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Autore: rainicornsan    17/03/2015    3 recensioni
"Igrushka.".
"Igrushka.".
"Igrushka.".
Il nome con cui quella cosa la chiamava nei suoi sogni le metteva i brividi.
E significava 'giocattolo', in russo.
Giocattolo.
April era il giocattolo del suo mostro.
Oh, sì.
Sì, sì, sì.
Pazza pazza pazzapazzapazza.
April rise.
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Genere: Dark, Mistero, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta
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~l’incubo rosso~

parte tre

La paura è sempre inclinata a veder le cose più brutte di quel che sono.

 

 

April aveva sempre avuto paura del buio.

Adesso, da una settimana a quella parte, aveva anche paura di rimanere da sola in casa e di addormentarsi.

Un giorno aveva provato a non dormire, ma era crollata, intorno alle tre di notte, ripiombando nei suoi inusuali incubi.

La mattina camminava come immersa in uno stato onirico, sentendosi addosso uno sguardo persistente. Passava la giornata nel panico, sentendosi lo sguardo del suo mostro addosso, ovunque.

A scuola, a casa, per strada.

Anche quel venerdì sera, April pensò di non dormire, di chiedere aiuto, di gettarsi dalla finestra. Qualunque cosa che facesse smettere quella cosa di invadere i suoi sogni.

Dopo un’ora di riflessione seduta sul letto, pensò che era ridicolo e che doveva dormire.

Facendosi forza, spense la luce e si infilò sotto le coperte.

Ascoltò il proprio respiro, cercando di rilassarsi e rendendolo più regolare possibile.

Respira, respira.

Non aveva  bevuto del the o del caffè (sostanze eccitanti!) e aveva fatto un lungo bagno profumato (rilassante).

Aveva letto su Internet che aiutava, perciò era piuttosto sicura che non sarebbe successo niente.

Respira, respira.

Respira, respira.

Respira.

April cominciò a vedere delle forme e delle scie di colore indistinte sotto alle palpebre chiuse.

Aveva letto che era normale che succedesse, nella fase REM del sonno.

Se era nella fase REM, allora si stava addormentando!
Pensò che fosse strano che avesse ancora pensieri così razionali, ma era contenta.

Di solito, quando aveva degli incubi, piombava nel sonno come se ce l’avessero…

Spinta dentro.

April sentì un peso sul proprio stomaco.

Si alzò, confusa.

Cosa poteva essere?
Accese, a tantoni, la luce del comodino.

Una piccola creatura rattrappita e raccapricciante la guardava, seduta sulla sua pancia.

Era davvero piccola, quasi pelata e con grandi occhi pallidi che sbucavano fuori dalle orbite, lattiginosi e nebulosi.

“Igrushka.”.

Sorrise, e facendolo si portò un dito alla bocca.

April lo osservò, paralizzata dal terrore, mentre stringeva il pollice fra i denti.

Erano piccoli e grigi, brillanti come dei chicchi di melagrana.

Ne mancava solo uno, sulla gengiva inferiore.

April non l’aveva mai avuto così vicino, e aveva paura.

“Oh, cielo.”.

La voce uscì dalla sua gola come se tante unghie gliela avessero raschiata facendolo.

“April, April, April.”.

Non era stato lui, il tono della voce che l’aveva chiamata assomigliava ad un nitrito.

E difatti, un cavallo entrò nella sua stanza.

Quando aveva lasciato la porta aperta? April non se lo ricordava.

L’animale era nero.

La sua criniera era legata in decine di piccole treccine, che scendevano sul lungo collo scompostamente.

Aveva una sella.

Rossa, rossa in una maniera che le faceva drizzare i peli sulle braccia.

Dove l’aveva visto, quel colore?

April voltò con lentezza il capo verso il mostro, che si tolse il dito dalla bocca.

Ancora rosso.

La mano indicò il cavallo. Più precisamente, la sua sella.

Respira.

Respira.

Respira.

In quel momento, April si svegliò.

Il peso sullo stomaco era ancora lì, il cavallo pure.

Il mostro stava ancora indicando la sella, ma la sua espressione adesso era più aggressiva.

I denti erano scoperti, macchiati del sangue del dito.

Un basso ringhio usciva dalla sua bocca.

April si alzò di scatto, gridando.

Il mostro cadde a terra, ai suoi piedi.

Quando le toccò una caviglia, in qualche modo April non riuscì più ad urlare.

Le sue labbra non si separavano, non importava quanto provasse.

La mano stretta intorno alla sua caviglia la tirò verso il cavallo.

April voleva urlare ‘Basta, basta!’, ma l’unico modo che trovò per esprimersi fu aggrapparsi saldamente alla base del suo letto.

Una forza sovrannaturale la tirava, tradendo quella mano raggrinzita e sporca.

Alla fine non riuscì più a reggersi al mobile.

Quella cosa, in qualche modo, la stava sollevando verso la schiena del cavallo.

April si ritrovò seduta sulla sella.

Panico. Panico. Panico.

Respira, respira.

‘E’ sicuramente una visione. Sto solo delirando.’ pensò April.

Sentiva i peli del cavallo pungerle le gambe e vedeva davanti a sé, dalla finestra spalancata  di fronte all’animale, la luna che illuminava la città, ma doveva essere solo una sua allucinazione.

Doveva, non c’era altra spiegazione.

Se era un sogno, si doveva svegliare.

April si divincolò dalla stretta delle braccia di quella cosa intorno ai suoi polsi.

Il cavallo si voltò verso di lei, soffiando aria dalla bocca e dalle enormi narici lucide.

Non riusciva ad urlare, ma un suono rumorosissimo si alzò dalla sua gola quando vide il cavallo avvicinarsi alla finestra.

Delle lacrime rigavano il suo volto.

Continuò a dondolarsi.

Il cavallo mise il muso fuori, inspirando litri e litri di frizzante aria notturna.

Quando saltò fuori, April riuscì a cadere a terra.

Sbatté la testa per terra, e tutto divenne nero.

 

 

 

*

 

 

April corse in cucina.

“Mamma!”.

La figura di sua madre era girata verso i fornelli.

“Buongiorno, amorino. Cosa c’è?”.

“Mi devi aiutare.”.

“Dimmi.”.

“E’ da una settimana che faccio questo incubo.

Cioè, non sempre lo stesso, ma c’è sempre questa cosa, tipo un bambino rachitico e inquietante, che mi accompagna in giro per dei posti che fanno paura… Mi chiama ‘giocattolo’ in russo. Ho paura, davvero tanta.”.

“Davvero?”.

“Mamma, sono seria!”.

April aprì il frigo, scocciata per il tono divertito della madre.

Un verso rauco risuonò in tutta la cucina:

Igr.”.

 

April finì di bere il succo di frutta.
Staccò la bocca dalla bottiglia, se pulì le labbra con il dorso di una mano e la rimise, chiusa, nel frigo.

“Eh?”.

“Cosa ‘eh?’?”.

April fece spallucce:

“Non lo so, hai fatto un rumore strano.
E comunque, oggi, quando vai dallo psicologo, chiedigli qualcosa su come far smettere i miei incubi. Davvero, ho provato, ma… Non ci riesco. E sono terrorizzata, davvero.

Vado, che sono in ritardo.”.

 

Shk.”.

 

April stava per uscire dalla cucina, ma si bloccò sulla porta.

“Stai bene?”.

 

Grshk.”.

 

Qualcosa le diceva di correre a scuola.

Un campanellino d’allarme suonò in un angolo del suo cervello, ma April non lo ascoltava mai.

Sua madre si voltò nello stesso momento in cui lo faceva.

La sua faccia era snaturata.

Gli occhi, una volta di un bel verde prato, sottili e luminosi, erano lattei, sporgenti, vacui.

La bocca sorrideva, ma i denti erano più piccoli ed il rossetto molto più rosso del solito. I capelli erano decisamente sfoltiti.

Grshk-a. Igrushk-a. Igrushka. Igrushka.

Igrushka igrushkaigrushka.”.

Del sangue le colò sul mento, mentre April urlava, urlava e urlava, appiattendosi contro la parete e scivolando in basso, nell’abisso della sua mente.

 

 

Respira.

Respira.

Svegliati, dannazione!

 

 

 

 

 

 

 

L’angelo dell’autrice:

Ciao a tutti!
Prima di tutto, specifico che ho messo una cavalla.

La cavalla è il simbolo per eccellenza, per chi non lo sa, dell’incubo.

Questo capitolo è uscito un po’ strano, come volevo.

Spero solo che sia uno strano-piacevole!

Secondo, scusate per il ritardo di due giorni.

Pardon, ma sto avendo un mese un po’ disgraziato.

Questo era, però, l’ultimo aggiornamento, which means che questa storia (molto corta) è finita.

In ogni caso, vorrei ringraziare chi l’ha seguita (PianoDreamer), chi l’ha preferita (Fallen_Angel24), chi l’ha recensita (A r c t i c a  e  a_little_crazy_panda) e anche chi l’ha letta silenziosamente <3

Un saluto, donzelle e donzelli!

 

   
 
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