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Autore: Lusivia    18/03/2015    3 recensioni
[STORIA IN VIA DI REVISIONE: primi SETTE capitoli aggiornati.]
Un tempo credevo che quelle piccole sferette bianche fossero la sola cosa che mi impedisse di impazzire, quel filo stretto attorno alle rovine della mia mente, e tutto ciò che dovevo fare per evitare il collasso era chiudere gli occhi e buttarle giù.
Per diciotto anni avevo vissuto nella convinzione che fosse giusto così, che non poteva esserci via d'uscita da quella villa nascosta tra le colline, ma spiriti antichi avevano cominciato a sussurrare le loro verità.
Un giorno, da un debole atto di ribellione scoprii che ciò che vi era dentro di me era molto più che il riflesso della malattia; era qualcosa di più antico, l'eco del sangue versato in nome di quell'eterna battaglia che continuava ad emettere i suoi clangori, ma l'umanità era ormai troppo giovane per ricordarne il suono.
Ho dovuto vivere le favole narrate dalle antiche voci nella mia testa per scoprire la verità su di me, sul mondo, sull'autentica faccia dell’umanità, e ancora non sono sicura che sia davvero tutto.
Ma ora dimmi, Laura: quanto indietro vuoi tornare per scoprire che la tua vita è, ed è sempre stata, una bugia?
Genere: Avventura, Azione, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altaïr Ibn-La Ahad, Kadar Al-Sayf, Malik Al-Sayf, Nuovo personaggio
Note: Lime, What if? | Avvertimenti: Spoiler!, Tematiche delicate
Capitoli:
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                                                                                        Capitolo 9
                                         
                                                                            Un sentimento incontenibile.




Stiracchiai le braccia all’aria, accolta dal calore tiepido del carro del dio Apollo, che era salito alto nel cielo di quella mattina per permettere al cocchiere di gettare sul mondo tutta la luce raccolta nel suo mantello dorato.
Mi spogliai canticchiando una canzone dal motivetto improvvisato, preparai il tinello che tirai sotto la finestra e m’immersi nei liquidi aurei, che si riflessero tremolanti lungo il mio corpo pallido risalendo fino ai miei occhi.
Una volta immersa, feci oscillare giocosamente le ginocchia, unica parte del corpo rimasta asciutta, prendendo un bel respiro prima di incurvare la schiena e bagnare anche i capelli, che pesarono quando riemersero dall’acqua.
Un bagno caldo era ciò che ci voleva per pensare in tranquillità.
Non avevo dormito molto la notte prima, forse perché ero ancora in pensiero per ciò che era successo dopo esser tornati assieme ad Abbas.
Al Mualim ci aveva convocato nel suo ufficio non appena varcammo la soglia del villaggio, ma non sapemmo del perché fino a quando non lo incontrammo sulle scale, con le mani dietro la schiena e un sorriso insolitamente gentile che li alleggiava in volto.
Come prima cosa, il Gran Maestro ordinò che Abbas fosse curato da due governanti di mezza età , dopo di che, quando congedò anche Kadar, rimanemmo solo io e Altaïr.
Rimasi in una nervosa attesa per tutto il tempo, gettando di tanto in tanto occhiate all’Assassino al mio fianco.
Che avesse a che fare con la lettera di Thorpe?
Invece, con mio grande sollievo, Al Mualim annunciò, visto i miei progressi, che era arrivato il momento d’essere affidata alle cure del suo Priore prediletto, colui che , da quanto avevo capito, sarebbe diventato il suo erede: Altaïr.
Non avrei voluto abbandonare Malik così, giacché passavamo la maggior parte della giornata insieme, prima tra i riscaldamenti, poi con la pausa pranzo e lo studio, finendo con l’abituaci in un’apatica rutine l’uno della presenza dell’altro.
Ma discutere con Al Mualim era come combattere con dei mulini a vento, così avevo preferito ingoiare quella pessima notizia senza contestazioni, abbozzando un inchino di congedo.
Osservai per un po’ il mio palmo che carezzava il pelo dell’acqua dorata, poi presi un bel respiro e m’immersi completamente nella tinozza, dove fui inghiottita dai fluttui ovattati come un sasso che va a picco.
< Nel tuo sangue scorre la linfa di un Ordine antico, che ti ha scelto nel grembo di Erica quando eri solo un feto. Adesso, però, ti reclama a sé, come sua legittima proprietà. I Templari t’invocano in battaglia per combattere l’ombra dell’umanità. Gli Assassini>
Le parole di Agata erano come fantasmi pallidi nella mia testa, mettevano i brividi sebbene fossero solo ricordi; eppure, erano così vivide e forti.
Superato lo sdegno iniziale, avevo iniziato ad analizzare la situazione con più calma, ed ero arrivata alla prima conclusione che ammettere l’esistenza dei Templari spiegava molte cose, prime fra tutte il motivo per cui Erica spariva spesso nel corso di un solo mese.
Per uccidere qualche Assassino nascosto a New York, o a Vienna, o a Tokyo…
Eppure, qualcosa non mi tornava.
Qualcosa che ancora non riuscivo ad afferrare, che picchiettava nell’angolo della mia coscienza per farsi notare, che mi chiamava in un ululato lontano, qualcosa, insomma, d’importante.
Qualcosa…ma cosa?
I polmoni si contrassero nel petto, sentii che l’ossigeno stava per finire, dunque mi aggrappai ai bordi della bacinella e mi tirai su, riemergendo a bocca spalancata per riprendere immediatamente fiato.
-Mi hai bagnato tutto…- la voce di Kadar sfiorò in una carezza accattivante la mia schiena, facendomi voltare con gli occhi spalancati e le labbra lucide semiaperte.
Il ragazzo dal cappuccio cenerino era entrato nella mia stanza, silenzioso come un gatto, e si era tenuto in disparte accanto alla porta per osservare la scena indisturbato, finché, forse per impazienza, forse per maliziosa curiosità, aveva deciso di farsi notare.
In un primo momento lo fissai, quasi incredula di vederlo lì, poi smossi in un movimento brusco tutta l’acqua e strinsi le ginocchia al petto, cercando di coprirmi con i capelli incollati lungo la schiena.
-Kadar!- esclamai a voce debole, prendendo a guardare nervosamente attorno, alla ricerca di qualcosa con cui coprirmi.
Egli sorrise sornione, forse divertito dal mio imbarazzo, esitando un momento prima di lanciarmi un telo che afferrai al volo.
-Perdonami, ma non ho resistito. - ammise, voltandosi di faccia contro il muro. - Dovresti tenere la porta chiusa quando fai le abluzioni, Laura- aggiunse poi- Qualche malintenzionato potrebbe entrare e afferrarti quando meno te lo aspetti.
Stesi il telo davanti ai miei occhi, alzando un sopracciglio in segno di scherno-Vedo…- borbottai.
Riemersi dall’acqua e velocemente mi fasciai il corpo, strizzai i capelli nella tinozza e scavalcai la bacinella, schizzando ovunque acqua e bagnando il pavimento a tal punto che i miei piedi squittirono fastidiosamente.
-Avresti dovuto bussare- gli feci notare a quel punto, spostando i capelli per scollarli dal collo sinuoso e dalla schiena bianchissima.
Lui gettò un’occhiata curiosa da sopra la spalla, osservando quel movimento con un brivido.
-Avrei dovuto. - mormorò profondo.
Avvertendo la vergogna impossessarsi delle mie guance, mi affrettai a raccogliere gli abiti, dopo di che gli stesi sul letto e attesi a testa china che Kadar uscisse in corridoio.
Ma lui non si mosse.
-Sei molto bella, Laura- non riuscì a tenersi quel commento per sé.
I nostri occhi s’incrociarono come due calamite attratte l’una dall’altra, io deglutii per inumidire la gola improvvisamente secca, lui sorrise spensierato e tornò a guardare il muro, sospirando leggermente.
-Ti aspetto in corridoio- annunciò e lasciò la stanza, chiudendo accuratamente la porta alle sue spalle.
Mi aveva visto nuda, suppongo.
Sorrisi timidamente.
Una volta che fui di nuovo pronta per mescolarmi tra gli uomini della fortezza, legai in una coda i capelli umidi e li coprii con il cappuccio, dopo di che raggiunsi il Novizio lungo il pianerottolo, che era immerso nei fasci caldi di quel mattino.
Lo raggiunsi e , senza batter ciglio, Kadar mi scortò nei piani inferiori, dove ero attesa da Altaïr per il mio primo allenamento sotto la sua potestà, forse il più duro della mia vita.
Di sicuro, se proprio doveva farmi da baia, almeno si sarebbe divertito a tormentarmi un po’.
Mentre procedevamo lungo la nostra strada, Kadar, che se n’era stato in silenzio a rimuginare fino a quel punto, si fermò improvvisamente nel bel mezzo della via.
-Laura, posso farti una domanda?-chiese a quel punto lui, con aria molto seria.
Mi accigliai, poi annuii.
Lui si voltò a guardarmi-Quella volta, a Damasco, tu ti eri nascosta nel carro perché due guardie t’inseguivano. - iniziò.
-Sì, è così.
-Quando ti sei nascosta poco distante da me, spaventata e tremante come un pulcino che si copre con i fili del nido, ebbene ti ho udito dire una frase ben precisa. Una frase che mi ha lasciato un po’ interdetto, a esser sincero.
Arcuai un sopracciglio, spostando il peso sul piede destro- Quale?-chiesi.
-“Nulla è reale, tutto è lecito”- rispose asciutto Kadar- Sono le parole del nostro Credo. Parole che solo gli Assassini conoscono perché pronunciate il giorno della loro iniziazione nella Confraternita dal nostro Mentore. Parole…che tu non dovevi conoscere.
L’ultima affermazione gli lasciò un amaro in bocca che gli impedì di aggiungere altro, ma non ce n’era bisogno, perché capii quale dubbio lo avesse assalito.
Si limitò invece ad analizzarmi con aria disperatamente fiduciosa.
Esitai, fissandolo a testa alta, poi mi portai davanti a lui, vedendolo mentre espirò via il fiume insensato di pensieri che avevano riempito la sua testa.
Potevo dirgli ciò che volevo, lo sapevo.
Lui si sarebbe fidato comunque.
-La prima volta che sentii queste parole ero solo una bambina e le disse mia madre-dissi - Ma non sapevo cosa significassero finché non ho incontrato voi, gli Assassini. Finché… non ho incontrato te, Kadar. In verità, è da quando ti ho incontrato che ho iniziato a capire tante cose.
Come previsto, Kadar non mise in dubbio per un solo momento le mie parole.
-Parli come se fossi importante per te.- osservò inespressivo.
Socchiusi poco gli occhi- Lo sei. Ma, se credi che stia mentendo, allora non credere a nulla di quello che ti dico.
-Lo so- affermò precipitosamente, poi torse il busto a destra per sfilare dalla sua casacca un oggettino lucente che mi offrì sul suo palmo aperto.- Per questo, ti darò qualcosa che ti leghi indiscutibilmente a me.
Era un bracciale in oro fino, lucente e ben definito, decorato alle estremità da due incisioni floreali e impreziosito al centro da una scheggia verde pallido screziata di piccoli globi neri e lucenti: un turchese.
Con aria un po’ impacciata, Kadar mi prese con delicatezza il polso e lo rigirò tra le sue dita scure, dopo di che infilò il bracciale con cura e precisione e rigirò la mia mano verso l’alto.
La pietra turchese era liscia e levigata, sembrava quasi fatta per splendere sulla mia pelle.
-L’ho visto questa mattina presto al Suk e ho pensato che…sì, insomma…a me non piacciono queste cose, perché sono maschio….- stava balbettando- Però, tu sei una donna…e alle donne piacciono queste cose un po’ frivole, no?
Un sorriso pizzicò gli angoli della mia bocca e abbassai lo sguardo sulla sua mano, che ancora teneva la mia per le dita.
-Non che tu sia frivola, Laura!- Kadar rettificò immediatamente la sua frase, imbarazzato, e strinse la presa con entrambe le mani-Assolutamente! Anzi, sei molto temeraria e forte e bella e coraggiosa e ….
-Va bene- cercai di trattenere il mio cuore che stava esplodendo in un pianto incontrollato, ma non potei impedire ai miei occhi di divenire lucidi. - Lo accetto… di cuore, Kadar- sussurrai piano.
A quel punto, il mio corpo si tese impercettibilmente verso di lui, come un magnete, come un pianeta bisognoso di gravità.
Kadar mi guardò attraverso le sue folte ciglia, ma non riuscì a fare altro se non osservare immobile le mie labbra, che avevo preso a mordicchiare nervosamente.
Che buon odore aveva, così caldo e dolce…
Chiusi gli occhi in un respiro intenso, attendendo.
Sentii il suo alito infrangersi sulla mia bocca, ma per una risata.
-Sai, avevo creduto che fosse stato nostro padre a insegnarti il Credo. Ecco perché ti avevo portato qui, ecco perché ti avevo creduto quando mi dicesti d’essere tuo fratello. – ammise frustrato Kadar, allontanandosi di qualche passo per regalarmi uno sguardo pieno di fredda indifferenza.
Lo guardai allibita mentre lui si bloccava a un passo dall’angolo, poggiando una mano contro la parete e fissandomi distrattamente, come se fosse sul punto di scappare via il più lontano possibile da lì, il più lontano da me.
Arcuò le sopracciglia-In ogni caso, ho intenzione di mantenere fede alla mia promessa- concluse.
-Quella di ignorarmi?- chiesi confusa.
-Quella di proteggerti, Laura. Sempre e comunque.

*   *    *

-Proteggermi, proteggermi… che diavolo significa? Non ho bisogno di protezione, diamine!
Era qualche minuto, ormai, che continuavo a borbottare tra me e me, mentre con cruccio avevo preso a liberarmi del cappuccio e di qualsiasi tipo di protezione, ad eccezione dei bracciali e degli schinieri.
Non c’era bisogno di proteggermi, non ero una bambina.
Gettai in un angolo della terrazza la roba e mi voltai verso Altaïr mentre era intento a liberarsi della sua pesante armatura, con quel solito cipiglio capriccioso che non permetteva di capire se era arrabbiato, affamato o semplicemente annoiato.
Diciamo che quella era la sua espressione standard per qualsiasi occasione.
-La pianti di brontolare cose senza senso?- disse d’un tratto lui, lanciandomi un’occhiata intensa da sotto il suo cappuccio. - Sei irritante, ragazzina.
Io, però, ignorai il suo malumore. - Perché mi hai fatto spogliare dell’armatura? Fa parte dell’esercizio?
L’Assassino sfilò dal suo polso la lama celata e la ripose delicatamente in cima alla catasta, guardandomi curioso, quasi come un bambino.
Poi, Altaïr sogghignò -Esercizio?- sorrise e si sfilò la cintura rossa dai fianchi, tendendola tra le sue mani mentre avanzava. - Non era questo ciò che avevo in mente, in vero.
Indietreggiai di un passo, sbiancando in volto, ma lui fece scivolare la fascia dietro la mia nuca e mi bloccò la ritirata.
Vidi la pelle sottile della sua cicatrice tendersi in un sorriso, poi le sue dita scivolarono ruvide sul tessuto accanto al mio orecchio e risalirono fino alle tempie, trascinando con loro la stoffa che mi coprì gli occhi.
Non appena la vista si scurì, gli altri sensi si acuirono.
Come se l’aria si fosse riempita di palloni elettrostatici che vibravano ad ogni mio spostamento.
-Io non faccio “esercizi”, Laura- la voce di Altaïr era chiara, limpida, penetrante mentre parlava - Io educo il mio corpo a sopportare il dolore e la fame, le lame e la fatica, il caldo e il gelo. Lo educo a obbedirmi. E lo stesso farò con il tuo corpo.
I suoi polpastrelli scivolarono via sul tessuto in uno struscio fastidioso, che grattò all’interno delle mie orecchie sensibili.
-Maniaco del controllo- brontolai.
Lo sentii ridere-Forse. Ora, però, presta attenzione. Ciò che voglio da te è che tu affini le tue percezioni “non visive”, quelle che non dipendono da altro se non dalla tua abilità più pura di controllare te stessa e il mondo attorno, a prescindere da ciò che i tuoi occhi vedono.
Scrollai le spalle con sufficienza-Non che le mie percezioni visive siano un granché…
-Non preoccuparti. L’addestramento darà i suoi frutti. Prima o poi.
-Oh, grazie- feci una smorfia ironica- Allora, che intenzioni hai? Vuoi forse colpirmi alla cieca finché non bloccherò il tuo colpo da bendata?
Altaïr non rispose alla mia provocazione.
-Altaïr…?
Quel silenzio improvviso mi agitò parecchio.
Per un momento rimasi in ascolto dell’aria, con le gambe leggermente piegate e i palmi serrati verso il basso, pronta a reagire a qualsiasi spostamento d’aria, a qualsiasi respiro, a qualsiasi rumore improvviso.
Ma non sentii nessuno movimento, nessun sogghigno, nessun piede che si avvicinava di soppiatto.
Era come se fosse sparito dalla stanza.
Poi, improvvisamente, un rombo sordo giunse alla mia sinistra e, prima che potessi far qualcosa, un’asta di legno mi colpì la coscia, facendomi ritrarre in un gridolino soffocato.
-Che cazzo era?- sbottai spaventata.
-Una spada, una lancia, una freccia…Decidi tu, Laura, tanto non attenuerà il dolore.
Avvertii la voce dell’Assassino ma non la sua presenza, ciò mi gettò nel panico.
 -Non ti avrò fatto tanto male, vero? –chiese poi- Ci sono andato leggero, infondo.
-N...no, ma mi hai spaventato a morte!
-Agitarti non farà altro che rendere più facile al tuo avversario tagliarti la gola.
Un altro colpo giunse a colpirmi il braccio, ma questa volta alla mia sinistra, e benché fossi ben preparata a reagire all’istante non riuscii ad acciuffare l’asta.
-Non ci siamo, Laura.
Mi voltai a destra, convinta di aver sentito la sua voce provenire in quella direzione.
-Dammi il tempo di capire dove sei!-sbottai.
-E che addestramento sarebbe?- esclamò stupito e mi diede un colpo al fondoschiena.
Grugnii esasperata, prendendo a indietreggiare con il corpo bloccato in una posizione impacciata e le mani che tastavano l’aria a casaccio, quasi sperando di incappare nel suo braccio o fianco.
Era frustrante essere in balia della situazione, ma soprattutto ero terrorizzata dalla possibilità di ricevere un altro colpo al sedere.
Dovevo stanarlo, capire la sua posizione, ma l’Assassino era ben accorto a rimanere ben nascosto nel silenzio della stanza.
Forse, però, potevo indurlo a indicarmi lui stesso dove fosse.
-Non hai parlato ad Al Mualim della lettera. Perché?- iniziai, sperando di aver stimolato la sua attenzione abbastanza da aprire un varco.
Lui non rispose subito. – In verità, l’ho fatto. Ma lui non ha voluto discuterne con me. – ammise frustrato.
Altaïr era alla mia destra.
Mi spostai un po’ di lato, tenendo le mani pronte a bloccare un colpo frontale.
Infatti, l’asta arrivò proprio dove avevo previsto, così riuscii, seppur non completamente, a parare il colpo con il bracciale di cuoio.
Essendo stato respinto, Altaïr si allontanò all’istante per impedirmi di individuarlo, schivando le mie mani tese ad acciuffarlo per i vestiti.
Sbuffai.
In ogni caso, farlo parlare funzionava.
-E come mai?- incalzai, questa volta rimanendo immobile dov’ero. – Insomma, nella lettera non c’era nessun’informazione utile…giusto?
-Concentrati.
L’asta arrivò in picchiata sul fianco, mi resi conto del contatto imminente, tuttavia i riflessi non furono altrettanto scattanti e mi beccò in pieno.
Indietreggiai, piegandomi in due dal dolore, ma non esitai oltre in quella posizione vulnerabile e mi rimisi subito diritta, pronta a bloccare un altro attacco.
-Notevole. - Altaïr sembrò compiaciuto di me- Ancora, forza.
Parai un altro colpo, questa volta con più precisione e forza, riuscendo a rimandarlo indietro.
-Magari, la questione non è di tua competenza, Altaïr- continuai imperterrita.
Lui grugnì.-Non dire baggianate.
Questa volta la sua voce era molto vicina.
Forse, era il momento giusto.
Dovevo solo spingerlo a parlar un’ultima volta.
-Forse, Al Mualim crede che questa sia una cosa che tu non puoi risolvere da solo.
Lui schioccò la lingua contro il palato in segno di disapprovazione, dandomi finalmente la sua posizione.
Regolai il respiro con molta attenzione, tenendo il corpo pronto a scattare alla più piccola sollecitazione di fronte a me, e attesi un suo attacco a sinistra.
Inaspettatamente, però, Altaïr si spostò alle mie spalle e mi colpì un polpaccio con intento provocatorio, portandomi ,effettivamente, a reagire senza calcolare bene l’eventualità di una sua reazione.
Per l’appunto, in meno di un secondo, l’Assassino fece scivolare l’asta dietro la mia schiena e mi bloccò contro di lui, arginando il contrattacco prima che questo arrivasse a fracassargli il naso.
La sua presenza mi travolse ancor più ora che i miei sensi erano così eccitati, per un momento fu come se potessi vedere il suo profilo aquilino oltre la stoffa rossa.
Poi, con la voce scura di un incubo, Altaïr parlò.
-Io sono l’Assassino migliore di tutti. Il più forte. Il più veloce. Il più abile. E di certo non sarà una stupida missione nel tempio di Salomone a cambiare le cose.
Con uno scatto stizzito, Altaïr allontanò l’asta e mi liberò dalla gabbia delle sue braccia, permettendomi così di sfilare la benda legata attorno alle tempie e tornare ad avere il controllo di ciò che mi circondava.
Le mie irridi faticarono a riadattarsi al mondo della luce, ma, quando finalmente misi a fuoco le figure circostanti, vidi che ero rimasta sola.
Altaïr si era di nuovo dileguato nel nulla.
Avrei tanto voluto capire per quale dannato motivo facesse così.
Dato che il mio maestro se l’era data a gambe, raccattai la roba con la fastidiosa consapevolezza di esser così poco rilevante da esser mollata nel bel mezzo dell’allenamento, come se non vedesse l’ora di cogliere l’occasione migliore per liberarsi di me.
Giacché il sole era al suo zenit ed io ancora non avevo messo sotto i denti un pasto, lasciai il terrazzo a capo coperto per recarmi nelle cucine, percorrendo a grandi falcate il tragitto già pregustando la colazione tanto agognata.
Camminando, avevo preso a controllare di tanto in tanto il gioiello d’oro al polso, ben nascosto sotto il bracciale di cuoio, e sentii il sangue ribollirmi ulteriormente nelle vene quando pensai che quello stupido di Altaïr avrebbe anche potuto scheggiare la pietra.  
Quello era un regalo prezioso da parte di Kadar, un pegno.
Già, ma un pegno di cosa proprio non lo avevo capito.
Quando giunsi nella sala da pranzo, trovai la figura austera di Malik intenta a sfogliare un libro dalla rilegatura marroncina, così rapito dalla lettura da aver abbandonato in un angolo il piatto della colazione.
-Salute e pace, fratello- mi annunciai prima di sedermi di fronte a lui, allungandomi per rubare una manciata di noci all’angolo del piatto.
Lui alzò lo sguardo metallico dalle pagine un per istante, poi arcuò le sopracciglia e tornò alla sua lettura.
-Come è andato l’allenamento con il Prescelto?-chiese apatico.
-Mi ha colpito con un bastone più e più volte- dissi e lanciai in bocca una noce.
-Mi dispiace.
-Non mi ha fatto male. Mi ha fatto incazzare.
-Immagino.
Alzai gli occhi al cielo, cercando con il dito la noce più grossa tra quelle che avevo sul palmo- Non credevo che un essere umano potesse avere una capacità tale di sintesi dialettica. M’impressioni ogni volta, Malik…-borbottai sovrappensiero.
A quel punto, finalmente, l’uomo si decise a chiudere il libro, che spostò all’angolo della tavolata, e piantò i gomiti sulla superficie, incrociando le dita davanti alla sua bocca.
-Se devi chiedermi qualcosa fallo e basta, sorellina- notai una certa forzatura nell’ultimo termine.
Ah, allora l’aveva capito che ero andata da lui per un motivo.
Dimenticavo quanto fosse sagace.
-È…è possibile che un Templare conosca il Credo degli Assassini, Malik?
-…Perché mi fai questa domanda?
Esitai.
-Curiosità.
Lui si accigliò un poco, passando distrattamente il pollice sul labbro inferiore con sguardo attento.
Stava cercando di vedere ciò che mi passava per la testa.
Lo faceva spesso, avevo notato.
- In teoria, no. Però…
-Però?
-Può darsi che un Templare sia venuto a conoscenza di questo dettaglio con qualche sordido mezzo di persuasione. Sai, non tutti gli Assassini sono coraggiosi e impavidi di fronte a una lama. A volte, la morte fa troppo paura per andare fino in fondo e qualcuno preferisce….
-Tradire?-la voce carnosa di un uomo arrivò dall’inizio della sala, facendoci voltare all’istante.
Abbas era in piedi vicino alla fornace dormiente e stava segnando distrattamente con le sue dita scure dei cerchi nella cenere, ma i suoi occhi ardevano come se ci fosse proiettato dentro il fuoco vivo.
Malik si drizzò sul posto e prese ad analizzare di sottecchi l’Assassino appena entrato nella conversazione, mentre io alternai lo sguardo interrogativo prima su di lui, poi su Abbas.
-Per caso ti riferisci a qualcuno in particolare, Al-Sayf?-domandò Abbas.
-La mia era solo una constatazione di una verità comune, ritengo- rispose misurato lui.
Abbas tirò un sorriso inquietante, alzando, finalmente, lo sguardo buio su di noi- Certo, fratello.
A quel punto, Malik agganciò lo sguardo di quello nel suo e per un momento i loro occhi sembrarono stridere in un grido di metalli e ferro nero.
Nei loro animi, era come se due titani fremessero da tempo per imperversare in una battaglia a cielo aperto.
Ma non era ancora giunto il momento.
Almeno, non ora.
-Vieni, Nadim- Malik mi richiamò con un cenno degli occhi e l’intesa fu immediata.
Mi alzai dalla tavola, lui prese il suo libro e mi seguì fuori dalla stanza, dove la nube nera sulla testa di Abbas aveva ormai appestato l’aria con il suo peso asfissiante.
-Che diavolo. - sbottai, svoltando l’angolo del corridoio- Si può sapere che ha quel tizio? È perfino più seccante di Altaïr!
Malik si strinse nelle spalle, balzando a sedere sul davanzale di una finestra. - Credo sia normale esser così astioso, se tuo padre è stato accusato di tradimento e abbia mandato a morte un caro amico- osservò, riaprendo il libro sulle sue ginocchia.
Io mi accigliai- Chi?
-Umar Ibn-La’Ahad- mormorò, con il naso ficcato tra le pagine del volume.
-…Il padre di Altaïr?
-Venne giustiziato dai Saraceni proprio davanti alle mura della fortezza, sotto gli occhi di suo figlio. Allora, Altaïr aveva solo undici anni.
Non sapevo se a causa della fame che incalzava o se per un sentimento improvviso di pietà, ma sentii il mio stomaco ribaltarsi in gola.
Che cosa orribile, vedere il proprio padre venir sgozzato come un animale davanti ai tuoi occhi.
Cosa avrà provato quel bambino?
Si sarà sentito spaventato? Solo…?
Avrà pianto?
Altaïr che piange.
Quell’immagine provocò in me un lieve sentimento di compassione.
-Laura- Malik mi chiamò di nuovo. - Non impicciarti nella vita di nessuno. Chiaro?
Risi tesa, stringendo distrattamente il pugno contro il mio stomaco. - Non avevo in mente di farlo!-esclamai, ma con l’altra mano incrociai le dita dietro la schiena.

*   *    *

Suor Agata diceva che avevo una sensibilità che pochi possedevano, una capacità di condividere istantaneamente il dolore di qualcun altro nella speranza di alleviare le sue pene, di poter dividere il peso.
Ma diceva anche che quella sarebbe stata la mia rovina, se avessi dimenticato di preoccuparmi innanzitutto di me.
Ecco perché avevo deciso di ricoprirmi con quell’armatura impenetrabile.
Perché così nessuno mi avrebbe mai ferito.
Eppure, nonostante tutto, continuavo a preoccuparmi degli altri, perfino  per Altaïr.
Ecco perché adesso lo stavo cercando in giro per la fortezza.
D’accordo, ma che diavolo credevo di fare?
Non potevo di certo dirgli che ero venuta a conoscenza della sua tragica storia e che ora mi faceva pena, innanzitutto perché questo sarebbe stato un durissimo colpo per il suo ego smisurato e ciò lo avrebbe di sicuro portato ad assumere un atteggiamento aggressivo.
E a me non andava affatto di farmi fulminare dal suo sguardo ferino.
Mi bloccai lungo le scale, grugnendo esasperata - Sono un’idiota!- e nello stesso secondo girai i tacchi verso i piani delle stanze.
Meglio seguire il consiglio di Malik e lasciar perdere.
Scesi le scale tenendo lo sguardo basso, finché, prossima alla mia camera, notai un Novizio che si era poggiato in maniera scomposta contro la porta di legno, mentre con le mani rigirava nevroticamente un foglietto ripiegato su se stesso.
Kadar non si accorse di me, quindi misi alla prova gli insegnamenti del mio vecchio maestro dallo sguardo severo e sgattaiolai alle sue spalle senza far troppo rumore.
Quando gli fui abbastanza vicino, lo acchiappai per il cappuccio e glielo tirai fino a sfiorargli il naso.
-Non sai che è da maleducati sostare davanti alle camere altrui?- lo rimproverai bonaria, osservandolo con gli occhi che brillavano silenziosi mentre lui si riabbassava la cappa sulle spalle, con le gote improvvisamente rosse.
Kadar provò a nascondere il foglietto tra le mani, mentre, con gli occhi bassi, farfugliava. - Laura, ecco, non credevo che…insomma, non pensavo di incontrarti…ecco, sto…- sbuffò, schiaffeggiandosi la fronte-Ora me ne vado- brontolò tra i denti.
Si girò dall’altra parte, sospirando sconsolato, ma la mia mano giunse a bloccarlo per il lembo dei vestiti e Kadar si voltò nuovamente verso di me.
-Cos’è quello?- chiesi, indicando il foglietto accartocciato. - È per me?
-Eh? Oh, niente, nulla d’importante…
Io lo fissai e lui fece altrettanto.
-Non è…era solo una stupida frase- insistette.
Io sorrisi un poco- Posso vedere?-domandai gentilmente, stendendo la mano verso di lui.
La richiesta lo lasciò spiazzato ma, non appena comprese che non avrei accettato scuse, cedette alla mia offerta con espressione arrendevole.
Prese delicatamente la mia mano e aprì le dita con le sue, invitandomi con una carezza a prendere il foglietto, dopo di che si allontanò di qualche passo, permettendomi così di analizzare in tranquillità il piccolo messaggio ripiegato su se stesso.
Alzai di sottecchi lo sguardo, un po’ indecisa, e lo sorpresi a fissarmi intensamente, così tornai sul foglietto e cercai d’aprirlo strusciando i polpastrelli sull’orlo sottile.
Ma la mano di Kadar mi bloccò il polso.
Sebbene adesso le distanze tra noi si fossero accorciate improvvisamente, non mi curai del fatto che gli sarebbe bastato un centimetro per arrivare a toccarmi, bensì ciò che mi turbò fu quella luce misteriosa che adesso gli lampeggiava negli occhi limpidi.
Era desiderio famelico.
Molto lentamente, Kadar fece scivolare le mani verso i miei fianchi, poggiò i palmi con riguardo lungo la mia schiena e, approfittando del mio sgomento iniziale, riuscì ad accostare completamente il suo corpo slanciato al mio.
Mi diede un po’ fastidio quel contatto così intimo, dunque feci un po’ di resistenza con i polsi, ma qualsiasi spirito belligerante venne meno quando arrivò il suo respiro timido a scaldarmi l’orecchio, portandomi a tremare un po’.
Una volta tastato la mia soglia di tolleranza, i suoi muscoli si allentarono un po’ e, una volta umettosi le labbra, cominciò a strusciarle lungo il mio orecchio, facendomi sentire il suo fiato corto, reso più insistente dalle pareti interne della mia cappa.
Quando la cartilagine finì, passò al collo, fino a saggiare l’inizio della clavicola sinistra, poi risalì con un ansimo fino al lobo e lo mordicchiò.
Un sussulto interiore mi portò ad aggrapparmi alle sue braccia, mentre la mia bocca era ostinatamente serrata, decisa a contenere il respiro divento fastidiosamente grosso, ma distinguevo chiaramente che un calore improvviso aveva preso a smuovere tutto dentro di me.
Ed era imbarazzante.
-K…Kadar…no!- mugolai, maledicendomi all’istante per quell’insulsa vocina da ragazzina in preda agli ormoni.
Ma quell’ammonimento servì solo ad esaltarlo ancora di più, infatti, Kadar rafforzò la presa sul mio corpo e lo strinse a se così forte  da farmi temere che mi sarei ritrovata il giorno dopo con dei lividi.
Eppure, cavolo se era piacevole quel dolore.
-Fanculo…- lo sentii improvvisamente sussurrare.
-Cosa?-ansimai.
A quel punto, Kadar mi spinse contro la porta e prese a baciarmi con una violenza incontrollata, affamata, esasperata, mordendo e succhiando senza curarsi del fatto che mi stesse facendo male, toccando avidamente la forma delle cosce, dei fianchi, delle spalle…ed io che tremavo sotto le sue carezze spudorate.
-Fanculo a tutti gli altri…- ripeté- Fanculo… alla promessa…Fanculo…a…tutto ciò che non sei tu, Laura…!
Prima che potessi iniziare a gridare, Kadar mi spinse dentro la camera e richiuse la porta con un calcio netto, tagliando così il resto del mondo fuori da quel piccolo angolo d’estasi rarefatta e impetuosa.
Senza smettere di baciarmi, il ragazzo mi condusse di prepotenza verso il letto.
Sebbene avessi cominciato a opporre seriamente resistenza, non potei impedirgli di infilare un ginocchio tra le mie gambe e gettarmi di violenza contro il materasso.
Caddi in un tonfo sordo tra le lenzuola, cercai di riemergere con le unghie e i denti ma Kadar arrivò su di me e m’immobilizzò sotto il suo peso.
Finalmente, riuscì a bloccarmi le braccia sopra la testa, dove non lo avrebbero più respinto o graffiato, e solo allora si concedette un momento per riprendere fiato da quella lotta senza esclusione di colpi.
Adesso che eravamo faccia a faccia, notai un rossore violaceo che gli pizzicava le guance scure e gli occhi, normalmente gentili e puri, erano sbarrati in un baratro di perversioni e istinti animaleschi, impossibili da controllare ora che avevano raggiunto il limite.
Ma Kadar era anche spaventato.
-Non...non so che mi sia saltato in mente…- iniziò a giustificarsi, socchiudendo le ciglia folte per nascondere gli occhi lucidi- Io...non ho idea di cosa stia facendo, davvero- aggiunse imbarazzato- Ma sento che sono arrivato al limite. E adesso, Laura, voglio fare l’amore con te.
Le sue parole colpirono i miei timpani come l’eco di un campanellino tra la neve.
Poco dopo, sentii che una strana emozione, soffocante e gioiosa, aveva preso ad avanzarmi in petto fino a far male e non potei evitare di lottare per trattenere quell’esplosione indescrivibile che adesso infuriava nel mio petto.
Kadar mi desiderava.
-Ma io sono tua sorella- ribattei, tuttavia la mia voce parve incerta perfino a me stessa.
Lui si accigliò- Non mi importa.
Sgranai gli occhi, paralizzata, e lui si chinò sulla mia scapola, sfiorandola con il naso.
E io tremai tutta a quel contatto, perché ero spaventata.
Lui m’intimoriva.
Era per questo, allora, che mi veniva da piangere?
Il brivido sottile che smosse la mia spalla indusse Kadar a sollevarsi un poco, piantando i suoi occhi lampeggianti su di me. -Laura, non…non è una costrizione, io non ti farei mai nulla contro il tuo volere. Lo sai, vero?- esclamò piano, ma era evidente quanto fosse turbato per la mia reazione.
Mi sforzai di annuire, tuttavia preferii chiudere gli occhi e nascondere il volto contro il mio braccio.
Maledizione, dovevo calmarmi.
Non appena ebbi riordinato i pensieri, finalmente, lasciai che la bocca si muovesse. -Non…non sono preoccupata che tu mi violenti, Kadar. Non è per quello che mi viene da piangere.
-E per cosa, allora?- ora era davvero esasperato.
Presi un bel respiro, rigirando la testa per guardarlo diritto in viso. - È che…è imbarazzante.
-…Imbarazzante?
Annuii fiacca- Si. Insomma, l’ho notato sai, che sei… eccitato. Ecco.
Quella parola lo fece avvampare fino alla cima delle orecchie, tuttavia Kadar cercò lo stesso di mantenere il suo orgoglio puramente mascolino facendo finta di nulla, come se quella pressione dietro la toppa dei suoi pantaloni non esistesse nemmeno.
-S…scusa- brontolò impacciato.
-Scusa? – il nervosismo fu tale che non riuscii a trattenere una risata-Non devi scusarti, diamine!
-È che non ho la più pallida idea di quello che sto facendo!-rimbrottò risentito lui.
-Neanche io!
La sincera genuinità della mia risposta lo ammutolì all’istante, confondendolo a tal punto che per qualche secondo non riuscì a far altro se non studiarmi. - Ah, no?- balbettò poi.
Io arrossii, traendo un bel respiro per calmare i nervi, tesi come la corda di violino.
 -No, non ho mai…avuto un ragazzo.
-Oh.
Kadar esitò, seriamente combattuto su cosa dire o fare, come se sapere d’essere il primo a toccarmi gli facesse avvertire una responsabilità maggiore, che lo avrebbe reso custode di un legame indissolubile, per sempre.
Ma poi, quando sentì sotto le dita il bracciale con il turchese legato al mio polso, tutta la sua ansia scivolò in un sorriso dolce e il volto tornò calmo.
Così, il giovane Assassino si chinò su di me e baciò teneramente la punta del mio naso, inchiodando i suoi occhi magnetici nei miei nell’esatto scopo di demolire quel poco di resistenza che ancora c’era attorno al mio cuore.
-D’accordo, ricominciamo da capo- disse, sorridendo- Laura, io credo…anzi, sono sicuro di provare sentimenti fortissimi nei tuoi confronti, che non ho mai provato per nessuno in tutta la mia vita. E sono molto, molto spaventato. Quindi scusami se mi sono comportato come un idiota e se ti ho terrorizzato- si bloccò, prendendo un bel respiro-Vuoi che me ne vada?-chiese poi.
L’ultima domanda fu accompagnata da uno sguardo ammiccante, che mi lasciò piacevolmente confusa.
Kadar era sempre stato presente nella mia vita, già da bambina lo conoscevo senza saperlo.
E anche lui sembrava conoscermi da sempre, quasi mi avesse visto nella sua mente già tempo fa, prima di quel giorno fatidico a Damasco, prima di sapere il mio nome.
Ed ora, era come se mi stessi affidando alle mani amiche di una persona che si era presa cura di me dal giorno in cui avevo compreso d’esser rimasta sola.
Sapevo che non avrebbe fatto altro se non farmi stare meglio.
Così, scossi la testa e chiusi gli occhi, tirando la testa indietro in un invito a Kadar di far ciò che volesse.
Lui non tardò.
Avvertii la sua mano carezzarmi la guancia, pressando il pollice sotto la mia mandibola, poi Kadar poggiò le labbra bollenti sulle mie.
La lingua entrò vogliosa e solleticò la mia, le mani strinsero forte le forme morbide, poi scivolarono verso i suoi vestiti e cominciò a slacciarli.
Le mie mani si avvinghiarono alla pelle affusolata dei suoi addominali non appena lui gettò a terra la casacca, cominciando a baciarmi il collo, mentre io tastai curiosa il groviglio di nervi e sangue che formavano i suoi pettorali.
-Laura…- mi chiamò e si diede una leggera spinta con tutto il corpo.
Un gemito mi sfuggì dalla bocca e subito la punii affondando un canino nella sua carne, girando la testa di lato mentre avvertivo un imbarazzante senso di colpa pervadermi tutta, finché un gelo improvviso all’altezza dell’ombelico mi fece capire che Kadar aveva raggomitolato la casacca lungo il mio ventre.
Esitò quando giunse in prossimità dei seni, mordicchiandosi le labbra mentre riprendeva silenziosamente fiato.
Il cuore mi stava esplodendo, lo stomaco era un viluppo di nervi.
Sentivo che da lì a poco sarei svenuta.
O avrei vomitato.
Quando ormai Kadar ebbe lasciato definitivamente ogni tentennamento, la sua espressione divenne più decisa e mosse i polsi verso l’alto, tuttavia non riuscì mai a vedere ciò che vi era sotto il tessuto poiché venne bloccato da un rumore estraneo, che ci spezzò il fiato in due.
Entrambi ci girammo verso la porta, fissando la maniglia come se da un momento all’altro qualcuno potesse entrare lì dentro e pizzicarci così.
Come due ragazzini confusi  da una tempesta ormonale che aveva fatto perder loro completamente la ragione.
Ma ora l’incanto si era spezzato.
E quella vaga felicità aveva lasciato spazio alla muta consapevolezza d’esser scampata dall’errore più grande della mia vita.
Il bussare di nocche alla porta riecheggiò di nuovo nella stanza, facendoci sbiancare ancor più.
-Chi…è?- cercai di schiarire la voce quanto più possibile.
-Laura, potresti uscire in corridoio?- era la voce di Malik- È urgente.
Dannazione.
-…Certo!
A quel punto, senza riuscire a incrociare lo sguardo di Kadar, spostai il ragazzo di lato e quello si sedette sul bordo del letto senza batter ciglio, fissandomi come un segugio mentre mi rialzavo e sistemavo gli abiti come meglio potevo.
Accidenti, perché mi fissava con quell’espressione insoddisfatta?
Andai alla porta con passo veloce e mi fiondai in corridoio, dove Malik era piantato in mezzo alla via, nascosto nella semioscurità di quella nottata così agitata.
Notai che era un po’ teso.
Meglio, così non avrebbe notato la mia espressione stralunata.
-Qualcosa non va?- domandai, avvicinandomi.
-Ecco…in verità, si- iniziò insicuro- Qualche ora fa, sono stato convocato da Al Mualim e ho incontrato Altaïr, anche lui diretto nell’ufficio del Maestro.
-Oh- deglutii a vuoto. - E di cosa voleva discutere il Mentore?
Lui indugiò.
-Malik, mi stai facendo preoccupare.
-La lettera di Heron Thorpe, quella che Altaïr ha trovato sul suo cadavere, alquanto pare conteneva un’informazione più importante di ciò che sembrava. Al Mualim stava osservando da tempo i traffici nascosti di Roberto di Sable e Thorpe era l’intermediario ignaro che ci avrebbe condotto diritti alle mappe segrete del suo Signore. Ma ora l’abbiamo trovato.
-Cosa?  
-Ti spiegherà tutto il Mentore. Sai dov’è Kadar?
Sbiancai- …No!-risposi con troppa vemenza.
E Malik se ne accorse.
-Non importa, lo troverò per conto mio.

*     *      *

-L’Arca dell’Alleanza?- brontolai incredula- Ma…non era solo una leggenda?
-Leggenda, mistificazione, verità…Non è L’Arca ciò che ci interessa.
Al Mualim stava frugando distrattamente tra dei fogli sparsi sulla scrivania massiccia, tra cui anche la lettera che avevo trovato addosso a Thorpe, ingobbito nella sua figura arcigna mentre una fiammella coraggiosa illuminava la sua schiena e le mani venose.
Malik era qualche passo più in dietro, come a guardarmi le spalle.
Altaïr, invece, mi stava davanti e osservava con religiosa attesa la prossima decisione del suo Maestro, come un cane pronto a obbedire a qualsiasi comando, sia pur assurdo, del suo addestratore.
Alla fine, aveva avuto ciò che voleva.
Avere la fiducia di Al Mualim.
-Alquanto pare, i Templari hanno trovato dentro quella cassa di legno ingentilita da oro e vezzosità un manufatto, che potrebbe dar loro un vantaggio incolmabile su di noi. - spiegò Al Mualim, alzando lo sguardo per condividere la visione lugubre proiettata nei suoi occhi allucinati.- E se ciò dovesse accadere, allora nessuno, neanche noi, potrebbe più contrastare il loro Ordine. Ecco perché domani tu, Malik e Altaïr partirete in missione verso il tempio di Salomone: per recuperare il manufatto nascosto nell’Arca.






Angolo autrice: Salve a tutti i miei gentilissimi e amatissimi lettori!!!Dunque…descrivere le scene un po’ più “spintarelle” è stato decisamente divertente, ma anche difficile, devo dire. Comunque, ho fatto la brava e ho cercato di non esagerare…per ora.
Al prossimo aggiornamento con il primo capitolo a due cifre, che deve la sua venuta al mondo soltanto al vostro fantastico sostegno!
Ps: Solo a me il capitolo 10 fa tremare un po’ le ginocchia…?
Baci, Lusivia.
 






 






 

 













   
 
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