per i miei gusti, ma sappiamo bene com'è Sakijune ^^
Ama ogni creatura di cui si conoscano a malapena le abitudini, ama i deboli e gli umili delle storie.
E le persone bizzarre.
E gli amori impossibili, dove il vero vincolo non è la casa d'appartenenza, o il sangue.
è la timidezza, o un complesso. O l'animo umano, incomprensibile e inesplorato.
Spero ti sia piaciuta questa storia, non era esattamente come me l'aspettavo.
Ma una promessa è una promessa, e così l'ho pubblicata nonostante non mi sembri un gran capolavoro.
Spero di dedicartene un giorno una migliore, più sensata, più bella.
Che possa farti davvero sentire felice di esserne la dedicataria.
Per adesso solo i miei auguri, nella speranza che non ti faccia vomitare.
E un ringraziamento a chiunque voglia leggere o recensire, nel bene e nel male.
Maria
  
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