15.
PIANOFORTE
Federico
guarda suo fratello che dorme disteso
accanto a lui. Ci mette sempre poco ad addormentarsi, soprattutto se
hanno
appena finito di fare l’amore. Gli piace coccolarlo,
accompagnarlo tra le
braccia di Morfeo e bearsi del suo respiro rilassato. È
mentre gli sta
accarezzando i fianchi che una lieve melodia di pianoforte si diffonde
nell’aria. È la signora che abita al piano
superiore: ogni sera, prima di
andare a dormire, si siede sullo sgabello di legno laccato e suona
qualcosa con
quel magnifico strumento. Ogni volta che si incontrano, la donna
raccomanda
loro (ripetutamente) di avvisarla nel caso in cui la musica diventi un
problema, ma tutte le volte loro rispondono con un sorriso assicurano che non
c’è nulla di rilassante
prima di andare a dormire. Quella vecchina è di una tale
dolcezza: dopo la
morte della figlia, uccisa troppo presto da una malattia senza cura,
neppure
suo marito ha avuto la forza di continuare a vivere. Così,
quel pianoforte è
tutto ciò che le rimasto, e se anche non li lasciasse
dormire, loro non se la
sentirebbero mai di privarla di quell’unico attimo di
serenità.
Fede si volta a guardare suo fratello, suo marito,
che come al solito sta sbavando su di lui. Anche Edo suonava,
una volta, ed era piuttosto bravo, ad essere sinceri. Aveva iniziato
grazie al
proprietario della fattoria accanto alla loro e se ne era appassionato
sempre
di più. Ogni tanto andavano a giocare con la figlia del
vicino e Edo finiva
sempre per appiccicarsi a quello strumento: aveva cinque anni e si
divertiva ad
improvvisarsi pianista di salotto. Poi, a nove anni, iniziò
a fare sul serio.
Quasi tutti i giorni si recavano (sempre insieme, ovviamente) alla
fattoria per
le lezioni. La loro mamma aveva insisto perché smettesse,
pensando di dare
troppo fastidio all’uomo, ma quando aveva compreso la
passione di Edoardo aveva
desistito. Aveva anche tentato di pagare il vicino, ma lui non aveva
mai voluto
nulla in cambio, se non che Federico assistesse ai progressi di suo
fratello.
Lui l’aveva trovato strano, ma aveva accettato di buon grado,
per la gioia di
Edo. Avevano tredici anni, quando il più piccolo gli
dedicò per la prima volta
un brano, e lui si commosse così tanto che corse a
nascondersi nella stalla
insieme alle mucche e pianse come un bambino. Edo ci restò
talmente male che
non gli parlò per tutta la sera, convinto che lui non avesse
apprezzato. Quando
Fede invece gli spiegò ciò che era successo, ne
fu così felice che dal quel
giorno gli suonò quel brano ad ogni lezione. Era il Nocturne op.9 n.2 di Chopin.
Continuò a suonare fino all’ultimo
anno di liceo, quando poi decise di dedicarsi completamente allo
studio.
Federico ripensò a lungo ai pomeriggi trascorsi in quella
fattoria, lui
sdraiato sul divano ad ascoltare suo fratello che suonava per lui. Poi
arrivò
il momento di iscriversi all’università e se
dimenticò anche lui. Fede sospira.
Come gli piacerebbe poter ascoltare Edo suonare ancora una volta, anche
solo
più una. Se solo avessero un pianoforte...
All’improvviso, l’idea arriva
così forte da farlo quasi saltare a sedere e lui si tira una
manata sulla
fronte per non averci pensato prima. Suo fratello borbotta un
po’ nel sonno per
il suo repentino cambio di posizione, ma lui gli chiude la bocca con un
bacio e
lo stringe un po’ di più. Edo sospira con
soddisfazione.
*
* *
Quando
Federico rientra in casa, suo fratello è
seduto in cucina con una fetta biscottata fra i denti. Ha i capelli
spettinati,
gli occhi ancora gonfi di sonno e i pantaloni del pigiama (che in
realtà non
usano) al contrario. Con un tiro da giocatore professionista, lancia “La
Stampa”, fresca fresca d’edicola,
esattamente al centro del tavolo.
«Pfao» bofonchia
Edo cercando di non far cadere la fetta biscottata dalla bocca. Fede
gli dà un
bacio sulla fronte, rubandogli poi metà della colazione
direttamente dalle
labbra.
«Pfehi!» protesta l’altro con la bocca
piena.
Lui gli strizza l’occhio. «Uhm, marmellata
d’arance... la mia
preferita».
Edo deglutisce rumorosamente, quasi strozzandosi con il
boccone. «E
secondo te perché ho messo quella?» chiede con gli
occhi che lacrimano per lo
sforzo. Lui resta per un attimo immobile, sorpreso dalla domanda, poi
gli si
getta addosso e lo bacio a lungo, spettinandogli i capelli
(già spettinati).
Infine, si stacca dal fratello e scoppia a ridere. L’altro lo
guarda come se
fosse impazzito, sorridendo stupito. «Ma che ti prende?
Perché sei così
allegro?»
«È
una bella giornata, ieri mi sono sposato con l’uomo migliore
del mondo, amo mio marito e mio
marito ama me... cosa
potrei volere di più?» risponde con tono semplice,
prendendo posto di fronte a
lui. Edo aggrotta la fronte, sempre più confuso, poi decide
di lasciar perdere
(aiutato anche dall’esser stato chiamato marito...
non ci è ancora abituato).
«A proposito, dov’è
Lope?»
domanda il più grande guardandosi intorno.
«Sui miei piedi. Me li sta scaldando».
Lui si abbassa sotto il tavolo,
trovandoci una piccola palletta di pelo che scodinzola vivace.
«Ciao nana malefica!»
«Non è malefica!» lo sgrida suo
fratello, indignato.
Fede alza le spalle con indifferenza. «Potrei scaldarteli io,
i piedi»
propone sollevando allusivamente le sopracciglia. Edo scatta a sedere,
per
afflosciarsi subito dopo con una smorfia di dolore. «No,
grazie. Devo ancora
smaltire ieri sera».
«Sono stato bravo, eh?»
Suo fratello diventa
rapidamente viola per l’imbarazzo. Afferra un plumcake (con
tanto di involucro)
e glielo infila in bocca, rischiando di soffocarlo. «Tieni,
mangia e
taci».
«Ti fa male?»
chiede Fede con un sorrisino soddisfatto, dopo aver ingoiato
metà brioche per
volta.
L’altro non risponde subito, ma abbassa lo sguardo e
borbotta.
«Brucia... un po’».
Lui ridacchia,
poi, alla sua occhiata offesa, alza le mani in segno di resa.
«Va bene, va
bene! Mi dispiace, uhm? Però adesso vai a vestirti,
forza» dice alzandosi da
tavola e cominciando a sparecchiare.
Edo
guarda con malinconia il suo caffelatte. «Perché?
Dove andiamo?» domanda
alzandosi e spostando delicatamente Lope con un piede.
«Dalla signora Parisi» risponde Fede
dirigendosi in camera da
letto.
«A fare cosa?»
Lui gli lancia un paio di jeans dritto in faccia. «Lo
vedrai».
*
* *
«Ragazzi!»
«Buongiorno, Signora Parisi. Come
sta?» chiede Edoardo con un sorriso
educato.
«Benissimo, grazie. Ma prego, entrate, entrate!»
Per poco non li
afferra per le braccia e non li trascina nel salotto. Fede si guarda
intorno
incuriosito: è stato una volta sola in
quell’appartamento, quando lui e suo
fratello si sono trasferiti in quel palazzo. A proposito di suo
fratello... lo
osserva con la coda dell’occhio, un ghigno mal nascosto sul
volto. Lo sguardo
di Edo scorre fra i mobili dallo stile classico fino a soffermarsi sul
sovrano
del salotto: un maestoso pianoforte a coda firmato Yamaha. Grazie al
cielo la
casa è composta da due appartamenti, o non ci sarebbe mai
entrato. Entrambi
conoscono la triste storia che lo accompagna: quello strumento
apparteneva alla
figlia della Signora Parisi, prima che la ragazza morisse per un grave
tumore
al pancreas.
«È tutto
vostro, ragazzi. Vi lascio soli, ho qualche commissione da fare. Se
aveste
bisogno di me, il mio numero è sulla lavagnetta»
spiega indicando l’oggetto
appeso a fianco al citofono. Poi si infila un cappello ed esce di casa,
regalando
loro un rapido sorriso in segno di saluto.
Edo
spalanca la bocca. «È tutto nostro cosa?»
«Il piano, tesoro» bisbiglia Fede fissandolo
intensamente negli occhi.
L’altro assottiglia lo sguardo, stringendo le palpebre in due
fessure.
«Stamattina sei venuto qui, vero?»
Lui annuisce lentamente.
«Perché?»
«Perché
voglio sentirti suonare ancora – risponde semplicemente
– Sarò egoista, ma
voglio sentirti suonare ancora una volta, fosse anche
l’ultima. Voglio vederti
seduto su quel fottuto divanetto, voglio sdraiarmi su quel divano e
chiudere
gli occhi, mentre tu suoni quel benedetto pianoforte. Voglio vedere
quelle tue
meravigliose dita scivolare su quei tasti e suonare quella
fottutissima melodia». È solo alla fine del
discorso che si
accorge di aver alzato un po’ troppo la voce. Edo gli si
avvicina con aria
grave, così tanto che i loro nasi si sfiorano e i respiri
accelerati di
entrambi si mescolano fra di loro. Una sua mano va a posarsi sulla
pancia di
Fede. Lui resta immobile e in silenzio, poi ,finalmente, lo vede posto
sul
divanetto e sfiorare i tasti con i polpastrelli, quasi avesse paura di
scottarsi. Sta
già pregustando la prima
nota, quando suo fratello si volta verso di lui e «Siediti.
Dietro di me»
aggiunge agitato. Lui non se lo fa ripetere due volte, lo raggiunge
velocemente
e si sistema alla bell’e meglio, affiancando le gambe alla
sue. Poggia le mani
sul suo petto, massaggiandoglielo piano, e nasconde la nuca fra le sue
scapole,
prendendo lunghi e lenti respiri.
«Solo
per te». La voce di Edo arriva cupa e un po’
tremante, ma Fede riesce a
percepire la nota di sollievo che fino ad un minuto prima non
c’era. D’istinto,
la presa delle sue mani si fa un po’ più stretta.
E finalmente, leggera e
potente come solo un battito d’ali può essere, la
prima nota si libera
nell’aria. E Federico ricorda.
“
«Fa’ sentire a tuo fratello come sei diventato
bravo». La voce dell’uomo è calda e
gentile, l’affetto che prova per i due gemelli
chiaro e palpabile. Un ragazzino allampanato, con i capelli sparati in
ogni
direzione, sorride e si dondola sul posto, incerto s seguire il
consiglio o
meno. Un altro ragazzo quasi identico a lui gli si avvicina,
spingendolo poi
verso un maestoso pianoforte a coda. Si scrutano a lungo, come se si
stessero
parlando immersi nel silenzio, poi il secondo va a sdraiarsi sul divano
del
salotto e chiude gli occhi. Una musica lenta e trascinante si diffonde
nell’ambiente. Edoardo, il ragazzo seduto al piano, volta la
testa verso il
gemello, lasciando che l’aria soddisfatta del suo volto lo
ispiri. Federico se
ne accorge, perché apre gli occhi e punta le iridi castane
nelle sue. Le note
ormai escono da sole e si tingono d’amore, così
potenti da distruggere
qualsiasi cosa e ricostruirla più solida di prima.
Così potenti da renderla
indistruttibile. E non c’è più nulla
intorno a loro, non c’è più nessuno,
soltanto lui e suo fratello che suona come se fosse al cospetto del re
e non di
fronte ad un comunissimo tredicenne.”
Senza
neppure accorgersene, Federico allunga la
mano e suona l’ultima nota, che vibra nell’aria e
li abbandona poco a poco al
silenzio. Edo gli prende entrambe le mani e le guida appena sotto
l’orlo della
maglietta, per poi posare le proprie sulle cosce del fratello. Fede non
aspetta
un secondo di più e inizia ad accarezzargli la pancia con i
polpastrelli,
sfiorando di tanto in tanto l’ombelico. Non appena
l’altro posa la testa sulla
sua spalla, lui attacca le labbra al suo collo e lo bacia
ripetutamente, tracciando
una lunga scia dal mento alla guancia, passando per la mascella. Edo
respira
pesantemente, dei silenziosi singhiozzi che gli scuotono il petto.
Prima che
uno dei due possa accorgersene, entrambi cominciano a piangere, e le
loro
lacrime scorrono via come piccole stille di malinconia. Fede raccoglie
quelle
di suo fratello con le labbra, ricoprendo il loro percorso di infiniti
baci
bagnati.
«Ti amo» gli mormora lento all’orecchio,
respirando forte il profumo dei
suoi capelli. È solo un bisbiglio, un veloce sussurro
d’amore celato ad occhi
indiscreti. Ma Edo capisce, lui capisce sempre; gli afferra una mano e
ne bacia
ogni nocca. Perché il vero amore è fatto di
piccoli gesti, piccole note di
quotidiano affetto che lo rendono la melodia più vera e
antica del mondo.
Ciauuuu!
Come state?! Vi prego, non uccidetemi! So
che non ho pubblicato l’intervista, ma pensavo di aggiungerla
come extra verso
il 20° capitolo :D Così, nel frattempo, chi volesse
altre domande ha ancora
tempo!
Baci a tutti <3