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Autore: ___Ace    22/03/2015    1 recensioni
Nella Francia del XVIII secolo, più precisamente durante il corso del 1789, ogni tipo di potere immaginabile era riposto unicamente nelle mani della monarchia assoluta, a detta dei nobili e del sovrano, per diritto divino. I cittadini avevano sopportato tanto per molto tempo, senza mai lamentarsi e continuando a seppellire vittime di quelle ingiustizie. L'avversione dei sudditi francesi non aveva fatto altro che crescere e inasprirsi di giorno in giorno.
C'era, però, qualcuno pronto a combattere: un gruppo di persone che agivano nell'ombra e che lottavano per i loro ideali di giustizia ed uguaglianza. C'erano i Rivoluzionari, desiderosi di cambiare le cose e di liberare la Francia una volta per tutte.
Genere: Avventura, Romantico, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai | Personaggi: Ace/Marco, Ciurma di Barbabianca, Rivoluzionari, Sabo/Koala, Un po' tutti | Coppie: Eustass Kidd/Trafalgar Law, Rufy/Nami, Sanji/Zoro
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Liberté, Égalité, Fraternité.
Neuf.
 
-Dritte quelle spalle, non dovete dare l’impressione di essere debole, anche se lo siete.-
Non appena quelle parole ebbero lasciato la bocca di Mihawk, l’uomo ricevette in risposta un’occhiata storta e molto offesa da parte della sua, chi mai l’avrebbe detto!, allieva, la quale pensò bene di riprovare l’attacco con più carica e determinazione di prima, impegnandolo per qualche minuto nella difesa contro i suoi colpi che, di giorno in giorno, si facevano sempre più precisi e puliti.
Da quando aveva iniziato ad insegnarle le basi della scherma e del combattimento, inizialmente più per gioco e passatempo che per reale interesse alla sua causa, la ragazza era migliorata notevolmente, correggendo gli svariati errori che commetteva e imparando nuove tecniche che la tenevano sveglia fino a tardi nella sua stanza a provarle, brandendo un ombrellino da passeggio come se fosse stato un arma micidiale.
La spada che ormai utilizzava sempre era diventata quasi un’estensione del suo braccio e si sentiva sempre più forte e sicura di sé perché, anche se il suo insegnante acquisito per caso non si esprimeva riguardo ai suoi progressi, sapeva che stava facendo un lavoro abbastanza decente, visto e considerato che la riprendeva molto meno. Anche se, quando lo faceva, si impegnava nel farla sentire una perdente, risultando odioso e pungente, come in quel momento.
Le lame si incrociarono e i due si ritrovarono uno di fronte all’altra, lei con il fiatone, lui con l’aria di chi ha in corpo ancora tutte le energie, fresco come una rosa e con l’ombra sinistra di un mezzo sorriso che non accennava a scomparire.
-Siete già stanca?- la stuzzicò, tormentando il suo orgoglio femminile e la sua insana e costante voglia di essere migliore degli altri.
Perona strinse i denti e deglutì determinata, aggrottando le sopracciglia in un broncio da bambina. -Vi piacerebbe.- lo sfidò, allontanandosi di qualche passo e riprendendo ad attaccarlo direttamente, mettendo in pratica tutto quello che aveva imparato.
-Siete troppo lenta, Mademoiselle.-
Stavano duellando da circa un’ora, cosa che avevano preso l’abitudine di fare ogni giorno dopo pranzo, quando tutta la Corte si ritirava a riposare un poco prima di affrontare il pomeriggio.
Era diventata una specie di routine la loro: uno passava davanti all’altro e di proposito lanciava la sfida che poteva essere dettata da uno scambio di sguardi, uno sbuffo esasperato, come faceva sempre lui, uno schiarimento di voce, questo lo faceva lei, oppure semplicemente bastava un cenno in direzione dell’armeria e tutto cominciava.
Perona aveva appena provato un affondo nella sua direzione con l’intento di metterlo alle strette cogliendolo all’improvviso, ma Mihawk era riuscito a scansarsi appena in tempo facendo una capriola di lato e rimettendosi subito in piedi, pronto a controbattere.
Ti faccio vedere io quanto sono lenta, pensò indispettita la principessa, scostandosi una ciocca rosa di capelli che le era sfuggita dalla treccia stretta che aveva fatto prima di scendere nella sala.
Gli andò incontro a testa alta e ripresero a scontrarsi: lei attaccava e lui parava i suoi colpi senza troppa difficoltà, ma pur sempre mantenendo la concentrazione per evitare di beccarsi un altro calcio in pieno volto come gli era successo una settimana prima. In quell’occasione lei non aveva smesso di ghignare soddisfatta ogni volta che lo incrociava, facendolo innervosire più del dovuto.
Non si poteva, inoltre, dire che giocassero pulito, dato che ogni oggetto era buono per essere lanciato addosso all’avversario ed ogni attimo di indecisione era una buona occasione per cogliere l’altro di sorpresa.
Inutile dire che in quello Mihawk era un maestro.
Perona notò che in quel frangente stava giocando d’astuzia, cercando di spingerla addosso alla parete per bloccarle qualsiasi via di fuga e disarmarla al fine di concludere l’incontro ma, per sua fortuna, aveva imparato alla perfezione come muoversi in quella circostanza. Così, raccogliendo le forze, parò un fendente abbastanza pesante e lo fece indietreggiare, dandogli poi le spalle e correndo verso la parete. Saltò addosso al muro e, aiutandosi con la spinta delle gambe, fece una capriola all’indietro, inarcando la schiena e atterrando agile in piedi alle spalle dell’uomo, cogliendolo di sorpresa, il quale si voltò di scatto, parando all’ultimo momento un suo attacco diretto.
-E questo cos’era?- domandò, per la prima volta sinceramente stupito visto che la situazione era stata invertita.
Lei sorrise orgogliosa. -Un mio trucchetto, diciamo un gioco da ragazzi.- spiegò, vantandosi non poco. Oh, come gongolava soddisfatta!
-Ragazzina impertinente.- iniziò ad inveire a denti stretti Mihawk, prima di abbassarsi sulle ginocchia per evitare di essere trafitto dalla sua spada. Quella mocciosa imparava troppo in fretta per i suoi gusti e, soprattutto, non le fregava niente di essere leale. Si rialzò trovandosi in trappola ma, mentre lei si preparava a sconfiggerlo definitivamente, le lanciò negli occhi della polvere che aveva raccattato dal pavimento sempre sporco e poco pulito, facendola sussultare e sbagliare mira. Schivando il colpo aveva approfittato del momento per raccogliere qualsiasi cosa gli fosse capitata a tiro e nemmeno si sentiva colpevole. Se lei giocava sporco, poteva benissimo farlo anche lui e il fatto che fosse una donna non lo scalfiva minimamente.
Quando Perona riprese il controllo, sbattendo più volte le palpebre con gli occhi che le bruciavano, si rese conto di essere appoggiata alla parete fredda e ruvida con una lama puntata alla gola.
-Avete perso.- fece l’uomo in tono sfacciato e per nulla sorpreso, usando la classica frase che le ripeteva ogni giorno e dopo ogni sconfitta che le infliggeva.
Lei lo fissò seria qualche istante per poi portare anche la sua spada a sfiorargli il collo, imitandolo.
Mihawk, comunque, sapeva che non l’avrebbe colpito e quindi la lasciò fare, sorridendo appena per la strana situazione in cui si erano venuti a trovare.
-Ti batterò un giorno.- gli disse piano, assicurandosi che capisse bene le sue parole e che non le dimenticasse.
Lui affilò lo sguardo, ma senza smettere di sorridere mostrando i denti bianchi e candidi.
-E’ una minaccia?- chiese, rinfoderando l’arma e allontanandosi da lei, dandogli le spalle per vedere se avesse avuto il coraggio di coglierlo di sorpresa.
-No.- fece lei, imitandolo. -E’ una promessa.-
Non seppe dire se la prese sul serio o se la sottovalutò, l’importante era che lei credeva fermamente a quello che diceva, voleva davvero batterlo al suo gioco. Tra di loro tutto era diventato una continua sfida, erano sempre in competizione e cercavano sempre di essere uno migliore dell’altro, arrivando a battersi per stabilire chi dei due fosse superiore.
-Per oggi abbiamo finito.- la informò Mihawk ad un tratto, facendole alzare il capo nella sua direzione e aggrottare la fronte interdetta.
-Ma siamo qui da appena un’ora.- gli rese noto con tono contrariato. Insomma, lei doveva migliorare e se non si allenava non poteva farlo. Lui la faceva facile visto che era un uomo fatto e finito, e pure antipatico, ma lei non era stanca e pretendeva di continuare come stabilito.
-Scusatemi, Principessa,- la prese in giro con fare sarcastico, -Ma io non ho tutto il giorno a disposizione come voi. Ho un incarico da svolgere.- decretò senza ammettere altre discussioni e piagnistei. Quando quella viziata si impuntava con qualcosa nessuno le faceva cambiare idea e a lui le persone che creavano troppe storie gli facevano venire il mal di testa. Anche se, ad essere sincero, Perona l’unica cosa che gli faceva venire era l’istinto omicida nei suoi confronti.
La principessa batté i piedi a terra e incrociò le braccia al petto, frustrata. Ecco, le sarebbe toccato passare un’altra giornata all’insegna della noia come al solito, visto che quel barbaro aveva da fare. Che compito aveva poi? Una ricognizione per le strade? Beato lui che almeno poteva uscire da quelle quattro mura.
Con uno sbuffo lasciò cadere la questione, non avendo voglia di sprecare ossigeno e tempo con quell’individuo sempre antipatico, e andò a riporre la sua arma, levandosi scocciata i guanti e sbattendoli con malo modo sul tavolo in legno, iniziando a slacciarsi la pettorina che indossava, su obbligo di Mihawk, durante gli allenamenti per evitare ferite. Aveva accettato solo perché, dopo la prima volta, si era resa perfettamente conto che lui non scherzava e, se ce n’era il bisogno, ci andava giù pesante. Ne erano la prova anche l’indolenzimento ai muscoli che aveva avuto i primi giorni e il segno violaceo di qualche livido sulle braccia e sulle gambe.
Stava litigando con un laccetto dietro la schiena, quando sentì un paio di mani sostituire le sue nell’impresa. Allora si immobilizzò, portando le braccia a stringersi il petto e zittendosi nell’attesa che Mihawk la aiutasse a sfilare quell’affare scomodo che le ammaccava le scapole.
La situazione era imbarazzante a dir poco, almeno per Perona, la quale non era abituata a certe vicinanze e a certe intromissioni, per lei c’erano dei limiti da rispettare e, anche se non era l’esempio perfetto di donna di alto rango, aveva ricevuto un’educazione ferrea e disciplinata riguardo certi comportamenti e una tale vicinanza con un uomo che non era un parente e nemmeno suo marito era assolutamente impensabile.
Se ci vedesse qualcuno, pensò la ragazza, mordendosi un labbro e fissando con insistenza le assi del pavimento, mi immagino le facce scandalizzate delle Dame di Corte. Povere zitelle frigide!
Per poco non scoppiò a ridere da sola, ma, per sua fortuna, le mani di Mihawk non erano dotate di grande gentilezza e, di tanto in tanto, strattonavano con poca pazienza i lacci, facendole mancare il respiro e distraendola.
Quando ebbe finito, si spostò di lato, depositando anche lui le armi che usava per gli allenamenti, tenendo lo sguardo basso e parlandole con calma.
-Continueremo domani, ma per oggi basta. Ho degli ordini da eseguire.-
Perona annuì mestamente con il capo. Impressionante come era bastata quella vicinanza per metterla in soggezione e farle morire la rabbia in gola.
Non c’era altro da dire e da spiegare, così lo spadaccino recuperò i suoi effetti, la sua spada che aveva lasciato in disparte durante il combattimento e il suo mantello appeso ad un chiodo sulla parete, indossandolo. Si voltò a guardare Perona che, in un attimo di incantamento, era rimasta ad osservarlo come facesse svolazzare elegantemente la cappa scura, riscuotendosi quando le rivolse la parola per congedarsi rispettosamente.
Sebbene sembrasse assurdo, lei era pur sempre la Principessa e lui, volente o non, doveva mantenere un certo contegno. Dunque, inchinandosi lievemente, la salutò per poi andarsene quando ebbe ottenuto il suo appena udibile consenso.
Aveva capito che ci era rimasta male, ma lui non poteva farci nulla. Aveva delle questioni urgenti da sbrigare e perdere tempo con una ragazzina non era contemplato.
Sospirò, uscendo dalla stanza e chiudendosi la porta alle spalle, pronto per avviarsi lungo il corridoio per raggiungere la sala dove era previsto l’incontro con gli altri membri della Flotta dei Sette.
All’ultimo momento, però, tornò sui suoi passi, non sapendo nemmeno lui il perché, e aprì il portone in legno massiccio, rimanendo sull’uscio e beccandosi uno sguardo incuriosito e stupito da parte di Perona che, non essendosi aspettata di rivederlo, era rimasta parecchio sorpresa, mentre il cuore aveva preso a battere più forte nella sciocca speranza che avesse cambiato idea.
Mihawk ignorò quella luce nei suoi occhi e si sbrigò a spiegarsi, desideroso di fare in fretta e togliersi di dosso quella sensazione per lui imbarazzante. Da quando sentiva l’impulso di doversi scusare e dare spiegazioni per quello che faceva?
-Se non avete nulla in contrario,- disse pacato, -Domani ci soffermeremo di più sugli allenamenti.- e, dopo aver ricevuto l’ennesimo cenno di assenso, si sentì libero di andarsene, lasciando che Perona si riprendesse da quella notizia e si concedesse un sorriso di vittoria.
Non vedeva l’ora che l’indomani arrivasse.
 
*
 
In città tutto e tutti erano in fermento per l’ormai imminente arrivo di maggio. Il popolo era fin troppo frenetico, tanto che era stato aumentato il numero di guardie addetto a fare ricognizioni in giro per le strade di tutta Parigi, in modo da evitare o prevenire rivolte di qualche tipo, anche se non ce ne sarebbero state in ogni caso. Dopotutto, il Terzo Stato mica era così stupido e impavido, non si sarebbe mai giocato l’opportunità di ottenere dei cambiamenti per le sue condizioni, bruciandosi l’invito a Corte per l’Assemblea degli Stati Generali prevista per il quinto giorno di maggio. Finalmente, dopo anni e anni, era stata indetta nuovamente su promessa del Sovrano che, ormai alle strette, aveva ceduto a quella permissione.
I preparativi da fare, quindi, erano molteplici, soprattutto per i rappresentanti del popolo, per i cittadini speranzosi e per i Rivoluzionari in allerta.
-Ne vedremo delle belle.- stava dicendo Zeff a Sanji, mentre preparava una vasta quantità di pasta da infornare per riuscire nell’intendo di sfamare la popolazione ridotta agli stenti, molte volte guadagnando meno del previsto, ma non disperandosi. Per lui, nessuno doveva morire di fame e si faceva volentieri in quattro per aiutare i bisognosi che bussavano alla sua porta implorando per un pezzetto di mollica.
Sanji, accanto a lui, intento ad impastare la farina, annuiva pensieroso con i capelli biondi che gli ricadevano sulla fronte, troppo lunghi ormai, coprendogli una parte del viso. Non li scostò, ormai ci aveva fatto l’abitudine e non gli davano fastidio, anzi.
-Sono curioso di vedere come andrà a finire.- continuò il vecchio, muovendosi nella stanza e preparando l’occorrente per cucinare.
-Spero che non sia tutto vano.- ammise mestamente il giovane ragazzo, posando le mani ai lati del paniere e sospirando stancamente a capo chino. Tutta quella frenesia, quell’aspettativa e quelle speranze lo coinvolgevano troppo, facendogli temere in un brutto finale. Cosa sarebbe toccato ai cittadini se fosse tutto andato a rotoli? E quanti Rivoluzionari sarebbero stati condannati a morte? Quante persone avrebbe dovuto vedere morire? E quanto sarebbe passato prima che i suoi amici venissero fatti fuori uno ad uno?
-Che succede, ragazzo?-
Sanji scosse la testa, accennando un sorriso tirato e falso. -Nulla, mi prendo una pausa.- lo informò, togliendosi il grembiule e uscendo in strada per fumarsi una sigaretta. Aveva bisogno di rilassarsi, distrarsi e di pensare ad altro, per esempio al bel tempo e al sole che illuminava Parigi; al vociare della gente per le strade; allo scorrazzare dei bimbi; alle belle donne che lo salutavamo sorridendo; a quell’idiota di Zoro che era appena piombato giù dal tetto e che gli aveva fatto quasi venire un infarto.
-Testa di cazzo!-
-Felice di vederti.- lo sfotté il ragazzo incappucciato, sorridendo beffardo e appoggiandosi alla parete con una spalla e le braccia incrociate, rivolgendogli uno sguardo furbo e vittorioso.
Era diretto al Quartier Latin per incontrare un gruppo di Rivoluzionari con i quali avrebbe dovuto discutere sulle questioni riguardanti l’Assemblea imminente, ma aveva sbagliato strada ed era stato costretto da una serie di imprevisti, dovuti al suo scarso senso dell’orientamento, a fare la via più lunga passando da quelle parti, così aveva visto il fumo uscire dal camino del panificio e aveva deciso di fermarsi a sgraffignare qualche pezzo di pane da mettere nello stomaco. Era scivolato silenzioso sul tetto e, quando aveva adocchiato Sanji sotto di lui, non aveva resistito a coglierlo di sorpresa.
Il biondo sbuffò infastidito, fulminandolo con un’occhiataccia. -Che diavolo ci fai qui, testa verde? Non hai qualche incarico da svolgere?-
-No,- ammise Zoro, -Sono libero per adesso.- mentì. La prospettiva di poter passare cinque minuti in qualche vicolo con il biondo accanto a lui non gli dispiaceva, se doveva essere sincero, ma avrebbe dovuto rimediare immediatamente un goccio di alcool come stabilivano le loro tacite, e in parte ridicole, regole.
-Non ci pensare nemmeno.- lo ammonì il cuoco, indovinando all’istante lo sguardo malizioso e i pensieri volgari dell’altro, -Devo lavorare.-
Zoro fece una smorfia, scostandosi dal muro e prendendo a camminare li attorno per non rimanere con le mani in mano. -Avanti, non fare il ritroso.-
Le sopracciglia chiare e lievemente arricciate di Sanji saettarono verso l’alto, incredule. -Io? Io sarei ritroso?-
-Cos’è, sei pure sordo per caso?- sogghignò Zoro, guardandolo con aria di sfida. Era più forte di lui, quando Sanji iniziava a scaldarsi non riusciva mai a fare finta di niente per ignorarlo, al contrario si sentiva obbligato a continuare quello scambio di battutine acide, insulti e malauguri.
-Almeno non sembro uscito dalle paludi.- ribatté il biondo, riferendosi palesemente al colore insolito dei capelli di Zoro che gli ricordava molto le erbacce, le alghe e la melma che sporcavano la Senna. C’era una somiglianza colossale tra quello schifo e lo spadaccino, infatti l’uomo insozzava il suo umore, la sua vita e le sue sensazioni, per non chiamarle sentimenti.
-Ma sentilo, ha parlato la Perfezione fatta persona.-
-Grazie del complimento.-
-Non c’è di che!-
-Voi due, la piantate?- li interruppe una voce alle loro spalle, proveniente dalla strada.
Entrambi si voltarono a guardare il nuovo arrivato che, sospirando stancamente, ormai abituato a quei battibecchi, li raggiungeva salendo gli scalini in legno che portavano alla veranda.
-Sul serio, ragazzi, non potete smetterla di beccarvi per una volta?-
-Ha iniziato lui.- dissero all’unisono Sanji e Zoro, guardandosi poi in cagnesco.
Usopp alzò gli occhi al cielo, scuotendo il capo e togliendosi il berrettino che indossava, sospirando esasperato. Erano un caso disperato, poco importava quello che avrebbe detto per calmarli. Ad ogni modo era lì per ben altro e non per cincischiare.
-Che fai da queste parti?- lo anticipò Zoro, -Non dovresti essere alla base?-
-Mio padre mi ha mandato ad avvisare gli Imperatori di una prossima riunione per accordarsi sulle richieste da presentare quando gli Stati Generali si incontreranno a Versailles.- spiegò, grattandosi la testa. -Non sapete che paura quando mi è toccato entrare in casa di Kaido.- mormorò tra sé, ricordando l’ambiente poco illuminato e freddo, per non parlare di tutte le teste di animali imbalsamati appesi alle pareti!
-Quindi i Rivoluzionari si riuniranno presto?- si informò Zoro.
-Esatto.- annuì Usopp. -A quanto pare ci è giunta voce che a Corte sia stata indetta una riunione molto ristretta del corpo di guardia, perciò è meglio tenersi pronti a tutto. Ora scusate, ma devo scappare. Ci vediamo presto!- disse, scomparendo tra la folla.
-Sarà da ridere dato che, questa volta, gli Imperatori si ritroveranno ad essere in quattro.- constatò Sanji, accendendosi un’altra sigaretta e riponendo la scatoletta di fiammiferi nella tasca posteriore dei pantaloni che, però, gli cadde a terra.
Fu Zoro a raccoglierla fulmineo, rigirandosela tra le mani sotto gli occhi scocciati del biondo che, porgendogli una mano con il palmo aperto, gli faceva la muta richiesta di rendergliela, sperando di non doverlo pregare troppo.
Con sua sorpresa, Zoro lo fece, ma in modo totalmente diverso da quello che si era aspettato, non ché risultando inappropriato, perché il Rivoluzionario gli si avvicinò, dando le spalle alla strada in modo da apparire solamente impegnato in una conversazione importante, passando invece un braccio attorno alla vita del biodo e infilando lui stesso la scatoletta nella tasca, rimettendola a posto e sorridendo lascivo, indugiando con la mano per lasciare una carezza da sopra la stoffa.
Non si dissero una parola, solamente rimasero a fissarsi per qualche secondo, entrambi troppo orgogliosi per cedere alle parole. Sanji represse i brividi che gli corsero lungo la schiena e mantenne un’espressione fredda, quasi scontrosa. Era furibondo, quella cosa gli stava sfuggendo di mano, tanto che faticava a gestirla anche a livello emotivo. Era snervante dover sempre pensare alle conseguenze di quello che facevano e sentiva chiaramente che stava raggiungendo un limite. E poi, da quando Zoro si fermava a salutarlo? E come gli era saltato in mente di proporgli un incontro senza nemmeno una goccia di liquore? In pieno giorno per giunta!
Era in bilico e, prima o poi, da una parte o dall’altra, sarebbe dovuto cadere, costretto a fare una scelta che continuava a rimandare e a cacciare in un angolo buio della sua mente.
Alla fine fu Zoro ad allontanarsi, vedendo che dal biondo non proveniva nessun segnale di risposta o gratitudine, così, dandogli le spalle e alzando una mano in segno di saluto, si sollevò il cappuccio della giacca che aveva abbassato in quei minuti e si avviò verso la Rive Gauche.
Il biondo gettò a terra il mozzicone, infastidito. Detestava quel suo coetaneo, non lo sopportava, gli faceva girare la testa per la sfacciataggine con cui si comportava. Al diavolo lui e quella volta che si erano conosciuti quando erano ancora dei mocciosi.
-Sanji, torna a lavoro, sfaticato!- si sentì chiamare dall’interno.
-Arrivo vecchio.- rispose, gettando un ultimo sguardo furente al punto in cui Zoro era sparito.
Decisamente doveva darci un taglio netto, o non avrebbe retto a lungo.
 
*
 
Thatch sospirò di sollievo quando si passò il panno bagnato sulla fronte, crollando stancamente sul suo letto e chiudendo gli occhi. Quella notte passata a divertirsi l’aveva pagata molto cara e ne sentiva ancora i postumi, ma, tutto sommato, ne era valsa la pena e non aveva nessun rimpianto. Se avesse potuto, l’avrebbe rifatto subito. Insomma, Parigi era così bella! Ace gli aveva fatto vedere un sacco di cose lungo la strada che portava a Montmartre, per esempio le numerose piazze pittoresche, con le vie in ciottoli; gli edifici gotici e gli angoletti più artistici e suggestivi, anche se la cosa che gli era piaciuta di più era stata la Cattedrale di Notre Dame. Diamine, i francesi erano proprio fortunati ad avere una città come quella con tutto a portata di mano. Certo, anche il locale di quella vecchia strega aveva il suo perché, infatti era stato la ciliegina sulla torta, il modo migliore per concludere la giornata. Tutto quell’alcool, quel cibo e quella musica. E le donne! Stupende, affascinanti e ben disponibili donne! Non c’era dubbio, doveva assolutamente ritornarci e al diavolo le lamentele di Marco e di suo padre, loro non capivano, erano troppo ottusi e impegnati a preoccuparsi di salvare la pellaccia. Lui, al contrario, credeva che una vita vissuta senza dei rischi non avesse niente di speciale, perciò era ben deciso a fare di testa sua, come al solito. Soprattutto, voleva rivedere Rebecca. Quella ragazzina, anche se molto giovane, ci sapeva proprio fare.
-Oh, ti ho trovato finalmente.- fece una voce. -Dov’eri finito? Ti ho cercato questa mattina.-
Thatch si morse un labbro, battendosi una mano in fronte. Si era completamente scordato che aveva promesso ad Haruta di allenarsi con lei. Era già la seconda volta che saltava un appuntamento.
Voltò il capo, rimanendo sdraiato e guardandola con aria di scuse, facendola sospirare.
-Tranquillo, mi sono arrangiata.- lo informò lei, non arrabbiandosi. Sapeva com’era fatto quel ragazzone ed era abituata alle sue dimenticanze. Quando si era svegliata lo aveva cercato un po’ ovunque all’accampamento ma, non trovandolo e ipotizzando che avesse avuto qualche impegno all’ultimo minuto, dato che pure Namiur, Izou e Rakuyo erano spariti, aveva lasciato perdere. Poi aveva incrociato Koala ed erano rimaste a chiacchierare per un bel pezzo del più e del meno, accennando lievemente alla sua situazione sentimentale. Anche se lei non ne era del tutto convinta, Koala le aveva consigliato di provare ad esprimersi, evitando di lasciar sempre correre per non rischiare di ritrovarsi un giorno con un pugno di mosche in mano. Ci aveva riflettuto per il tempo successivo e si era quasi convinta di poterne essere in grado, di essere abbastanza coraggiosa e spavalda per mettere le cose bene in chiaro con Thatch, per quello si trovava nella sua tenda. In quel momento, però, era curiosa e voleva almeno sapere cosa lo avesse tenuto lontano.
-Quindi, dove eri scappato a gironzolare?- gli chiese sorridente, sedendosi sul bordo del letto e aggrottando la fronte quando si accorse delle occhiaie marcate sul viso dell’uomo e dello straccio bagnato.
Thatch, entusiasta per l’avventura vissuta e per il divertimento, scattò a sedere, iniziando a raccontarle la gita in centro città che aveva fatto con gli altri, descrivendole ogni edificio con minuziosità, stando attento ai particolari e assicurandole che, non appena avessero avuto l’occasione, l’avrebbe portata con sé per mostrarle tutto.
-Che bellezza. E poi cosa avete fatto?- continuò Haruta, divertita dal buon umore dell’amico. Thatch era un chiacchierone, a volte pure logorroico, ma non la annoiava. Lei preferiva stare in silenzio, piuttosto di prodigarsi in lunghi discorsi e adorava ascoltare gli altri, per quello con lui si trovava sempre a suo agio. E poi, quando le raccontava qualcosa, le piaceva da matti starlo a guardare perché aveva sempre un sorrisone sulle labbra, la faceva ridere e gli si illuminavano gli occhi.
-Avresti dovuto esserci!- fece allora il castano con aria sognante, -Ace ci ha portati in un locale dove fanno degli spettacoli da togliere il fiato. E quante ragazze, Haruta. Quante! Se tutti gli uomini passassero una notte da quelle parti, sicuramente sarebbero sempre allegri e soddisfatti.- decretò, facendola insospettire.
-Perché? Che cosa fanno?-
Lo aveva intuito, Haruta, quello che poteva essere successo, non era una stupida, ma non era il tipo di persona che giudicava prima di conoscere la situazione ed ogni sfaccettatura delle cose, perciò aveva preferito assicurarsi della verità, sperando con tutta se stessa che non fosse successo di nuovo.
Perché lei era innamorata di Thatch, gli voleva un bene dell’anima nonostante fosse a conoscenza delle sue scappatelle. Era già successo e lei non aveva mai detto niente. All’inizio perché non le importava, poi, quando aveva iniziato ad esserne gelosa, si era ripetuta che non aveva nessun diritto di ficcare il naso nei suoi affari. Da un pezzo, però, le cose si erano sistemate e Thatch non aveva più passato la notte fuori a fare festa con alcuni suoi compagni. Sempre più spesso aveva passato il tempo con lei e le era sembrato che, di giorno in giorno, il loro rapporto si fosse intensificato, anche se nessuno dei due aveva mai sollevato l’argomento. Sapeva solamente che stavano bene, che erano felici. L’unica cosa che stonava in tutto ciò era il suo punto di vista. Per lei, Thatch era importante, ma per lui era lo stesso? Se l’era chiesto tante volte e magari si, lei poteva significare qualcosa, ma che garanzie aveva che si trattasse di amore? Aveva sempre evitato di pensarci, sperando che, prima o poi, si accorgesse di lei, dell’affetto che provava per lui, ma si conosceva abbastanza bene e sicuramente non avrebbe retto un altro colpo basso.
-Giocano a carte.- ironizzò lui, guardandola scettico. -Dai, Haruta, secondo te cosa vuoi che facciano? Parliamo di signorine molto gentili e disponibili ad assecondare ogni richiesta.- ammiccò malizioso, mentre lei si irrigidiva e si sforzava di mantenersi calma e controllata, anche se il cuore sembrava esploderle nel petto, tanto batteva.
-E… e hanno, insomma, esaudito pure te?- faticò a chiedere, senza preoccuparsi di risultare invasiva. Doveva saperlo, via il dente, via il dolore. Almeno si sarebbe messa l’anima in pace, pazienza se avrebbe sofferto.
Era brutto da dire, ma ci aveva fatto l’abitudine.
Thatch la guardò come se fosse venuta da un altro mondo. Che razza di domande gli stava facendo? -Ovvio che si!- esplose ad un tratto, saltando sul materasso e facendola sussultare. -Guarda, mi hanno praticamente mangiato vivo.- si espose orgoglioso.
Furono i molteplici segni rossi sul collo di Thatch a darle il colpo di grazia, spezzandole il cuore e lasciandola senza fiato. Quelle macchie svettavano come lanterne nella notte sulla sua pelle, distribuite in vari punti, quasi come se volessero prendersi gioco di lei e del suo amore diventato solo un’illusione.
L’aveva fatto, di nuovo, e per quel motivo non si era presentato da lei quella mattina. Per delle donne con cui non avrebbe mai condiviso nulla di più che una notte di sesso e di piacere. Aveva preferito loro a tutto il resto, mettendola da parte, dimenticandosene. Che sciocca era stata a sperare di contare qualcosa di più. Alla fine, cosa aveva lei da dargli? Non era aggraziata come le dame parigine o inglesi, non aveva gli occhi azzurri e magnetici, ma due pupille scure e anonime, i capelli non erano folti e lunghi, ma corti e sbarazzini perché a lei piacevano in quel modo e la facevano sentire più libera, così come il fatto di indossare abiti maschili perché le gonne erano ingombranti. Non era nemmeno tanto alta e le sue forme le nascondeva sotto a camicie di taglie più grandi. Sapeva combattere e sparare, ma a cosa servivano quelle doti, quando lui non aveva occhi che per un bel fisico e un’apparenza affascinante?
Doveva farsene una ragione: lei non era proprio nulla di speciale.
Si alzò meccanicamente dal letto, ignorando lo sguardo stranito di Thatch, il quale si era accorto che qualcosa non andava. Haruta si era zittita all’improvviso e aveva una faccia da funerale.
-Ehi, che ti prende?- le chiese, prendendole una mano per bloccarla, con l’intenzione di conoscere il perché di quel cambiamento repentino.
Non era mai successo prima, ma lei lo scostò malamente, liberandosi della sua presa e allontanandosi di qualche passo come un animale impaurito e ferito. E lo era davvero, ferita nel profondo e disperata. Non se l’era aspettato tutto quel dolore, non pensava che potesse fare così male.
-Haruta?-
Thatch era in piedi e cercava di alzarle il viso verso di lui, ma nuovamente lei indietreggiò, portando una mano in avanti per mantenerlo a distanza. Non stava piangendo, non l’avrebbe mai fatto davanti a lui, non si sarebbe resa ancora più ridicola di quanto non fosse già stata fino ad allora. Era stanca, davvero stanca e delusa. Aveva sprecato un sacco di tempo a sognare e a fantasticare in qualcosa di inesistente.
Aveva amato un’illusione.
Ed era anche arrabbiata perché l’uomo che l’aveva fatta innamorare come non mai era solo un idiota insensibile.
-Tu sei…- provò a dire, mordendosi un labbro e chiudendo il palmo a pugno. -Non hai idea di quanto tu mi abbia delusa.- scandì lentamente, rivolgendogli un’occhiata di disgusto che fece sprofondare Thatch nella preoccupazione.
Che cosa aveva fatto di male? Dove aveva sbagliato? Non l’aveva ne offesa ne presa in giro, le aveva solo raccontato la sua serata. Perché reagiva in quel modo? E, sopra ogni cosa, perché lo stava guardando come se fosse stato il peggior bastardo sulla terra?
-Mi spieghi che cosa…- provò a dire invano.
-No, non c’è niente da spiegare. Stammi lontano, chiaro? Non voglio più vedere la tua faccia!- disse lei, voltandosi per andarsene il più velocemente possibile. Sapeva che era impossibile allontanarlo dalla sua vita, ma si sarebbe impegnata a fondo per evitarlo come la peste in quell’accampamento.
-Haruta aspetta! Mi dici cosa ho fatto? Perché ti comporti così?- la richiamò il ragazzo, seguendola fuori dalla tenda, ma lei non gli rispose e affrettò il passo, mettendosi quasi a correre, sperando che non la seguisse perché non aveva la minima voglia di parlare, ne di starlo a sentire. Non voleva più saperne, almeno per quel momento. Così lo lasciò indietro, a tormentarsi di domande alle quali non avrebbe trovato facilmente risposta. E non le importava affatto se ci era rimasto male, dato che lei stava provando una sofferenza insopportabile, ovvero quella del rifiuto.
Stava da schifo e desiderava solamente rimanere da sola, senza nessuno che la consolasse o che la compatisse.
E si dette della stupida per non aver ascoltato Marco. Lui le aveva sempre detto che Thatch, con le donne, non ci sapeva proprio fare.
 
*
 
Doflamingo era sempre stato un uomo che aveva vissuto nel lusso e nell’agiatezza fin da quando era nato. Era abituato ad avere intorno a sé servitori pronti a soddisfarlo sempre e ad assecondare qualsiasi sua richiesta, per quel motivo il suo soggiorno a Parigi non si stava rivelando divertente per lui. A quanto pareva, l’unico che godeva di quei privilegi era il Sovrano, e lui doveva accontentarsi di quello che era concesso ai vari nobili, ma non era il massimo. Insomma, lui prestava servizio, perciò pretendeva di essere trattato al meglio, non come un qualsiasi altro borghese perché, a conti fatti, l’unico che aveva più soldi di lui era appunto il Re. Se poi si teneva conto che la cassa dello stato altro non era che denaro pubblico, allora automaticamente il suo patrimonio passava al primo posto.
Ad ogni modo, avrebbe dovuto adattarsi se voleva arrivare a vedere la disfatta della monarchia, offrendosi come volontario per l’organizzazione di nuove leggi e di un nuovo tipo di governo, facendo la sua scalata verso la vetta per arrivare a compiere un colpo di stato con i fiocchi ed assumere il potere. Quello sarebbe stato il suo premio e per un po’ avrebbe sopportato di non avere tutto ciò che voleva in quella reggia.
Sedeva scomposto al tavolo con aria annoiata, attendendo l’arrivo del resto dei membri del consiglio, della Flotta dei Sette e del Corpo di Guardia della città, ascoltando senza troppo attenzione il chiacchiericcio che stavano facendo alcuni dei presenti e giocherellando distrattamente con la manica della sua giacca piumata.
Boa Hancock entrò in quell’istante, attirando su di sé sguardi ammirati e poco casti della maggior parte dei sudditi, avanzando con eleganza nel suo abito viola e una certa aria di superiorità fino a raggiungere il suo posto che, per la precisione, era situato ben lontano da lui.
Davanti a quella constatazione, Doflamingo inclinò le labbra in un sorrisetto divertito, continuando a fissare il vuoto e non degnando di una minima occhiata la bellissima donna che era appena arrivata. Non che non ne fosse attratto, ma semplicemente perché conosceva alla perfezione il carattere delle gran signore e non era disposto a darle nessuna soddisfazione, preferendo che fosse lei ad attaccare bottone con il solo intento di farlo capitolare ai suoi piedi. Peccato che lui non era certo il tipo che perdeva la testa per un bel faccino, al contrario, tutto ciò che voleva era portarsela a letto e, poteva starne certa, ci sarebbe riuscito a tempo debito.
Uno dei maggiordomi aprì nuovamente la porta e, quella volta, Doflamingo non poté frenarsi dallo sghignazzare apertamente quando vide Drakul Mihawk precedere Gekko Moria e fare il suo ingresso nella sala, anche lui tenendosi a debita distanza da uno dei posti liberi che lo circondavano. Strano, stava così antipatico a tutti?
-Dormito bene, Mihawk?- lo salutò, poggiando i gomiti sulla superficie in legno e incrociando le dita sotto al mento.
L’interpellato non rispose e non si scomodò nemmeno a guardarlo, accomodandosi accanto a Boa Hancock e incrociando le braccia al petto. Non si tolse nemmeno il cappello, anzi, se lo calcò bene in testa per celare parte del viso in modo da non essere disturbato oltre.
Doflamingo ridacchiò tra sé. Aveva a che fare proprio con degli elementi particolari, tutti presi da se stessi e di poche parole. Per fortuna che il Re era un completo idiota, almeno si divertiva a sentire le sue sparate colossali in fatto di politica e finanze.
Quando tutti furono arrivati e quando anche l’ultimo componente dell’arma, un certo Capitano Smoker, li deliziò della sua presenza che puzzava di fumo, l’assemblea ebbe inizio.
Inutile dire che l’argomento principale riguardava l’imminente Riunione degli Stati Generali che sarebbe avvenuta all’inizio di maggio che, ormai, era alle porte.
-Dobbiamo tenerci pronti a qualsiasi evenienza.- stava dicendo un ministro di qualcosa. -Non sappiamo cosa corra nelle menti di quegli straccioni, quindi propongo di aumentare la vigilanza attorno al Palazzo.-
Un brusio di assenso corse per tutta la sala, accolto con un cenno del capo dai sette mercenari ingaggiati per l’occasione. Ovviamente, loro avrebbero dovuto scortare Sua Maestà ovunque, promettendo di servirlo e proteggerlo anche a costo della vita.
Doflamingo accavallò le gambe e si abbandonò allo schienale della sedia. Se credevano che avrebbe buttato via la sua esistenza per una persona insignificante, si sbagliavano di grosso. Se avesse potuto, avrebbe fatto fuori lui un po’ di persone inutili in quel luogo a partire proprio da tizio con la corona e la parrucca incipriata. Era anche pronto a scommettere che il suo pensiero era ben condiviso da Moria e da Sir Crocodile accanto a lui. Chissà, magari, se avesse esposto loro il suo piano, avrebbe incontrato degli alleati.
-Prego, Capitano, avete qualcosa da esporre?-
Tutti si voltarono verso la porta dove, in piedi e in formazione di riposo, stavano un paio di soldati e il loro comandante, un uomo abbastanza giovane, ma con la sfacciataggine di fumare un sigaro in una situazione come quella. A Doflamingo stette subito simpatico per quella lieve impudenza.
-Se serriamo i ranghi attorno alla Reggia, il popolo capirà che non ci fidiamo di loro.- spiegò con calma, ma saccente, cercando di far intendere a tutti l’ovvietà della cosa.
-E come potrebbero? Sono degli animali!-
Jinbe roteò gli occhi al cielo, restandosene comunque in silenzio e avvertendo l’irrigidirsi della postura di Mihawk, seduto vicino a lui. Un’uscita del genere poteva venire solo da un Sovrano disinteressato dei problemi della nazione.
-Sua Maestà ha ragione.-
Chissà a quanto ammonta la cifra della corruzione dei ministri da queste parti, pensò Crocodile, osservando la scena con aria critica e notando il perenne ghigno sulla faccia di Doflamingo ingrandirsi.
-Me ne rendo conto.- continuò Smoker, stringendo i denti e faticando per portare pazienza, -Non dico di non proteggere i Reali, ma di movimentare più ufficiali anche in periferia, così da non creare troppe differenze.-
L’idea sembrò essere accolta bene, tanto che venne trascritta per essere presa in considerazione al momento opportuno.
Per le restanti due ore, l’incontro si svolse normalmente e l’attenzione fu presto sviata dal punto cruciale a cose di poco conto come nuove costruzioni, avvenimenti e feste di vario tipo. Era chiaro a tutti che non importava a nessuno del pericolo che la Francia stava correndo, diventando un facile bersaglio per le potenze esterne a causa di quella rottura tra popolo e monarchia.
Di certo, Doflamingo non aveva intenzione di far notare la cosa e, una volta terminata la riunione, fu il primo ad uscire dalla stanza annoiato come non mai.
Fortuna volle che, voltandosi indietro, notò come Boa Hancock lo stesse osservando quasi con astio e la giornata prese immediatamente un’altra piega.
Sorrise, pensando al modo migliore per avvicinarla, riflettendo che, dopotutto, se l’avesse invitata a cena non sarebbe stato così male. Almeno si sarebbe divertito.
 
 
 
Angolo Autrice.
Buona domenica mattina! Da me piove, LOL.
Sembra una routine, ormai, per primo viene il saluto e subito dopo le scuse. Yep, ancora mi scuso per il ritardo, soprattutto perché il capitolo era già pronto e ricontrollato, ma la verità è che non so mai cosa mi possa capitare il sabato. A volte, se non riesco a pubblicare in pausa pranzo, spero di avere libera la sera, invece figuriamoci! Il lavoro mi occupa parecchio tempo e, quando ho dei momenti liberi che coincidono magari con quelli di altre persone ecco che automaticamente il tempo si riduce perché ho una vita da portare avanti, sperando di non mandarla a rotoli.
Ditemi una cosa, sono l’unica che crede di vivere in una bolla personale dove tutto è in ordine e, se qualcosa si scompone, la bolla scoppia? No, perché io mi sento così. Forse mi serve uno psicologo. Ad ogni modo, scusatemi ancora.
Ma veniamo a noi!
Perona e Mihawk ormai li sto trattando come la mia coppia preferita e non va bene! Dovevano esserci Sabo e Koala al loro posto, insomma, di loro non ho ancora niente di romantico fatto D: ma proprio niente! Persino Bonney ha la sua occasione già scritta, fatta e pronta! Cioè, che diamine! Pure Doffy sembra aver trovato qualcuna che gliela da con cui intrattenersi, ma andiamo con calma.
Mhm, l’ultima frase è un po’ volgare, la sistemo meglio. Ecco.
Insomma, il fatto è che rotolo ogni volta che penso alla principessa disagiata e al poveraccio di turno che arriva e la salva. Ovviamente renderò difficile la loro vita, ma, dai, sono così carini **
Mentre Sanji è tutto scombussolato, e va bene così, ci sta che qualcuno si roda il fegato, perché Zoro è un selvaggio, un animale, e pensa se qualcuno scoprisse la loro relazione, OMG! Non sa cosa fare, è disperato, e- oh, ma veni qua, povera anima ;___________;
Intervento di Usopp con un tempismo perfetto, direi u.u
Arriviamo poi a Thatch. Allora, io lo adoro. E’ sempre visto pieno di energie, sciupa femmine, simpatico e tenerone. E’ perfetto, ma è un idiota, punto. Finalmente, anche Haruta l’ha capito. Loro due non so ancora come organizzarli, ma qualcosa mi verrà in mente.
Arriviamo a Doffy.
Chi segue le uscite settimanali del manga? Io so e, non per fare spoiler, ma Doffy è davvero un gran bastardo, ma anche, a detta mia, uno dei migliori cattivi di sempre. Insomma, è fantastico nel suo ruolo, mi piace da matti, per non parlare delle ff dove è descritto con ironia o come capo famiglia amorevole e isterico. Penso che ci sia molto su cui lavorare con un personaggio del genere. Ed ecco che io prendo lui, gli affianco Boa Hancock e ci faccio uscire la scintilla! Se si tratti d’amore o se sia un passatempo lo vedremo, ad ogni modo mi piaceva il ricco spilungone con lei che fa la preziosa.
Adesso che me lo chiedo, che fine hanno fatto Kidd e Law? Si, insomma, mi sono resa conto che devo tirarli fuori e mandare avanti la baracca perché tra poco c’è la presa della Bastiglia, mlmlml ^^
Gente, per oggi è tutto. Se sono brava spero di riuscire a regalarvi il prossimo capitolo in anticipo, giusto per farmi perdonare.
Grazie come sempre a tutti e anche alle ragazze che mi lasciando quelle recensioni tanto carine alle quali io non rispondo -.- mi dispiace, sul serio, magari un giorno riuscirò a mettermi in pari.

Ma non è questo il giorno! Cit.
 
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Well, see ya,
Ace.
  
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