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Autore: Deliquium    08/03/2015    6 recensioni
Una manciata di storie. Fugaci occhiate alle vite di alcuni Specters. Tra presente e passato. L'addio all'umanità. I ricordi. Le cose che non faresti mai. E un solo Dio.
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Garuda Aiacos, Harpy Valentine, Wyvern Rhadamanthys
Note: AU, Raccolta, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Sincretismo'
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Save Our Souls


[ Premessa ]

Black angels laughing
In the city streets
Street toys scream in pain
And clench their teeth
The moonlight spotlights
All the city crime
Got no religion
Laugh while they fight

Mötley Crüe, Save our souls

Save our souls” è una raccolta di One-Shot riguardanti alcuni Specter.
Ho deciso di scrivere questi brevi racconti, i cui titoli sono ispirati a quelli dei capitoli di Episode G (notare come ho quasi abilmente inserito un inciso – due a questo punto – per introdurre un'informazione che non c'entra nulla con quanto stavo dicendo – ovvero, un pessimo esempio di scrittura creativa), per dare un background più corposo all'Universo Alternativo di “Sincretismo”, fornendo così delle basi più o meno solide (io spero solide) a tutti i cambiamenti che introdurrò rispetto all'Universo Originale di Saint Seiya.


Engel

P.S. - Il primo inciso è chiaramente un inciso a catena, ovvero un sacrilegio; il secondo una precisazione sulla difensiva.

P.S.2 – Il titolo della raccolta è il titolo del brano dei brano dei Mötley Crüe, di cui ho riportato una parte del testo, sopra. ^^



[ Colui che esprime il giudizio ]


Quel che a me è avvenuto ora non è stato così per caso, poiché vedo che il morire e l'essere liberato dalle angustie del mondo era per me il meglio.

Platone, “Apologia di Socrate”

Erano oscuri i giorni ad Atene.
Le voci nefaste narravano di guerrieri giunti da Oriente, bardati da armature quali mai si erano viste prima d'allora. Non indossavano mantelli cremisi né portavano scudi Lacedemoni e, se avevano i capelli lunghi, non era per la loro appartenenza a Sparta. Non vestivano nemmeno l'armatura di metallo dei pezeteri e nessuno dei loro elmi somigliava a quelli di Corinto.
Così dicevano le voci, così venivano riportate per le strade di Atene.
Lì nessuno li aveva mai visti.
Messaggeri giungevano da ogni dove, si gettavano ai piedi dei cittadini, imploravano un po' d'acqua, un riparo, una parola che dissipasse gli incubi orrendi di cui erano stati testimoni.
Parlavano di morte. Di cieli che si aprivano ed esplodevano. Di falangi di insetti insaziabili e di fulmini che salivano dalla terra.
I filosofi scuotevano la testa.
Menzogne, tuonavano, come le epiche d'Omero.
Fondamento di culti che avevano gettato Atene e la Grecia tutta nel giogo dell'infamia, del male, della codardia e dell'ingiustizia.
“Dei, dite? Quali dei? Se essi non sono nient'altro che un'invenzione umana per giustificare turpi nefandezze?”
Sotto i portici di marmo tra le fronde odorose degli ulivi il Maestro e i suoi allievi discorrevano del bene e della giustizia.
A domande seguivano risposte, da cui scaturivano nuove domande che portavano nuove risposte e altrettante nuove domande, in un dialogo eterno, poiché il fine non appartiene a questo mondo.
Ma la dialettica era un balsamo e attraverso il discorso gli uomini si elevavano, pur senza giungere al bene.
«Diteci, Maestro, cosa pensate di ciò che si racconta? Di questi guerrieri che sembra non lascino che cadaveri e distruzione?» domandò uno degli allievi.
Il Maestro sedeva su una roccia, raccolto, in profonda riflessione.
Pareva non aver udito quand'ecco levarsi un'altra voce.
«Pensate che c'è chi osa affermare che codesti guerrieri misteriosi appartengano niente meno che al Distruttore di uomini.»
«Tu, dici, Cherofonte? Persino gli dei sono stati scomodati.» lo riprese con sarcasmo Gorgia.
Degli allievi solo uno stava in silenzio: il più giovane di tutti e anche colui che il Maestro teneva maggiormente in considerazione.
Dal canto suo dopo un secco colpo di tosse il Maestro intervenne nella conversazione.
«Miei amati allievi, questo è un dialogo fine a se stesso, costruito su premesse erronee. È questo l'amore per il sapere che ho con fatica cercato d'insegnarvi? Ditemi, siamo già di fronte a un aborto?»
Si alzò dalla roccia, diede le spalle agli allievi e senza aggiungere altro abbandonò il colonnato, imboccando la strada principale.

Il sole aveva seccato la terra e le punte dei rami erano state cotte dal calore.
Il Maestro si fermò e sollevò il capo verso il cielo: un azzurro splendente, nessuna nuvola.
Se gli dei esistessero, come quegli stolti continuano a credere, a chi dovrei rivolgere le mie preghiere per un po' d'acqua? Al divino Poseidone che governa i mari e con essi tutte le acque? Al sommo Zeus che dei fulmini è il signore e padrone? O forse dovrei piegare il mio capo verso occidente, là dove, si dice, sorge la dimora della patrona Atena?
Scosse la testa, ridendo di sé stesso.
La pioggia è un fenomeno naturale, spiegabile con la logica e con la sapienza. La sua assenza è dovuta a una concomitanza di fattori individuabili e appartenenti a questo mondo.
Non si era accorto il Maestro di aver camminato fino alle porte della città.
Dunque... c'è qualcosa di strano.
Non era abituato alle questioni pratiche. Era un filosofo e come tale si perdeva nella visione delle stelle e nell'architettura dei discorsi. Pertanto, non gli fu facile notare il grosso particolare che gli stava davanti.
Quando lo fece, sottolineò l'improvvisa scoperta con un urlo.
«Per Zenone, la porta è spalancata!»
Non c'era alcuna guardia. Nessuna persona, a ben vedere.
Voltò la testa a destra e a sinistra e infine girò l'intero suo corpo verso la direzione da cui era venuto.
Era uno scherzo? Che accadeva ad Atene? La paura dei cittadini era tale da farli rinchiudere nelle loro case?
Mentre si poneva queste domande un uomo arrivò all'improvviso da una strada laterale e con esso il suo grido disperato.
«Aiuto! Aiutatemi! Vi prego, aiutatemi!»
No, qualcosa non andava.
A fargli formulare quel pensiero non fu la porta della città aperta né l'inconsueta quiete del luogo e nemmeno il terrore dell'uomo appena incrociato, bensì lo strano guerriero che lo aveva immediatamente seguito.
Costui era bardato da una corazza che lo copriva quasi interamente e che mai prima d'ora lui aveva vista: l'elmo provvisto di corna richiamava il muso di una bestia, così come anche la coda e le ali che ornavano l'armatura.
Il Maestro ebbe subito il sentore che quest'ultima non fosse stata forgiata per combattere le battaglie degli uomini.
Vide l'uomo cadere e il possente guerriero ignorarlo; si guardava attorno, come se fosse in attesa.
L'uomo che aveva invocato aiuto si rialzò e riprese a correre e a urlare: «Aiuto! Aiutatemi! Vi prego, aiutatemi!»
A chi si rivolgesse il Maestro non sapeva dirlo e nemmeno per cosa, visto che il guerriero pareva non vederli nemmeno.
Ebbene, qual è il comportamento da tenere in queste circostanze?
Restare immobile e sperare che il guerriero continui ad ignorare chi non reputa degno della sua attenzione? Oppure risvegliare quell'attenzione con il movimento? Dovrei porgli una domanda, per esempio, chiedergli il nome? O da dove viene? Forse fornirgli un'informazione casuale? O dargli il benven...

Il Maestro si rese ben presto conto che l'illogicità della situazione aveva determinato in lui un'emozione incontrollabile che stava mandando alla malora ogni sua capacità di giudizio, ma ancor prima che tentasse di districare la matassa dei suoi pensieri il guerriero lo guardò.
«Per il cane, la papera e la capra!» si lasciò sfuggire il Maestro.
Il guerriero si diresse verso di lui e una nuova accoppiata di domande pungolarono la sua mente.
Scappo o resto? Resto o mi nascondo?
«Io vi conosco.» disse il guerriero con accento straniero.
Ora che lo guardava bene non pareva essere affatto un abitante delle isole greche. Di certo non poteva essere un Persiano.
I suoi lineamenti ricordavano più i protagonisti delle storie raccontate dai mercanti sui popoli del nord: pelle bianca e capelli dalle sfumature del grano.
Di tutte le cose che il Maestro avrebbe potuto fare la sua volontà lo portò a scegliere proprio la meno indicata davanti a un guerriero di tal sospetta risma: sollevare minaccioso il bastone.
Infatti, il guerriero sbarrò gli occhi per la sorpresa.
«Maestro,» disse, non senza celare l'ilarità. «Abbassate il bastone. Non ho intenzione di farvi del male.»
Il Maestro capì che dietro quelle parole c'era anche l'avvertimento che niente avrebbe potuto fare in caso contrario.
«Bene.» disse il Maestro. «Mi assicurate che non mi ucciderete, se metto giù il bastone?»
«Sul mio onore di Specter.» rispose il guerriero, mettendosi una mano sul petto all'altezza del cuore.
«Spettro?» ripeté il Maestro mentre appoggiava la punta del bastone a terra. Non era certo di aver compreso bene.
Il guerriero incrociò le braccia sul petto.
«Voi siete un filosofo.» disse, invece, cambiando argomento.
«Così amiamo definirci: “amanti del sapere”.» confermò il Maestro.
«E ditemi, Maestro, il sapere che raggiungete vi soddisfa?»
«Il sapere non è per sua natura soddisfacente.» Corrugò le sopracciglia, poi continuò: «Il vostro nome, nobile guerriero, mi rendo conto solo ora di non conoscerlo, così come voi non conoscete il mio.»
«Oh, non abbiate timore, il vostro nome lo conosco bene e il mio nome uditelo e trattenetelo per il breve tempo ancora concessovi. Radamánthys della Viverna, Specter al servizio di Ade e uno dei tre Giudici dell'Oltretomba.»
Di Ade? Per tutte le papere! E io chi sono ... servo di Efesto dal brutto muso?
Ah, certo... senza dubbio deve essere opera di Callicle.

«Non mi credete, Maestro?» domandò Radamánthys. «Eppure, il démone che in voi alberga conosce la verità. L'intelletto umano è ben misera cosa. Incapace d'accettare l'ignoto, s'aggrappa alla logica nel tentativo di attribuirgli caratteri conoscibili, ma l'ignoto, Maestro, è tale: inconoscibile.»
«Parlate di cose giuste, Radamánthys, eppure affermate il falso, poiché falso è il dio che nominate.»
Gli occhi di Radamánthys fiammeggiarono.
«Badate, Maestro,» lo ammonì con voce dura. «Un'altra offesa al mio Sommo Signore e il rispetto che nutro nei vostri confronti non m'impedirà di prendermi la vostra testa.»
Costui ci crede, non c'è dubbio. È sinceramente convinto di servire il dio dell'Oltretomba, Ade, fratello di Zeus e sposo di Persefone. Di certo non è uomo comune. Meglio non irritarlo.
«Perdonate l'affronto, Radamánthys della Viverna. Il negare è un brutto difetto di noi filosofi, ma se mi è concesso chiedere: parlate come se mi conosceste, eppure io non rammento di avervi incontrato.»
«No, infatti, non è mai accaduto, ma ho avuto il piacere di udire le vostre lezioni e di apprezzare il vostro metodo basato su domande e risposte.»
«Il dialogo.» assentì il Maestro. «Una tecnica che consente di portare alla luce la verità che è dentro ciascun uomo.»
«Eppure, un uomo così intelligente quale voi siete pecca di superbia attribuendo la verità unicamente all'uomo, non credete, Maestro? Siete così accecato dal desiderio di sapere, da non vedere ciò che vi sta davanti.»
«Io vi vedo, Radamánthys della Viverna» ribatté il Maestro, questa volta senza curarsi di mantenere un tono conciliante. «E sono conscio che il vostro aspetto, l'armatura che indossate, le vostre parole, tutto sono fuorché quelle di un uomo normale. Ma i miei dei non sono quelli di questa città, essi non perseguono i vizi, bensì la virtù.»
«Le vostre parole, Maestro, sono sagge e sappiate che il Sommo Ade le condivide.»
L'inquietudine aveva preso il posto di tutte le emozioni che si erano susseguite e un boato, come un'esplosione del fuoco liquido, rispose alla sua domanda.
Radamánthys volse il capo nella direzione dello scoppio.
«Non temete, Maestro. Il Sommo Ade è dio di vasta conoscenza e amante del sapere. Sarà ben lieto di discorrere con voi.»
Sollevò il braccio e, indicando la porta aperta, aggiunse: «Andate. Atene sarà un campo di battaglia prima che il sommo Ade vi faccia il suo ingresso. Trovatevi un posto sicuro e isolato, cosicché nessuno a parte me possa trovarvi quando avremmo vinto Atena.»
Pronunciate queste ultime parole, scomparve.
Il Maestro tornò di corsa a casa, infagottò la sua roba e obbligò Santippe a fare altrettanto.

Avevano trovato rifugio nella casa di un lontano parente in un villaggio che quasi nessuno conosceva.
Sua moglie lo tediava con domande e implorazioni. Urlava, piangeva e compiva sacrifici davanti al focolare.
Il Maestro pazientava e tendeva l'orecchio.
Il giorno dopo il cielo si tinse di nero: il sole scomparve e si fece notte. La notte durò tre giorni.
Le voci che gli arrivarono erano voci terribili. La guerra era finita. Atene aveva perso: sciolta la Lega, esautorato il Governo.
Un giorno in cui era stanco di restare fermo uscì e, camminando per il villaggio, sentì pronunciare il nome di Radamánthys e il nome di Eaco. Udì il nome di Minosse e sentì parlare di Minotauri e Ciclopi, del Capricorno e del possente Toro. Sentì il tremore nella voce di coloro che parlavano di guerrieri così feroci che sembravano posseduti dallo spirito stesso della guerra.
Frammenti di una realtà che aveva avuto il privilegio di conoscere, ma che nella sua ossessiva ricerca della verità non aveva saputo cogliere.



Note dell'Autrice – Mi sono appropriata di un personaggio considerato uno dei più importanti esponenti della filosofia occidentale; in verità, mi rendo conto di aver sovrapposto Socrate a Platone, attribuendo al primo idee forse appartenenti più al secondo.
I nomi degli allievi del Maestro, sono i nomi dei personaggi del “Gorgia”. L'allievo silenzioso che assiste alla lezione del Maestro è Platone, che parlerà dei tre giudici infernali nel predetto “Gorgia” e nell' “Apologia”.
Il periodo in cui si colloca questa vicenda è quello della Guerra del Peloponneso (più o meno contemporaneo alla Battaglia di Egospotami), che vide il tramonto della Lega di Delo, guidata da Atene, in favore di quella del Peloponneso, guidata da Sparta, e l'istituzione ad Atene di un governo oligarchico detto dei Trenta Tiranni.
Se poi estendiamo la visione e comprendiamo anche l'avanzata dell'impero romano … direi che Ares fu decisamente l'anima di quei secoli.
Ho dimenticato qualcosa?
Oh, giusto... Le esclamazioni del Maestro sono ispirate ai giuramenti radamantini e pare che proprio quelli fossero i preferiti del Maestro.

Questa è opera di fantasia.
Saint Seiya, i suoi personaggi e ogni richiamo alla serie citata appartengono a Masami Kuramada. Questa storia non è stata scritta a scopo di lucro, ma solo come omaggio da parte di un fan. Tutti i personaggi, gli episodi e le battute di dialogo sono immaginari, e non vanno riferiti ad alcuna persona vivente né intesi come denigratori. In particolare, i personaggi, le ambientazioni e le situazioni da me create, mi appartengono; per poterli utilizzare altrove, o per riprodurre questa storia o parti di essa è necessario il mio consenso.
   
 
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