~l’incubo
rosso~
parte
tre
La
paura è sempre inclinata a veder le cose più
brutte di quel che sono.
April
aveva sempre avuto paura del buio.
Adesso,
da una settimana a quella parte, aveva anche
paura di rimanere da sola in casa e di addormentarsi.
Un
giorno aveva provato a non dormire, ma era
crollata, intorno alle tre di notte, ripiombando nei suoi inusuali
incubi.
La
mattina camminava come immersa in uno stato
onirico, sentendosi addosso uno sguardo persistente. Passava la
giornata nel
panico, sentendosi lo sguardo del suo
mostro addosso, ovunque.
A
scuola, a casa, per strada.
Anche
quel venerdì sera, April pensò di non dormire,
di chiedere aiuto, di gettarsi dalla finestra. Qualunque cosa che
facesse
smettere quella cosa di invadere i
suoi sogni.
Dopo
un’ora di riflessione seduta sul letto, pensò
che era ridicolo e che doveva dormire.
Facendosi
forza, spense la luce e si infilò sotto le
coperte.
Ascoltò
il proprio respiro, cercando di rilassarsi e
rendendolo più regolare possibile.
Respira,
respira.
Non
aveva
bevuto del the o del caffè (sostanze
eccitanti!) e aveva fatto un lungo
bagno profumato (rilassante).
Aveva
letto su Internet che aiutava, perciò era
piuttosto sicura che non sarebbe successo niente.
Respira,
respira.
Respira,
respira.
Respira.
April
cominciò a vedere delle forme e delle scie di
colore indistinte sotto alle palpebre chiuse.
Aveva
letto che era normale che succedesse, nella
fase REM del sonno.
Se
era nella fase REM, allora si stava
addormentando!
Pensò che fosse strano che avesse ancora pensieri
così razionali, ma era
contenta.
Di
solito, quando aveva degli incubi, piombava nel
sonno come se ce l’avessero…
Spinta
dentro.
April
sentì un peso sul proprio stomaco.
Si
alzò, confusa.
Cosa
poteva essere?
Accese, a tantoni, la luce del comodino.
Una
piccola creatura rattrappita e raccapricciante la guardava, seduta
sulla sua
pancia.
Era
davvero piccola, quasi pelata e con grandi occhi pallidi che sbucavano
fuori
dalle orbite, lattiginosi e nebulosi.
“Igrushka.”.
Sorrise,
e facendolo si portò un dito alla bocca.
April
lo osservò, paralizzata dal terrore, mentre stringeva il
pollice fra i denti.
Erano
piccoli e grigi, brillanti come dei chicchi di melagrana.
Ne
mancava solo uno, sulla gengiva inferiore.
April
non l’aveva mai avuto così vicino, e aveva paura.
“Oh,
cielo.”.
La
voce uscì dalla sua gola come se tante unghie gliela
avessero raschiata
facendolo.
“April,
April, April.”.
Non
era stato lui, il tono della voce che l’aveva chiamata
assomigliava ad un
nitrito.
E
difatti, un cavallo entrò nella sua stanza.
Quando
aveva lasciato la porta aperta? April non se lo ricordava.
L’animale
era nero.
La
sua criniera
era legata in decine di piccole treccine, che scendevano sul lungo
collo scompostamente.
Aveva
una sella.
Rossa,
rossa in una maniera
che le faceva drizzare i peli sulle braccia.
Dove
l’aveva visto, quel
colore?
April
voltò con lentezza il capo
verso il mostro, che si tolse il dito
dalla bocca.
Ancora
rosso.
La
mano
indicò il cavallo. Più
precisamente, la
sua sella.
Respira.
Respira.
Respira.
In
quel momento, April si svegliò.
Il
peso sullo stomaco era ancora lì, il cavallo
pure.
Il
mostro stava ancora indicando la sella, ma la sua
espressione adesso era più aggressiva.
I
denti erano scoperti, macchiati del sangue del
dito.
Un
basso ringhio usciva dalla sua bocca.
April
si alzò di scatto, gridando.
Il
mostro cadde a terra, ai suoi piedi.
Quando
le toccò una caviglia, in qualche modo April
non riuscì più ad urlare.
Le
sue labbra non si separavano, non importava quanto provasse.
La
mano stretta intorno alla sua caviglia la tirò verso il
cavallo.
April
voleva urlare ‘Basta, basta!’, ma l’unico
modo che trovò per esprimersi fu
aggrapparsi saldamente alla base del suo letto.
Una
forza sovrannaturale la tirava, tradendo quella mano raggrinzita e
sporca.
Alla
fine non riuscì più a reggersi al mobile.
Quella
cosa, in qualche modo, la stava sollevando
verso la schiena del cavallo.
April
si ritrovò seduta sulla sella.
Panico.
Panico. Panico.
Respira,
respira.
‘E’
sicuramente una
visione. Sto solo delirando.’ pensò April.
Sentiva
i peli del
cavallo pungerle le gambe e vedeva davanti a sé, dalla
finestra spalancata di
fronte all’animale, la luna che illuminava
la città, ma doveva essere solo una sua allucinazione.
Doveva,
non c’era altra
spiegazione.
Se
era un sogno, si
doveva svegliare.
April
si divincolò
dalla stretta delle braccia di quella cosa intorno ai suoi polsi.
Il
cavallo si voltò
verso di lei, soffiando aria dalla bocca e dalle enormi narici lucide.
Non
riusciva ad urlare,
ma un suono rumorosissimo si
alzò
dalla sua gola quando vide il cavallo
avvicinarsi alla finestra.
Delle
lacrime rigavano il
suo volto.
Continuò a dondolarsi.
Il
cavallo mise il muso fuori,
inspirando litri e litri di frizzante aria
notturna.
Quando
saltò fuori, April
riuscì a cadere a terra.
Sbatté
la testa per
terra, e tutto divenne nero.
*
April
corse in cucina.
“Mamma!”.
La
figura di sua madre
era girata verso i fornelli.
“Buongiorno,
amorino.
Cosa c’è?”.
“Mi
devi aiutare.”.
“Dimmi.”.
“E’
da una settimana
che faccio questo incubo.
Cioè,
non sempre lo
stesso, ma c’è sempre questa cosa, tipo un bambino
rachitico e inquietante, che
mi accompagna in giro per dei posti che fanno paura… Mi
chiama ‘giocattolo’ in
russo. Ho paura, davvero tanta.”.
“Davvero?”.
“Mamma,
sono seria!”.
April
aprì il frigo,
scocciata per il tono divertito della madre.
Un
verso rauco risuonò
in tutta la cucina:
“Igr.”.
April
finì di bere il
succo di frutta.
Staccò la bocca dalla bottiglia, se pulì le
labbra con il dorso di una mano e la
rimise, chiusa, nel frigo.
“Eh?”.
“Cosa
‘eh?’?”.
April
fece spallucce:
“Non
lo so, hai fatto
un rumore strano.
E comunque, oggi, quando vai dallo psicologo, chiedigli qualcosa su
come far
smettere i miei incubi. Davvero, ho provato, ma… Non ci
riesco. E sono
terrorizzata, davvero.
Vado,
che sono in
ritardo.”.
“Shk.”.
April
stava per uscire
dalla cucina, ma si bloccò sulla porta.
“Stai
bene?”.
“Grshk.”.
Qualcosa
le diceva di
correre a scuola.
Un
campanellino
d’allarme suonò in un angolo del suo cervello, ma
April non lo ascoltava mai.
Sua
madre si voltò
nello stesso momento in cui lo faceva.
La
sua faccia era
snaturata.
Gli
occhi, una volta di
un bel verde prato, sottili e luminosi, erano lattei, sporgenti, vacui.
La
bocca sorrideva, ma
i denti erano più piccoli ed il rossetto molto
più rosso del solito. I capelli
erano decisamente sfoltiti.
“Grshk-a. Igrushk-a.
Igrushka. Igrushka.
Igrushka
igrushkaigrushka.”.
Del
sangue le colò sul
mento, mentre April urlava, urlava e urlava, appiattendosi contro la
parete e
scivolando in basso, nell’abisso
della
sua mente.
Respira.
Respira.
Svegliati,
dannazione!
L’angelo
dell’autrice:
Ciao
a tutti!
Prima di tutto, specifico che ho messo una cavalla.
La
cavalla è il simbolo
per eccellenza, per chi non lo sa, dell’incubo.
Questo
capitolo è
uscito un po’ strano, come volevo.
Spero
solo che sia uno
strano-piacevole!
Secondo,
scusate per il
ritardo di due giorni.
Pardon,
ma sto avendo
un mese un po’ disgraziato.
Questo
era, però, l’ultimo
aggiornamento, which means che questa storia (molto corta) è
finita.
In
ogni caso, vorrei
ringraziare chi l’ha seguita (PianoDreamer),
chi l’ha preferita (Fallen_Angel24),
chi l’ha recensita (A
r c t i c a e
a_little_crazy_panda)
e anche chi l’ha
letta silenziosamente <3
Un
saluto, donzelle e
donzelli!