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Autore: Calenzano    13/03/2015    2 recensioni
“E fuochi accesi ad ardere i Tuoi fianchi, tracce nel tempo, segni per il cuore.
Ma come è pietra risalire a Te, Jerusalem...”

I tre giorni che hanno cambiato per sempre Gerusalemme, ricordati e narrati da coloro che, per caso o per amore, hanno avuto a che fare con il Nazareno.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Antichità, Antichità greco/romana
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Tutto si faceva confuso nell'aria arroventata del Cranio, una volta passato il primo, infernale dolore. Non sentivo più le mani. Potevo vederle solo di sfuggita, torcendo la testa: erano già livide e nerastre per la stretta delle funi. Quanto meno, così, i chiodi non facevano quasi più male. Ma la sensazione di essere schiacciato da un peso invisibile, quella no, che non se ne andava. Anzi, si faceva sempre peggio. Anche Gesta, di là, aveva smesso da un pezzo la sua litania di bestemmie, e si limitava a grugnire ogni tanto un insulto ai boia. Chi non mancava di fiato, invece, era la folla che assisteva, e che ci gridava di tutto. Ma noi due, dopo le prime ingiurie, ci avevano lasciati perdere. Ce l'avevano soprattutto con quel resto d'uomo alla mia sinistra. Gesù di Nazareth.

“Ha salvato altri, diceva, e adesso non può salvare sé stesso!”

“Allora, Messia? Che cosa aspetti a fare il miracolo? ”

“È solo un pazzo! Muori, bestemmiatore!”

 

Al sentire quel nome, mentre mi legavano il patibulum sulle spalle, avevo avuto un sussulto. Possibile che fosse lui? Di Gesù ce ne sono tanti. Ma non riuscivo a ricordare se quel profeta prodigioso, che avevo visto passare quella volta in mezzo alla folla, fosse di Nazareth o no. Lì per lì, comunque, ne avevo dubitato. Fosse stato quel Gesù, di certo non sarebbe stato lì, a spartire con me quella fine da criminale. Ciò che avevo visto quando l'avevano condotto nel cortile, però, mi aveva lasciato a bocca aperta. Aveva abbracciato la sua trave come fosse un tesoro prezioso, di quelli che solo i re possiedono, ben chiusi nei loro forzieri. Ignorando le prese in giro sguaiate di Gesta, terzo condannato del giorno, che gli dava del folle, si era incamminato davanti a me verso il luogo dell'esecuzione.

Era caduto ancora prima di raggiungere le porte della città, e poi di nuovo poco dopo l'inizio della salita. Naturale, era sorprendente che avesse ancora la forza di stare in piedi. Io stesso ero piegato in avanti sotto il peso, e dovevo stare attento a non inciampare. Spinto innanzi dai calci dei soldati, avevo dovuto superarlo, e proseguire davanti a lui. Era stravolto, la bocca aperta da cui colava il sangue dei denti rotti, ma non c'era traccia di rabbia né di odio nel suo annaspare sotto le nerbate dei soldati. Avevo sentito il centurione ordinare a qualcuno di venire ad aiutarlo, e il grattare del legno che veniva sollevato. Per il resto del tragitto non avevo più pensato a lui, occupato com'ero ad evitare le pietre più aguzze del sentiero, e oppresso dal terrore di quanto mi aspettava sulla cima del monte.

 

Solo una volta appeso al legno, sotto il sole del mezzogiorno che picchiava spietato, con il dolore che saliva a ondate dai polsi e dai piedi trafitti, avevo potuto vederlo di nuovo. Il solito codazzo di curiosi e sfaccendati ci aveva accompagnati per tutta la salita, e ora fischiava e ci lanciava lazzi.

Anche i capi del Tempio erano venuti a godersi lo spettacolo. Il Sommo Sacerdote, ad un certo punto, si era fatto avanti fin dove i soldati glielo avevano permesso. Fissandolo con astio, gli aveva sibilato, perfettamente udibile pure in mezzo alla confusione:

“Hai affermato di poter distruggere il sacro Tempio, e ricostruirlo in tre giorni. Dimostralo, dunque.” E poi più forte, rivolto agli astanti: “Se costui è il Figlio di Dio, scenda adesso da quella croce, e gli crederemo!” Aveva sputato per terra con disprezzo, prima di voltarsi e andarsene per tornare in città.

Il nostro compagno di pena, che da un pezzo scattava rabbiosamente la testa qua e là per scacciare le mosche, si era unito al coro di invettive:

“Hanno ragione. Non sei il Cristo?!? Salva te stesso... E anche noi.”

Non so che cosa mi abbia spinto a reagire. Ma qualcosa dentro di me si era rifiutata di continuare ad assistere in silenzio. Sollevandomi alla meglio, ero sbottato, con una voce rauca che non sembrava neppure mia:

“Non temi Dio neppure tu, che sei condannato alla stessa pena? Noi, giustamente. Ma lui non ha fatto niente di male.”

Gesta si era zittito, borbottando qualcosa che non avevo capito, ma che di certo non era un elogio. Gesù, invece, mi aveva guardato fisso, con l'unico occhio non tumefatto, mentre io avvertivo la verità di quanto avevo appena detto. Nelle ultime ore, tra la sofferenza e la paura, era affiorato anche il rimorso. Nella mia vita, di buono avevo combinato ben poco. Non ero mai stato un buon Israelita. Al Tempio andavo solo per alleggerire qualche pellegrino della borsa, approfittando della calca. Eppure in quel momento mi ero ritrovato a cercare di ricordare le preghiere che mia madre mi insegnava quando ero ancora bambino, e fantasticavo di diventare ricco e potente come quei funzionari di corte che passavano in portantina davanti alla spelonca dove abitavamo, lasciandosi dietro una scia di costosi profumi. Avevo recitato quel poco che rammentavo, in silenzio, però, e non solo per la mancanza di respiro. Avevo troppa paura che Adonaj Onnipotente non sapesse che farsene delle preghiere di uno come me.

 

Il tempo passava, lento come i giorni di fame, mentre il sole andava sparendo dietro le nubi. Ansimavo, la sete si faceva sempre più insopportabile, ogni respiro bruciava la gola. I Romani, seduti ad ammazzare il tempo con i dadi, tra un tiro e l'altro alzavano lo sguardo e ridevano del Nazareno, dandosi di gomito:

“Guardalo, il re dei Giudei in trono!”

Ed era vero, sembrava davvero un re.

Lo avevo sentito mormorare, tremante per lo sforzo:

“Abbà, perdonali. Perché non sanno quello che fanno.”

Era stato questo a darmi il coraggio.

“Gesù, ti prego: ricordati di me, quando sarai nel tuo regno.”

Lui aveva tirato su a fatica la testa, piegata dall'ingombro del casco di spine, e con un'energia inaspettata, aveva risposto:

“Amen. Io ti dico: oggi stesso sarai con me in Paradiso.”

Aveva lasciato ricadere il capo, ed eravamo ripiombati ognuno nel proprio pozzo di sofferenza. Ma la mia vita di ladro e brigante non mi era parsa più del tutto inutile, e gettata via. E per qualche attimo, complice anche un improvviso soffio di vento, mi era sembrato di respirare meglio.

 

Il cielo era ormai completamente oscurato. La maggior parte degli spettatori se ne era andata , temendo il temporale. Ma quei pochi rimasti non rinunciavano agli ultimi insulti a Gesù, ormai quasi privo di conoscenza. Avevo sentito uno in particolare sogghignare:

“Ha confidato in Dio: lo liberi Lui, se gli vuol bene.”

Questo era sembrato colpirlo più di tutto il resto. Aveva fatto una smorfia, e, così all'improvviso da farmi sobbalzare, aveva gridato: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?!?”

Poi, in un rantolo, aveva aggiunto: “È compiuto.”

Un ultimo spasmo, e il corpo insanguinato si era abbandonato pesantemente. Quasi subito era seguito un rombo cupo, e la terra aveva iniziato a tremare sempre più forte, facendo balzare su le guardie tra richiami e ordini concitati, e mettendo in fuga gli altri.

I due colpi secchi erano arrivati a tradimento, senza che nello scompiglio avessi visto il soldato avvicinarsi con il martello. Pensavo ormai di aver perso ogni sensibilità, ma mi sbagliavo. Mi era sfuggito un urlo roco, mentre le ossa spezzate cedevano rendendomi impossibile sorreggermi sulle gambe. Il vociare che arrivava dal basso era diventato un ronzio indistinto. L'ultimo pensiero, prima che la luce livida diventasse accecante, era stato confuso, ma stranamente sereno.

In fondo, se il Santo dei Santi può morire come un malfattore, perché mai un comune ladro non potrebbe morire come un santo?






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Capitolo non previsto in origine, e aggiunto per la necessità di un punto di vista "diretto" sulla scena principale. E il buon ladrone, cui gli apocrifi danno il nome di Disma (e Gesta o Geflas il cattivo), si presta ottimamente. Niente si sa di questo personaggio, anche se si può supporre che avesse già incontrato o almeno sentito parlare di Gesù. Ma quello che l'ha reso speciale, facendone il primo santo "per raccomandazione diretta", è la sua capacità di vedere e riconoscere nell'uomo che gli era accanto, in quel momento tutt'altro che regale, il Re di un Regno speciale. Per questo ho dovuto allargare le fonti di ispirazione con le intensissime scene de "La Passione" di Gibson, che forniscono anche un ottimo sottofondo.


 

  
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