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Autore: Kilian_Softballer_Ro    30/03/2015    2 recensioni
Immaginate il tipico scenario post-apocalittico. Il frutto di un esperimento ha ucciso praticamente tutta la popolazione della Terra, e soltanto un riccio è sopravvissuto.
O forse non solo....
Cercando di ignorare i ricordi del passato, Shadow si ritrova a dover combattere e indagare su cosa è accaduto e cosa sta ancora accadendo.
Storia liberamente ispirata a un libro di Stephen King e con una forte presenza di OC, miei e di altri autori.
Spero apprezziate. Buona lettura!
Genere: Drammatico, Romantico, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Yaoi, Yuri | Personaggi: Altro Personaggio, Shadow the Hedgehog, Un po' tutti
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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Il Bianco aveva aspettato che rimanesse solo una spia da abbattere per mettere in atto il suo piano più crudele, ma quell’ultima spia ne era ignara, per sua fortuna. Se avesse saputo cosa lo aspettava, probabilmente sarebbe tornato indietro di corsa. O forse no. Soter era stato abituato al peggio, e il dolore fisico non lo spaventava.
A parte Shadow, il riccio bianco era l’unico ad avere una visione abbastanza vicina alla realtà della situazione. Aster e Aidan erano partiti spavaldi, col sangue bollente. Volevano uccidere.
Anche lui voleva uccidere,ovviamente. Ma sapeva che serviva tattica. Aidan poteva essere un cacciatore, ma lavorava troppo d’istinto. Lui era stato un soldato, e aveva visto cosa accadeva a chi si buttava in mezzo alla mischia  senza riflettere. Di solito finiva con un proiettile in mezzo alla fronte.
Sapeva anche che contro una creatura di questo genere le armi normali sarebbero probabilmente servite a molto poco. L’unica speranza era cogliere il loro nemico di sorpresa,per quanto possibile. L’idea di partire separati e senza clamore era stata sua, ed era fiducioso che avrebbe funzionato, se non per portarli all’obbiettivo, almeno per farli avvicinare il più possibile al fantomatico “uomo bianco”. Sperava solo che gli altri tre non avessero commesso errori.
Se solo avesse saputo che Aster aveva compromesso ogni loro minima chance di non farsi scoprire, avrebbe perso la speranza.
 
 
Lo schema si era ripetuto abbastanza regolarmente per tutti i suoi compagni: venir bloccati prima di essersi avvicinati alla loro meta e essere spediti alla propria punizione personale. Soter non lo sapeva, ma sapeva di dover usare una grande cautela e puntare sulla sorpresa, come tutti.
E su questo fronte riuscì ad escogitare un piano molto più sensato di quello di Aster.
Lo concepì dopo essere riuscito ad avvicinarsi al complesso di edifici dell’Uomo Bianco. Non era certo che fosse davvero la sua “base segreta”, ma il suo istinto (e le indicazioni sommarie di Wave) gli davano abbastanza sicurezza da spingerlo a controllare il perimetro da una distanza di sicurezza, e in questo modo aveva notato alcune cose che Aster non aveva visto, o aveva ignorato palesemente.
Il filo spinato circondava solo il blocco centrale del complesso, che era oltretutto sorvegliato rigidamente. Al contrario, i casolari dietro di esso vedevano continuamente passaggi di gente a gruppi o singolarmente,senza controlli. Evidentemente l’immenso edificio bianco era la centrale operativa, mentre il villaggio ospitava i fantomatici “eletti”, sulla cui sicurezza nessuno sembrava volersi sprecare. Questo non solo gli dava un’idea di quanto l’amico bianco tenesse davvero ai suoi adepti, ma gli forniva anche una via d’accesso molto più pratica e meno suicida di quella di Aster.
In teoria, era un piano infallibile.
Si allontanò dalla zona pericolosa, o almeno da quella che credeva essere la zona pericolosa (non aveva incontrato posti di sorveglianza fino a quel punto, per quanto avesse controllato: gli erano sembrate possibili solo due opzioni, che stesse commettendo un errore madornale o che il loro piano di discrezione stesse funzionando) e si liberò di tutto quello che poteva farlo spiccare in mezzo alla folla: lo zaino rigonfio, la sua arma ad alta precisione.  Gli rimase solo una pistola, che nascose sotto i vestiti. Ora somigliava a un qualunque abitante che si muoveva dentro e fuori dalla propria città.
Tornò ad avvicinarsi all’insieme di edifici e rimase in attesa. Sperava che lungo la strada passasse un gruppo abbastanza consistente da fornirgli una copertura e non fu deluso. Una decina di uomini gli passò davanti in un momento in cui non  vi erano altre persone abbastanza vicine da vederlo apparire e lui colse l’occasione, uscendo allo scoperto e accodandosi a loro. Nessuno lo notò. La prima parte del piano aveva funzionato. Cercò di assumere l’espressione più casuale del suo repertorio, infilò le mani in tasca e seguì gli uomini a qualche passo di distanza. Quando raggiunsero i confini della cittadella, trattenne il fiato e si preparò a reagire a un attacco.
Oltrepassarono la prima serie di edifici senza provocare alcun movimento.
Soter tirò il fiato e si guardò intorno. Nessuna guardia improvvisata nei dintorni, nemmeno in borghese. Solo una normale strada cittadina con il suo traffico quotidiano. Avrebbe potuto inserirsi anche nel periodo preepidemia, volendo. La gente andava e veniva, entrava negli edifici, si fermava a parlare. Tutto nella norma.
Solo che non poteva essere nella norma, non in una situazione del genere. C’erano dei bar aperti, cazzo. La gente entrava e usciva e si sedeva per un caffé. Vi era energia in tale abbondanza  da permettere la gestione di locali del genere? Come? E soprattutto, in quel luogo non doveva insediarsi il male supremo? Un Lucifero Junior? E allora come facevano a essere tutti così tranquilli? Inconcepibile.
Si allontanò dal gruppo di uomini, continuando a percorrere la strada centrale. Era surreale. Quel posto sembrava più tranquillo di Metal City. Non sembrava neanche essere stato toccato dalla devastazione dell’epidemia.  Pareva di essere a Boston nell’estate precedente.
Decise di infilarsi nel primo locale in vista per dare un’occhiata più da vicino alla situazione. Entrò in un bar e si ritrovò immerso in una scena ancora più normale e anormale insieme, in una stanza piena di persone riunite intorno ai tavoli che giocavano a carte, bevevano o altro. Poche teste si alzarono al suo ingresso, ma nessuno sembrò dargli troppa attenzione. Per ora la sua strategia di discrezione sembrava funzionare.
Si diresse verso il bancone e si arrampicò su uno degli sgabelli. La donna prosperosa che stava asciugando un bicchiere gli sorrise. – Ciao, bellezza. Sei nuovo o non mi ricordo di averti visto?
 - Sono appena arrivato, e questo sembrava il posto giusto per trovare un caffé e qualche indicazione.
 - E’ il posto giusto. – La donna schioccò le dita e fece un cenno a un ragazzo a un paio di metri di distanza. – Ben, un caffé, e fai in fretta. Abbiamo una new entry fra noi. – Tornò a rivolgersi a Soter. – Non si vedono più molti nuovi arrivati, di questi tempi.
 - I migliori arrivano sempre per ultimi – replicò lui con un sorriso, e quando lei sorrise a sua volta, si rilassò appena, pur continuando a restare vigile. Quella donna non si era insospettita e avrebbe potuto dargli molte risposte che lo avrebbero aiutato a mescolarsi alla massa. Buon per lui che la sua abilità nell’esercito era sempre stata quella di trattare coi civili. – Quindi...come si pagano i caffé, in questo bel posto?
 - Non si pagano, i lavoratori e quelli che hanno viaggiato a lungo per raggiungerci hanno tutti i diritti di rifocillarsi. Così ha stabilito il capo. E poi i soldi non valgono più nulla, no?
 - No, certo – rispose lui, cercando di non reagire a questa prima menzione di un “capo”. – Allora dovrò muovermi a cercarmi un lavoro se voglio continuare a mangiare.
 - Oh, non preoccuparti, qui è pieno di cose da fare. Abbiamo bisogno di uomini di fatica ovunque. E potrebbero trovarti anche un posto al centro di addestramento, ben piantato come sei.
 - Centro di addestramento?
 - Qualcuno deve pur difendere questo posto, no?
 - Pensavo bastasse...lui – Soter fece un cenno verso l’alto, come a indicare livelli immaginari più elevati.
La barista rise. – I buddisti dicono “prega Dio,ma sella il tuo cavallo”, o qualcosa del genere. Possiamo fidarci del capo, ma dobbiamo essere pronti agli attacchi fisici,capisci?
Il riccio bianco annuì. “Se sapessi chi hai davanti” pensò, e dovette reprimere un sorrisetto. Intanto, un caffé gli era atterrato davanti, e lui lo bevve. Non era un granché, ma almeno era caldo e poteva dargli la carica per proseguire le sue indagini. – Comunque, ha sistemato tutto alla grande, vero? – Non era necessario specificare il soggetto.
 - Assolutamente. Abbiamo avuto l’energia molto in fretta, e ora è tutto organizzato alla perfezione, vedrai. Ci sono ancora diverse cose da risolvere, ma in generale...è un sistema senza falle. Grazie a lui.
 - Fantastico. – Stava riflettendo su cos’altro chiedere, quando un bambino di pochi anni sbucò fuori e corse verso la donna, attaccandosi alla sua gamba. Questa gli accarezzò la testa e Soter sorrise, approfittandone per distendere il tema del discorso. – E’ tuo?
 - Per questa settimana sì.
 - Uh?
 - I bambini non hanno una famiglia fissa, qui. Devono imparare ad essere parte della comunità, visto che non hanno più i genitori. Perciò girano, passano un periodo in una famiglia e quello dopo in un’altra. Serve a non farli legare troppo a un gruppo ristretto di persone.
A Soter vennero in mente i bambini laggiù a Metal City. Piccoletti che avevano perso tutto e non cercavano altro che un po’ di stabilità. Un sistema del genere sembrava poterli solo torturare  ancor di più. Che diamine, persino quel mocciosetto che viveva con Shadow (notoriamente la persona con meno senso materno del globo) poteva avere una vita più tranquilla di loro. Come voleva che crescessero, il Bianco, come soldati?
La realizzazione lo colpì. Ma certo che voleva tirarli su  come soldati. Non vedeva l’ora di avere un esercito di sudditi pronti a mettersi contro ogni persona libera rimasta in vita.
Era un’immagine agghiacciante. Non fece però in tempo a spazzarla via dalla mente che qualcuno aprì la porta con tanta foga da farla sbattere contro il muro. Si voltò a guardare, insieme a chiunque altro nel locale, e riuscì solo a vedere un gruppo di uomini armati prima che una mano lo afferrasse per la collottola e lo tirasse giù dallo sgabello. In mezzo secondo valutò se estrasse la pistola e mettere a frutto quei secoli di addestramento che aveva (aveva sprecato o  no giorni interi a imparare come liberarsi in caso di cattura?), ma rinunciò. Era inutile, erano in troppi e c’era un’intera città dalla loro parte. Non sarebbe mai riuscito a uscirne vivo. Meglio lasciarli fare, magari lo avrebbero portato più vicino ancora al suo obbiettivo. Oppure sarebbe morto, ma erano dettagli.
Si lasciò dunque perquisire, sottrarre la pistola e trascinare via, in mezzo a grida di “E’ una spia!” e esclamazioni soffocate del genere, senza opporre resistenza. Si era preparato anche a questa possibilità.
Gli dispiaceva solo di lasciare l’ultimo caffé caldo della sua vita a metà.
 
 
Nel breve tempo che aveva trascorso nella città, Soter aveva pensato che chiunque in quel posto fosse felice di dove si trovava e si fidasse ciecamente della guida dell’uomo bianco.
In realtà, non era esattamente così.
Oh, erano stati tutti fanatici, all’inizio. Come non adorare un qualunque essere in grado di fornire stabilità e protezione dopo un evento disastroso come l’epidemia? Avevano pensato che la sua fosse la migliore strada da seguire, e qualcuno lo pensava ancora, i più convinti. Ma il numero di persone che cominciavano ad avere dei dubbi continuava a crescere. Perché sì, l’energia elettrica, l’esercito di protezione contro i “nemici”, tutte queste cose, li rendevano più felici;ma c’era altro.
C’erano le punizioni, dolorosissime e eseguite di fronte all’intera popolazione. Quelle non piacevano a nessuno, se non a pochi scellerati. Nessuno riusciva a dimenticare la povera Mary, bruciata viva davanti a tutti, e non si contavano le crocifissioni pubbliche, a quanto pareva il metodo preferito del Bianco per mostrare ai suoi seguaci cosa accadeva a chi sgarrava. E bastava poco per meritare un supplizio del genere: chi beveva troppo, si drogava, o comunque aveva qualunque tipo di dipendenza che lo rendeva inefficiente al lavoro, veniva cancellato, affinché non danneggiasse la comunità. E così anche chi mostrava segno del minimo anticonformismo alle regole della comunità.
Oltre a questo c’era l’atmosfera da guerra che andava diventando sempre più soffocante. Finitevus aveva accumulato potenziali soldati e armamenti fin dal principio, per abbattere chiunque non aderisse al suo pensiero, e ora li metteva in uso. Decine di persone venivano addestrate per essere pronte a combattere non appena si fosse presentata l’occasione. Questo poteva dare sicurezza, ma riempiva anche di un’ansia terrificante, perché mai in nessuna circostanza nessuno degli abitanti si era trovato circondato da così tante armi, e nessuno sapeva cosa aspettarsi. Una guerra all’ultimo sangue? Bombe sulla città? Spie? Mistero.
E a proposito di spie, l’arrivo di quegli stranieri li aveva destabilizzati tutti.
Sapevano che erano stati tre ( la cattura ed eliminazione di Aidan sarebbero dovute rimanere ignote, in caso di fallimenti, ma ovviamente in una piccola città le voci giravano sempre), ma non sapevano se ce ne sarebbero potuti essere altri. E questo fatto stava a dimostrare due cose: primo, la protezione del Bianco non era infallibile. Secondo, i “nemici” dall’altra parte della barricata erano persone come loro. Con tutti  i racconti lasciati girare da Finitevus, molti ormai avevano iniziato a immaginare inconsciamente tutti coloro che non avevano accettato la sua chiamata come delle creature mostruose, dei maligni assassini. E invece, a quanto si sentiva,  due delle spie erano ragazzi che non potevano avere un briciolo di più di venticinque anni. E uno si era sfracellato cadendo giù dal Blocco,lanciato via da quell’uomo che doveva salvarli tutti e proteggerli come un nuovo dio padre, a sentire le voci che giravano. Era quindi naturale che cominciassero a comparire dei dubbi. Che le persone cominciassero a bisbigliare tra loro, a esprimere insicurezze.
Perché le falle nel sistema cominciavano a diventare visibili, e la gente iniziava a guardarci dentro.
 
L’uomo bianco, ignaro delle voci che iniziavano a girare per la città (secondo gli abitanti) e di ciò che sarebbe successo non molto dopo (per davvero), aspettò per meno di un giorno dopo la cattura di Soter prima di mandare a chiamare Crowley. Aveva avuto bisogno di tempo per far preparare il palco che usava per le esecuzioni, per lasciare che la città al completo venisse a sapere della spia che si era infiltrata fra di loro, per organizzare ogni dettaglio del piano che avrebbe reso di nuovo stabile la sua posizione, che aveva iniziato a crollare dopo il voletto di Aster fuori dalla sua finestra. Se avesse funzionato, tutti avrebbero ripreso a temerlo e a credere a ciò che diceva, com’era giusto che fosse, e avrebbero ripreso ad odiare quei maledetti dell’altra sponda, che erano stati in grado di fargli perdere il controllo per la prima volta dopo secoli. Tutto sarebbe tornato alla normalità. A posto. Sì. Bene.
Con lui c’era Wave. La rondine non aveva ancora mostrato segni di miglioramento, ma andava bene così. Finché fosse stata incinta, avrebbe incubato il suo erede alla perfezione, e dopo lui se ne sarebbe sbarazzato. Che nel mentre lei viaggiasse nel suo mondo di follia e parlasse a vanvera non era importante. Lasciava che vagasse per il Blocco come le suggeriva la sua mente distorta, seguita da uno dei suoi uomini di fiducia, giusto perché non facesse qualcosa di stupido come cadere da una rampa di scale o altro, e tanto bastava.
Quel giorno lei sembrava ansiosa di parlargli, e lui la ascoltava, in attesa che il suo secondo in comando si degnasse  di arrivare. – Ho fatto quello che hai detto – ripeteva, tormentando l’orlo della camicia da notte. – L’ho messa. La bomba. E’ pronta. Ho fatto quello che hai detto.
Finitevus sorrise indulgente. – Ma certo, cara. – Rispose. Certamente la sua memoria stava saltando indietro di giorni e giorni, ritornando a prima che lasciasse Metal City lasciando un ricordino. Niente di cui darsi pena.
 - Ho fatto bene? Volevi questo?
 - Sì, Wave. Hai fatto esattamente quello che volevo.
La donna lo fissò per un lungo momento con i suoi occhi stralunati, poi sparì fuori dalla porta. Il Bianco la lasciò fare, sapendo che la sua personale babysitter l’avrebbe seguita. Dopo pochi minuti Crowley entrò e rimase ad aspettare istruzioni.
 - Fai radunare tutti. E’ ora.
L’uomo annuì e scomparve. L’echidna bianco rimase a guardare fuori dalla finestra nuovamente intera. Presto ogni dubbio sarebbe scomparso, suo o dei suoi seguaci che fosse.
E su questo aveva ragione.
 
Chi lo aveva preso era un dilettante.
Soter era finito in più di una cella nella sua  vita, per un motivo o per l’altro, e sapeva bene quale fosse la prassi per torturare a dovere un prigioniero. Bene, qui non erano in grado di farlo.  Lo avevano lasciato senza cibo né acqua, ufficialmente, ma c’era un gabinetto, in quella prigione,e se erano convinti che non si sarebbe spinto a bere da lì, erano veramente imbecilli. Si era trovato in situazioni ben peggiori.
E poi lo avevano perquisito, sì,ma non accuratamente. Anche se gli avevano portato via giacca e camicia. Avrebbe potuto avere un’arma nelle mutande e loro non se ne sarebbero accorti. (Non ce l’aveva, per la cronaca. Niente di letale, quantomeno).
In ogni caso, in quel posto non erano in grado di gestire un prigioniero. Non che fosse fondamentale, al momento. Non si aspettava che lo lasciassero vivere tanto a lungo da dover patire i problemi della cella o l’assenza delle armi. Era probabile che non lo avessero ancora ucciso nella speranza di cavar fuori da lui qualche informazione. Informazione che avrebbero dovuto pagare cara, se gli fosse rimasto anche solo un briciolo di forza da usare.
Il punto era che non aveva assolutamente idea di cosa sarebbe capitato. Se lo avessero interrogato,avrebbe tenuto la bocca chiusa fino alla morte. Se si fosse trovato faccia a faccia col Gran Bastardo in tutto il tuo splendore, avrebbe fatto il possibile per abbatterlo. Le solite cose che avevano pensato di fare tutti. Ma  lui iniziava a preoccuparsi di una possibilità in più. Se davvero il Bianco era un essere soprannaturale onniveggente e onnipotente, era anche possibile che estraesse a viva forza le informazioni dai suoi ostaggi e poi li uccidesse, solo con la forza del pensiero. Oppure (una prospettiva ancora peggiore) avrebbe potuto distorcergli la mente, fargli vedere nero il bianco e bianco il nero (che paragone azzeccato e spassoso). Possederlo come un demone e farlo passare dalla propria parte, mandandolo contro i suoi compagni a Metal city. No, era terrificante da immaginare. Meglio non pensarci. Tanto, se fosse accaduto, non avrebbe potuto opporsi granché.
Mentre saltava da un pensiero all’altro, senza particolare ansia (sembrava impossibile, ma non aveva più neanche paura di morire. La pace dei sensi.), senti dei passi lungo il corridoio e si raddrizzò. “Ci siamo” pensò.
Dietro alle sbarre apparve un uomo robusto, in completo e cravatta, che iniziò ad armeggiare con la serratura. Soter si alzò dalla branda dove era appoggiato e gli si fece incontro. L’uomo apri la porta e gli si piantò davanti. – Voltati, dolcezza. E’ ora di  andare a fare un giro.
Il riccio bianco ubbidì, volgendo la faccia al muro. L’altro gli fece scivolare delle manette intorno ai polsi e lo spinse fuori, tenendolo per un braccio. Nel corridoio aspettavano quattro persone armate di fucili, tre uomini e una donna. Non portavano divise, ma quando si disposero intorno a loro imbracciando le armi Soter li riconobbe per quello che erano: una scorta.
Attraversarono lunghi corridoi e rampe di scale, nel silenzio più assoluto. Non incontrarono anima viva,  il che sembrava assurdo, contando che dovevano trovarsi nell’edificio centrale, il cuore della città. Neanche la loro piccola scorta si scambiò la minima parola, ma Soter notò che si tenevano il più distante possibile da loro due. Che avessero paura di lui...o più probabilmente dello sconosciuto che gli serrava il braccio, anche se non sembrava particolarmente minaccioso. Magari aveva delle doti nascoste. O forse era davvero lui a spaventarli. Chissà.
Dopo quella che sembrò essere la milionesima rampa di scale, raggiunsero una porta anonima, che dava direttamente sul pianerottolo. Il carceriere di Soter sembrò fermarsi un attimo ad ascoltare, poi annuì, come soddisfatto da ciò che aveva sentito (doveva capirne di sicuro più di Soter, che sentiva solo un confuso borbottio provenire dall’interno) e aprì la porta, spingendo dentro il riccio e seguito dai suoi quattro accompagnatori.
C’era gente ovunque. Questa fu la prima cosa che Soter registrò. La stanza dov’erano entrati era enorme, più grande del teatro dove avevano tenuto le loro assemblee giù a Metal city di sicuro, ed era ricolmo di persone.
Sembrava non ci fosse più un angolo libero, eppure un passaggio si aprì non appena le persone si accorsero della loro presenza, schiacciandosi e allontanandosi dal centro della sala per formare una sorta di rozzo corridoio. Allora il riccio vide cosa lo aspettava là in fondo: un palco, sormontato da oggetti che non riusciva a distinguere e da un unico individuo.
Quest’ultimo era troppo lontano perché Soter ne riconoscesse i lineamenti, ma il colore bianco acceso e soprattutto il brivido involontario che gli percorse la schiena gli dicevano che poteva essere una persona.
L’uomo in completo lo spinse avanti, e percorsero il corridoio lentamente. Gli occhi di tutti erano fissi su di loro:alcune espressioni erano facili da decifrare, paura, rabbia, gioia maligna, ma altre erano incomprensibili. Nessuno parlò; non si sentiva volare una mosca.
Quando raggiunsero il palco, Soter vide cosa vi si trovava sopra: un attrezzo di legno che somigliava pericolosamente a quelle gogne che aveva visto nei film sul medioevo, ma con solo due buchi, alcune sagome di oggetti indefinibili sullo sfondo e un echidna bianco che gli sorrise freddamente. Incrociò il suo guardo e Soter rabbrividì ancora. Aveva visto tanto male nella sua vita, anche solo negli ultimi sei mesi, ma niente poteva competere con il male che si trovava in quegli occhi. In quell’uomo. Non c’erano dubbi: era arrivato, alla fine, al cospetto dell’uomo bianco.
Fu spinto su per i gradini che portavano sul palco e si ritrovò direttamente davanti a lui. Il loro fantomatico nemico era a un paio di metri da lui, e non smetteva di sorridere. Era maledettamente agghiacciante.
I suoi cinque accompagnatori erano saliti con lui, e due delle guardie lo tennero fermo mentre gli aprivano le manette e gli fissavano le mani nella “gogna”, mentre l’uomo robusto si avvicinava al Bianco ( anche se a non meno di due metri da lui, non poté fare a meno di notare). Soter si sforzò di distogliere lo sguardo da loro e lo portò sulle persone, ma non era meglio. Lo fissavano tutti, in attesa.
Attesa che si concluse quando le guardie si allontanarono da lui e ridiscesero la scala, in fretta, come se non vedessero l’ora di allontanarsi da lì. L’uomo bianco avanzò fino a trovarsi davanti a lui e iniziò a parlare. Non aveva microfoni, o megafoni, ma la sua voce risuonava in tutta la sala.
 - Siete radunati qui – disse – perché come sapete la pace della nostra comunità è stata turbata molte volte in questo periodo. – Parlava in tono calmo e controllato, ma non c’era alcun tipo di calore in ciò che diceva. La temperatura nella stanza sembrò abbassarsi di parecchi gradi mentre pronunciava il suo discorso.
 - Avete saputo certamente che per ben tre volte i nostri confini sono stati violati da spie che non hanno ascoltato la mia  chiamata e ancora ritengono di essere dalla parte della ragione, cercando di abbattere la società pacifica e protetta che abbiamo tentato di costruire. La prima volta sono intervenuto personalmente e ho eliminato il problema, reagendo a un attacco diretto che quella persona aveva cercato di infliggermi. La seconda ho lasciato che la spia venisse rimandata indietro, anche se...privo di alcuni elementi fondamentali che gli avrebbero consentito di rivelare ai suoi compagni dettagli che avrebbero permesso loro di colpirci in quelli che ritengono essere i nostri punti deboli. Ora ci troviamo davanti a una terza spia.
L’uomo bianco fece un ampio gesto a indicare Soter,immobile e ammutolito alle sue spalle.
 - Io non tollero le spie. Sono subdole, doppiogiochiste e codarde. Sono al servizio di quelle persone che cercano di riportare il caos nelle vite di tutti, favorendo l’anarchia e il disordine. Perciò farò quello che sto per fare per dare a tutti coloro che pensano sia possibile distruggere l’ordine che abbiamo creato un esempio delle conseguenze di una simile possibilità. Le spie e i disturbatori vanno puniti, insieme ai sobillatori. Ricordatevi questo.
Vi fu un sinistro rumore di lama contro lama e tutti, Soter incluso, si voltarono. L’uomo che aveva accompagnato il riccio indossava ora un grembiule sopra il completo e  affilava dei coltelli, presi probabilmente dal carrello che aveva tirato a sé dal fondo del palco, pieno di attrezzi affilati e spaventosi. Sorrideva leggermente, come chi si prepara ad un compito piacevole.
 - Crowley – continuò l’echidna, imperturbabile – punirà questa spia nel modo più efficace: la sua pelle verrà scalzata dal suo corpo ed esposta in modo che chiunque, vedendola, ricordi qual è la mia opinione. Siete tenuti tutti a guardare, per imparare e non dimenticare più la lezione.
Una pausa. Tutti sembravano trattenere il fiato, orripilati dalla prospettiva.
 - Tutti coloro che hanno dei bambini con sé sono esentati.
Ciò detto, l’uomo bianco tacque e fece un passo indietro. Nessuno parlava. In fondo alla stanza, una sagoma con in braccio un’altra sagoma più piccola corse fuori, sbattendosi la porta alle spalle.
Il suono riscosse Soter. Suo malgrado, come tutti, era rimasto ipnotizzato dal discorso del Bianco, ma ora era presente. E non aveva paura: si sentiva ribollire di rabbia. Non solo per i malvagi trucchi del nemico (un demagogo eccellente,oh), ma anche per le reazioni che vedeva. Quanta stupidità poteva volerci?
 - Ma lo avete sentito? – Gridò, la voce rimbombante anche senza aiuti soprannaturali. L’attenzione si focalizzò su di lui all’istante, e lui ne approfittò. – Non capite cosa sta cercando di fare? Lui non vuole riportare l’ordine, vuole che tutto sia sotto il suo dominio! Riuscite a vederlo? A vedere cos’è veramente? Guardatelo! – Lui era impossibilitato a indicare l’avversario, ma gli occhi di tutti si girarono lo stesso su quest’ultimo, che non sembrava sorpreso, ma più che altro divertito. Questo fece infuriare Soter ancor di più. – Guardatelo in faccia e ditemi se vi fidate di lui! Potrebbe distruggervi come niente al minimo errore! Le punizioni non spetteranno solo a chi non è legato a lui, e lo sapete! Svegliatevi! E’...
Fu interrotto dalla sensazione gelida di una lama che gli si appoggiava alla base del collo. – Le tue parole e il tuo bel faccino non ti salveranno la vita,, amico – sussurrò la voce dell’uomo che avevano chiamato Crowley. Soter sentì il sudore scorrergli sulla schiena, ma non era la prima volta per lui neanche nel campo delle armi puntate alla schiena, così alzò la testa per parlare ancora...ma non ce ne fu bisogno.
 - Ha ragione! – Si levò una voce dalla folla. Tutti si voltarono, sorpresi, e istintivamente si allontanarono per creare il vuoto intorno a chi aveva parlato, un grosso orso in camicia a quadri. Anche il Bianco e Crowley sembrarono fermarsi a guardarlo.
 - Non possiamo fidarci di lui! Ci ammazzerà tutti come vuole fare a questo tizio! Non è nemmeno umano, andiamo! Per quello che ne sappiamo potrebbe essere..un mostro, o un demone!
Si levò un mormorio diffuso. Molti sembravano sconcertati,ma qualcuno...annuiva? Proprio così. – E’ vero! – Urlò un’altra voce d’uomo, un po’ più maniacale. – E’ un demone, e Dio non può più aiutarci! Dobbiamo combatterlo noi, col fuoco e col sale! Prendi questo, essere infernale!
Qualcosa volò oltre le teste delle persone nelle prime file e atterrò davanti all’uomo bianco, che non reagì minimamente. Soter lo osservò perplesso raccogliere una manciata di quello che sembrava essere sale grosso.
Poi il Bianco iniziò a ridere. Rise, e rise, ed era un suono così terribile che avrebbe potuto far cadere gli uccelli dagli alberi al solo sentirlo. La risata di un pazzo felice di aver appena fatto esplodere il suo manicomio.
Rise a lungo e quando finì si rivolse alla sua platea con un ampio sorriso. – Davvero? – Disse, soppesando il sale nella mano. – Davvero pensavate fosse così semplice, Bobby, Sam? E tutti gli altri...So tutto, non temete. Non c’era modo in cui poteste sfuggirmi, ma non vi ho fermato perché era un’idea così arguta...e così inutile. Sale con me? Avete fatto male i conti. Avreste dovuto provarlo con Crowley,sarebbe stato più efficace.
Conclusa la frase, lanciò con tranquillità il sale alle proprie spalle. Soter sentì distintamente il rumore dell’uomo in grembiule che si spostava dietro di sé, e le reazioni sconvolte della folla.
L’echidna bianco tese le mani ora vuote, e grida di dolore sorsero da dove prima si trovavano i due contestatori. La folla gemette e si agitò, senza sapere che fare.
 - Io ero qui molto prima dei demoni – disse ancora il Bianco, con una voce profonda all’inverosimile. – Ero già qui quando il vostro Lucifero era ancora un angioletto amato da Dio e sarò qui ancora altrettanto a lungo, e nessuno di voi potrà fermarmi. Unitevi a me e avrete pace. Opponetevi, e avrete...dolore.
Si voltò a guardare Soter, gli occhi che alla prima occhiata erano persi dorati ora di un colore tempestoso e in continuo cambiamento, con un sorriso malato sulle labbra. Parlò ancora, un’ultima volta.
 - Procedi, Crowley.
E fu in quel momento che colei che aveva scatenato molto di quel movimento cambiò le sorti della storia.
 
Nessuno aveva mai cercato di capire cosa accadesse nella testa di Wave.
Tutti coloro che erano entrati in contatto con lei dopo lo stupro avevano dato per scontato che fosse partita completamente, persa in un mondo tutto suo e distaccato dalla realtà, e avevano evitato di approfondire. La rondine viaggiava per il Blocco, gli occhi spalancati e fissi, e sembrava raccogliere ogni oggetto che attirasse la sua attenzione, come i bambini piccoli. Nessuno osava trattenerla o strapparle le cose di mano, a meno che non si trattasse di luoghi proibiti o attrezzi indispensabili, poiché non sapevano come avrebbe reagito e nessuno voleva anche solo rischiare di contrariare il capo. In questo modo Wave si era guadagnata il soprannome di “gazza ladra”, e aveva raccolto una quantità incredibile dell’attrezzatura più disparata.
E tuttavia, nonostante tutti questi contatti, nessuno era riuscito a capire come funzionasse davvero il suo cervello.
Da quando che l’uomo bianco l’aveva violata, ogni elemento che passava nel suo cervello veniva rivoltato, mescolato e rimasticato, formato un groviglio indivisibile di passato e presente, condito con dettagli del tutto immaginari. Ciò che affiorava più spesso, però, erano quei doveri che erano rimasti piantati talmente in profondità da non poter essere spazzati via. Per esempio, era pienamente cosciente di avere un figlio in grembo, e sapeva di doverlo custodire, perché era prezioso. Infinitamente prezioso.
E poi sapeva di dover  distruggere i nemici.
Nella follia che la avvolgeva era convinta di dover ancora far esplodere quella bomba che aveva convinto i quattro viaggiatori a partire da Metal city. Ma quel dovere non si era affacciato subito: era spuntato fuori prepotentemente dopo aver visto Aster nello studio del suo sposo. Lo shock del trovare un elemento della vita che avrebbe dovuto cancellare in quel luogo aveva fatto riaffiorare i violenti pensieri di vendetta.
E così aveva iniziato a lavorare. Sapeva cosa doveva fare, e quali oggetti le sarebbero serviti, perché erano istruzioni che aveva ricevuto dal suo sposo e che le erano rimasta impresse a fuoco nella mente, anche se schiacciate e sporcate dalla pazzia. Aveva terminato le sue opere e le aveva deposte nei luoghi ai confini estremi della sua libertà di movimento.
Ora sedeva sul letto nella stanza che il Bianco condivideva con lei solo per controllarla, rigirandosi un walkie-talkie fra le mani,sicura di quello che aveva fatto. C’era una bomba nella centrale elettrica e una nella scuola, sì. Anche se lo spostamento fra i due luoghi le era sembrato troppo breve. Ma non aveva importanza, doveva essere la sua immaginazione. Nessuno si era accorto di niente, nessuno l’aveva richiamata. Un lavoro perfetto. Ora avrebbe cancellato dalla faccia della terra tutta quella brutta gente che aveva dovuto sopportare,come l’echidna puttana, il suo sudicio bambino e il loro capo, che aveva resistito alle sue avance senza nessun motivo. Lo avrebbe fatto e lei sarebbe potuta vivere felice col suo sposo e il loro figlio in quel nuovo mondo perfetto.
Si portò il walkie-talkie al becco. Nessuno la sentì parlare, perché la sua guardia non aveva il permesso di entrare nelle camere del Bianco. Nessuno sentì le parole che continuava a ripetere davanti al suo oscuro amante.
 - Ho fatto quello che volevi.
E fu così che le due bombe che aveva nascosto nel blocco esplosero senza che nessuno se lo aspettasse. Che l’uomo bianco crollò sotto il suo vero punto debole, che non era fisico, ma mentale, perché neanche lui poteva leggere nella mente di chi non era in linea con essa, e non poteva vedere i pensieri dei pazzi.
E il giusto e l’ingiusto bruciarono insieme.
 
Sapete chi è che sparisce per mesi e poi torna con i capitoli chilometrici e pieni di cose e che ammazza i nemici inaspettatamente?
Proprio io.
E questo capitolo doveva essere più corto e le grandi cose dovevano accadere in quello dopo, E INVECE NO, perché se non porto un po' di confusione io non lo fa nessuno. Ecco.
In ogni caso siamo qui, e per favore non linciatemi. Abbiate pietà di una povera autrice.
Soprattutto tu, The New Riddler. Mi dispiace. Giuro che non avevo niente di personale contro Soter, anzi, lo adoro. Sono pure esigenze narrative. Perdonami.
Detto questo, fuggo per evitare le botte. A presto.
^Ro
  
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