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Autore: silvia_carl    24/03/2015    0 recensioni
Quando sei un adolescente non capisci granché della vita, pensi di sapere tutto, ma anche un solo errore può esserti fatale. Michelle non può commettere errori, lei non è un adolescente come gli altri, lei è cresciuta in fretta, oppressa da problemi troppo pesanti da trasportare da sola. Ora però è arrivato il momento di chiedere aiuto, che a dartelo sia una nonna snob e un po' altezzosa, quel ragazzo misterioso incontrato sulla spiaggia, o quella nuova compagna di classe con i capelli di fuoco, poco importa. Non importa chi ci salva, basta essere salvati.
Un giorno, dopo l'abbandono del padre, e le continue crisi della madre, Michelle è costretta ad andare a vivere con sua nonna, lontano da casa e da tutto il suo mondo. E' qui che riesce a ritornare a vivere, che ritrova la serenità e l'amore grazie a persone straordinarie, ma poi sembra che il destino non la voglia aiutare, è così precipita di nuovo tutto, Michelle compresa.
Genere: Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Elena si era innamorata follemente. Una volta tornati dal resort, era rimasta in contatto con uno dei ragazzi conosciuti in vacanza, poi si erano rivisti un giorno a Roma ed era scoppiata la passione. Anche tra loro c’erano centinaia di chilometri e un anno di scuola per Elena. E il caso voleva che questo famigerato ragazzo fosse poi di Torino. Quella città ci voleva portare via l’amore. Seduta ad un tavolino di un bar affollato, in una Roma più caotica del solito, aspettavo Lorenzo, o meglio aspettavamo, io e il mio bambino, o la mia bambina, qualunque cosa fosse ciò che portavo in grembo. Bella responsabilità, eh! Bel peso. Alla fine, un figlio non appartiene solo a te, ma se fai un errore, paghi per tutti, la colpa è tua, paghi per te, per il bambino, per suo padre, per tutta la famiglia, insomma, perché chi lo dice che nonni, zii e futuri padrini non si arrabbino alla follia? Accarezzai il bambino, o meglio accarezzai la pancia, sorseggiando un orzo, niente più caffè, niente sigarette, niente di niente. Riguardai il mio quaderno aperto davanti a me, migliaia di nomi scritti sopra. Ogni volta che trovavo un nome nuovo lo scrivevo, ce n’erano centinaia scritti e poi subito dopo sbarrati, perché mi rendevo conto che erano proprio tremendi. Devi fare attenzione a che nome dai al tuo bambino, perché poi quel nome se lo deve tenere per tutta la vita. Invidiavo Elena, lei era stata fortunata, il suo era davvero un bellissimo nome. Il mio sapevo che veniva fuori da quella fanatica di mia madre, “Michelle, ma belle”, cantavano Lennon e McCartney e lei subito Michelle ha scelto, eh certo, facile, no? Io sapevo avrei scelto con più accuratezza, ma ora mi sbizzarrivo a trovarne di nuovi. Elena sarebbe stata la madrina, indipendentemente dal sesso e dal nome del bambino. Era una cosa che avevo già deciso, noi ci eravamo scelte ancora prima di parlarci e quel bambino avrebbe scelto lei come lei avrebbe scelto lui, si sarebbero guardati e si sarebbero riconosciuti, due individui legati da qualcosa più forte di un comune legame di sangue, legati dall’amore. Lorenzo si guardò intorno e poi si indirizzò verso il mio tavolo, con gli occhi un po’ lucidi, lo sguardo incantato. Mi alzai in piedi per salutarlo, lo baciai teneramente sulla labbra, feci scorta del suo profumo, gli accarezzai il viso con le mani che tremavano. «Reggimi, o cado», risi spaesata. Mi aiutò a sedere. «Tutto ok?», fece scostandomi i capelli dal volto. «Sì, mi gira un po’ la testa», ammisi. «Non hai ripreso a vomitare, vero?», si sporse verso di me prendendomi le mani. Entrambi con gli avambracci sul tavolino rotondo, con le fronti appoggiate l’una all’altra. «No, amore mio», scossi la testa. «E allora che c’è? Me lo dici? Mi preoccupo, lo sai», mi baciò sulla guancia e io avvampai sorridendo. «Aspetto un bambino», sussurrai. Quel bar testimone di quell’annuncio così importante, quei tavoli, quelle sedie, quelle persone che vivevano la loro vita, i muri bianco sporco, le figure di paesaggi lontani attaccate alle pareti, la cameriera frettolosa, la valigetta di quell’uomo in giacca e cravatta che beveva il caffè leggendo il giornale, tutti in qualche modo, anche senza aver sentito, sapevano ciò che il nostro amore era riuscito a creare, l’amore che crea, cambia, trasforma, dona, regala, ma non distrugge. Ci baciammo forte, fino a non respirare. «E’ la cosa più bella del mondo», fece entusiasta. «Tu lo sei», risposi piangendo. «Non piangere, amore mio», si alzò, venne dalla mia parte e mi prese sulle ginocchia. «Elena si è innamorata di un torinese, sai?», feci sorridendo, mentre mi scostava le lacrime con le dita leggere. «Ah sì?». «Sì. Così, pensavamo di venire tutte a vivere a Torino, non ti diamo fastidio, lo giuro», feci timorosa della sua reazione, ma mi strinse forte prima che potessi aggiungere altro. «Amore mio, cerchiamo casa tutti insieme, scherzi? È stupendo». «Vuoi vivere con tre ragazze, di cui due incinta contemporaneamente?», gli chiesi strabuzzando gli occhi, per poi scoppiare a ridere. «Certo che cambi umore velocemente, eh! Che vuol dire due?», rise anche lui. «Lu è incinta, ma lasciamo stare». «Amo i bambini», fece spallucce e sorrise. «E io amo te», gli gettai le braccia al collo nascondendomi in un suo abbraccio. «Grazie, amore mio», sussurrò. «Grazie a te», risposi sapendo che non avrei più pianto.
   
 
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