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Autore: LittleDreamer86    14/03/2015    0 recensioni
Cosa succederà dopo Last Christmas? Il Dottore e Clara si sono ravvicinati e partono per nuove avventure. Il sentire tra i due si è più approfondito, e sono cadute alcune barriere che avevano creato tra loro per paura di ferirsi l'un l'altro. Adesso sono pronti a viaggiare di nuovo assieme, diversi, più uniti di prima.
[ Colore della storia varierà man mano che la scrivo.]
Genere: Fluff, Introspettivo, Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Clara Oswin Oswald, Doctor - 12, Missy
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Chi sono?
Sono tutta questa meraviglia.
Sono la notte e la tempesta, il fuoco e il tramonto scarlatto.
L'alba e la pioggia che bagna il tuo volto che piange tristezza e dolore e rabbia.
Sono l’odio e sono l’amore. Sono te. Sono Clara. Missy.
Sono un vecchio Signore del Tempo.
Sono ogni singolo essere vivente su questo pianeta.
Che importanza può avere tutto questo ormai?

Piuttosto, Dottore, ricordi ancora chi eri un tempo? Lo hai dimenticato, vero?
Ti nascondi ancora, fingendo di essere un burbero vecchio solo?
Sei così fregile…così umano. Così giovane…

Nessuno.

2. Senza un nome.

Primo Sole poco oltre la metà del giorno. Ore 27.27. Secondo Sole ormai tramontato al di là dei Monti del Sollievo e della Solitudine, lontani miglia e miglia dalle praterie e dal villaggio MDCicle.
Cielo, senza nubi. Arancione in ogni dove, a perdita d’occhio. Lui guardava oltre l’ampio oblò lo scintillio d’argento di quei distanti picchi innevati, perdendosi nell’estasi della contemplazione; trovava la bellezza in ogni forma e sciogliendo quel minimo ego rimasto era in grado di unirsi a quel Tutto di cui era parte ed insieme.
Per un istante, meno di quei 10−43 secondi in cui esiste questo universo, il tempo si bloccò, interrotto dalla sua volontà creatrice, e lui fu in cima all’Elhm.
Se qualcuno fosse stato con lui in quella stanza l’avrebbe semplicemente visto sorridere mentre guardava lontano oltre la vetrata. In effetti era così, ma era anche lassù, a contemplare la vista della vallata e di Arcadia.
Seguì con lo sguardo le pendici erbose. Era ogni filo d’erba scarlatto di quei prati semi-ricoperti da neve, era il vento che s’insinuava tra gli steli, era la roccia, era la montagna. Tutto assieme.
Persa la sua forma fisica, di lui adesso rimaneva solo il contenitore che l’aveva racchiusa, creato dalla sua stessa coscienza. Il suo contenitore attuale nella sua piccola casa, che fissava lontano l’orizzonte.
Bastava la volontà e l’avrebbe mosso con facilità anche trovandosi su un altro pianeta. Avrebbe potuto essere in più luoghi contemporaneamente, vivere tante vite tutte assieme, e lo faceva ogni volta che smetteva di essere diviso dal Tutto. Perché era Tutto nello stesso istante in cui era singolo. Si riconosceva in ogni forma di vita esistente di questo universo visibile, ed anche in ogni forma invisibile.
Era materia organica ed inorganica. Bruciava come una supernova, talvolta era la tempesta e talvolta nello spazio di un bacio, quei baci che spesso aveva rifuggito, pieno di paura. Paura di perdersi in troppa bellezza, destinata a sfuggirgli tra le dita e svanire nel nulla, credeva. In realtà allora ogni suo giudizio era guidato dalla sua limitata consapevolezza; ecco perché, nel palcoscenico della vita, aveva recitato la tragedia, il dolore della perdita, l’odio, il disprezzo, la rabbia, la vecchiaia, l’innamoramento silenzioso, il sorriso e la dolcezza; ogni forma di sentire aveva sperimentato da inconsapevole attore dell’universo olografico a cui tutti noi apparteniamo, universo dove lo spazio e il tempo e l’energia sono virtuali.
Ogni mutamento, ogni nuovo caos che turbava il precedente ordine delle cose, adesso era da lui visto, sentito, vissuto nel profondo, ogni singola volta che la sua volontà individuale decadeva per cedere posto alla pura Coscienza.
Così proprio in quell’istante, passi affrettati percorrevano il viottolo di ciottoli d’ametista e zaffiro di fronte a quella umile e accogliente dimora che aveva chiamato casa. Il suo lungo vestito d’ambra strisciava a terra, mentre ella s’affrettava.
E quando lei avrebbe bussato alla sua porta, avrebbe detto esattamente quelle parole che già sentiva delinearsi dentro la sua brillante mente di Signore del Tempo, quale ella era.
< E’ il momento! Sta per succedere! > I colpi sul battente sarebbero stati quattro. E poi, col fiatone per la corsa < Il Tempo è giunto, in cui ogni cosa sia come deve essere, come è stata e sarà! > l’eccitazione, la paura, la mancanza di fiato < Abbiamo aperto il Vortice del Tempo, all’interno del Cerchio! Se lei dovesse morire, il Dottore…e il paradosso…e io… assieme hanno visto… >
La porta venne aperta ed un leggero cigolio si propagò dai cardini poco oliati, spandendosi nel silenzio per unirsi al respiro affannato della giovane. Lui si affacciò oltre lo stipite verso l’esterno, spalancando la porta completamente, e mostrandosi a lei. Un ragazzino alto attorno a un metro e cinquanta circa. Poteva al massimo avere tredici oquattordici anni. Riccioli neri, occhi blu brillanti in un visetto dolce da micetto. Indossava una maglietta sgargiante di colore rosso e dei pantaloncini che gli arrivavano alle ginocchia, di un blu cobalto. Era a piedi nudi.
Alla sua vista ella rimase del tutto interdetta, e quello stupore palesemente si manifestò sul suo volto e farle balbettare quache parola. < Ma come...come ti è... >
Lui non la fece proseguire e la sua voce di ragazzino si sovrappose a quella di lei.
< Avete visto che potrebbe morire, il sangue, il dolore, la disperazione, ma questo tu lo sapevi già.
La fine del Tempo e di questo Universo. Avete visto che il paradosso frantumerebbe questa realtà, sbriciolandola in mille frammenti. E ciò è solo una piccola parte di ciò che potrebbe succedere. I Signori del Tempo, scomparirebbero per sempre. Il Dottore, mai sarebbe nato. Tu, noi tutti. E tutto tornerebbe ad essere pura Coscienza. Niente più gioco delle parti. Niente più umanità, niente più guerre coi Daleks o i Sontaran, niente più emozioni o sentimenti. Tutto tornerebbe allo stato originario, immobile, immutato. Lo so… >
Lui sollevò lo sguardo verso il volto della ragazza, e le prese la mano. I suoi occhi calmi scintillarono d’oro, per un brevissimo istante. Una profondità incommensurabile. Un abisso di maestosità, bellezza, perfezione dove perdersi per sempre, o ritrovarsi. Ed anche lei che lo guardava, rimaneva sempre incantata in quegli occhi, ogni volta che questi le si volgevano ad aprirle i cuori. Era stato così nel remoto passato, e così adesso. Avevano un potere come ipnotico perché dentro quegli occhi si specchiava tutto il tempo e lo spazio, se si sapeva Vedere. < Lo so che tutto ciò ti sta a cuore > disse il ragazzino. Tenne la mano tra le sue, sorridendole gentile, calmo, come a volerla rassicurare. Sapeva ogni cosa, del passato e del futuro nel Tempo, come lasciarsi impressionare da ciò? Se si fosse messo a guardare dentro di sè, in quello stesso istante, nella sua mente avrebbe trovato tutto il flusso delle possibilità, delle conseguenze di certe azioni, con le varie strade che è possibile percorrere, di una o dell'altra vita.
< Noi, adesso…dovremmo andare…al Cerchio ci aspettano… >
< Nulla vi è di cui temere. Hai paura che il gioco di questo universo giunga a una sua fine? E' solo un gioco dopotutto, e qualunque fosse quel momento, è quello esatto in cui tutto è come è. Adesso, vieni, attendiamo, fin quando sarà scesa la notte. Quando il cielo piange è il momento. >
< Quello in cui lui verrà. >
Annuì lui con un cenno, affermando sicuro < Si. A bordo del suo TARDIS. E successo una volta ed ancora succederà…ancora ed ancora. >
< Come pensi di presentarti? Intendo...con quale nome? Lui vorrà di certo capire chi sei, o cosa sei! >
< Gli dirò di chiamarmi come mi hanno chiamato al Cerchio. Za. Ma lo sai...i nomi hanno perso ogni significato per me. >
< Lo so...anche per me. >

Si guardarono, senza dirsi più nulla di tangibile in suono. Andarono quindi a distendersi entrambi tra l’erba rossa, all’ombra fresca dell’albero di Blue, di fronte alla casa. Tra le foglie rosa e rosse dell’albero, compariva qualche frutto dal colore tendente al cobalto o al nero. L’inizio dell’estate era sempre annunciata dalla nascita di quei frutti dal colore di oceani e notti perfette.

“ O mio dolce fiore,
i tuoi occhi brillano d’amore,
ma son troppo vecchio ormai,
per poter amare, sai.
Un vecchietto misterioso,
mal ti tratta e fa il borioso,
come puoi restar con me,
nonostante tutto quel
che ti ho fatto passar…là là là.
La là là…”

Il ragazzino si mise a canticchiare un motivetto allegro mentre lo sguardo si perdeva fra i rami grigi, lontano, viaggiando chissà dove. Lei, distesa alla sua destra su un fianco, gli accarezzava delicatamente la fronte con mano libera, passando le dita tra i riccioli lucidi e morbidi, delicata, lieve come quella di una madre, un amica, una sorella. Più probabilmente un amante? Emozione palpabile.
Era persa dentro i suoi occhi, rincorrendo la sua consapevolezza chissà dove. Riusciva sempre a seguirlo unendosi al flusso della sua energia dentro il tronco dell’albero di blu, dentro i rami, scendendo talvolta fino alle radici, o salendo fino alle punte delle foglie più lontane, sentendo quello che sentiva lui, percependo ogni fibra, ogni molecola d’acqua, ogni nutrimento che viaggiava dentro l’albero. Ed ora ecco che lui si congiungeva alla terra e allo stesso tempo si disperdeva nell’aria oltre la chioma, e lei finiva per unirsi a lui, riempendosi della pienezza dell’infinitezza, disintegrando tutto il limite, tutto il suo corpo, grazie a lui. Lui che era stato da sempre ciò che voleva per lei, solo per lei. Questo pensare, la fece rifocalizzare sulla “realtà” e tornò ad essere dentro il suo corpo aggraziato, flessuoso e femminile ma distaccata da lui. Prese un respiro, e si distese più comodamente tra l’erba rossa di fuoco. I suoi capelli si confusero nell’erba, come un fiume nell’oceano. Sangue nel fuoco. Chiuse gli occhi, rilassando il corpo completamente, cercando di rasserenare la mente. Erano giorni che si sentiva agitata. Se fosse successo qualcosa a Clara, lei stessa sarebbe morta. Tutti lo sarebbero e tutto sarebbe finito. Per sempre. Come diceva lui, tutto sarebbe tornato al nulla eterno.
< Smettila di pensarci … > il ragazzino aveva smesso di canticchiare, e si era voltato dalla sua parte.
Quel flusso di cattivi pensieri fu infatti interrotto perché aveva di nuovo catturato la sua attenzione ed anche la vista.
Semplicemente le fece una linguaccia. E rise, ributtandosi tra l’erba.
< Mi chiedo perché tu abbia scelto questo corpo di ragazzino…in questi giorni così importanti. E se non ti crederà? >
< Infatti nessuno prende sul serio un ragazzino. E così dev’essere…perché questo universo è così divertente. >
< Mmm…sei molto cambiato lo sai? Mi piaci molto di più così. > Lei rise, mentre i suoi occhi erano immersi in quelli di lui.
< Già. Una volta ero troppo serio…ma ho deciso di smettere, lo sai! > Un grande sorriso gli si allargò sul viso, mentre distendeva le braccia e tendeva la mano a quella di lei.
< Hai fatto bene. Io stessa che folle sono stata! Ma che senso dell'uomorismo...mio caro! In quello ero davvero il massimo...e sicuramente migliore di te! >
Risero entrambi di loro stessi. Le loro mani si intrecciarono, tra i fili rossi d'erba, nell’attesa che calasse la notte ed il Dottore tornasse lì, su Gallifrey. Come già era avvenuto e forse, chissà, continuerà ad avvenire. Perché il tempo è tutto meno che lineare. E’ un groviglio sferico Un groviglio di 4 e più dimensioni dove giocare alla divinità.
  
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