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Autore: Goran Zukic    11/03/2015    5 recensioni
Fanfiction interattiva (ISCRIZIONI CHIUSE)
Gli Hunger Games, la più brutale espressione di violenza che Capitol city abbia mai offerto al suo pubblico, un gioco mortale che va oltre qualsiasi morale e etica, 24 ragazzi che si scannano fino alla morte in un arena, lontano da tutto e da tutti. Un solo vincitore, morte certa per gli altri, una condanna a morte che inizia con la mietitura e finisce con un colpo di cannone. Un gioco da cui nessuno può sottrarsi, un gioco che ti costringe ad essere ciò che non sei, un gioco che ti farà diventare un assassino.
Genere: Avventura, Azione, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Nuovi Tributi, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: Violenza
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Il giorno della mietitura (parte 1 di 3)

Distretto 11
La campana suonò e continuò a suonare ininterrotamente.
Tutti i raccoglitori di ortaggi si alzarono, posarono gli attrezzi e spostarono lo sguardo verso la torre bianca che davanti a loro svettava illuminata dal sole.
“Muoviti!” esclamò un pacificatore tirando una frustata a Steven che si inginocchiò a terra dal dolore “E’ l’ora alzati!”
Orozco andò da lui e lo aiutò ad alzarsi sorreggendolo sulle sue spalle e aiutandolo a camminare verso la piazza.
“Me la pagherà un giorno” esclamò Steven con rabbia e dolore.
“Sì…forse non oggi eh?” esclamò Orozco sorridendo.
“E’ arrivata anche quest’anno, ma non mi interessa…a volte penso di offrirmi volontario e andare via da questo postaccio” disse Steven sputando a terra.
Nessun pacificatore per fortuna lo stava guardando, mentre lasciavano il campo per entrare nella via delle baracche.
Al loro passaggio le donne e le anziane giravano lo sguardo e continuavano con i loro lavori senza degnare loro attenzione.
I pacificatori erano dietro di loro e non mancavano gli insulti che ogni volta gli accompagnavano: “Più veloce stupido idiota!” “Su quelle spalle negro!”
Orozco ci aveva fatto l’abitudine ormai, più volte aveva rischiato la vita rispondendo a queste provocazioni e di giorni in prigione ne aveva fatti abbastanza.
Era alto e robusto, era il più forte del suo gruppo di raccoglitori e più volte gli facevano arare il campo a causa della sua forza fisica.
Aveva degli occhi sottili e neri, come la sua pelle, ma molto profondi, ricchi di tutte le violenze e gli insulti che lo avevano accompagnato per tutta la sua vita.
Era forte anche di tempra, era intelligente anche se non era mai andato a scuola e sotto sotto anche lui desiderava partecipare agli Hunger Games, lasciare il distretto, vivere libero, anche per poco tempo, ma libero.
“Ce la faccio ora, grazie Oro” gli disse Steven e Orozco lo lasciò proseguire da solo. Erano amici e avevano preso tante frustate insieme, così tante che erano diventati come fratelli.
Steven era tutto il contrario dell’amico, magro, bianco, capelli rossicci, ma come lui aveva il desiderio di vendetta e una grande forza di volontà.
Superarono le baracche bianche e raggiunsero la piazza con al torre davanti a loro che non smetteva di scampanare.
I pacificatori li misero in fila per il prelievo di sangue.
“Che lo show abbia inizio” sussurrò Steven all’orecchio di Orozco che sorrise.
“Un'altra parola e ti faccio saltare quel sorriso dalla faccia, rosso!” esclamò il capitano dei pacificatori, il Capitano Clint, un uomo rude e brutale che non guardava in faccia nessuno, girava voce nel distretto che avesse persino frustato la figlia.
Finito il prelievo vennero condotti nella piazza dove a breve sarebbe iniziata la Mietitura.
Orozco guardava intorno a sé i suoi coetanei ed era il più alto di tutti.
Il sindaco Martin si alzò dalla sua sedia e fece il suo discorso, come ogni anno pieno di finzioni e scritto da Capitol City.
Spostò lo sguardo su Clint, i suoi occhi si muovevano su tutte le persone presenti come il gatto guarda il topo.
I loro occhi si incrociarono e Clint gli rivolse un sorriso maligno, segno che sarebbero stati tempi duri per lui.
Non si accorse nemmeno che avevano estratto la tributo femmina che timidamente camminava verso il palco.
Era bassina, i capelli neri stretti in una treccia, e avrà avuto si e no 12 anni. Orozco non riuscì a trattenere la rabbia.
“Un’altra volta, perché ancora un dodicenne? Bastardi!” pensò lui serrando i pugni.
Steven se ne accorse e invitò Orozco a mantenere la calma.
All’improvviso però venne chiamato anche il ragazzo maschio.
“Samuel Coman” esclamò l’accompagnatrice.
All’improvviso un ragazzino di dodici anni iniziò a correre verso l’uscita della piazza, incurante che i pacificatori erano armati e incurante che fuggire dagli Hunger Games è impossibile.
Clint lo vide, corse verso di lui e lo abbatté con una scarica elettrica.
La gente urlò, ma i pacificatori puntarono i fucili e subito si ristabilì il silenzio.
Fu allora che Orozco esplose, in men che non si dica alzò la mano e con voce forte e furiosa esclamò: “Mi offro volontario!”


Distretto 7
Il suo nome venne pronunciato a gran voce e le ultime sillabe del suo cognome sibilarono più volte nella sua testa prima di rendersi conto che l’avevano chiamata.
Sussultò di colpo, gli occhi sgranati verso il palco, i segni indelebili delle occhiaie, frutto di un po’ troppe notti insonni.
“Maira Turan” esclamò ancora Scarpel, con tono leggermente impaziente.
Maira si guardò intorno, come per vedere se era vero o era solo frutto della sua immaginazione, magari faceva solo parte di uno di quei sogni ad occhi aperti che la colpivano ripetutamente.
Le sue amiche la guardavano avvilite, ma sotto sotto soddisfatte che non fossero uscite loro, dopotutto perdere un amica è meglio di perdere loro stesse.
“Maira!” esclamò a gran voce Scarpel, facendo rimbombare le sue parole nella piazza.
“Sono qui” esclamò lei che era ritornata in sé.
Alzò la mano e subito intorno a lei si aprì la folla per permettere ai pacificatori di venirla a prendere.
Sapeva che poteva essere sorteggiata, era preparata a questo, di lacrime ne aveva già versate abbastanza, di incubi ne aveva fatti abbastanza e ora voleva solo godersi il suo momento di gloria, se così si può chiamare.
I pacificatori la afferrarono perle braccia e la condussero sul palco, poggiandola alla sinistra di Scarpel.
I loro occhi si incrociarono e entrambi lessero nello sguardo dell’altro una profonda sensazione di odio nascosto.
Scarpel era sempre la stessa, come tutti gli anni, nel suo vestito verde smeraldo, i suoi tacchi altissimi e la sua orrenda parrucca verde.
Maira era alta per la sua età, indossava il suo vestito preferito, quello arancione e azzurro che le aveva regalato papà, gli orecchini della mamma e le sue scarpette da danza, una delle poche cose che le era concesso fare oltre al lavoro nel distretto 7.
Scarpel si avvicinò all’urna con all’interno i nomi dei ragazzi, con passo affannato dai tacchi, prese un bigliettino, lo aprì e disse: “E il tributo maschio del distretto 7, per i 48esimi Hunger Games è…Ethan Rom”
Ethan alzò lo sguardo verso Scarpel e uscì dalla fila.
Era tranquillo, anzi sembrava sereno, non poteva nascondere una certa amarezza, ma il suo sguardo era fermo e non tremava di paura come la maggior parte dei tributi che venivano estratti alla mietitura.
Aveva i capelli castani pettinati all’indietro, una camicia a quadri, simile a quella che indossava in segheria e un paio di jeans; non si poteva certo dire che si fosse vestito elegante.
Dei pacificatori lo accompagnarono sul palco e lo condussero fino a portarlo accanto a Maira.
I due non si sfiorarono nemmeno.
Maira arricciò leggermente il naso, mentre Ethan un sorriso nervoso.
“Sorpresa di vedermi?” chiese Ethan sottovoce.
“Sì…felice, no” rispose secca Maira.


Distretto 12
Betty Boulevard si fece avanti sul palco fino ad arrivare al centro.
Era vestita completamente di rosso e indossava una parrucca rossa che minacciava di cadere ad ogni suo passo.
“Benvenuti, come ogni anno alla Mietitura, alla mietitura del distretto 12 per i 48esimi Hunger Games” esclamò lei estasiata, ma le facce smunte e spente del pubblico non le diedero alcun sostegno.
Lei, visibilmente imbarazzata, allora continuò a parlare: “Ok…ehm…bando alle ciance allora e passiamo subito all’estrazione. Come sempre, prima le signore” Betty si avvicinò all’urna ed estrasse dopo qualche giro di mano il bigliettino con il nome della ragazza.
“Elspeth Puskas” esclamò a gran voce.
La folla si allargò intorno ad una ragazza. Aveva i capelli castani, lisci che le arrivavano alle spalle, gli occhi grandi e marroni in cui si leggeva lo shock del momento.
Indossava un vestito azzurro ed era bassina e magra, come tutti nel distretto 12.
Si sentì un pianto di donna poco distante, delle urla di amarezza che rimbombarono in tutta la piazza.
Una donna serrò i ranghi e corse verso la ragazza, ma venne fermata dai pacificatori che la fermarono in tempo, era sua madre.
Elspeth non ci fece caso, era completamente paralizzata dal terrore, i suoi occhi erano spalancati e mostravano incredulità e sgomento, la bocca era semiaperta e stava sospirando affannosamente.
“No! No! Lasciatemi!” esclamò ancora sua madre, mentre veniva portata via dai pacificatori.
“Su vieni cara” disse Betty con voce teatrale.
Elspeth fece un passo avanti tremante, gli occhi ancora spalancati, le mani tremanti e venne accompagnata sul palco da dei pacificatori.
Guardò le persone che aveva davanti, vide Demetrio, il suo migliore amico che le faceva segno di essere forte, ma non riusciva a nascondere la rabbia, vide la sua amica Lara che era andata a consolare sua madre e sua sorella, che piangevano e poi vide suo padre.
Ferenc la guardava, i suoi occhi marroni come quelli della figlia erano grandi e non toglievano lo sguardo da lei, la bocca era serrata, tremante e le guance rigate dalle lacrime.
“Mi dispiace papà” disse sottovoce Elspeth, senza farsi sentire e una lacrima le rigò la guancia.
“Ed ora passiamo agli uomini” esclamò Betty e si avvicinò all’urna.
Estrasse un biglietto e lesse: “Demetrio Vyras”
I loro occhi si incrociarono, uno sguardo rassegnato, incredulo, a lui scappò un sorriso e imprecò sottovoce.
“Demetrio?” chiamò ancora Betty.
“Sono io” disse lui e uscì dalla fila.
Non era alto, ma era un ragazzo sportivo e ogni anno vinceva la gara di corsa dei giochi estivi, aveva i capelli castani, occhi verdi ed era vestito come tutti i giorni.
La raggiunse sul palco anche Demetrio stava tremando, ma Elspeth stava piangendo e a volte le usciva qualche singhiozzo.
“Ce la faremo Elsepth…insieme” le disse lui.
Lei singhiozzò e questa volta si sentì in tutta la piazza.


Distretto 3
Gli occhi azzurri di Annie scintillarono illuminati da un raggio di sole, mentre la ragazzina tremava nervosa sul palco.
I suoi occhi si muovevano in tutte le direzioni, guardavano la gente, la sua famiglia che piangeva, le sue amiche che la guardavano con occhi pietosi, ma pieni di sostegno e speranza e Thomas.
Thomas invece non la guardava, aveva gli occhi fissi a terra, si guardava le scarpe, non aveva la forza di vedere la sua migliore amica condannata a morte.
Annie si toccò la cicatrice sull’occhio sinistro, poi quella sul suo orecchio destro e infine si sistemò i capelli biondi che erano legati in due codini con dei nastri blu.
Guardò quindi Jonathan, bello e fiero nel suo completo nero e nella sua barba scura, l’unico accompagnatore maschio di Capitol City, mentre presentava in piedi sul palco i tributi.
La sua voce risuonava forte e risoluta, , quando parlava avresti potuto ascoltarlo per ore; era per questo che Capitol City lo aveva scelto come accompagnatore.
La sua sobrietà, naturalezza e grande parlantina gli aveva permesso di scalare le gerarchie e da accompagnatore del distretto 12 si era ritrovato in due anni nel distretto 3, decisamente più prestigioso.
Jonathan si mosse in avanti sul palco e pescò dall’urna, lesse mentalmente e disse: “Oggi è un giorno che mette paura, che porta terrore nei vostri cuori, ma è anche un giorno di grande gioia perché oggi qui si fa la storia, una pagina che rimarrà impressa nelle menti di tutti noi. E’ con grande onore e rispetto che chiamo qui, il tributo maschio del Distretto 3…Vincent Van Damme” esclamò Jonathan.
“Sono io” esclamò un ragazzo sulla destra, alzando le mani.
Uscì dai ranghi e si incamminò da solo verso il palco.
Aveva i capelli biondi e pettinati in un ciuffo, era magrolino, ma sembrava sicuro di sé e non lasciò trapelare un grammo di insicurezza o paura.
Vincent passò davanti a Annie e i loro occhi azzurri si incrociarono, per un attimo sembrarono trovare una speciale empatia, ma poi senza dire una parola Vincent la superò e si mise al sua fianco.
Annie alzò lo sguardo e guardò Thomas, i suoi capelli neri come la pece erano sudati e spettinati, ma i suoi occhi la guardavano e sembravano chiamarla, pregarla di non andare, di scappare, come le aveva proposto tante volte dopo l’incidente.
Annie si toccò la cicatrice, Vincent la notò e strinse i pugni nervosamente poi Jonathan finì il discorso e vennero portati nel palazzo di giustizia.


Note dell'autore

Ciao a tutti!
Finalmenti sono riuscito a pubblicarla, è stato molto difficile trovare tutti i partecipanti, ma sono riuscito alla fine a trovare una soluzione.
Questo è il primo di tre capitoli sulla mietitura dove voi mentori conoscerete i vostri tributi e comincerete già a farvi qualche idea su come confrontarvi su di loro.
Alla fine del terzo capitolo sulla mietitura vi scriverò in modo dettagliato quello che dovrete fare, ora vi lascio ai tributi e al loro piccolo "momento di gloria".
   
 
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